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terapia genica

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Dalla guerra alla speranza

Le immagini provenienti dall’Ucraina mostrano, purtroppo da mesi, sofferenza e distruzione. Una situazione ancora più gravosa se si è malati. A volte, però, vi è speranza. Nel marzo scorso, quando la guerra imperversava su più fronti del territorio ucraino, due sorelle trentenni, affette da epidermolisi bollosa, sono riuscite a fuggire e a salvarsi, grazie all’associazione “Le Ali di Camilla”. Sono giunte a Modena, per essere assistite nelle cure di cui hanno bisogno presso il Policlinico cittadino, un’eccellenza internazionale per questa malattia rara. L’associazione, dal luglio 2019, aiuta i pazienti che si recano a Modena per le cure, supporta la ricerca scientifica sulla patologia e fa parte dell’Alleanza Malattie Rare (AMR). Inoltre, è impegnata nell’invio di farmaci e medicazioni all’estero, su richiesta delle associazioni locali coordinate da Debra International (l’associazione internazionale di raccordo tra tutte le associazioni locali che nei vari Stati supportano le famiglie dei pazienti), e nel trasferimento e accoglienza delle famiglie che hanno lasciato l’Ucraina per venire in Italia. Il supporto non è stato solo sanitario: in poco tempo, diverse associazioni locali e comuni cittadini si sono attivati per accogliere.

Immagine di Elena Mozhvilo

Epidermolisi bollosa

L’epidermolisi bollosa (EB) è una malattia genetica ereditaria, rara e invalidante, che provoca eruzione cutanea grave con vescicole e cicatrizzazione, e lesioni delle mucose interne (comprese quelle della bocca, della gola, degli occhi e dell’ano). Queste si verificano spontaneamente o a causa di una lieve frizione. La patologia è più nota come “sindrome dei bambini farfalla” perché i pazienti sono molto fragili come le ali di una farfalla.

L’epidermolisi bollosa può trasmettersi secondo due modalità: la prima è autosomica dominante, cioè un genitore malato ha il 50% di probabilità di trasmettere la patologia alla progenie; la seconda è autosomica recessiva, ossia genitori portatori sani della malattia avranno il 25% di probabilità di avere un figlio malato (è possibile la diagnosi prenatale in gravidanza). A livello mondiale, la prevalenza è 1:17.000 nati, mentre in Italia 1:82.000. La più recente classificazione distingue quattro tipologie principali della malattia, a seconda del gene mutato: simplex, distrofica, giunzionale e Kindler. La forma meno grave, responsabile di più del 50% dei casi, è la variante simplex, perché le bolle si formano più spesso solo a livello delle mani e dei piedi. Invece, la forma distrofica è causata dal danneggiamento o dall’assenza di placche di ancoraggio, costituite da una proteina chiamata collagene di tipo VII, presenti nelle giunzioni tra epidermide e derma, e che mantengono adese le cellule fra loro. In tal caso la formazione di bolle è generalizzata, costante e lascia cicatrici. La forma giunzionale può essere letale fin dalla prima infanzia, poiché le lesioni lasciano la persona esposta agli agenti esterni e, quindi, particolarmente suscettibile di infezioni. Infine, nella EB di Kindler le lesioni, indotte da azione meccanica, si possono formare in diversi strati della pelle. 

La diagnosi consiste nell’’osservazione clinica, seguita dalla biopsia della pelle, e dai test genetici di conferma.

Epidermolisi bollosa
Immagine di Alfred Schrock

Il primo farmaco specifico per la EB

Il primo trattamento autorizzato per la EB e Filsuvez della Amryt Pharmaceuticals DAC. È un gel per uso topico, cioè l’azione farmacologica si esplica direttamente sulla cute o la mucosa dove è applicata, per il trattamento di ferite che interessano gli strati superiori della pelle. Tale farmaco, qualificato come “medicinale orfano” (cioè utilizzato nelle malattie rare) è indicato per pazienti con malattia in forma giunzionale o distrofica. Filsuvez contiene un estratto secco di due specie di corteccia di betulla costituita da sostanze presenti in natura denominate triterpeni.

Il più ampio studio globale mai condotto su pazienti affetti da EB è lo quello di Fase III EASE, condotto su 223 pazienti. Il 41% dei soggetti trattati con Filsuvez e con la medicazione ha mostrato un recupero completo della ferita entro 45 giorni, rispetto a coloro che che hanno ricevuto un trattamento fittizio e la medicazione (29%). Dopo 90 giorni non è stata osservata alcuna differenza rispetto al gel di controllo. Pur essendo modesti, gli effetti sono stati considerati clinicamente significativi per i pazienti con forma distrofica e giunzionale. Inoltre, il medicinale ha evidenziato un profilo di sicurezza accettabile, con effetti indesiderati localizzati e gestibili. Pertanto l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha deciso che i benefici di Filsuvez sono superiori ai rischi e che il suo uso può essere autorizzato nell’UE.

Immagine di Diana Polekhina

La terapia genica per l’epidermolisi bollosa giunzionale

Negli ultimi anni le prospettive di cura non hanno riguardato solo lo sviluppo di nuovo farmaci: la terapia genica ha mostrato che i bambini farfalla possono essere curati. Gli studi del professor Michele De Luca e della professoressa Graziella Pellegrini del Centro di Medicina rigenerativa “Stefano Ferrari” hanno aperto la strada ad un campo di ricerca in continua crescita. La ricerca italiana di Holostem e di altre realtà accademiche e cliniche europee ha permesso di mettere a punto una terapia genica utile per l’EB giunzionale. È ormai entrato nella storia della medicina il caso del piccolo rifugiato siriano Hassan, accolto in Germania insieme alla sua famiglia nel 2015. Il paziente mostrava gravi danni alla pelle, esponendolo ad un elevato rischio di morte. I ricercatori italiani prelevarono parte delle sue cellule staminali e le coltivarono in laboratorio con l’intento di correggere il difetto genetico e ottenere una nuova pelle. Tale approccio è detto terapia genica ex-vivo, ossia prevede l’allestimento di colture autologhe – ovvero dello stesso paziente – di epidermide geneticamente corretta. Obiettivo raggiunto e terapia di successo: la nuova pelle fu reimpiantata con 3 operazioni allo University Children’s Hospital di Bochum e consentì di ricostruire diverse aree del corpo. Dal 2015 ad oggi, il bambino è stato seguito dal punto di vista clinico e, nel 2021, i risultati del follow-up biologico-molecolare sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine. Sono stati eseguiti test clinici, cellulari e molecolari, dimostrando, tra i numerosi parametri considerati, la ricostruzione del sistema immunitario della pelle e un adeguato livello di idratazione delle stesse aree con la presenza di ghiandole sebacee e sudoripare. Inoltre, il trattamento si è dimostrato sicuro, confermando i risultati ottenuti in vitro in oltre 30 anni di ricerca di base.

Immagine di Rossoporpora, CC BY-SA 3.0

La terapia genica per l’epidermolisi bollosa distrofica

Il gene COL7A1, responsabile della produzione della proteina collagene di tipo VII, è mutato nei pazienti affetti da EB distrofica. I ricercatori della Stanford University School of Medicine hanno sviluppato una terapia genica “in vivo” per correggere il difetto. Beremagene geperpavec è una terapia genica non invasiva, applicata come un “gel” ad uso topico. Alla base del trattamento vi è virus modificato (Herpes simplex virus) che contiene il gene corretto per fornire alle cellule della pelle del paziente “uno stampo” da cui produrre la proteina. Al termine degli studi di fase I e II, la terapia genica si è dimostrata sicura ed efficace nel promuovere la guarigione delle lesioni. I risultati positivi hanno dato il via allo studio di fase III prima dell’eventuale commercializzazione.

Sebbene la strada verso la completa guarigione dei diversi e numerosi casi di epidermolisi bollosa sia lunga, la ricerca di base si conferma un tassello fondamentale per la medicina translazionale. Modena è sempre più un punto di riferimento nazionale e internazionale per la medicina rigenerativa avanzata basata su colture di cellule staminali epiteliali per terapia cellulare e genica per pazienti privi di alternative terapeutiche.

Immagine di Braňo

Fonti:

 

epidermolisi bollosa
Immagine di Thomas Kinto

La storia di Luca? L’emofilia A 

Giuseppe Luca Rizzo non rinuncia, oggi, all’amore per lo sport. E perché dovrebbe? Luca è affetto da emofilia A. L’emofilia è una malattia genetica rara provocata dalla mancanza dei fattori indispensabili per la coagulazione del sangue. Quando era piccolo, la sua condizione non gli consentiva di praticare niente. Poi, crescendo e conoscendo se stesso, lo sport è entrato a far parte della sua quotidianità. Ad una passione se ne aggiunse subito un’altra: la musica. Sport e musica hanno aiutato Luca ad affrontare le sfide legate alla malattia e ad aprirsi alle nuove. Attualmente, la vita delle persone affette da emofilia è migliorata grazie allo sviluppo di nuove terapie di profilassi, capaci di fornire un’efficace protezione dal rischio di sanguinamenti. Luca non aveva mai parlato volentieri della sua malattia, finché nel 2021 sentì l’esigenza di uscire allo scoperto. Luca sapeva che tante persone si limitavano nello sport a causa della malattia. Pianificò, allora, un viaggio in bicicletta per trasmettere un messaggio: con l’emofilia si può fare quasi tutto. L’esperienza, condivisa con la compagna, ha avuto una grande risonanza, tanto da indurlo ad organizzare altri viaggi.

Immagine  di Fabricio Macedo

L’emofilia

La coagulazione del sangue è un meccanismo protettivo per evitare eccessive perdite ematiche che metterebbero in pericolo la sopravvivenza. L’emofilia si eredita, in modalità recessiva, attraverso il cromosoma X: si manifesta solo nei maschi, mentre le donne possono essere portatrici sane. Essa è caratterizzata dalla carenza di uno specifico fattore della coagulazione. Esistono principalmente due forme di emofilia, la A e la B. Nel primo caso, è carente il Fattore otto (FVIII), mentre nel secondo il Fattore nove (FIX). L’emofilia A è più diffusa (prevalenza 1: 10.000) dell’emofilia B (prevalenza 1:30.000). Le manifestazioni dipendono dipendono dalla gravità della malattia, che è determinata in base alla gravità della carenza di attività del fattore coagulante. Si parla di emofilia grave quando il valore dell’attività del fattore coagulante è inferiore all’1%.

Le persone affette da emofilia, in genere, oltre alle problematiche tipiche dello stato emorragico, presentano anche altre complicanze: per esempio, sanguinamenti dolorosi e prolungati a livello dei muscoli e delle articolazioni. Tali complicanze, se non sono trattate tempestivamente e in maniera adeguata, possono portare a patologie articolari (artropatie) croniche e disabilità.

sangue emofilia A in forma grave

Immagine di Deutsch

Terapie

La cura dell’emofilia ha avuto grandi sviluppi negli ultimi decenni. Le misure di prevenzione specifica prevedono la somministrazione del farmaco contenente i fattori della coagulazione mancanti. Le due principali terapie per l’emofilia sono quella “on demand” (al bisogno, cioè al momento del sanguinamento) e la profilassi, che prevede la somministrazione costante del fattore carente. In Italia, uno tra i paesi più evoluti dal punto di vista clinico-terapeutico, viene utilizzata l’autoinfusione domiciliare. Come si legge su OMaR (Osservatorio Malattie Rare),

“In molte regioni italiane, dal 1976, il trattamento domiciliare è stato reso possibile grazie a leggi regionali ad hoc che permettono, dopo idoneo corso di formazione, di abilitare i pazienti e/o i loro assistenti ad eseguire la terapia a domicilio senza la presenza del personale sanitario”.

Comunque, anche tale terapia è invasiva perché i pazienti devono ripeterla periodicamente per tutta la vita.

Immagine di National Cancer Institute

I passi per approvare un farmaco

L’azienda californiana BioMarin Pharmaceutical due anni fa iniziò, in diversi Paesi del mondo (inclusa l’Italia con l’Ospedale Maggiore del Policlinico di Milano), un trial clinico di Fase III con il farmaco con nome commerciale Roctavian (terapia genica denominata valoctocogene roxaparvovec). Il percorso regolatorio di Roctavian ha previsto il processo di valutazione da parte dell’Agenzia Europea per i Medicinali (EMA) e i pareri del Comitato per i Medicinali per Uso Umano (CHMP) e del Comitato per le Terapie Avanzate (CAT). Il 7 settembre 2022, la Commissione Europea ha concesso al farmaco Roctavian l’autorizzazione condizionata all’immissione in commercio per il trattamento dell’emofilia A grave. Tale tipo di autorizzazione garantisce che il farmaco approvato  soddisfi i rigorosi standard UE su sicurezza, efficacia e qualità. Come si legge sul sito Epicentro dell’Istituto Superiore di Sanità

le autorità regolatorie ricorrono a questo strumento se il beneficio della disponibilità immediata di un farmaco supera chiaramente il rischio legato al fatto che non tutti i dati sono ancora disponibili, normalmente richiesti per le autorizzazioni standard”.

Una volta concessa, le aziende sono obbligate a fornire entro determinate scadenze, ulteriori dati per confermare che i benefici continuano a superare nettamente gli eventuali rischi. 

Il farmaco è designato come orfano, cioè destinato alla cura di una malattia rara, la cui realizzazione, da parte delle aziende farmaceutiche, non consente ricavi per recuperare i costi sostenuti per il loro sviluppo. Tale denominazione garantisce a Roctavian un periodo di 10 anni di esclusività di mercato ed esclude la competitività di farmaci simili con la stessa indicazione terapeutica.

Immagine di Christian Lue

L’ultima terapia approvata

Roctavian è un medicinale per terapia avanzata denominato “prodotto di terapia genica”. La strategia alla base della terapia è fornire all’organismo una copia corretta del gene difettoso. Il farmaco è usato nei pazienti adulti affetti da emofilia A in forma grave che non hanno anticorpi per il FVIII e contro il virus che trasporta il gene del fattore mancante. Il tipo di virus utilizzato nel medicinale (detto virus adeno-associato) non provoca malattie nell’uomo. Roctavian è somministrato, in una struttura attrezzata, con infusione endovenosa un’unica volta. Esso fornisce al paziente il gene grazie a cui le cellule del fegato possono iniziare a produrre il FVIII senza che sia più necessario ricorrere alle infusioni periodiche (Osservatorio Malattie Avanzate).

Il dato che emerge dal trial, che ha coinvolto 134 pazienti, riguarda il numero annuo di episodi emorragici: si è ridotto di circa l’85% e con esso anche il tasso medio di infusioni di FVIII. Parallelamente, l’attività del FVIII nei pazienti che hanno ricevuto Roctavian si è mantenuta stabile nel tempo a due anni dalla somministrazione.

Il farmaco consentirà di ampliare le scelte terapeutiche del medico, potendo considerare anche un’infusione una tantum che protegge dalle emorragie per diversi anni.

Immagine di Lukas

 

Approfondimenti:

  1. Approvata in Europa la prima terapia genica per l’emofilia A
  2. First Gene Therapy for Adults with Severe Hemophilia A, BioMarin’s ROCTAVIAN™ (valoctocogene roxaparvovec), Approved by European Commission (EC)
  3. Emofilia: news su farmaci, terapie, sperimentazioni e qualità della vita
  4. Roctavian (valoctocogene roxaparvovec)
sangue emofilia A in forma grave
Immagine di qimono