News
Ad
Ad
Ad
Tag

Sole

Browsing

SOLARIS: LE PRIME IMMAGINI IN BANDA RADIO DEL SOLE DAL NUOVO OSSERVATORIO ITALIANO IN ANTARTIDE

Da oggi, l’osservazione del Sole alle alte frequenze radio si arricchisce dei dati di Solaris, progetto scientifico coordinato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica nell’ambito del Piano Nazionale di Ricerca in Antartide (PNRA). Partendo dal Polo Sud, Solaris punta a espandersi anche nell’emisfero settentrionale, creando una rete globale per un monitoraggio continuo del Sole, con importanti applicazioni per la meteorologia dello spazio.

Prima immagine del Sole in banda radio, osservato alla frequenza di 95 GHz in Antartide il 27 dicembre 2024. Crediti: Team Solaris
Prima immagine del Sole in banda radio, osservato alla frequenza di 95 GHz in Antartide il 27 dicembre 2024. Crediti: Team Solaris

Milano, 3 marzo 2025 – L’osservatorio Solaris è un innovativo progetto scientifico e tecnologico – frutto di una collaborazione tra diverse istituzioni scientifiche nazionali coordinate dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dall’Università degli Studi di Milano e dall’Università di Milano-Bicocca nell’ambito del PNRA (Piano Nazionale di Ricerca in Antartide) – finalizzato allo sviluppo di un sistema di monitoraggio continuo del Sole alle alte frequenze radio, per studi di fisica fondamentale, climatologia spaziale e interazioni Terra-Sole.

Nonostante sia attivo da pochissimo tempo e ancora nelle fasi iniziali di sviluppo (è infatti passato poco più di un anno dalla sua costituzione), Solaris ha già prodotto dati interessanti dal punto di vista scientifico per applicazioni di climatologia spaziale, in particolare mappe solari che consentono di studiare in banda radio a 95 gigahertz l’evoluzione della regione attiva che ha prodotto le tempeste solari responsabili dell’aurora di capodanno, visibile anche alle nostre latitudini. Le immagini sono state ottenute nelle scorse settimane, e sono tuttora in fase di analisi e interpretazione da parte di un team multidisciplinare di esperti.

“La possibilità di monitorare, comprendere e prevedere la mutevole fenomenologia solare e il suo notevole impatto con l’ambiente spaziale e il nostro pianeta è una sfida che acquista sempre più importanza” dice Alberto Pellizzoni, astrofisico INAF e responsabile scientifico del progetto Solaris, che prosegue: “Per affrontare questa sfida è necessario investire per trasformare e potenziare strumenti già esistenti o crearne di nuovi in una efficiente rete solare internazionale, anche nel contesto degli accordi in essere tra diversi Enti in Italia (INAF, INGV, ASI, Aeronautica Militare e varie Università) per sviluppare servizi dedicati allo Space Weather, e capire come il Sole influisca sulle nostre tecnologie e la nostra vita sulla Terra”.

Il progetto Solaris prevede l’implementazione di ricevitori radioastronomici dedicati e intercambiabili su piccoli radiotelescopi della classe di 2.6 metri di diametro, già presenti in Antartide nelle basi italiane Mario Zucchelli e Concordia e adattati per osservazioni solari ad alta frequenza, dell’ordine delle decine di giga hertz (Ghz). Ciò consente di ricevere onde radio emesse dal Sole, la cui lunghezza d’onda varia da qualche centimetro a qualche millimetro. Con questo tipo di osservazioni è possibile avere una nuova “finestra” in cui studiare il Sole e i suoi fenomeni, rilevando con precisione la temperatura e i brillamenti della corona solare e fare previsioni sulle possibili tempeste geomagnetiche. Al progetto, oltre alle sedi INAF di Cagliari, Bologna, Trieste, Milano e alle Università degli Studi di Milano e Milano-Bicocca, partecipano le Università di Roma Sapienza, Tor Vergata e Roma Tre, l’Agenzia Spaziale Italiana, l’Aeronautica Militare Italiana, l’Università Cà Foscari di Venezia, il Consiglio Nazionale delle Ricerche.

Francesco Cavaliere e Marco Potenza, del Dipartimento di Fisica dell’Università di Milano, affermano: “Vediamo finalmente venire alla luce i primi risultati di un lungo progetto a cui abbiamo lavorato per quasi dieci anni, dopo che il PNRA ci aveva chiesto di prenderci carico delle infrastrutture nelle due basi. Il lavoro da fare è ancora moltissimo, ma i primi risultati sono di grande soddisfazione anche in funzione delle scarsissime risorse che abbiamo avuto a disposizione. La riuscita di questa prima fase è anche una valorizzazione delle attività svolte proprio a Milano, dove abbiamo un telescopio prototipo con cui validare tutte le procedure e risolvere gran parte dei problemi prima di arrivare a lavorare al Polo”.

“Solaris rappresenta uno dei progetti di punta del PNRA in campo astrofisico ed uno tra i più promettenti programmi astrofisici che operano nelle aree polari a livello internazionale – sostiene Massimo Gervasi, docente dell’Università di Milano-Bicocca e membro del Physical Science Group dello SCAR (Scientific Committee on Antarctic Research) -. L’analisi delle immagini di Solaris, correlata con le immagini fornite dai satelliti a più alte energie da un lato e i dati sulle particelle energetiche solari dall’altro, aiuterà a comprendere meglio i fenomeni fisici che stanno alla base delle emissioni solari energetiche”.

Gallery, crediti per le foto: Luca Teruzzi – Università di Milano

In presenza di condizioni di visibilità del cielo ottimali come quelle antartiche, Solaris sarà l’unica installazione a offrire un monitoraggio continuo del Sole ad alte frequenze radio permettendo di osservare le variazioni che avvengono nella cromosfera solare, uno strato dell’atmosfera della nostra stella in cui si formano fenomeni altamente energetici come brillamenti ed espulsioni di massa coronale. Monitorare le variazioni in questa banda radio permette di identificare segnali precursori di tempeste geomagnetiche, che potrebbero interferire con le nostre tecnologie nello spazio e a terra.

Gallery, crediti per le foto: Francesco Cavaliere – Università di Milano

La scelta di posizionare a una latitudine così meridionale Solaris non è dovuta solo alla limpidezza dell’atmosfera, garantita dalla bassa umidità che altrimenti assorbirebbe i segnali radio ad alta frequenza, ma anche e soprattutto alla lunga persistenza del Sole nel cielo durante l’estate antartica (che corrisponde al nostro periodo invernale), seppure molto basso rispetto all’orizzonte. Nei pressi dei poli terrestri, infatti, è possibile – durante i rispettivi periodi estivi – osservare la nostra stella per oltre 20 ore al giorno.

Per poter offrire un monitoraggio solare costante durante tutto l’anno, il progetto Solaris sarà dunque implementato anche nell’emisfero settentrionale con lo sviluppo di una stazione sulle Alpi (presso l’Osservatorio climatico Testa Grigia del CNR, a 3500 metri s.l.m., in Valle D’Aosta) e altre in Scandinavia e regioni Artiche, grazie all’interesse internazionale destato da queste prospettive.

Il Sito web del progetto Solaris: https://sites.google.com/inaf.it/solaris

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano e dagli Uffici Stampa dell’Istituto Nazionale di Astrofisica e dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca

METIS OSSERVA COME SI PROPAGA LA TURBOLENZA NEL VENTO SOLARE

Grazie alle riprese del coronografo Metis a bordo della missione europea Solar Orbiter, un gruppo internazionale coordinato da ricercatori INAF è riuscito ad osservare la propagazione dei moti turbolenti del vento solare dalle zone più interne della corona del Sole fino allo spazio. La conoscenza dei meccanismi che guidano l’evoluzione e la propagazione di questi fenomeni nel vento solare aiuterà a migliorare le previsioni sul potenziale impatto che esso può avere nel nostro Sistema planetario e soprattutto sulla Terra. Lo studio a cui hanno collaborato anche ricercatori e ricercatrici di ASI, CNR e delle Università di Firenze, Padova, Urbino, Genova, Catania, Palermo e della Calabria, è stato pubblicato oggi sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.

Il vento solare è un flusso incessante di particelle cariche provenienti dal Sole, il cui andamento è tutt’altro che costante. Nel loro moto nello spazio, le particelle del vento solare interagiscono con il campo magnetico variabile del Sole, seguendo traiettorie caotiche e fluttuanti, un fenomeno che prende il nome di turbolenza.

Le riprese ottenute dalla missione Solar Orbiter dell’Agenzia Spaziale Europea grazie al coronografo Metis progettato da Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), Università di Firenze, Università di Padova, CNR-Ifn, e realizzato dall’Agenzia Spaziale Italiana con la collaborazione dell’industria italiana, confermano qualcosa che si sospettava da tempo: il moto turbolento del vento solare inizia molto vicino al Sole, all’interno della porzione di atmosfera solare nota come corona. Piccoli disturbi che influenzano il vento solare nella corona vengono trasportati verso l’esterno e si espandono, generando un flusso turbolento più lontano nello spazio.

“Questo risultato ha aperto una nuova finestra sulla fisica del vento solare grazie a Metis, il coronografo di nuova concezione – tutta italiana – a bordo del Solar Orbiter, che ha permesso acquisizioni ad alta cadenza di immagini coronali con un contrasto senza precedenti tra segnale coronale e background”

commenta Silvano Fineschi dell’INAF e Responsabile Scientifico del contributo italiano alla missione. Bloccando la luce diretta proveniente dal Sole, il coronografo Metis è in grado di catturare la luce visibile e ultravioletta più debole proveniente dalla corona solare. Le sue immagini ad alta risoluzione e ad alta cadenza mostrano la struttura dettagliata e il movimento all’interno della corona, rivelando come il movimento del vento solare diventi già turbolento alle sue radici. Le riprese utilizzate dal team di ricerca per osservare in dettaglio la propagazione della turbolenza sono state ottenute il 12 ottobre 2022 e messe in sequenza per realizzare una animazione video. In particolare, l’anello color rosso nel video mostra le osservazioni di Metis. A quella data, la sonda si trovava a soli 43,4 milioni di km dal Sole, meno di un terzo della distanza Sole-Terra. L’immagine del Sole al centro del video è stata scattata dall’Extreme Ultraviolet Imager (EUI) di Solar Orbiter, lo stesso giorno delle osservazioni di Metis.

“L’elevata risoluzione spaziale e temporale di Metis sta gettando nuova luce sui meccanismi fisici che regolano il vento solare e la sua propagazione, consentendo una migliore comprensione dei processi attraverso i quali il Sole determina le condizioni fisiche dello spazio interplanetario con effetti anche a Terra” dice Marco Stangalini, ricercatore e Responsabile di Programma ASI della missione Solar Orbiter. “Questo significativo risultato è solo l’ultimo di una lunga serie di successi e offre grandi speranze per il futuro. Nei prossimi anni, infatti, Solar Orbiter inclinerà la sua orbita, permettendoci di osservare il Sole da una prospettiva completamente nuova per la prima volta”.

La turbolenza influenza il modo in cui il vento solare viene riscaldato, il modo in cui si muove attraverso il Sistema solare e il modo in cui interagisce con i campi magnetici dei pianeti e delle lune che attraversa. Comprendere la turbolenza del vento solare è fondamentale per prevedere la meteorologia spaziale e i suoi effetti sulla Terra.

L’articolo “Metis observation of the onset of fully developed turbulence in the solar corona” di Daniele Telloni, Luca Sorriso-Valvo, Gary P. Zank, Marco Velli , Vincenzo Andretta, Denise Perrone, Raffaele Marino, Francesco Carbone, Antonio Vecchio, Laxman Adhikari, Lingling Zhao, Sabrina Guastavino, Fabiana Camattari, Chen Shi, Nikos Sioulas, Zesen Huang, Marco Romoli, Ester Antonucci, Vania Da Deppo, Silvano Fineschi, Catia Grimani, Petr Heinzel, John D. Moses, Giampiero Naletto, Gianalfredo Nicolini, Daniele Spadaro, Marco Stangalini, Luca Teriaca, Michela Uslenghi, Lucia Abbo, Frederic Auchere, Regina Aznar Cuadrado, Arkadiusz Berlicki, Roberto Bruno, Aleksandr Burtovoi, Gerardo Capobianco, Chiara Casini, Marta Casti,  Paolo Chioetto, Alain J. Corso, Raffaella D’Amicis, Yara De Leo, Michele Fabi, Federica Frassati, Fabio Frassetto, Silvio Giordano, Salvo L. Guglielmino, Giovanna Jerse, Federico Landini, Alessandro Liberatore, Enrico Magli, Giuseppe Massone, Giuseppe Nisticò, Maurizio Pancrazzi, Maria G. Pelizzo, Hardi Peter, Christina Plainaki, Luca Poletto, Fabio Reale, Paolo Romano, Giuliana Russano, Clementina Sasso, Udo Schuhle, Sami K. Solanki, Leonard Strachan, Thomas Straus, Roberto Susino, Rita Ventura, Cosimo A. Volpicelli, Joachim Woch, Luca Zangrilli, Gaetano Zimbardo e Paola Zuppella è stato pubblicato oggi sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.

Immagine satellitare dal Solar Dynamics Observatory - SDO della NASA. Foto di Amy Moran
questa immagine satellitare dal Solar Dynamics Observatory – SDO della NASA mostra la luce ultravioletta in marrone chiaro. Foto NASA di Amy Moran, in pubblico dominio

Testo e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

Studiare le onde di Alfvén, un particolare tipo di onde magnetiche nel Sole, per migliorare le previsioni sulla propagazione del vento solare

Capire appieno i processi fisici che governano l’attività del Sole, la nostra stella, è uno dei principali modi per migliorare la capacità di prevedere i fenomeni solari che possono produrre effetti nello spazio interplanetario e sui pianeti, in particolar modo la Terra, nell’ambito della cosiddetta meteorologia dello spazio (o space weather). Un nuovo passo in questa direzione arriva dal lavoro di un gruppo di ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) pubblicato oggi sulla rivista Physical Review Letters. Lo studio suggerisce che, attraverso l’osservazione dei moti e delle riflessioni di un particolare tipo di onde magnetiche che si propagano negli strati più esterni dell’atmosfera del Sole sia possibile risalire alle regioni da cui si è originato il vento solare che possiamo osservare e analizzare quando raggiunge l’ambiente terrestre, migliorando così le informazioni sul suo percorso nello spazio e, quindi, le previsioni dei suoi potenziali effetti sul nostro pianeta.

Immagine coronale del Sole a disco intero, acquisita dallo strumento AIA a bordo della missione spaziale Solar Dynamic Observatory della NASA, raffigurante la regione studiata nel lavoro pubblicato su PRL. Crediti: Adattata da Murabito et al. 2024 (PRL, https://journals.aps.org/prl/abstract/10.1103/PhysRevLett.132.215201)
Immagine coronale del Sole a disco intero, acquisita dallo strumento AIA a bordo della missione spaziale Solar Dynamic Observatory della NASA, raffigurante la regione studiata nel lavoro pubblicato su PRL. Crediti: Adattata da Murabito et al. 2024 (PRL, https://journals.aps.org/prl/abstract/10.1103/PhysRevLett.132.215201)

Il lavoro, guidato dalla ricercatrice INAF Mariarita Murabito, ha utilizzato i dati acquisiti dallo spettrografo ad alta risoluzione EIS a bordo della missione Hinode dell’agenzia spaziale giapponese JAXA e dallo spettropolarimetro italiano ad alta risoluzione IBIS realizzato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica e installato fino al 2019 al telescopio Dst (New Mexico, USA) per studiare le onde di Alfvén. Queste, sono onde magnetiche prodotte nello strato visibile di colore rossastro dell’atmosfera solare, che prende il nome di cromosfera. Le onde di Alfvén possono trasportare quantità significative di energia lungo le linee del campo magnetico fino alla porzione più esterna dell’atmosfera solare, la corona, dove è stata osservata la presenza di un elevato flusso di questo tipo di onde. Infatti, nella corona, il campo magnetico gioca un ruolo fondamentale ed è responsabile di tutta l’attività solare che osserviamo: brillamenti, espulsioni di massa coronale, vento solare ed emissione di particelle energetiche.

Studi precedenti hanno rilevato che la composizione chimica della cromosfera e corona solare differiscono da quella della fotosfera. La teoria proposta nel 2004 da Laming per spiegare questo inatteso comportamento, attribuisce la variazione nella composizione chimica alla forza che agisce sulle particelle cariche quando esse si muovono nel campo elettromagnetico del Sole. Questo nuovo studio dimostra la connessione tra le onde di Alfvén e le anomalie di abbondanza degli elementi chimici presenti nella corona, misurando la direzione di propagazione delle onde stesse. Questa connessione è dovuta proprio all’azione di questa forza sul plasma della cromosfera.

“Le onde magnetiche e il loro legame con le anomalie chimiche erano state già rilevate nel 2021. Con il nostro studio abbiamo messo in evidenza, per la prima volta, la direzione di propagazione, ovvero la riflessione, di queste onde. Usando lo stesso modello teorico proposto e modificato negli ultimi 20 anni l’accordo con i dati è sorprendente” commenta l’autrice dell’articolo, Mariarita Murabito, ricercatrice dell’INAF.

Questa connessione tra le onde di Alfvén e le proprietà del vento solare offre uno sguardo innovativo su come le interazioni magnetiche nel Sole possano influenzare l’ambiente spaziale circostante, portando a una maggiore comprensione dei processi che governano la fisica solare e dell’influenza dell’attività solare sui pianeti e corpi minori del Sistema solare.

“Le proprietà chimiche del plasma solare restano invariate attraversando lo spazio interplanetario e possono essere utilizzate come tracciante delle sorgenti del vento solare e delle perturbazioni che in esso si propagano. Capire l’origine di questo tracciante ci offre uno strumento nuovo per comprendere in prospettiva in che modo il Sole governi le condizioni fisiche dello spazio interplanetario e quindi progredire anche nella comprensione dei fenomeni space weather” spiega Marco Stangalini, ricercatore dell’ASI e coautore dell’articolo. “Questi risultati, inoltre, ci permetteranno di sfruttare al meglio i dati ottenuti dalla missione Solar Orbiter dell’ESA e dalle future missioni Solar-C e MUSE, alle quali l’Italia contribuisce, e che si focalizzeranno sullo studio della dinamica dell’atmosfera solare”.

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “Observation of Alfv́en Wave Reflection in the Solar Chromosphere: Ponderomotive Force and First Ionization Potential Effect” di Mariarita Murabito, Marco Stangalini, J. Martin Laming, Deborah Baker, Andy S. H. To, David M. Long, David H. Brooks, Shahin Jafarzadeh, David B. Jess, Gherardo Valori è stato pubblicato online sulla rivista Physical Review Letters.

 

Testo e immagini dagli Uffici Stampa INAF e ASI.

IL TELESCOPIO SAMM OSSERVA IL SOLE DAL PUNTO PIÙ ALTO DI ROMA

Il telescopio binoculare Solar Activity MOF Monitor è posizionato sulla terrazza della villa di Monte Mario, sede dell’Istituto Nazionale di Astrofisica nella Capitale. Obiettivo: il monitoraggio continuativo dell’attività solare

Si chiama SAMM (acronimo di Solar Activity MOF Monitor) il telescopio binoculare progettato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dalla Avalon Instruments per il monitoraggio continuativo dell’attività solare. Obiettivo: fornire dati che saranno utili alla previsione di eventi di Meteorologia dello Spazio (in inglese Space Weather). Il telescopio osserva il Sole direttamente da una terrazza della Capitale, precisamente da Villa Mellini, situata sulla sommità della Riserva naturale di Monte Mario a Roma. La villa ospita la Sede Centrale dell’INAF, il principale Ente italiano di Ricerca nell’ambito dell’Astronomia e dell’Astrofisica.

SAMM è stato sovvenzionato interamente dalla Avalon Instruments attraverso un bando di finanza agevolata del Ministero dello Sviluppo Economico a favore di progetti di ricerca industriale e di sviluppo sperimentale negli ambiti tecnologici strategici individuati dal programma “Horizon 2020”.  Nel progetto sono coinvolte le sedi di Roma e Napoli dell’INAF.

SAMM è un binocolo, vale a dire uno strumento dotato di due telescopi da 23 cm di diametro, ognuno equipaggiato con un sistema polarimetrico basato su filtri magneto-ottici (MOF) e con un sensore di immagini ad alta velocità. I due telescopi osservano il Sole a lunghezze d’onda diverse: i filtri MOF permettono di osservare il Sole in bande strettissime di soli 0,005 nm di larghezza in modo da poter apprezzare con delle semplici immagini lo spostamento delle righe atomiche di assorbimento di sodio (Na) e potassio (K) normalmente presenti nello spettro della luce solare. Per confronto i filtri ottici a banda più stretta realizzabili sono circa 100 volte più larghi.

“Questa tecnica permette di valutare contemporaneamente sia le velocità che l’intensità del campo magnetico in ogni punto della superficie solare”, spiega Roberto Speziali, ricercatore astronomo presso l’INAF di Roma. “Poiché le righe del sodio e del potassio provengono da quote diverse nell’atmosfera solare, le misure di entrambi i canali permettono per la prima volta in assoluto di osservare la struttura tridimensionale dei campi magnetici che sono responsabili della formazione delle tempeste solari”. E sottolinea: “I dati forniti dal SAMM rappresentano una inedita base scientifica su cui sviluppare algoritmi predittivi utili alla corretta valutazione dei rischi legati all’attività solare”.

“La versione attuale del SAMM è un dimostratore tecnologico, un prototipo, che permette di osservare il Sole dalla mattina presto fino al tramonto. È posizionato sulla terrazza di Villa Mellini, una posizione privilegiata per l’osservazione del Sole, fino alla fine del collaudo”, specifica Speziali.

“La sua realizzazione e il suo utilizzo ci ha permesso di capire i limiti delle soluzioni impiegate per progettare una nuova versione molto più efficiente che è stata recentemente finanziata da INAF attraverso un Tecno-Grant sempre in collaborazione con la Avalon Instruments”,

racconta Andrea Di Paola, ricercatore astronomo dell’INAF di Roma anch’egli coinvolto nel progetto SAMM.

Nello specifico, i ricercatori che lavorano nell’ambito della Meteorologia dello Spazio studiano le perturbazioni dovute all’attività solare, con particolare interesse verso i fenomeni che possono danneggiare le infrastrutture strategiche nello spazio e a terra. “Nei periodi di intensa attività solare, infatti, si posso generare dei brillamenti, eruzioni o emissioni di massa coronale, tutti fenomeni che possono essere genericamente indicati col nome di tempeste solari”, aggiunge Maurizio Oliviero dell’INAF di Napoli che collabora al progetto.

Di Paola prosegue: “L’esistenza di questi fenomeni, e del loro impatto con la Terra, è stato identificato già agli inizi del 1800. Nel 1859, in un mondo tecnologicamente ancora poco sviluppato, la più potente tempesta solare storicamente registrata (evento Carrington) ha prodotto come danno maggiore la distruzione parziale del sistema di linee telegrafiche da poco messo in funzione. I danni subiti alle infrastrutture hanno avuto una dimensione relativamente modesta fino agli anni ’80 del secolo scorso, quando si è verificato un altro evento famoso. Nel 1989 infatti, un evento di space weather ha portato al collasso della rete elettrica nel Quebec, in Canada. L’ultimo evento in ordine di tempo a salire agli onori della cronaca è avvenuto lo scorso febbraio, quando Space-X ha perso in un sol colpo 40 dei 49 satelliti che aveva lanciato per incrementare la costellazione di Starlink”.

INAF, oltre al SAMM, ha una serie di strutture osservative e competenze scientifiche che si occupano di Space Weather. Nel marzo del 2020 l’Istituto Nazionale di Astrofisica  ha siglato un accordo quadro con INGV e Aeronautica Militare per favorire “l’utilizzo comune delle risorse e degli strumenti per sviluppare una capacità autonoma di osservazione e previsione di fenomeni di Space Weather”. Ciò comprende la produzione dei dati, la creazione di algoritmi e modelli per l’interpretazione dei dati e lo studio degli impatti derivanti dalle perturbazioni solari sui sistemi di navigazione e comunicazione, salute degli equipaggi e sulle infrastrutture critiche sia civili sia militari.

telescopio SAMM
Il telescopio SAMM sulla terrazza di Villa Mellini dell’INAF, Roma. Crediti: INAF

Testo e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)

LA DOPPIA ANIMA DEL MAGNETISMO STELLARE

L’abbondanza di elementi pesanti all’interno di una stella ha un ruolo importante nei meccanismi che portano alla formazione e riorganizzazione del campo magnetico su grande scala, un fenomeno chiamato “dinamo stellare”. È il risultato dello studio guidato da due ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, che hanno compilato il più grande catalogo ad oggi dei periodi del ciclo di attività e di rotazione stellari, per un campione di 67 stelle

In che modo la rotazione di una stella può influenzare il periodo del suo ciclo di attività? Questa domanda, uno dei grandi quesiti aperti nell’astrofisica stellare, è collegata a una domanda ancor più fondamentale: il Sole è una stella di tipo solare?

LA DOPPIA ANIMA DEL MAGNETISMO STELLARE
Variazioni dell’attività del Sole osservate nel corso di 25 anni dal satellite ESA/NASA SOHO (Solar and Heliospheric Observatory).
Crediti: SOHO (ESA & NASA)

Hanno fatto finalmente chiarezza Alfio Bonanno ed Enrico Corsaro, ricercatori presso l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) a Catania, in un articolo pubblicato questa settimana su The Astrophysical Journal Letters. Il nuovo studio mostra infatti l’esistenza di una dicotomia nella distribuzione di quanto rapidamente varia il ciclo di attività di una stella in funzione della sua rotazione, con stelle la cui frequenza del ciclo di attività aumenta, e altre per cui questa diminuisce, con la rotazione. Il nostro Sole appartiene alla seconda categoria.

“Come spesso capita nella scienza moderna, fenomeni complessi ammettono una pluralità di interpretazioni. Nel caso delle stelle attive, cioè di stelle che presentano variabilità fotometrica e spettroscopica dovuta alla presenza di campi magnetici, la necessità di spiegare le cause della complessa fenomenologia osservativa in maniera consistente e unitaria è tuttavia essenziale per almeno due ragioni”, spiega Bonanno. “La prima è quella di comprendere meglio fenomeni potenzialmente distruttivi come tempeste solari e ‘super flare’, particolarmente importanti nel contesto dello space weather. La seconda è la comprensione della dinamo stellare, ovvero il complesso meccanismo che presiede formazione e riorganizzazione di un campo magnetico coerente su larga scala in un fluido stellare o planetario turbolento. Infatti senza la presenza combinata di campi magnetici stellari o planetari la vita non sarebbe possibile nel Sistema solare”.

Il lavoro si basa su un nuovo approccio statistico, che non trova precedenti nella letteratura scientifica, sviluppato per l’occasione e qui applicato ai dati della terza release del satellite Gaia, la missione dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) che da oltre otto anni scansiona il cielo per realizzare una mappa tridimensionale sempre più ricca e precisa della nostra galassia, la Via Lattea. Questa combinazione ha permesso la compilazione di un catalogo di 67 stelle – il più grande di questo genere finora realizzato – con la misura dei periodi del ciclo di attività e di rotazione stellari.

“Quanti e quali regimi di dinamo stellare sono presenti in stelle di massa simili al Sole? Cosa genera un tipo di dinamo stellare rispetto a un altro? Abbiamo studiato il legame tra la rotazione e i cicli di attività stellare, poiché questo ci permette di comprendere come i cicli di attività si possono distribuire in funzione della velocità di rotazione della stella”, chiarisce Corsaro. “Abbiamo poi analizzato questo legame alla luce di parametri stellari di metallicità, età, luminosità, massa, resi disponibili dai dati della missione ESA Gaia e da spettroscopia ad alta risoluzione, al fine di identificare quale parametro possa realmente influenzare il tipo di dinamo prodotta in stelle simili al Sole”.

Il motivo della distinzione tra le due categorie di stelle si trova nella loro composizione chimica. Lo studio dimostra finalmente che le stelle del primo tipo hanno abbondanze di elementi più pesanti dell’elio (che gli astronomi chiamano, in gergo, “metalli”) significativamente inferiori rispetto alle stelle del secondo tipo, come il Sole. Ciò indica che le proprietà della turbolenza magnetoidrodinamica nei plasmi stellari sono essenzialmente determinate dalla composizione chimica microscopica, e non dalla geometria o dall’estensione della zona convettiva, come si pensava in precedenza. Questa nuova prospettiva potrebbe permettere di interpretare, per la prima volta, il magnetismo stellare in maniera unitaria e coerente, anche in vista di future missioni che osserveranno grandi campioni di stelle, come il futuro satellite PLATO dell’ESA.

“Abbiamo scoperto che il Sole rientra perfettamente in uno dei regimi identificati sui cicli di attività magnetica – a differenza di quanto proposto da alcuni anni a questa parte, in cui il Sole era visto come una stella in una particolare fase di transizione verso un altro regime”, sottolinea Bonanno. “Abbiamo inoltre appreso che la metallicità stellare può essere l’ingrediente responsabile per generare un tipo di dinamo anziché un altro, poiché la metallicità cambia le proprietà microscopiche della zona convettiva della stella, zona all’interno della quale si ritiene che la dinamo stellare venga generata”, aggiunge Corsaro.

L’attività magnetica stellare è tra i fenomeni astrofisici più difficili da affrontare e la sua origine non è ancora compresa del tutto. Migliorare la nostra conoscenza del magnetismo stellare è di fondamentale importanza per il suo impatto sull’evoluzione stellare, e di conseguenza sull’evoluzione e l’abitabilità di potenziali pianeti in orbita intorno alle stelle.

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “On the Origin of the Dichotomy of Stellar Activity Cycles” di Alfio Bonanno ed Enrico Corsaro, è stato pubblicato su The Astrophysical Journal Letters.

 

Testo e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)

L’ECLISSI PARZIALE DI SOLE DEL 25 OTTOBRE 2022 IN DIRETTA DALL’INAF

L’appuntamento astronomico dell’autunno è previsto per la mattinata del 25 ottobre, con una attesissima eclissi parziale di Sole visibile dai cieli italiani, che sarà trasmessa in diretta, a partire dalle 11.15, dai telescopi dell’INAF di tutta Italia. Un evento ideale per le scuole.

Locandina eclissi parziale di sole 25 ottobre 2022 diretta INAF
Locandina della diretta EduINAF dedicata all’eclissi solare del 25 ottobre. Crediti: INAF/L. Barbalini

Nella tarda mattinata di martedì 25 ottobre, un’eclissi parziale di Sole sarà visibile dai cieli italiani. Per l’occasione, EduINAF, il magazine di didattica e divulgazione dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) organizza una diretta speciale della serie “Il cielo in salotto” con osservazioni dal vivo dell’eclissi al telescopio da diverse sedi INAF in tutta Italia.

La diretta, in orario eccezionalmente diurno e per questo indirizzata in modo particolare alle scuole, sarà trasmessa sui canali Youtube e Facebook di EduINAF a partire dalle 11.15 per seguire l’inizio del fenomeno celeste attraverso i telescopi INAF di Bologna, Cagliari, Palermo, Roma e Trieste. A Roma, in particolare, le osservazioni saranno effettuate con la Torre solare dell’INAF, situata sulla collina di Monte Mario. Il massimo dell’eclissi in Italia, con un oscuramento del disco solare fino a circa il 20%, è previsto intorno alle ore 12.20 (con piccole variazioni a seconda della località). La diretta in collegamento dalle sedi INAF continuerà fino alle 12.45. La trasmissione vedrà come ospiti gli esperti di fisica solare Alessandro Bemporad e Silvano Fineschi dell’INAF di Torino, Ilaria Ermolli dell’INAF di Roma, Mauro Messerotti dell’INAF di Trieste e Fabio Reale dell’INAF di Palermo, a cui sarà possibile fare domande in diretta.

Grazie a una collaborazione con timeanddate, il principale sito web al mondo per la misura del tempo e dei fusi orari, la diretta EduINAF mostrerà anche immagini dell’eclissi dai luoghi nel mondo in cui questo fenomeno sarà più accentuato: dalla Norvegia alla Lituania, dalla Turchia fino agli Emirati Arabi Uniti. La sede INAF di Napoli parteciperà inoltre alla diretta internazionale di timeanddate con il Celostato di Capodimonte, un particolare strumento per osservare il Sole, operato dagli astronomi solari Luciano Terranegra e Maurizio Oliviero. La diretta EduINAF continuerà fino alle ore 15.00 trasmettendo le immagini dell’eclissi dal resto del mondo, anche dopo il termine dell’evento in Italia.

“Osservare un’eclissi è un evento indimenticabile, non potevamo sperare di meglio per iniziare la terza stagione della serie ‘Il cielo in salotto’. Un’eclissi visibile anche nei nostri cieli, la partecipazione entusiasta di tanti telescopi e colleghi da tutta Italia, la collaborazione di partner d’eccezione che ci mostreranno l’evento da quasi tutto il mondo” commenta Livia Giacomini, direttore responsabile di EduINAF. “Per questo primo appuntamento, abbiamo pensato a una diretta che possa essere usata anche in classe, per regalare a insegnanti e studenti un evento da ricordare per la vita e usare come spunto di approfondimento. E poi, durante l’anno, saremo felici di mostrarvi e raccontarvi le meraviglie che non siamo più abituati a vedere nei nostri cieli: Marte, la Luna, costellazioni, comete. Insomma, il cielo in tutta la sua bellezza, nei nostri salotti”.

Immagine dell’eclissi parziale del 21 giugno 2020 ripresa da Napoli. Crediti: E. Cascone (INAF)
Immagine dell’eclissi parziale del 21 giugno 2020 ripresa da Napoli. Crediti: E. Cascone (INAF)

Il fenomeno dell’eclissi solare si verifica quando la Luna si trova allineata tra la Terra e il Sole e proietta dunque la sua ombra sulla Terra oscurando il Sole. L’eclissi può essere parziale, totale o anulare. In un’eclissi parziale, come quella del prossimo 25 ottobre, solo una parte del Sole viene oscurata dalla Luna e inoltre il centro della nostra stella non risulta perfettamente allineato con quello della Luna, come accade invece nel caso di eclissi totale e anulare. Non si deve mai osservare l’eclissi guardando il Sole a occhio nudo. Per evitare danni alla vista è necessario utilizzare opportuni sistemi di protezione e/o strumenti per l’osservazione sicura del Sole.

L’eclissi di Sole è un fenomeno raro. L’ultima eclissi totale visibile dall’Italia si è verificata nel 1961, e per osservarla di nuovo da alcune porzioni dell’Italia bisognerà attendere il 2081. Nei prossimi anni, sono previste eclissi totali in Spagna e Islanda il 12 agosto 2026 e ancora in Spagna e Africa settentrionale il 2 agosto 2027: questi due eventi saranno visibili dall’Italia sotto forma di eclissi parziale.

 


 

Per ulteriori informazioni:

La diretta dell’eclissi sarà visibile sul canale YouTube di EduINAF al seguente URL: https://www.youtube.com/watch?v=1mqC5a8WjUg

Il programma delle dirette 2022/2023 della serie “Il cielo in salotto” è disponibile sul sito di EduINAF: https://edu.inaf.it/diretta/

Maggiori informazioni sull’eclissi e come costruire un semplice telescopio per osservare in sicurezza l’evento astronomico sono disponibili nel video del Cielo di ottobre 2022 realizzato da Fabrizio Villa: https://youtu.be/YngIcHmQhQY?t=220

Testo, video e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)

SOLAR ORBITER RISOLVE IL MISTERO DEGLI “SWITCHBACK”

L’osservatorio spaziale vicino ai segreti del Sole

Hanno partecipato alla ricerca coordinata da Daniele Telloni dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – Osservatorio Astrofisico di Torino ricercatori dell’Università di Padovadell’Istituto Nazionale di Astrofisica, dell’Agenzia Spaziale Italiana, delle Università di Firenze e di Urbino, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell’Università dell’Alabama a Huntsville e di altri prestigiosi atenei stranieri.

ESA NASA Solar Orbiter Sole switchback

Il 25 marzo 2022 Metis, il coronografo italiano a bordo della sonda ESA/NASA Solar Orbiter, ha osservato per la prima volta nella corona, cioè nello strato più esterno dell’atmosfera del Sole, una struttura magnetica a forma di S, il cosiddetto switchback, che si propaga nello spazio interplanetario. Comprendere l’origine degli switchback è di particolare rilevanza in quanto il meccanismo che li forma potrebbe spiegare anche l’origine dell’accelerazione del vento solare, cioè del flusso di particelle cariche emesse costantemente dal Sole che viaggia verso l’esterno nel Sistema Solare e che, investendo la magnetosfera e l’atmosfera terrestre, dà origine alle bellissime aurore boreali e australi.

«Finora gli switchbacks erano stati misurati solo in situ, cioè da sonde poste a bordo di satelliti che ne sono state attraversate, ma non erano mai stati realmente “visti”, cioè non ne erano mati state scattate delle foto – spiega il Prof. Giampiero Naletto del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova e che ha avuto il ruolo di experiment manager nella fase di realizzazione di Metis –. Metis è uno strumento a guida italiana molto complesso, la cui realizzazione ha dovuto superare varie difficoltà e che ha richiesto molti anni di lavoro di un team internazionale. Ma questi risultati unici che ci permettono di avanzare significativamente nella conoscenza del mondo che ci circonda e che avranno sicuramente in futuro ricadute nel progresso scientifico, tecnologico e sociale, compensano largamente lo sforzo profuso e stimolano tutti noi e in particolare i giovani ricercatori a perseguire nello sviluppo della ricerca».

Giampiero Naletto
Giampiero Naletto

«È grazie alla qualità dello strumento Metis, alla circostanza che stiamo osservando il Sole da molto vicino e anche ad un po’ di fortuna, che si è potuto ottenere per la prima volta una immagine di questo particolare fenomeno solare – confermano i dottorandi Chiara Casini e Paolo Chioetto del CISAS, il Centro di Ateneo di Studi e Attività Spaziali “G. Colombo” dell’Ateneo».

L’indagine, coordinata da Daniele Telloni dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – Osservatorio Astrofisico di Torino che ha riconosciuto l’evento associandolo a uno studio sugli switchbacks proposto nel 2020 dal Prof. Gary Zank dell’Università dell’Alabama a Huntsville, sarà pubblicata oggi sulla rivista «The Astrophysical Journal Letters» e presentata nel corso dell’8th Solar Orbiter Workshop a Belfast in Irlanda. Hanno firmato l’articolo dal titolo “Observation of a magnetic switchback in the solar corona” ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica, dell’Agenzia Spaziale Italiana, delle Università di Firenze, di Padova e di Urbino, del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell’Università dell’Alabama a Huntsville e di altri prestigiosi Atenei stranieri.

Le misure in situ degli switchbacks realizzate negli anni precedenti avevano consentito a un team internazionale di scienziati di interpretarne l’origine sulla base dell’interchange reconnection e di un modello matematico che ne descrive dettagliatamente genesi e sviluppo. Tuttavia questa interpretazione non era mai stata confermata da un’osservazione diretta di uno switchback.

«La prima immagine scattata da Metis che Daniele Telloni mi ha mostrato – racconta Gary Zank – ha suggerito da subito una corrispondenza con il modello matematico che abbiamo sviluppato tempo fa. Ma entrambi abbiamo dovuto frenare il nostro entusiasmo fino a quando la comparazione di analisi più dettagliate prodotte dal coronografo ha confermato l’ipotesi attraverso risultati assolutamente spettacolari!».

 «La prima immagine di uno switchback nella corona solare ha svelato senz’altro il mistero della sua origine – commenta Daniele Telloni –. Continuando a studiare il fenomeno potremmo riuscire a far luce sui processi che accelerano il vento solare e lo riscaldano a grandi distanze dal Sole».

Lo studio del Sole e del vento solare prosegue, quindi, grazie a Solar Orbiter: la prima sonda a portare sia strumenti di telerilevamento, sia in situ a un terzo della distanza Terra-Sole.

«Questo è esattamente il tipo di risultato che speravamo di ottenere con Solar Orbiter – conclude Daniel Müller, ESA Project Scientist per Solar Orbiter –. Grazie ai dieci strumenti che si trovano a bordo della sonda spaziale, raccogliamo una quantità di dati sempre maggiore e, sulla base di risultati come quello appena raggiunto, perfezioniamo le osservazioni pianificate per la sonda. Quello appena effettuato è infatti solo il primo passaggio ravvicinato di Solar Orbiter al Sole, durante i prossimi proveremo a capire in che modo la nostra stella si collega al più ampio ambiente magnetico del Sistema Solare, insomma prevediamo di ottenere molti altri risultati entusiasmanti».

Testo, video e foto dall’Università degli Studi di Padova

PROGETTO SUNDISH: ALLA SCOPERTA DEL SOLE NELLE ONDE RADIO

È stato pubblicato sulla rivista Solar Physics lo studio, guidato da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), che presenta il nuovo sistema di osservazione del Sole nelle onde radio con i radiotelescopi INAF di Bologna e di Cagliari, realizzato in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Questi dati, attualmente unici nel panorama astrofisico internazionale, integrano le osservazioni solari condotte in altre frequenze e saranno preziose per monitorare e comprendere meglio l’attività della nostra stella in vista del suo massimo, previsto per il 2024.

Progetto Sundish
Progetto Sundish: alla scoperta del Sole nelle onde radio

L’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo a poter vantare una rete di radiotelescopi in grado di lavorare in modo coordinato. Distribuita tra Emilia Romagna, Sicilia e Sardegna – e gestita dalle Strutture dell’INAF di Bologna e Cagliari – questa sofisticata rete di antenne ha avviato da qualche anno il progetto Sundish, coordinato dall’astrofisico dell’INAF Alberto Pellizzoni, con una serie di osservazioni congiunte nelle onde radio di una sorgente celeste tanto vicina quanto finora poco  monitorata in questa finestra dello spettro elettromagnetico: il nostro Sole.

Questo nuovo sistema di monitoraggio radio-solare, che vede per ora protagoniste le antenne di Medicina e il Sardinia Radio Telescope (SRT), è l’oggetto dell’articolo appena pubblicato sulla rivista Solar Physics, in cui si svelano i dettagli dei ricevitori e dei software appositamente creati per l’analisi dei dati solari, oltre che un catalogo di 170 immagini prodotte dalle antenne italiane.

Lo studio – che ha coinvolto anche le università di Cagliari, Trieste ed Exeter, in Inghilterra, oltre che l’istituto olandese di radioastronomia ASTRON – ha rafforzato la già intensa collaborazione scientifica tra INAF e ASI, grazie allo sforzo congiunto per lo sviluppo presente e futuro del sistema di osservazione radio-solare. Il sistema, che tra non molto potrebbe arrivare ad osservare fino alla frequenza di ben 100 GHz, consente di mappare e studiare, tramite strumenti dedicati, sia l’emissione del Sole quieto che delle sue regioni attive, sempre più numerose man mano che ci si avvicina al massimo del ciclo solare, previsto per il 2024.

“Ad oggi – spiega Pellizzoni – siamo i primi e per ora gli unici a osservare il Sole alle frequenze radio nell’intervallo tra 18 e 26 GHz, e quindi siamo in grado di poter ottenere informazioni fisiche in una regione dello spettro elettromagnetico cruciale, ma al momento poco utilizzata per gli studi solari per via delle difficoltà osservative in questa particolare banda radio. Per la prima volta è stato possibile misurare la temperatura del Sole in questa banda. Inoltre studiare il Sole a queste frequenze ci fornisce informazioni preziose, non solo per capire meglio come funziona la nostra stella, ma anche per contribuire a sviluppare metodi per prevedere i suoi comportamenti più violenti.”

Le regioni attive sono aree molto luminose del Sole, caratterizzate da intensi campi magnetici locali, che forniscono energia per i brillamenti solari e le espulsioni di massa coronale, eventi che in situazioni estreme possono avere effetti negativi sulle moderne tecnologie, specie in ambito spaziale, come i sistemi satellitari di telecomunicazioni, ormai indispensabili alla nostra vita quotidiana.

“In realtà – continua Pellizzoni – siamo partiti da una curiosità tecnica: si può osservare il Sole con i radiotelescopi INAF? Questa curiosità ha innescato gli studi di fattibilità da parte di tanti tecnologi e ricercatori INAF e ASI. Da qui è nato il progetto SunDish che ho ideato e guidato personalmente, e che ora mi occupa a tempo pieno, insieme a molti altri entusiasti giovani e meno giovani! Abbiamo scoperto non solo che queste osservazioni erano fattibili, ma anche che la comunità scientifica internazionale si dimostrava molto interessata ai risultati che avrebbero prodotto nell’ambito dello Space Weather, ovvero la meteorologia dello spazio”.

La tempesta solare più potente finora registrata è stata il cosiddetto “Evento di Carrington”, il 1° settembre 1859. L’evento produsse i suoi effetti su tutta la Terra dal 28 agosto al 2 settembre, con l’interruzione delle linee telegrafiche per 14 ore, e con la produzione di un’aurora boreale visibile anche a latitudini inusuali, addirittura fino a Roma. Conoscere in anticipo questi fenomeni, aiuterebbe sicuramente a attivare per tempo contromisure in grado di limitare i possibili malfunzionamenti o guasti alle infrastrutture tecnologiche più esposte.

“Una cosa curiosa – aggiunge Simona Righini, ricercatrice INAF e co-Principal Investigator del progetto Sundish – è sicuramente il fatto che le parabole di Medicina ed SRT in principio non sono state concepite per osservare il Sole. Anzi agli astronomi era proibito puntare le antenne verso il Sole per timore che l’intenso calore e la forte radiazione potessero danneggiare gli strumenti. È stato necessario un grande impegno da parte di tanti tecnologi e ricercatori INAF, con la preziosa collaborazione di ASI, per rendere tutto questo possibile”.

“Le osservazioni radio del Sole effettuate nell’ambito del progetto SunDish sono di fondamentale importanza per lo Space Weather, in quanto forniscono diagnostiche chiave sulla fisica delle regioni attive e sulla previsione dei brillamenti solari” conclude Mauro Messerotti, fisico solare e senior advisor dell’INAF per lo Space Weather. “In questo contesto, due nuovi strumenti dedicati al monitoraggio del Sole nelle onde radio saranno operativi a breve all’INAF di Trieste ed alla sezione INAF presso l’Università della Calabria”.

L’articolo “Solar Observations with Single-Dish INAF Radio Telescopes: Continuum Imaging in the 18 – 26 GHz Range”, di A. Pellizzoni, S. Righini, M. N. Iacolina, M. Marongiu, S. Mulas, G. Murtas, G. Valente, E. Egron, M. Bachetti, F. Buffa, R. Concu, G. L. Deiana, S. L. Guglielmino, A. Ladu, S. Loru, A. Maccaferri, P. Marongiu, A. Melis, A. Navarrini, A. Orfei, P. Ortu, M. Pili, T. Pisanu, G. Pupillo, A. Saba, L. Schirru, G. Serra, C. Tiburzi, A. Zanichelli, P. Zucca & M. Messerotti, è stato pubblicato su Solar Physics.

 

Testo e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

LISA e la scoperta di nuovi campi fondamentali 

Su Nature Astronomy lo studio pubblicato da Andrea Maselli, ricercatore del GSSI, associato INFN, e dai colleghi della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, dell’Università di Nottingham e della Sapienza di Roma, che suggerisce un nuovo approccio per rilevare con grande accuratezza nuovi campi fondamentali e verificare la teoria della relatività generale grazie a LISA, il rivelatore di onde gravitazionali spaziale, che partirà come missione ESA – NASA nel 2037.

LISA campi fondamentali
Foto 1: Rappresentazione artistica della deformazione spazio-tempo di un EMRI. Un piccolo buco nero che ruota intorno ad un buco nero supermassiccio. (Credits: NASA)

La Relatività Generale di Einstein è la teoria corretta per i fenomeni gravitazionali? È possibile sfruttare tali fenomeni per scoprire nuovi campi fondamentali?

Il lavoro uscito oggi su Nature Astronomy, condotto da Andrea Maselli, ricercatore del GSSI, associato INFN, assieme a ricercatori della Scuola Internazionale Superiore di Studi Avanzati, dell’Università di Nottingham, e della Sapienza Università di Roma, mostra che le osservazioni di onde gravitazionali da parte dell’interferometro spaziale LISA (Laser Interferometer Space Antenna) saranno in grado di rivelare la presenza di nuovi campi fondamentali con grande accuratezza.

Il campo gravitazionale è, secondo la Relatività Generale, espressione della curvatura dello spazio-tempo creata dalla presenza di massa o energia che altera lo spazio circostante.

Nuovi campi fondamentali associati alla gravità, in particolare quelli scalari, sono alla base di modelli teorici sviluppati per spiegare una grande varietà di scenari fisici. Potrebbero ad esempio fornire indizi sull’espansione accelerata dell’Universo o sulla materia oscura, oppure essere manifestazioni a bassa energia di una descrizione consistente e completa della gravità e delle particelle elementari.

Le osservazioni di oggetti astrofisici caratterizzati da campi gravitazionali deboli e piccole curvature spazio-temporali non hanno mostrato finora alcuna indicazione dell’esistenza di questi campi. Tuttavia, diversi modelli suggeriscono che deviazioni dalla Relatività Generale, o interazioni tra la gravità e nuovi campi, siano più rilevanti quando la curvatura dello spazio-tempo è molto grande. Per questa ragione, l’osservazione di onde gravitazionali – che ha aperto una nuova finestra sul regime di campo gravitazionale forte – rappresenta un’opportunità unica per scoprire nuovi campi fondamentali.

LISA campi fondamentali
Foto 2: EMRI: Sezione di un’orbita percorsa da un oggetto stellare attorno a un buco nero massivo (Credits: N. Franchini)

LISA, il rivelatore di onde gravitazionali spaziale sviluppato per osservare onde gravitazionali da sorgenti astrofisiche, permetterà di studiare nuove famiglie di sorgenti astrofisiche, diverse da quelle osservate da Virgo e LIGO, come gli Extreme Mass Ratio Inspirals (EMRI).

“Gli EMRI, sistemi binari in cui un oggetto compatto con massa stellare – un buco nero o una stella di neutroni – orbita attorno ad un buco nero milioni di volte più massivo del nostro Sole, sono infatti tra le sorgenti che ci si aspetta di osservare con LISA, e rappresentano un’arena preziosissima per studiare il regime di campo forte della gravità. – spiega Andrea Maselli, primo autore del paper – Il corpo più piccolo di un EMRI compie decine di migliaia di cicli orbitali prima di cadere nel buco nero supermassivo, emettendo così segnali di lunga durata che permettono di misurare anche le più piccole deviazioni dalle predizioni della teoria di Einstein e del modello standard delle particelle”.

Gli autori dello studio hanno sviluppato uno nuovo approccio per modellizzare il segnale emesso dagli EMRI, studiando per la prima volta in modo rigoroso se e come LISA possa scoprire l’esistenza di campi scalari accoppiati all’interazione gravitazionale, e misurare la carica scalare, una grandezza che quantifica il campo associato al corpo più piccolo del sistema binario.

Il nuovo approccio sviluppato è “agnostico” rispetto alla teoria che predice l’esistenza del campo scalare, poichè non dipende dall’origine della carica o dalla natura dell’oggetto compatto.  L’analisi mostra anche come future misure della carica scalare potranno essere tradotte in vincoli molto stringenti sulle deviazioni della Relatività Generale o del Modello Standard.

LISA, che partirà come missione ESA-NASA nel 2037, opererà in orbita attorno al Sole, in una costellazione di tre satelliti distanti milioni di chilometri l’uno dall’altro, osservando onde gravitazionali emesse a bassa frequenza, in una banda non accessibile agli interferometri terrestri a causa del rumore ambientale. Lo spettro visibile di LISA aprirà una nuova finestra sull’evoluzione degli oggetti compatti in una grande varietà di sistemi astrofisici del nostro Universo.

Riferimenti:

Detecting fundamental fields with LISA observations of gravitational waves from extreme mass-ratio inspirals – Andrea Maselli, Nicola Franchini, Leonardo Gualtieri, Thomas P. Sotiriou, Susanna Barsanti, Paolo Pani – Nature Astronomy DOI: https://doi.org/10.1038/s41550-021-01589-5

 

Testo e immagini dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Il primo sorvolo di Mercurio della missione BepiColombo

Il 2 ottobre all’1.35 ora italiana la sonda spaziale passerà a 200 km dalla superficie del pianeta. A bordo un esperimento, il Mercury Orbiter Radioscience Experiment (MORE), sviluppato dal team guidato da Luciano Iess della Sapienza, che permetterà di determinare la gravità e l’orbita del corpo celeste più vicino al sole.

La sonda spaziale BepiColombo, lanciata il 20 ottobre 2018 dal Centro spaziale di Kourou nella Guyana francese, è in viaggio verso Mercurio, la sua destinazione finale. Il primo dei sei sorvoli del pianeta più vicino al Sole avverrà il 2 ottobre 2021 all’1.35 ora italiana (23.15 del primo ottobre, ora di Greenwich), quando la sonda passerà a 200 km dalla superficie.

BepiColombo ha già effettuato con successo un sorvolo della Terra, il 10 aprile 2020, e due sorvoli di Venere, il 20 ottobre 2020 e il 10 agosto 2021. Questi incontri ravvicinati hanno lo scopo primario di modificare la traiettoria della sonda, facendole acquistare velocità sufficiente per la cattura finale da parte della gravità di Mercurio, prevista per la fine del 2025. Ma allo stesso tempo sono anche un primo assaggio di quanto verrà poi osservato con assai maggiore dettaglio nella missione primaria, quando BepiColombo orbiterà attorno al pianeta per due anni.

Mercurio BepiColombo

BepiColombo nasce dalla collaborazione tra l’ESA (Agenzia Spaziale Europea) e la JAXA (Agenzia Spaziale Giapponese). Prende il nome dallo scienziato italiano Giuseppe (da cui Bepi) Colombo, che diede un contributo fondamentale allo studio di Mercurio. La sonda è composta da tre moduli principali: il modulo MPO (Mercury Planetary Orbiter) e il modulo MTM (Mercury Transfer Module) sviluppati dall’ESA, il terzo modulo MMO (Mercury Magnetospheric Orbiter) sviluppato dalla JAXA. Con la sofisticata strumentazione scientifica di bordo, BepiColombo vuole rispondere ad alcune domande fondamentali per comprendere la formazione e l’evoluzione del pianeta: qual è la sua struttura interna, dal nucleo alla superficie? Quali sono gli elementi e i minerali di cui è composto? Qual è l’origine del campo magnetico e come interagisce con il vento solare, un flusso di particelle alla velocità di 400 km/s?

Mercurio BepiColombo

Quattro dei sedici esperimenti scientifici di BepiColombo sono italiani. Tra questi, l’esperimento di radioscienza, MORE (Mercury Orbiter Radioscience Experiment), è guidato dal professor Luciano Iess del Dipartimento di Ingegneria meccanica e aerospaziale della Sapienza, coadiuvato da un gruppo internazionale di scienziati e ingegneri. In Italia, collaborano le Università di Pisa e Bologna, l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l’Università d’Annunzio. Gli obiettivi scientifici di MORE sono la determinazione della struttura interna di Mercurio attraverso misure di precisione della gravità del pianeta, la ricerca di violazioni della teoria della relatività generale di Einstein e la dimostrazione in volo di un nuovo e avanzato sistema di navigazione spaziale.

Il primo sorvolo di Mercurio della missione BepiColombo. Immagine ESA

Mercurio è il pianeta più vicino al Sole, dove la curvatura dello spazio-tempo, prevista da Einstein nel 1915, è più accentuata. Tale curvatura produce “anomalie” nell’orbita del pianeta (tra cui la famosa precessione del perielio) e nella propagazione della luce e dei segnali radio (compresa la deflessione osservata durante l’eclisse solare del 1919). Circa un secolo dopo, MORE consentirà di verificare a un livello di precisione mai raggiunto finora se la relatività einsteniana rimane una teoria valida della gravità. I primi esperimenti di fisica fondamentale sono già cominciati nel marzo 2021 e proseguiranno fino alla fine della missione, nel 2027.

Mercurio BepiColombo

MORE si prefigge di raggiungere tali obiettivi scientifici tramite l’utilizzo di segnali radio scambiati tra grandi antenne di terra (34 m di diametro) ubicate in Argentina e California, e uno strumento di bordo, il KaT (Ka-band Transponder), realizzato da Thales Alenia Space Italia con la collaborazione del team di Sapienza e finanziato dall’Agenzia spaziale italiana. L’avanzato sistema radio renderà possibile misurare la distanza della sonda con precisione di pochi centimetri e la sua velocità a livello di alcuni millesimi di millimetro al secondo. I dati di un altro strumento italiano (Italian Spring Accelerometer – ISA) saranno utilizzati per misurare tutte quelle accelerazioni della sonda non riconducibili alla gravità, permettendo di ottenere una determinazione più precisa del moto della sonda.

Il ruolo fondamentale che svolge l’esperimento MORE all’interno della missione BepiColombo conferma Sapienza come un polo centrale della ricerca per le tematiche di struttura ed evoluzione planetaria, fisica fondamentale e sistemi di navigazione interplanetaria.

 

Testo, foto e video dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma