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Sardinia Radio Telescope

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MISTRAL: il contributo Sapienza al Sardinia Radio Telescope

Nell’ambito del Programma Operativo Nazionale (PON) denominato “Potenziamento del Sardinia Radio Telescope per lo studio dell’Universo alle alte frequenze radio” un team di ricercatori del Dipartimento di Fisica della Sapienza ha realizzato un importante strumento che consiste in un ricevitore con 415 rilevatori che operano simultaneamente. Il sistema contribuirà all’osservazione dettagliata di fenomeni celesti prima non esplorabili.

Potenziamento tecnologico del Sardinia Radio Telescope – SRT

È stata completata l’installazione dello strumento MISTRAL, realizzato da un team di ricercatori del Dipartimento di Fisica di Sapienza, per il Sardinia Radio Telescope, l’imponente radiotelescopio di 64 metri di diametro dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf), situato a San Basilio, in Sardegna.

strumento MISTRAL Sardinia Radio Telescope SRT
L’installazione conclude una attività di quattro anni di lavoro intensissimo del team G31 del Dipartimento di Fisica, guidato da Paolo de Bernardis, responsabile scientifico di MISTRAL in Sapienza.

strumento MISTRAL Sardinia Radio Telescope SRT

“Il cuore di MISTRAL è una matrice di 415 rivelatori a induttanza cinetica, realizzata da una collaborazione tra Sapienza e CNR-IFN di Roma”, commentano Alessandro Paiella, Federico Cacciotti e Giorgio Pettinari, che si sono occupati della progettazione, realizzazione e caratterizzazione dei rivelatori.

“I rivelatori sono illuminati da un sistema ottico costituito da due lenti in silicio e una serie di filtri risonanti – aggiunge Marco De Petris, responsabile dell’ottica di MISTRAL. Questo trasferisce sul mosaico l’immagine del cielo prodotta dal telescopio, ingrandendo e correggendo il suo campo di vista ed eliminando tutte le lunghezze d’onda al di fuori della banda di interesse”.

“I rivelatori sono raffreddati fino a soli 0.2 gradi sopra lo zero assoluto, ovvero a -273 gradi Celsius, da un complesso sistema criogenico, che permette di mantenerli in operazione per tutta la durata  delle osservazioni, eliminando i forti disturbi dovuti all’agitazione termica”, sottolinea Alessandro Coppolecchia, responsabile della criogenia di MISTRAL.

“Oltre alla soddisfazione per aver completato lo sviluppo dell’hardware, c’è grande aspettativa per i risultati scientifici che deriverannodall’uso di MISTRAL. Infatti, grazie alla bassissima temperatura operativa e alla presenza di centinaia di rivelatori che operano simultaneamente, lo strumento risulta essere estremamente efficiente per l’osservazione dettagliata di sorgenti come gli ammassi di galassie”, aggiungono Giuseppe D’Alessandro e Alessandro Novelli che si sono occupati dell’assemblaggio e dell’housekeeping di MISTRAL.

“Quando i fotoni del fondo cosmico a microonde attraversano gli ammassi di galassie, hanno una certa probabilità di interagire con gli elettroni del gas caldo che permea l’intero volume dell’ammasso, e aumentano leggermente la loro energia, accorciando così la loro lunghezza d’onda. Ne segue un deficit di fotoni del fondo cosmico di microonde a lunghezze d’onda superiori a 1.4 mm, e un eccesso di fotoni a lunghezze d’onda inferiori”, sottolinea Giovanni Isopi, che si occupa dell’elettronica di
lettura e dei dati di MISTRAL.

“MISTRAL, alla lunghezza d’onda di 3 mm, misurerà il deficit di fotoni del fondo cosmico a microonde con grande efficienza e dettaglio, osservando in controluce un grande numero di ammassi di galassie e di filamenti di gas tra ammassi – sottolinea Elia Battistelli, Project Manager di MISTRAL. Questo permette di quantificare la struttura e la dinamica del cosmic web, l’intricato intreccio di filamenti di materia che contiene la maggior parte della materia normale e della materia oscura dell’universo”.

“Questa materia è invisibile nelle osservazioni ottiche. Infatti queste possono rivelare solo i fotoni emessi dalle stelle nelle galassie, che costituiscono solo la punta dell’iceberg della struttura a grande scala dell’universo”, aggiungono Francesco Piacentini e Fabio Columbro, che si occupano della lettura e della calibrazione di MISTRAL.

“Per questo – conclude Silvia Masi, instrument scientist di MISTRAL – strumenti come MISTRAL e come OLIMPO, costruito dal team del  Dipartimento di Fisica per osservare l’eccesso di fotoni a lunghezze d’onda brevi lavorando da un pallone stratosferico, e pochi altri al mondo, risultano essenziali per capire come si sono formate le strutture nel nostro universo”.

MISTRAL è stato sviluppato nell’ambito del progetto PON (Programma Operativo Nazionale) Ricerca e Innovazione 2014 – 2020 finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e ha raggiunto l’obiettivo di potenziare tecnologicamente il Sardinia Radio Telescope (SRT).

Il progetto di potenziamento di SRT è partito il 25 giugno del 2019 e si è concluso il 25 giugno 2023 e ha visto la partecipazione di ricercatori della Sapienza Università di Roma, del CNR-EIIT, dello UK Research and Innovation (UKRI) nel Regno Unito, dell’Università di Manchester sempre nel Regno Unito e del Korea Astronomy and Space Science Institute (KASI) in Corea del Sud.

 

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

POTENZIAMENTO TECNOLOGICO DEL SARDINIA RADIO TELESCOPE – SRT: RITORNO AL FUTURO

L’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha completato con successo l’acquisizione di tutta la strumentazione di avanguardia prevista nel progetto PON Ricerca e Innovazione 2014 – 2020. Il progetto, finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca per un totale di 18,7 milioni di Euro, ha raggiunto l’obiettivo di potenziare tecnologicamente il Sardinia Radio Telescope (SRT). Si apre ora una fase di verifica della nuova dotazione strumentale che porterà il radiotelescopio nella condizione di piena attività e produttività scientifica. La comunità astronomica internazionale potrà affrontare nuovi ambiti di ricerca, prima non esplorabili, grazie alla possibilità di osservare l’Universo nelle onde radio fino alla frequenza di 100 GHz. 

Il Sardinia Radio Telescope (SRT), situato a San Basilio in provincia di Cagliari, è una Infrastruttura di ricerca dell’Istituto Nazionale di Astrofisica. È un radiotelescopio di 64 metri di diametro, certamente uno dei più innovativi e performanti d’Europa, nato per studiare le onde radio provenienti dal cosmo. Oltre ad essere uno strumento ideale per le applicazioni astronomiche come “antenna singola”, SRT può osservare anche in modalità interferometrica a lunghissima base, la cosiddetta tecnica VLBI, cioè in rete con le antenne europee e le altre antenne italiane dell’INAF situate a Medicina, in provincia di Bologna, e a Noto, in provincia di Siracusa.

Sebbene SRT sia stato progettato per osservazioni fino ad una frequenza nominale di 100 GHz, nella sua configurazione iniziale, lo strumento era stato equipaggiato con ricevitori che hanno una copertura di frequenza da 0,3 a 26 GHz.

Nell’ambito del Programma Operativo Nazionale (PON) denominato “Potenziamento del Sardinia Radio Telescope per lo studio dell’Universo alle alte frequenze radio”, INAF si è aggiudicato un finanziamento di 18,7 milioni di Euro dal Ministero dell’Università e della Ricerca. Il progetto di potenziamento di SRT è partito il 25 giugno del 2019 e si è concluso il 25 giugno 2023 e ha visto la partecipazione di ricercatori di Sapienza Università di Roma, del CNR-EIIT, dello UK Research and Innovation (UKRI) nel Regno Unito, dell’Università di Manchester sempre nel Regno Unito e del Korea Astronomy and Space Science Institute (KASI) in Corea del Sud.

MISTRAL: il contributo Sapienza al Sardinia Radio Telescope

Per raggiungere gli obiettivi di potenziamento previsti nel progetto, SRT è stato equipaggiato con quattro nuovi ricevitori che permetteranno agli astronomi di osservare l’Universo fino a 100 GHz, avendo così una nuova finestra per studiare fenomeni celesti prima non esplorabili. Per migliorare le capacità di puntamento e la sensibilità del radiotelescopio, SRT è stato dotato anche di un nuovo sistema metrologico. E’ stato acquisito un avanzato sistema di backend e di computer per il trattamento dei dati, sono state potenziate le interfacce meccaniche ed elettroniche dell’infrastruttura che permetteranno al sistema un migliore funzionamento nel suo complesso. Infine, il potenziamento dei laboratori nella sede di Selargius della sede INAF di Cagliari, permetterà di mantenere allo stato dell’arte tutta questa nuova strumentazione capitalizzando il potenziamento per i prossimi 10 anni, almeno. Questi risultati sono stati presentati oggi al Teatro Doglio di Cagliari durante l’evento “Dall’Università all’impresa: la ricerca è innovazione” organizzato dal Ministero dell’Università e della Ricerca.

Potenziamento tecnologico del Sardinia Radio Telescope – SRT. Gallery

Il presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica Marco Tavani commenta: “Con la strumentazione d’avanguardia e gli aggiornamenti infrastrutturali che vanta ora il Sardinia Radio Telescope potremo davvero spingerci molto più avanti nello studio dell’Universo nelle onde radio. Sono davvero orgoglioso di veder completato tutto questo complesso e articolato lavoro nel perfetto rispetto delle tempistiche e dei finanziamenti forniti dal Ministero dell’Università e della Ricerca, anche considerando i gravi problemi legati alla passata pandemia da COVID-19. Un lavoro corale che ha visto tutte le ‘anime’ dell’INAF – scientifiche, tecnico-ingegneristiche e amministrative – collaborare al meglio per raggiungere questo importante traguardo”.

Il progetto è strutturato in nove Obiettivi Realizzativi, ognuno con un responsabile, e le varie attività sono state seguite da un team di circa 60 unità di personale dell’Istituto Nazionale di Astrofisica composto da tecnologi, tecnici, amministrativi e ricercatori distribuiti nelle sedi di Cagliari, Bologna, Firenze e Catania.

L’infrastruttura così potenziata permetterà alla comunità scientifica di espandere l’utilizzo di SRT ad alte frequenze radio sia in modalità a disco singolo che in modalità interferometrica nella rete VLBI. Nel progetto finanziato è inoltre compreso un potenziamento delle antenne INAF di Medicina e Noto che operano, congiuntamente a SRT, nella rete VLBI.

Si apre ora una nuova fase di verifica della nuova dotazione strumentale che porterà il radiotelescopio nella condizione di piena attività e produttività scientifica consentendo al radiotelescopio di operare con grande versatilità ed efficienza, permettendo agli astronomi di esplorare aree scientifiche di frontiera grazie ad una copertura in frequenza da 0.3 a 100 GHz .

Federica Govoni, ricercatrice INAF a Cagliari e responsabile del progetto PON SRT ricorda: “Questo risultato non si sarebbe potuto raggiungere senza la costante presenza del Responsabile Amministrativo del progetto Maria Renata Schirru, del Direttore dell’ INAF di Cagliari Emilio Molinari, del Responsabile Unico del Procedimenti delle gare d’appalto Ignazio Porceddu, del Project Office composto da Davide Fierro, Letizia Caito e Andrea Orlati, del personale che ha curato la rendicontazione e l’archiviazione della documentazione tecnica, ovvero Adina Mascia e Teresa Pulvirenti e dell’intero Team del progetto. Tutti hanno partecipato al raggiungimento degli obiettivi con grande spirito di abnegazione”.

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Approfondimenti sui 9 Obiettivi Realizzativi 

O.R.1 – Ricevitore criogenico multi-beam in Banda W per SRT (75 – 116 GHz) 

Alessandro Navarrini, INAF Cagliari: “CARUSO (Cryogenic Array Receiver for Users of the Sardinia Observatory) è un ricevitore criogenico multi-beam 4×4 operante in banda W (70-116 GHz) installato al fuoco Gregoriano del Sardinia Radio Telescope (SRT). La realizzazione dello strumento è stata appaltata da INAF ad UKRI (UK Research and Innovation) nell’ambito del contratto PON OR1. CARUSO è tra i principali e più performanti strumenti disponibili in ambito radioastronomico a livello internazionale  operanti in banda W. Grazie alla sua installazione, completata nelle scorse settimane, SRT riuscirà ad effettuare osservazioni astronomiche ad alta sensibilità sia di tipo spettro-polarimetrico che di emissione nel continuo, sfruttando al massimo il campo di vista, rendendo il radiotelescopio una facility pressoché unica nel panorama internazionale.”

Alessandro Navarrini, INAF Cagliari

O.R.2 – Ricevitore criogenico multi-beam in Banda Q per SRT (33 – 50 GHz)

Alessandro Orfei, INAF Bologna: “L’O.R.2 del progetto PON ha realizzato un ricevitore criogenico a microonde nella banda da 33 a 50 GHz, nella configurazione multifeed: 19 ricevitori identici guarderanno in contemporanea 19 punti del cielo. Sarà possibile ottenere mappe in spettroscopia, in polarimetria o in semplice ampiezza del segnale ricevuto. Sarà possibile osservare il Sole con questa modalità. Lo strumento deriva dal lavoro delle strutture INAF di Bologna, Firenze e Cagliari e si è avvalso della professionalità di IEIIT-CNR e dell’Università di Manchester per lo studio e realizzazione di due dispositivi in guida d’onda.” 

Alessandro Orfei, INAF Bologna

O.R.3Camera millimetrica per SRT (80 – 116 GHz)

Matteo Murgia, INAF Cagliari: “Lo scopo dell’ O.R.3 era dotare SRT di una camera millimetrica di nuova generazione per osservazioni ad alta sensibilità e risoluzione angolare in banda W (80 – 110 GHz). La realizzazione è stata affidata a Sapienza Università di Roma, che in collaborazione con INAF ha progettato, realizzato e infine installato su SRT il ricevitore denominato MISTRAL: MIllimetric Sardinia radio Telescope Receiver based on Array of Lumped elements kids. Con un campo di vista di 4 minuti d’arco e una risoluzione angolare di 12 secondi d’arco, MISTRAL consentirà di esplorare casi scientifici chiave dalle scale galattiche fino all’Universo ad alto redshift. In particolare, l’avvento della camera MISTRAL aprirà una nuova strada per rivelare i dettagli della formazione e dell’evoluzione delle strutture su larga scala nell’Universo. Ad esempio, attraverso l’osservazione dell’effetto Sunyaev-Zel’dovich (SZ), sarà possibile effettuare indagini sugli ammassi di galassie e i filamenti che li collegano, ottenendo informazioni sulla loro fisica, dinamica e morfologia.” 

Matteo Murgia, INAF Cagliari

MISTRAL: il contributo Sapienza al Sardinia Radio Telescope

O.R.4 – Sistema ricevente a microonde compatto e simultaneo a tre-bande per i tre radiotelescopi Italiani

Pietro Bolli, INAF Firenze: “Tre nuovi ricevitori tri-band (18-26 GHz, 34-50 GHz e 80-116 GHz) compatti, criogenici e simultanei sono stati sviluppati, all’interno dell’O.R.4 del PON, per i tre radiotelescopi INAF (SRT, Medicina e Noto). Una volta in operazione, essi consentiranno alla comunità scientifica di espandere dai siti Italiani le osservazioni alle alte frequenze sia come antenne singole sia in modalità interferometrica. La simultaneità in frequenza permetterà di migliorare la calibrazione del ricevitore alle alte frequenze (intorno ai 100 GHz) sfruttando calibratori astronomici presenti alle più basse frequenze. I ricevitori sono stati progettati e sviluppati dal Korea Astronomy and Space Science Institute sulla base di un analogo sistema che opera da più di 10 anni al Korea VLBI Network (KVN).”

Pietro Bolli, INAF Firenze

O.R.5 – Sistema metrologico per SRT

Sergio Poppi, INAF Cagliari: “Per consentire l’operatività di SRT ad alte frequenze occorre tenere sotto controllo e monitorare le deformazioni della struttura che avvengono sotto l’azione di carichi gravitazionali e termici, oltre che a causa della pressione del vento. A tal fine, O.R.5 si e’ occupato della progettazione e della acquisizione di un complesso sistema di metrologia, costituito da oltre 200 sensori di temperatura, anemometri, inclinometri che forniranno ad un modello basato su reti neurali le informazioni per il calcolo in tempo reale degli errori di puntamento del telescopio; inoltre un laser scanner, un’ antenna per misure olografiche ed un sistema all’avanguardia di misura di posizione verificheranno il profilo delle ottiche principali, oltre che il loro corretto posizionamento nello spazio al fine di fornire al sistema di controllo le correzioni affinché SRT osservi sempre in modo da avere sempre le massime prestazioni possibili.”

Sardinia Radio Telescope SRT
Sergio Poppi, INAF Cagliari

O.R.6Backend per SRT

Giovanni Comoretto, INAF Firenze: “I nuovi ricevitori multi-beam richiedono sistemi di acquisizione dati in grado di analizzare un numero elevato di segnali indipendenti, su una banda passante elevata, e di supportare una varietà di modalità osservative (quasi-continuo, spettroscopia, spettropolarimetria, analisi di pulsar). Questo richiede l’utilizzo di schede basate su logiche programmabili. Il sistema di acquisizione è composto da due sezioni che consentono di analizzare fino a 40 segnali rispettivamente su una banda più limitata (fino a 1.4 GHz) ma con un numero elevatissimo di canali spettrali (fino a 65mila) oppure bande fino a 2 GHz con minore risoluzione spettrale. Lo sviluppo del firmware di acquisizione deriva dalla collaborazione tra le strutture INAF di Firenze e di Cagliari.”

da sinistra: Giovanni Comoretto (INAF Firenze) e Andrea Melis (INAF Cagliari)

O.R.7 – Fornitura delle interfacce elettroniche e meccaniche per l’integrazione dei nuovi sistemi

Andrea Orlati, INAF Bologna: “L’O.R.7 si è occupato del potenziamento dell’infrastruttura tecnica e tecnologica del Sardinia Radio Telescope. Alcune caratteristiche innovative della strumentazione scientifica acquisita con il progetto PON hanno reso necessari alcuni interventi ben mirati, alla meccanica e servomeccanica, agli impianti elettrico, criogenico, termostatazione e distribuzione dei segnali RF, al fine di garantire un’efficace integrazione e un pieno sfruttamento di tutti i ricevitori e dei nuovi backend digitali. Con la nuova configurazione del SRT si avrà, inoltre, una semplificazione delle procedure manutentive e il superamento di alcune carenze strutturali che apriranno il telescopio ad ulteriori miglioramenti tecnologici con chiare ricadute sulla quantità e qualità della produzione scientifica dello strumento.”

Andrea Orlati, INAF Bologna

O.R.8 – HPC e sistemi di archiviazione per la raccolta ed uso dati SRT

Andrea Possenti, INAF Cagliari: “Per l’O.R.8, la disponibilità di una infrastruttura di calcolo moderna e prestazionale (circa 500 core CPU, 12 GPU di tipo A40 e oltre 8 PB di spazio su disco) costituisce un tassello fondamentale per permettere al rinnovato SRT di esprimere il suo pieno potenziale scientifico. In particolare, la componente installata presso il sito di SRT fornirà un’analisi in tempi rapidi della qualità dei dati acquisiti dall’antenna e servirà a preservare i dati per un breve periodo, prima del loro trasferimento altrove. La componente installata al sito dell’INAF di Cagliari sarà invece dedicata all’analisi approfondita dei dati.”

Andrea Possenti, INAF Cagliari

O.R.9 – Potenziamento dei laboratori per lo sviluppo di tecnologie a microonde

Tonino Pisanu, INAF Cagliari: “L’O.R.9 del PON ha riguardato il potenziamento dei laboratori dell’INAF – Osservatorio Astronomico di Cagliari con la ricerca e l’acquisizione di strumentazione all’avanguardia per i laboratori di microonde, elettronica e meccanica. La strumentazione acquisita permetterà di progettare e sviluppare nuove tipologie di ricevitori e di backend radioastronomici, nuovi circuiti e schede elettroniche per il comando e controllo dei diversi sistemi installati sul Sardinia Radio Telescope e di nuovi sistemi metrologici per misurare e correggere le deformazioni gravitazionali e termiche della struttura del radiotelescopio che pregiudicano le sue prestazioni alle più alte frequenze di utilizzo.”

Tonino Pisanu, INAF Cagliari

Testi, video e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)

LE PULSAR CI SVELANO IL RESPIRO DELLO SPAZIO-TEMPO: SI APRE UNA NUOVA FINESTRA NELL’OSSERVAZIONE DELLE ONDE GRAVITAZIONALI

Una collaborazione internazionale di astronomi europei, fra cui ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dell’Università di Milano-Bicocca, coadiuvata da colleghi indiani e giapponesi, ha pubblicato i risultati di oltre 25 anni di osservazioni effettuate da sei dei radiotelescopi più sensibili del mondo. Dall’analisi di questi dati e di quelli di altre collaborazioni in nord America, Australia e Cina, emergono i segni distintivi della presenza nel cosmo di onde gravitazionali di bassissima frequenza. Questi risultati rappresentano una pietra miliare per l’astrofisica contemporanea: da un lato aprono una nuova finestra osservativa nella scienza delle onde gravitazionali e dall’altro confermano l’esistenza di onde gravitazionali ultra lunghe che, secondo le teorie correnti, dovrebbero essere generate da coppie di buchi neri super-massicci formatisi nel corso del processo di fusione fra le galassie.

Le pulsar ci svelano il lento respiro dello spazio-tempo: si apre una nuova finestra nell’osservazione delle onde gravitazionali. Crediti: Danielle Futselaar / MPIfR

In una serie di articoli pubblicati oggi sulla rivista Astronomy and Astrophysics, gli scienziati dell’European Pulsar Timing Array (EPTA), in collaborazione con i colleghi indiani e giapponesi dell’Indian Pulsar Timing Array (InPTA), riportano i risultati ottenuti analizzando dati raccolti in oltre 25 anni, che promettono di condurre a scoperte senza precedenti nello studio della formazione e dell’evoluzione del nostro Universo e delle galassie che lo popolano.

“I risultati presentati oggi dalla collaborazione EPTA sono straordinari per la loro importanza scientifica e per le prospettive future di ulteriore consolidamento dei risultati” commenta Marco Tavani, presidente dell’INAF. “L’Astrofisica italiana e l’INAF sono leader mondiali in una grande impresa finalizzata a esplorare il Cosmo con le onde gravitazionali, un filone di ricerca che vedrà l’Italia protagonista nei prossimi anni”.

Le pulsar ci svelano il lento respiro dello spazio-tempo: si apre una nuova finestra nell’osservazione delle onde gravitazionali. Crediti: Danielle Futselaar / MPIfR

L’EPTA è una collaborazione di scienziati di undici istituzioni in tutta Europa, fra cui due in Italia (l’INAF con la sua sede di Cagliari e l’Università di Milano-Bicocca), e riunisce astronomi e fisici teorici, al fine di utilizzare le osservazioni degli impulsi ultra regolari provenienti da stelle di neutroni chiamate “pulsar” per costruire un rilevatore di onde gravitazionali delle dimensioni della nostra Galassia.

«Le pulsar sono eccellenti orologi naturali e possiamo usare l’incredibile regolarità dei loro segnali per cercare minuscoli cambiamenti nel loro ticchettio causati da sottili dilatazioni e compressioni dello spazio-tempo provocati da onde gravitazionali provenienti dall’Universo lontano»,

spiega Golam Shaifullah, ricercatore presso l’Università di Milano-Bicocca nel gruppo di ricerca ‘B Massive’ diretto da Alberto Sesana, professore ordinario dell’Ateneo, e finanziato dall’European Research Council.

Infatti le pulsar si comportano come orologi naturali di alta precisione e dalla misura ripetuta di piccolissime variazioni (inferiori ad un milionesimo di secondo e correlate fra loro) nei tempi di arrivo dei loro impulsi è possibile misurare le minute dilatazioni e compressioni dello spazio-tempo provocate dal passaggio di onde gravitazionali provenienti dall’Universo lontano.

Questo gigantesco rivelatore di onde gravitazionali – che dalla Terra si estende in direzione di 25 pulsar, selezionate all’interno della nostra Via Lattea e distanti migliaia di anni luce da noi – rende possibile sondare un tipo di onde gravitazionali aventi un ritmo lentissimo, corrispondente a lunghezze d’onda enormemente più lunghe di quelle osservate, a partire dal 2015, dai cosiddetti interferometri per onde gravitazionali, tra cui spiccano Virgo a Cascina (vicino a Pisa) e LIGO negli USA.

All’INAF di Cagliari, l’entusiasmo è palpabile:

“Grazie alle osservazioni di EPTA, stiamo aprendo una nuova finestra nell’universo delle onde gravitazionali ultra lunghe (corrispondenti a frequenze di oscillazione del miliardesimo di Hertz) che sono associate a sorgenti e fenomeni unici”,

afferma la ricercatrice Caterina Tiburzi. La collega Marta Burgay precisa

Queste onde gravitazionali ci permettono di studiare alcuni dei misteri finora irrisolti nell’evoluzione dell’Universo, fra cui, ad esempio, le proprietà della elusiva popolazione cosmica dei sistemi binari formati da due buchi neri supermassici, aventi masse miliardi di volte maggiori di quella del Sole”. 

Questi buchi neri si trovano ad orbitare al centro di galassie che stanno fondendosi l’una con l’altra, e durante il loro orbitare, la teoria della relatività generale di Albert Einstein prevede che emettano onde gravitazionali ultra lunghe.

Gli strumenti utilizzati per raccogliere i dati sono l’Effelsberg Radio Telescope in Germania, il Lovell Telescope dell’Osservatorio Jodrell Bank nel Regno Unito, il Nancay Radio Telescope in Francia, il Westerbork Radio Synthesis Telescope nei Paesi Bassi, e il Sardinia Radio Telescope (SRT) in Italia.

“Questi risultati – aggiunge l’astronoma Delphine Perrodin, sempre dell’INAF di Cagliari – si basano su decenni di certosine e instancabili campagne di osservazione effettuate utilizzando i cinque più grandi radiotelescopi in Europa. Inoltre, una volta al mese i dati di questi telescopi vengono anche sommati fra loro, aumentando ulteriormente la sensibilità dell’esperimento”.

Queste osservazioni sono poi state ulteriormente integrate dai dati forniti dal Giant Metrewave Radio Telescope in India, con ciò rendendo l’insieme di dati ancora più accurato.

“È una grande soddisfazione per tutta l’astrofisica italiana che SRT, il grande radiotelescopio gestito da INAF, sia fra i  testimoni dell’emergere nei dati di questo lento respiro dello spazio-tempo”, spiega Andrea Possenti, Primo Ricercatore dell’INAF di Cagliari e fra i fondatori di EPTA, assieme all’ex presidente dell’Istituto Nazionale di Astrofisica Nichi D’Amico: “Si tratta di nuovo grande risultato scientifico, che conferma, a livello mondiale, il ruolo centrale dell’Italia, e vieppiù della Sardegna (con SRT e speriamo presto anche con l’Einstein Telescope), nello studio delle onde gravitazionali per molti decenni a venire “.

I risultati dell’EPTA si confrontano con una serie di pubblicazioni indipendenti oggi annunciate in parallelo da altre collaborazioni in tutto il mondo, facenti capo agli esperimenti di tipo PTA (pulsar timing array) australiano, cinese e nordamericano, noti rispettivamente come PPTA, CPTA e NANOGrav. I vari risultati sono consistenti fra tutte le collaborazioni, ciò che corrobora ulteriormente la presenza nei dati di un segnale dovuto ad onde gravitazionali. Il lavoro però non termina qui, in quanto la natura stessa del segnale osservato prevede che esso si manifesti in maniera progressivamente più chiara.

“Ho cominciato il mio dottorato al momento giusto – ricorda Francesco Iraci, dottorando dell’Università di Cagliari che da circa un anno svolge le sue ricerche presso l’INAF di Cagliari proprio nel contesto di EPTA – e non vedo l’ora di contribuire all’ulteriore affinamento dei dati!”

Spiegando l’importanza di questo risultato, il professor Alberto Sesana afferma: «L’insieme di dati dell’EPTA è straordinariamente lungo e denso ed ha permesso di ampliare la finestra di frequenza in cui possiamo osservare queste onde, permettendo una migliore comprensione della fisica delle galassie che si fondono e dei buchi neri supermassicci che esse ospitano».

La lunghezza del set di dati consente infatti di sondare onde gravitazionali che oscillano in maniera incredibilmente lenta consentendo di esplorare sistemi binari di buchi neri con periodi orbitali di decine di anni. D’altra parte, la cadenza dei dati consente anche di studiare onde che compiono molte oscillazioni al mese, dando accesso a sistemi di buchi neri con periodi orbitali molto più brevi, dell’ordine di pochi giorni.

I risultati dell’analisi dei dati EPTA presentati oggi sono in linea con quanto atteso dalle predizioni degli astrofisici. Nataliya Porayko, ‘visiting researcher’ all’Università di Milano-Bicocca tuttavia sottolinea che

«una regola d’oro in fisica per conclamare la scoperta di un nuovo fenomeno è che il risultato dell’esperimento abbia una probabilità di verificarsi casualmente meno di una volta su un milione».

Il risultato riportato da EPTA – così come dalle altre collaborazioni internazionali – non soddisfa ancora questo criterio, infatti c’è ancora circa una probabilità su mille che fonti di rumore casuali cospirino per generare il segnale.

«Ma i lavori sono già in corso –  come spiega Aurelien Chalumeau, assegnista del gruppo B Massive – gli scienziati delle quattro collaborazioni – EPTA, InPTA, PPTA e NANOGrav – stanno combinando i loro dati con il coordinamento dell’International Pulsar Timing Array».

L’obiettivo è quello di ampliare gli attuali insiemi di dati, sfruttando misure effettuate su oltre 100 pulsar, osservate con tredici radiotelescopi in tutto il mondo. L’accresciuta quantità e qualità dei dati dovrebbe consentire agli astronomi di raggiungere l’obiettivo nel prossimo futuro, fornendo la prova inconfutabile che una nuova era nell’esplorazione dell’Universo è iniziata.

Testo, video e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e dall’Ufficio stampa Università di Milano-Bicocca

SCOPERTO UN DISCO PROTOSTELLARE A QUATTRO BRACCI, G358-MM1

In un articolo pubblicato oggi sulla rivista Nature Astronomy, un gruppo di ricercatori – tra cui anche quattro dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), esperti in emissione maser (intense emissioni radio nelle microonde, focalizzate in modo analogo a come avviene per i laser), hanno mappato un disco protostellare di grande massa con un dettaglio maggiore rispetto a quanto ottenuto in precedenza. Grazie all’utilizzo combinato di antenne radio dislocate in varie parti del mondo con la tecnica VLBI (Very Long Baseline Interferometry) nell’ambito di una collaborazione internazionale, il team è stato in grado di scoprire i quattro bracci a spirale nel disco di gas e polveri in rotazione attorno alla protostella di grande massa G358.93-0.03MM1 (in breve G358-MM1), già avvistata nel 2019. La scoperta mette insieme le prove di molti degli aspetti della teoria dell’accrescimento episodico: un disco rotante, episodi di accrescimento e una struttura a spirale che aiuta ad alimentare la crescente protostella di grande massa.

La mappa spot dei set di dati combinati di sei epoche, centrata sulla posizione della protostella G358-MM1. La mappa mostra la posizione di tutti i singoli maser rilevati nel tempo. I colori indicano la velocità dell’emissione, il blu in avvicinamento e il rosso in allontanamento rispetto alla velocità sistemica. La linea nera indica la direzione del gradiente di velocità maggiore. I bracci siprali identificati in questo lavoro sono mostrati come spesse linee grigie. Crediti: Burns et al. 2023, Nature Astronomy

Nello studio sono stati raccolti anche i dati ottenuti dal radiotelescopio a parabola singola di 32 metri della Stazione radioastronomica di Medicina (Bologna) dell’INAF, che ha monitorato l’emissione tra febbraio e ottobre 2019, e come parte dell’EVN (European VLBI Network) durante le osservazioni ad alta risoluzione angolare (marzo 2019). Anche il Sardinia Radio Telescope (SRT) dell’INAF ha partecipato alle osservazioni EVN di marzo 2019.

Le stelle sono considerate di grande massa se sono almeno otto volte più massicce del Sole. Agiscono come fabbriche atomiche per generare molti dei mattoni necessari per la vita nell’universo e alterano l’aspetto e l’evoluzione delle galassie. Le stelle più massicce diventano enigmatici buchi neri quando concludono il loro ciclo evolutivo. Nonostante la loro importanza nell’universo, il processo attraverso il quale si formano stelle di grande massa è stato un mistero per molti decenni. Recentemente si è scoperto che questi oggetti celesti si formano al centro di dischi rotanti di gas e polvere, noti come dischi protostellari, che hanno un raggio di circa 1000 unità astronomiche  (una unità astronomica è la distanza media che separa la Terra dal Sole).

Scoperto un disco protostellare a quattro bracci, G358-MM1
Rappresentazione artistica del disco a spirale a 4 bracci che ospita la protostella di grande massa ad accrescimento episodico G358-MM1. Crediti: Charles Willmott & Ross Burns

Una teoria che sta emergendo nella ricerca sulla formazione stellare di massa elevata è quella dell’”accrescimento episodico”, per cui ammassi di gas ricchi di polveri si riversano occasionalmente dal disco protostellare sulla stella in accrescimento, o “protostella”, al centro. Questi avvenimenti forniscono alla protostella più della metà della massa che guadagna durante la sua fase di crescita e ne aumentano temporaneamente la sua luminosità. Tuttavia, questi episodi di accrescimento si verificano su scale temporali da centinaia a migliaia di anni e, durando solo pochi mesi o anni, sono eventi molto rari da studiare. Gli astronomi hanno catturato solo pochi lampi di accrescimento nelle protostelle di massa elevata. Il più recente e il più intensamente studiato risale al 2019 e ha come protagonista la protostella di grande massa G358-MM1. La teoria dell’accrescimento episodico propone che i dischi protostellari siano grumosi e che i bracci a spirale possano emergere nel disco per effetto della forza di attrazione gravitazionale della protostella.

L’osservazione dei dischi protostellari attorno alle protostelle di grande massa, per non parlare di qualsiasi struttura a spirale o grumo, è stata una sfida per gli astronomi. Le protostelle di grande massa si formano all’interno di dense nubi di gas e polvere in turbolenti vivai stellari, che sono per lo più invisibili ai telescopi ottici attualmente disponibili.

Il team ha utilizzato una nuova tecnica chiamata “mappatura dell’onda di calore”: si sfrutta il lampo di radiazione, conseguenza dell’accrescimento, per mappare la superficie del disco utilizzando l’emissione maser del metanolo. In totale sono stati utilizzati 24 radiotelescopi, in Oceania, Asia, Europa e America. Tutti i dati sono stati combinati per produrre un’immagine del disco a spirale di G358-MM1 con una risoluzione di milliarcosecondi (1/3600000 di grado). Il primo autore dello studio, Ross Burns del National Astronomical Observatory of Japan e del Korea Astronomy and Space Science Institute, afferma:

“I dati delle osservazioni di radiotelescopi in tutto il mondo hanno contribuito a questa scoperta. Tali dati sono stati accuratamente elaborati in data center in tre diversi continenti. Queste attività da sole comportano lo sforzo di oltre 150 persone”.

G358-MM1 ha quattro bracci a spirale che avvolgono la protostella. I bracci a spirale aiutano a trasportare il materiale del disco fino al centro del sistema dove può raggiungere la protostella e alimentarla. Se in altre protostelle di grande massa verranno scoperti più sistemi a spirale ed episodi di accrescimento, utilizzando la mappatura delle onde di calore o altre tecniche di osservazione, allora gli astronomi saranno in grado di fornire una migliore comprensione della formazione delle stelle di grande massa.

Jan Brand, ricercatore presso l’INAF di Bologna e tra gli autori dell’articolo, spiega: “L’antenna da 32 metri di Medicina ha risposto ad un cosiddetto flare alert (allerta di improvviso incremento di emissione maser) emesso dal Maser Monitoring Organisation, in cui si indicava che G358.93-0.03, una delle sorgenti regolarmente monitorate da un altro osservatorio, mostrava elevata emissione del maser del metanolo – un possibile indicatore di un evento di accrescimento di materia su una protostella di alta massa. Il monitoraggio del target con l’antenna da 32 metri ha confermato l’aumento di attività anche dell’emissione del maser dell’acqua, come confermato anche da altre antenne della collaborazione scientifica a varie frequenze radio. Sulla base di questi dati sono state condotte osservazioni ad alta risoluzione angolare con vari network di antenne,  tra i quali l’EVN, in cui hanno preso parte sia l’antenna di Medicina che l’SRT da 64 metri”. E continua: “Interessante notare che una delle prime indicazioni della presenza di struttura a spirale nel disco attorno a questa sorgente è stata trovata in uno studio col VLA guidato da Olga Bayandina (postdoc all’INAF di Firenze, e coautrice di questo lavoro)”.

 

Il team continuerà a cercare questi fenomeni nelle protostelle di grande massa, tramite una rete internazionale di astronomi, la Maser Monitoring Organization (M2O), che ha come missione la condivisione di informazioni in tempi scala brevissimi. Finora sono stati osservati solo tre casi di accrescimento episodico associato a protostelle di grande massa, per la prima volta in S255IR-NIRS3 da Alessio Caratti o Garatti (INAF di Napoli, coautore nel presente lavoro) e collaboratori nel 2017. Il team spera di trovarne molte altre.


 

Per ulteriori informazioni:

L’articolo “A Keplerian disk with a four-arm spiral birthing an episodically accreting high-mass protostar”, di R. A. Burns, Y. Uno, N. Sakai, J. Blanchard, Z. Fazil, G. Orosz, Y. Yonekura, Y. Tanabe, K. Sugiyama, T. Hirota, Kee-Tae Kim, A. Aberfelds, A. E. Volvach, A. Bartkiewicz, A. Caratti o Garatti, A. M. Sobolev, B. Stecklum, C. Brogan, C. Phillips, D. A. Ladeyschikov, D. Johnstone, G. Surcis, G. C. MacLeod, H. Linz, J. O. Chibueze, J. Brand, J. Eislöffel, L. Hyland, L. Uscanga, M. Olech, M. Durjasz, O. Bayandina, S. Breen, S. P. Ellingsen, S. P. van den Heever, T. R. Hunter, X. Chen, è stato pubblicato sulla rivista Nature Astronomy.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF.

PROGETTO SUNDISH: ALLA SCOPERTA DEL SOLE NELLE ONDE RADIO

È stato pubblicato sulla rivista Solar Physics lo studio, guidato da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), che presenta il nuovo sistema di osservazione del Sole nelle onde radio con i radiotelescopi INAF di Bologna e di Cagliari, realizzato in collaborazione con l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI). Questi dati, attualmente unici nel panorama astrofisico internazionale, integrano le osservazioni solari condotte in altre frequenze e saranno preziose per monitorare e comprendere meglio l’attività della nostra stella in vista del suo massimo, previsto per il 2024.

Progetto Sundish
Progetto Sundish: alla scoperta del Sole nelle onde radio

L’Italia è uno dei pochi Paesi al mondo a poter vantare una rete di radiotelescopi in grado di lavorare in modo coordinato. Distribuita tra Emilia Romagna, Sicilia e Sardegna – e gestita dalle Strutture dell’INAF di Bologna e Cagliari – questa sofisticata rete di antenne ha avviato da qualche anno il progetto Sundish, coordinato dall’astrofisico dell’INAF Alberto Pellizzoni, con una serie di osservazioni congiunte nelle onde radio di una sorgente celeste tanto vicina quanto finora poco  monitorata in questa finestra dello spettro elettromagnetico: il nostro Sole.

Questo nuovo sistema di monitoraggio radio-solare, che vede per ora protagoniste le antenne di Medicina e il Sardinia Radio Telescope (SRT), è l’oggetto dell’articolo appena pubblicato sulla rivista Solar Physics, in cui si svelano i dettagli dei ricevitori e dei software appositamente creati per l’analisi dei dati solari, oltre che un catalogo di 170 immagini prodotte dalle antenne italiane.

Lo studio – che ha coinvolto anche le università di Cagliari, Trieste ed Exeter, in Inghilterra, oltre che l’istituto olandese di radioastronomia ASTRON – ha rafforzato la già intensa collaborazione scientifica tra INAF e ASI, grazie allo sforzo congiunto per lo sviluppo presente e futuro del sistema di osservazione radio-solare. Il sistema, che tra non molto potrebbe arrivare ad osservare fino alla frequenza di ben 100 GHz, consente di mappare e studiare, tramite strumenti dedicati, sia l’emissione del Sole quieto che delle sue regioni attive, sempre più numerose man mano che ci si avvicina al massimo del ciclo solare, previsto per il 2024.

“Ad oggi – spiega Pellizzoni – siamo i primi e per ora gli unici a osservare il Sole alle frequenze radio nell’intervallo tra 18 e 26 GHz, e quindi siamo in grado di poter ottenere informazioni fisiche in una regione dello spettro elettromagnetico cruciale, ma al momento poco utilizzata per gli studi solari per via delle difficoltà osservative in questa particolare banda radio. Per la prima volta è stato possibile misurare la temperatura del Sole in questa banda. Inoltre studiare il Sole a queste frequenze ci fornisce informazioni preziose, non solo per capire meglio come funziona la nostra stella, ma anche per contribuire a sviluppare metodi per prevedere i suoi comportamenti più violenti.”

Le regioni attive sono aree molto luminose del Sole, caratterizzate da intensi campi magnetici locali, che forniscono energia per i brillamenti solari e le espulsioni di massa coronale, eventi che in situazioni estreme possono avere effetti negativi sulle moderne tecnologie, specie in ambito spaziale, come i sistemi satellitari di telecomunicazioni, ormai indispensabili alla nostra vita quotidiana.

“In realtà – continua Pellizzoni – siamo partiti da una curiosità tecnica: si può osservare il Sole con i radiotelescopi INAF? Questa curiosità ha innescato gli studi di fattibilità da parte di tanti tecnologi e ricercatori INAF e ASI. Da qui è nato il progetto SunDish che ho ideato e guidato personalmente, e che ora mi occupa a tempo pieno, insieme a molti altri entusiasti giovani e meno giovani! Abbiamo scoperto non solo che queste osservazioni erano fattibili, ma anche che la comunità scientifica internazionale si dimostrava molto interessata ai risultati che avrebbero prodotto nell’ambito dello Space Weather, ovvero la meteorologia dello spazio”.

La tempesta solare più potente finora registrata è stata il cosiddetto “Evento di Carrington”, il 1° settembre 1859. L’evento produsse i suoi effetti su tutta la Terra dal 28 agosto al 2 settembre, con l’interruzione delle linee telegrafiche per 14 ore, e con la produzione di un’aurora boreale visibile anche a latitudini inusuali, addirittura fino a Roma. Conoscere in anticipo questi fenomeni, aiuterebbe sicuramente a attivare per tempo contromisure in grado di limitare i possibili malfunzionamenti o guasti alle infrastrutture tecnologiche più esposte.

“Una cosa curiosa – aggiunge Simona Righini, ricercatrice INAF e co-Principal Investigator del progetto Sundish – è sicuramente il fatto che le parabole di Medicina ed SRT in principio non sono state concepite per osservare il Sole. Anzi agli astronomi era proibito puntare le antenne verso il Sole per timore che l’intenso calore e la forte radiazione potessero danneggiare gli strumenti. È stato necessario un grande impegno da parte di tanti tecnologi e ricercatori INAF, con la preziosa collaborazione di ASI, per rendere tutto questo possibile”.

“Le osservazioni radio del Sole effettuate nell’ambito del progetto SunDish sono di fondamentale importanza per lo Space Weather, in quanto forniscono diagnostiche chiave sulla fisica delle regioni attive e sulla previsione dei brillamenti solari” conclude Mauro Messerotti, fisico solare e senior advisor dell’INAF per lo Space Weather. “In questo contesto, due nuovi strumenti dedicati al monitoraggio del Sole nelle onde radio saranno operativi a breve all’INAF di Trieste ed alla sezione INAF presso l’Università della Calabria”.

L’articolo “Solar Observations with Single-Dish INAF Radio Telescopes: Continuum Imaging in the 18 – 26 GHz Range”, di A. Pellizzoni, S. Righini, M. N. Iacolina, M. Marongiu, S. Mulas, G. Murtas, G. Valente, E. Egron, M. Bachetti, F. Buffa, R. Concu, G. L. Deiana, S. L. Guglielmino, A. Ladu, S. Loru, A. Maccaferri, P. Marongiu, A. Melis, A. Navarrini, A. Orfei, P. Ortu, M. Pili, T. Pisanu, G. Pupillo, A. Saba, L. Schirru, G. Serra, C. Tiburzi, A. Zanichelli, P. Zucca & M. Messerotti, è stato pubblicato su Solar Physics.

 

Testo e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF

Una rete di pulsar per “ascoltare” il brusio cosmico di fondo delle onde gravitazionali

Pubblicato su Monthly Notices of the Royal Astronomical Society uno studio internazionale che ha visto coinvolti i ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca e di INAF-Cagliari

pulsar delle Vele stelle a neutroni onde gravitazionali bassissima frequenza
Una rete di pulsar per “ascoltare” il brusio cosmico di fondo delle onde gravitazionali. Nella foto, la Pulsar delle Vele. Foto NASA/CXC/PSU/G.Pavlov et al., in pubblico dominio
Milano, 12 gennaio 2021 – I ricercatori del progetto International Pulsar Timing Array (IPTA), avvalendosi dei lavori e delle competenze di diverse collaborazioni di astrofisici di tutto il mondo – inclusi membri dell’Università di Milano-Bicocca e dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) – hanno recentemente completato l’analisi del più completo archivio oggi disponibile di dati sui tempi di arrivo degli impulsi di 65 pulsar, ciò che resta di stelle di grande massa esplose come supernove. Questa accurata indagine sperimentale rafforza le indicazioni teoriche che suggerirebbero la presenza di un vero e proprio “brusio” cosmico, prodotto da onde gravitazionali di frequenze ultra basse (da miliardesimi a milionesimi di Hertz) emesse da una moltitudine di coppie di buchi neri super-massicci.

Le pulsar studiate dal team sono dette “al millisecondo” perché ruotano attorno al proprio asse centinaia di volte al secondo, emettendo stretti fasci di onde radio che ci appaiono come impulsi a causa del loro moto di rotazione. I tempi di arrivo di questi impulsi sono stati poi combinati in un unico insieme di dati, unendo le osservazioni indipendenti di tre collaborazioni internazionali: l’European Pulsar Timing Array (EPTA, a cui appartengono i ricercatori dell’INAF e dell’Università di Milano-Bicocca coinvolti nel progetto), il North American Nanohertz Observatory for Gravitational Waves (NANOGrav), e il Parkes Pulsar Timing Array in Australia (PPTA). Queste tre collaborazioni sono anche le fondatrici dell’IPTA.

L’indagine del team di IPTA su questi dati combinati ha messo in luce la presenza di un segnale a bassissima frequenza. «È un segnale molto emozionante! Anche se non abbiamo ancora prove definitive, potrebbe essere il primo passo verso la rivelazione del fondo cosmico di onde gravitazionali», dice Siyuan Chen, membro delle collaborazioni EPTA e NANOGrav, e il coordinatore per IPTA della pubblicazione dell’indagine in un articolo sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society (“The International Pulsar Timing Array second data release: Search for an isotropic Gravitational Wave Background” – DOI: 10.1093/mnras/stab3418).

Boris Goncharov del PPTA è comunque ancora cauto sulle possibili interpretazioni di tali segnali: «Stiamo anche esaminando a cos’altro potrebbe essere associato questo segnale. Per esempio, potrebbe magari derivare da un rumore presente nei dati delle singole pulsar che potrebbe essere stato modellato in modo improprio nelle nostre analisi».

Spiega Delphine Perrodin, dell’INAF di Cagliari, coautrice del lavoro: «Questo risultato conferma e rafforza notevolemente il graduale emergere di segnali simili che sono stati trovati negli ultimi anni nei singoli insiemi di dati, indipendentemente dalle varie collaborazioni partecipanti a IPTA. In particolare, nel quadro dell’esperimento EPTA, siamo abituati da oltre due decenni a combinare i dati provenienti da cinque diversi radiotelescopi europei, fra cui il Sardinia Radio Telescope (SRT, localizzato in Sardegna), e spesso ad osservare simultaneamente la stessa pulsar. Questa esperienza è stata molto utile nella creazione dell’attuale versione dei dati. Inoltre, all’interno di EPTA è stata sviluppata buona parte della metodologia utilizzata per capire le caratteristiche del possibile segnale nel corso dei molti anni di monitoraggio».

Sulla possibile origine del segnale lavora un altro coautore della pubblicazione, Alberto Sesana, che studia queste tematiche col suo team presso l’Università di Milano Bicocca: «Le caratteristiche di questo segnale comune tra le pulsar sono in ottimo accordo con quelle attese per il fondo cosmico di onde gravitazionali, frutto della sovrapposizione di molteplici segnali di onde gravitazionali emessi da una popolazione di buchi neri binari super-massicci. Si tratta di coppie di buchi neri di grande massa che orbitano spiraleggiando l’uno intorno all’altro, con ciò liberando grandi quantità di energia sotto forma di onde gravitazionali».

La sovrapposizione di tutte queste onde, di frequenze leggermente diverse fra loro e provenienti da tutte le direzioni del cosmo, può essere immaginato come un brusio indistinto (in quel caso prodotto da onde sonore) che potremmo ascoltare all’interno di una sala affollata.

Il prossimo passo per il team di IPTA sarà la misura della cosiddetta “correlazione spaziale” tra le pulsar. Spiega Andrea Possenti, dell’INAF di Cagliari, e coautore del lavoro: «La correlazione del segnale tra le coppie di pulsar è la chiave per chiarire la fonte del segnale. Perché si tratti del fondo di onde gravitazionali, ogni coppia di pulsar deve comportarsi in un modo molto specifico, a seconda della loro separazione angolare nel cielo. Al momento non si può concludere nulla al proposito: abbiamo infatti bisogno di un segnale più forte per misurare questa correlazione».

Gli fa eco Bhal Chandra Joshi, membro dell’InPTA (il consorzio sperimentale con base in India, da poco entrato a sua volta nel IPTA): «Il primo indizio è un segnale come quello ora veduto nei dati dell’IPTA. Poi, con più dati, speriamo che il segnale inizierà a mostrare le attese correlazioni spaziali: a quel punto sapremo che si tratta davvero del fondo cosmico di onde gravitazionali».

Il lavoro già ferve all’interno di IPTA per aggiungere nuove osservazioni, sempre più precise, alla combinazione di dati esistenti.  Conclude Delphine Perrodin: «Questo è un vero lavoro di squadra internazionale, all’interno del quale il contributo italiano, fra INAF e Università di Milano Bicocca, diviene sempre più importante, con le osservazioni presso SRT, la combinazione con i dati degli altri radio telescopi, la loro analisi ed interpretazione astrofisica. Non si può che essere ottimisti circa le capacità di arrivare presto ad una scoperta che sarebbe epocale».

Testo dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca sulla rete di pulsar per “ascoltare” il brusio cosmico di fondo delle onde gravitazionali.
Articoli Correlati:
https://www.scientificult.it/2021/10/27/european-pulsar-timing-array-osservazione-onde-gravitazionali-a-bassissima-frequenza/

Andromeda a 6.6 GHz: un’immagine unica della galassia sorella della Via Lattea 

galassia di Andromeda immagine
Image credits, Radio:WSRT/R. Braun (https://www.astron.nl/); Microwave:SRT/S.Fatigoni et al. (http://www.srt.inaf.it/); Infrared:NASA/Spitzer/K. Gordon (https://www.spitzer.caltech.edu/); Visible: Robert Gendler (http://www.robgendlerastropics.com/); Ultraviolet: NASA/GALEX (http://www.galex.caltech.edu/); X-ray: ESA/XMM/W. Pietsch (https://www.cosmos.esa.int/web/xmm-newton)

L’immagine ottenuta a tale frequenza, oltre a essere senza precedenti, ha permesso di definire nel dettaglio la morfologia della galassia e in particolare di individuare le regioni dove nascono le nuove stelle.

galassia di Andromeda immagine
Image credits, Radio:WSRT/R. Braun (https://www.astron.nl/); Microwave:SRT/S.Fatigoni et al. (http://www.srt.inaf.it/); Infrared:NASA/Spitzer/K. Gordon (https://www.spitzer.caltech.edu/); Visible: Robert Gendler (http://www.robgendlerastropics.com/); Ultraviolet: NASA/GALEX (http://www.galex.caltech.edu/); X-ray: ESA/XMM/W. Pietsch (https://www.cosmos.esa.int/web/xmm-newton)

I risultati dello studio, frutto della collaborazione fra la Sapienza e l’lstituto Nazionale di Astrofisica sono stati pubblicati sulla rivista Astronomy & Astrophysics.

Andromeda è una delle galassie più studiate di tutti i tempi e probabilmente anche la più conosciuta al grande pubblico per la sua prossimità e somiglianza con la nostra galassia, la Via Lattea. Infatti, una conoscenza della natura dei processi fisici che avvengono al suo interno permetterebbe di capire meglio cosa avviene nella nostra galassia, come se la guardassimo dall’esterno.

Paradossalmente, proprio ciò che finora ha ostacolato una osservazione approfondita di Andromeda nelle microonde è la sua stessa conformazione. Infatti, a causa delle sua prossimità alla Via Lattea questa ha una dimensione angolare di diversi gradi in cielo, il che la mette fuori dalla portata degli interferometri costituiti da schiere di antenne di piccola taglia. Per poter osservare Andromeda a frequenze di 6.6 GHz e superiori è indispensabile disporre di un unico radiotelescopio a disco singolo dotato di una grande area efficace.

Oggi, una collaborazione scientifica fra la Sapienza Università di Roma e l’Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF, ha permesso di ottenere con il Sardinia Radio Telescope una immagine della galassia di Andromeda completamente nuova, a 6.6 GHz, una frequenza mai sondata prima d’ora.

L’ottima risoluzione angolare del telescopio ha permesso di definire nel dettaglio la morfologia e di ampliare così le conoscenze finora disponibili su questa galassia.

I risultati dello studio, realizzato con la partecipazione anche di numerosi enti e università internazionali come la University of British Columbia, l’Instituto de Radioastronomia y Astrofisica – UNAM in Messico, l’Instituto de Astrofisica de Canarias, l’Infrared Processing Analysis Center – IPAC in California, sono stati pubblicati sulla rivista Astronomy & Astrophysics. 

A questa frequenza (6.6 GHz) l’emissione della galassia è vicina al suo minimo, complicando la possibilità di ottenere una immagine così definita. Nonostante ciò, grazie alle 66 ore di osservazione con il Sardinia Radio Telescope e a un consistente lavoro di elaborazione dei dati, i ricercatori sono riusciti a mappare la galassia con alta sensibilità.

“Il Sardinia Radio Telescope è una grande antenna a disco singolo in grado di operare ad alte frequenze radio – sottolinea Matteo Murgia dell’INAF di Cagliari- e di produrre dati di elevatissima importanza scientifica e immagini di assoluta qualità”.

 “Combinando questa nuova immagine con quelle precedentemente acquisite – aggiunge Elia Battistelli del Dipartimento di Fisica della Sapienza e coordinatore dello studio – abbiamo fatto significativi passi in avanti nel chiarire la natura della emissione di microonde di Andromeda, distinguendo i processi fisici che avvengono in diverse regioni della galassia”

Andromeda galassia immagine

“In particolare siamo riusciti a determinare la frazione di emissione dovuta ai processi termici legati alle prime fasi della formazione di nuove stelle, e la frazione di segnale radio imputabile ai meccanismi non-termici dovuti a raggi cosmici che spiraleggiano nel campo magnetico presente nel mezzo interstellare” concludono Federico Radiconi del Dipartimento di Fisica della Sapienza e Sofia Fatigoni della Università della British Columbia.

Andromeda galassia immagine

Con i dati ottenuti, per i ricercatori è stato possibile così stimare il ritmo di formazione stellare di Andromeda e produrre una mappa dettagliata che ha messo in evidenza il disco della galassia come regione d’elezione per la nascita di nuove stelle.

Per ottenere questa immagine unica di Andromeda il team ha sviluppato e implementato dei software ad hoc che hanno permesso, tra le altre cose, di testare nuovi algoritmi per la identificazione di sorgenti a più bassa emissione nel campo di vista attorno ad Andromeda, il più vasto mai esaminato a una frequenza di 6.6 GHz: in questo modo i ricercatori hanno estratto dalla mappa un catalogo di circa un centinaio di sorgenti puntiformi, ovvero stelle, galassie e altri oggetti, sullo sfondo di Andromeda.

Andromeda galassia immagine

Riferimenti:

Study of the thermal and non-thermal emission components in M31: the Sardinia Radio Telescope view at 6.6 GHz – S. Fatigoni, F. Radiconi, E.S. Battistelli, M. Murgia, E. Carretti, P. Castangia, R. Concu, P. de Bernardis, J. Fritz, R. Genova-Santos, F. Govoni, F. Guidi, L. Lamagna, S. Masi, A. Melis, R. Paladini, F.M. Perez-Toledo, F. Piacentini, S. Poppi, R. Rebolo, J.A. Rubino-Martin, G. Surcis, A. Tarchi, V. Vacca – Astronomy & Astrophysics 2021

 

Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma