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Quello che sai sulla plastica è sbagliato – Intervista agli autori e recensione del nuovo libro di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023).

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Il libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, edito da Gribaudo, è una guida per il lettore-consumatore, divisa in quattro capitoli. Gli argomenti sono trattati con un approccio didattico che aiuta a imparare e reimparare quello che crediamo di sapere sulle plastiche: paragrafi, concetti in evidenza, parole chiave in grassetto, codici QR per approfondimenti (che riportano a video e a pratiche aziendali virtuose).

Il saggio fa riflettere sulle scelte quotidiane di ciascuno di noi e sulle ricadute sociali di quelle stesse scelte. Cosa troviamo nel libro? Metafore, esempi, excursus storici e aneddoti di storia della scienza, analogie utili a comprendere il concetto scientifico spiegato poi con il lessico idoneo. In più, le note consentono al lettore di soffermarsi subito sulla fonte o sull’approfondimento proposto.

Quello che sai sulla plastica è sbagliato è un viaggio nel mondo delle plastiche, senza proclami o annunci “urlati”. Vi sono poche formule chimiche spiegate in maniera chiara e immagini funzionali alle spiegazioni testuali. La grafica è piacevole, sebbene il testo sia leggermente piccolo. L’uso di diverse tipologie di grafici non appesantisce la narrazione, anzi rende il messaggio più comprensibile, lo riassume a vista d’occhio e consente al lettore di fare le sue considerazioni. Quello che sai sulla plastica è sbagliato ha tutte le caratteristiche per essere un valido strumento per la comunità.


Il libro inizia scardinando le piccole convinzioni e conoscenze del lettore. Per esempio, la prima frase che lo destabilizza è la seguente: “non tutto ciò che è plastica va nella plastica”. E tanto per complicarci la vita, dipende anche dal comune…
Nella stesura del libro vi siete imbattuti in fonti su metodologie di raccolta o di riciclo delle plastiche non idonee in Italia? E di realtà particolarmente virtuose?

Quando parliamo di gestione dei rifiuti e, in particolare, di recupero dei rifiuti plastici non è tanto semplice distinguere tra “virtuoso” e “non idoneo”. A seconda dei punti di vista la gestione dello smaltimento delle plastiche in Italia può essere considerato virtuoso o carente. Dipende da quali parametri prendiamo in considerazione e qual è l’obiettivo che ci prefiggiamo.

Negli Stati Uniti, ad esempio, si ricicla pochissimo e gran parte della plastica finisce in discarica, tuttavia questa gestione, sicuramente non ideale, permette di avere una filiera più semplice ed efficiente diminuendo la dispersione di rifiuti plastici nell’ambiente. Chiariamoci, la gestione statunitense è ben lontana dall’essere ideale o sostenibile, tuttavia, è esemplificativo del fatto che il panorama della gestione dei rifiuti è così complesso che è difficile dare una definizione assoluta di “idoneo”.

Per tornare all’Italia, noi siamo piuttosto forti nel recupero e riciclaggio delle plastiche. Questo sicuramente ci rende, almeno in parte, virtuosi. Tuttavia, recentemente, ci siamo opposti strenuamente alla nuova direttiva europea che mira ad eliminare gli imballaggi inutili e incentivava il riutilizzo.

Lo scenario migliore sarebbe quello che ci porta a non generare proprio il rifiuto, così da non doverlo gestire rischiando la dispersione nell’ambiente. Probabilmente questo potrebbe definirsi davvero virtuoso. L’Europa sta andando in questa direzione, l’Italia un po’ meno.

 

la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023)
la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023)

Immaginiamo di essere al supermercato: c’è davvero bisogno di tutto questo packaging?

A volte sì, a volte no. Gli imballaggi hanno lo scopo di proteggere il prodotto nel trasporto dal produttore al consumatore, quindi, per definizione, sono degli oggetti che diventano immediatamente un rifiuto.

D’altro canto, anche i prodotti che acquistiamo hanno un impatto sull’ambiente, quindi senza imballaggio molti di essi non arriverebbero nemmeno nelle nostre case perché danneggiati dal trasporto o, nel caso di alimenti, andati a male.
Anche lo spreco ha un impatto, spesso, ben superiore a quello dell’imballaggio correttamente gestito.

È comunque innegabile che in molti casi ci sia una sovrabbondanza di imballaggio e sicuramente noi consumatori siamo chiamati a selezionare i prodotti che si propongono di essere più sostenibili, ma per noi  cittadini non è sempre così facile capire quali lo siano realmente.

La soluzione migliore è proprio quella proposta dall’Europa nella nuova direttiva imballaggi che prevede di vietare per legge gli imballaggi inutili, limitandosi solo a quelli necessari per la corretta conservazione del prodotto.

supermercato supermarket
Foto di Joshua Rawson-Harris

Attendere che la ricerca scientifica faccia il suo corso e non mostrarsi frettolosi nel trarre le conclusioni. Soffermiamoci sul vostro modo prudente di trattare le microplastiche, un ambito di ricerca in espansione.

Le microplastiche sono sicuramente una questione delicata. Molti media ne parlano come qualcosa dall’impatto catastrofico, tuttavia ad oggi sappiamo molto poco del loro impatto sull’uomo e sugli ecosistemi.

Certo, il principio di precauzione ci suggerisce di tenere gli occhi aperti e fare il possibile per diminuirne la diffusione, perché se è vero che non abbiamo la certezza che ci facciano male, è decisamente poco probabile che ci facciano bene.

L’unica cosa che possiamo fare è continuare a studiare la questione e cercare di diminuire il più possibile la formazione delle microplastiche. Chiaramente il modo migliore per farlo è evitare di disperdere oggetti di plastica nell’ambiente.

 

Per quanto riguarda l’Italia, mettete in evidenza tanto i comportamenti virtuosi quanto le bad practice che non ci fanno esultare. Quali suggerimenti dareste al lettore-consumatore per non cadere nella trappola di sensazionalismi e proclami?

Il grosso problema con cui ci scontriamo nelle nostre presentazioni in giro per l’Italia è la difficoltà di comprensione, da parte del consumatore, su dove gettare un determinato oggetto.

Il fatto che ci siano moltissimi tipi di plastiche diverse, che possiamo mettere nel cestino solo gli imballaggi, e che si stiano diffondendo i materiali compostabili, che vanno conferiti (quasi sempre) nell’umido, rende piuttosto complesso per il consumatore capire cosa deve fare.

Ammettiamo che anche noi, ancora oggi, abbiamo qualche difficoltà. Inoltre, a volte le informazioni sulla confezione sono insufficienti e richiedono di andare sul sito dell’azienda per avere un’indicazione completa.

Il consiglio migliore che ci sentiamo di dare è quello di non fermarsi allo slogan, ma leggere con attenzione l’etichetta del prodotto prima di acquistarlo. L’ideale sarebbe avere leggi più stringenti che obblighino le aziende a inserire tutte le indicazioni di smaltimento sulla confezione del prodotto, ma in mancanza di questo, non rimane che prenderci noi l’onere di andare oltre gli slogan.

Ovviamente non sarà possibile farlo sempre e per tutti i prodotti che acquistiamo, ma farci attenzione ogni tanto è già un buon inizio.

 

Biodegradabile, compostabile, bio-based, plant-based, parole che nel libro vengono spiegate molto bene. Il marketing tiene sempre più conto della crescente coscienza ambientale delle persone? Lo fa nel modo corretto?

Se c’è una cosa positiva nel greenwashing, che alcune aziende mettono in atto, è proprio il fatto che si sentano forzate a improntare il proprio marketing sulla sostenibilità. Rispetto al passato, infatti, sembra sia diventato inaccettabile non essere sostenibili e amici dell’ambiente. Chiaramente, questa pressione da parte della società, trova facile risposta negli slogan, ma una più difficile risposta concreta.

D’altro canto, il marketing serve a vendere un prodotto, non a comunicare oggettivamente la sostenibilità. Molti di noi sono cresciuti con le pubblicità e le televendite e dovremmo sapere che non tutto quello che è scritto in grande su una confezione corrisponde alla realtà. Se partiamo da questo presupposto, che spesso dimentichiamo, dovrebbe essere più facile diventare dei consumatori critici e consapevoli.

 

Immagino non sia stato facile per voi districarsi nella chimica delle plastiche. Ma non è semplice anche per il legislatore. A vostro parere, le leggi sulla produzione, sul riutilizzo e sul riciclo delle plastiche sono coerenti e adeguate ai nostri tempi?

Non è una domanda facile. Noi abbiamo affrontato l’argomento dal punto di vista tecnico-scientifico, la questione politica si muove parallelamente ma su altri binari. Il mercato delle plastiche è enorme e ogni cambiamento implica un vasto impatto su migliaia di aziende di produzione, raccolta, smaltimento e riciclaggio. È comprensibile che un politico sia più prudente di uno scienziato e che le leggi non siano sempre perfettamente aderenti a quando dice la scienza. Detto questo, è abbastanza chiaro che la situazione attuale sia frutto di una certa leggerezza nella scrittura delle leggi e nella loro applicazione.

Certo, se noi tre avessimo in tasca la soluzione al problema delle plastiche probabilmente ora saremmo a Stoccolma a ritirare il Nobel.

Il nostro auspicio è che in futuro ci sia molta più attenzione da parte del legislatore nel richiedere un’informazione trasparente e nel fornire un’educazione alla popolazione.

Si riuscisse a standardizzare delle regole a livello nazionale (invece di avere regole diverse da comune a comune) sarebbe già un buon inizio.

la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023)
la copertina del libro Quello che sai sulla plastica è sbagliato, di Simone Angioni, Stefano Bertacchi e Ruggero Rollini, edito da Gribaudo (2023)

Tecnologia, Legge, Politica ed Economia sono elementi decisivi per una maggiore sostenibilità di un mondo “plastico”. Secondo voi “parlano” davvero tra loro in vista degli ambiziosi obiettivi di valorizzazione dei rifiuti dell’Agenda 2030?

Sicuramente tutti questi ambiti parlano tra loro, ma non sempre si capiscono. Soprattutto, non in tutto il mondo questi campi della conoscenza hanno pari peso. Per molti paesi la crescita economica e industriale è più importante della sostenibilità ambientale. In altri la politica non vuole “pestare i piedi” ad una filiera produttiva consolidata e di successo. Come già citato più volte in questa intervista, l’Unione Europea si sta muovendo bene imponendo ai vari stati di modificare il proprio comportamento per migliorare la gestione dei rifiuti plastici. È probabile che anche questa nuova direttiva non risolverà completamente il problema, ma la strada è tracciata. Non rimane che vedere con quanta rapidità i politici italiani si adegueranno alle richieste e sulla base di questo trarre le nostre conclusioni. Se da un lato come cittadini non possiamo, singolarmente, risolvere i problemi causati dalla diffusione della plastica nel nostro tessuto produttivo, possiamo per lo meno valutare se i nostri rappresentati si stiano muovendo nella direzione giusta.

 

Ove non indicato diversamente, si ringraziano gli autori per le immagini.

 

Gli autori del saggio Quello che sai sulla plastica è sbagliato


Stefano Bertacchi
Stefano Bertacchi

Stefano Bertacchi è dottore di ricerca in biotecnologie industriali e ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano – Bicocca. Si occupa dello sviluppo di molecole di interesse industriale, mediante l’uso di microrganismi geneticamente modificati o meno. È anche un divulgatore scientifico, via social media ed eventi scientifici. Ha all’attivo tre libri: “Piccoli geni – alla scoperta dei microrganismi“, “Geneticamente modificati – Viaggio nel mondo delle biotecnologie”, “50 grandi idee biotecnologie

 

 

 

 


 

Ruggero Rollini
Ruggero Rollini

Ruggero Rollini è uno dei volti noti di Superquark+ su RaiPlay e  di Noos su Rai1. Laureato in chimica e divulgazione delle scienze naturali, si occupa di comunicazione della scienza sui social media e per eventi culturali. Tratta principalmente la chimica dell’ambiente e del quotidiano. Ha scritto “C’è chimica in casa” (Mondadori, 2022).

 

 

 

 

 

 


 

Simone Angioni
Simone Angioni

Simone Angioni è chimico con un dottorato sulla sintesi di polimeri innovativi per la transizione. Ha lavorato per anni nel mondo della ricerca specializzandosi sulle fonti di energia sostenibili. È divulgatore scientifico sia online sia collaborando come docente per diversi master in comunicazione della scienza. È autore di due libri “Chimica in 5 minuti” e “Con la giusta energia – Verso un futuro sostenibile“, entrambi editi da Gribaudo.

Materiali per la vita di Devis Bellucci, edito da Bollati Boringhieri, è un libro che ci parla di biomateriali, da un lato raccontandone la storia, dall’altra facendo un po’ il punto della situazione [Vai all’antefatto].

Non sono storie lontane anni luce da noi, ma ci raccontano scoperte di biomateriali che sono ormai parte della vita quotidiana. Ci raccontano di come siamo arrivati ad avere le lenti a contatto, i cristallini artificiali, le protesi dell’anca, l’amalgama dei denti, a usare acido ialuronico e collagene, ecc. Insomma, invenzioni delle quali ci auguriamo di non aver mai bisogno, ma che per molti di noi sono invece realtà (e per fortuna, perché l’alternativa sarebbe sicuramente peggiore).

È un libro che – plausibilmente – pare destinato a invecchiare bene, perché le storie raccontate non sono focalizzate tanto sulle ultimissime scoperte, quanto sul percorso che da decenni, quando non secoli, stiamo percorrendo. Certo, non c’è tantissimo spazio per l’archeologia, ma l’autore fa ben intendere che da sempre siamo sul cammino dell’invenzione dei biomateriali.

È un libro che parla di una scienza fatta di persone, di tanto studio e fatica, di abnegazione, di meccanismi economici non sempre facili, di errori e direzioni che si rivelano sbagliate, di colpi di fortuna, di finali tragici come di riconoscimenti meritati.

Materiali per la vita Foto Giuseppe Fraccalvieri
Il saggio di Devis Bellucci, Materiali per la vita. Le incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo, pubblicato da Bollati Boringhieri (2022) nella collana Saggi Scienze. Foto di Giuseppe Fraccalvieri

Le storie dei biomateriali sono spesso storie di gente dotata di una “buona dose di saggia irragionevolezza” (p. 69), grazie alla quale riescono a portare avanti dei principî nuovi, rivoluzionando il loro campo, nonostante la diffidenza circostante.

Questa diffidenza non appare però mai del tutto immotivata, e proprio nelle ultime pagine del libro, Devis Bellucci ci lascia con un finale tragico, quello dello scandalo STAP, che fa intendere come per cambiare una concezione sia sempre necessario portare solide prove a sostegno delle proprie tesi. Anche al di là di questo, come si diceva, la storia dei biomateriali non è sempre una storia di successi, ma appare costellata di fallimenti, di ciarlatani, di pratiche esecrabili.

Scopriremo anche le storie di alcuni italiani, nessuno dei quali otterrà i riconoscimenti che avrebbe meritato. Viste le premesse, non mi sono sorpreso.

 

Dall’altra parte, anche se finora abbiamo parlato soprattutto di storie, nel saggio di Devis Bellucci troviamo anche i principî, che permettono al lettore di avvicinarsi in maniera non del tutto passiva alla materia, ma lasciando la piacevole sensazione di iniziare a capire.

Scopriremo così come la chimica del carbonio dialoga chimicamente con la materia inorganica, scopriremo principî come quelli di biocompatibilità, di bioattività, di osteointegrazione, oltre che la differenza tra biomateriali di prima, seconda e terza generazione.

Come spiega Devis Bellucci (pp. 9-16), il rapporto tra biomateriali e cellule del nostro corpo non è poi troppo diverso da quello di Gulliver legato dai lillipuziani. Illustrazione da p. 121 del libro Boys’ and Girls’ Bookshelf, volume nono, Children’s Book of Fact and Fancy, The University Society, New York (1912). Immagine Internet Archive Book Images da Flickr, in pubblico dominio

 

Tornando a quanto in antefatto, quello di Devis Bellucci è anche un libro che sostiene un rapporto sano con la scienza, piacevolmente equidistante dagli estremi, da eccessi che spesso avvelenano la discussione pubblica. Non troveremo quindi il “non ce lo dicono”, né “gli oscuri moventi di Big Pharma”, e neppure “la Scienza con la S maiuscola, che non sbaglia mai”.

Polietilene
Polietilene espanso. Foto di Tasuavicu, CC BY-SA 4.0

 

Ringraziamo Devis Bellucci per aver risposto alle domande di ScientifiCult:

Episodi come quello dello scandalo STAP sarebbero ancora possibili oggi? E in Italia?

Certo che possono succedere, in Italia e ovunque. Come racconto più volte nel libro, la scienza è fatta, prima di tutto, di persone. Col loro vissuto e le loro aspirazioni. Il rischio di una frode, o comunque di comportamenti eticamente discutibili, va messo in conto.

In altri casi, invece, il ricercatore di turno sbaglia in buona fede, arrivando perfino a interpretare inconsciamente i risultati in funzione delle proprie aspettative, scartando quel che non gli torna ed esaltando i dati che confermano le sue idee.

Ma per fortuna, non si fa scienza da soli. C’è un’intera comunità di addetti ai lavori che vaglia le novità, cerca di riprodurre i risultati, discute, critica e corregge. Nel caso delle STAP, furono proprio gli esperti in materia a sollevare dubbi sulla solidità della scoperta, visto che quei risultati non erano riproducibili in altri laboratori. La magagna è venuta presto a galla e gli articoli sono stati ritirati.

Gli errori – frodi incluse – possono sfuggire sul momento, ma di solito non hanno vita lunga. E tanto più la scoperta è eclatante, quanto più la comunità scientifica si attiva per “fare le pulci” ai risultati pubblicati.

Polietilene. Foto di Lluís de Tarragona, CC BY-SA 3.0

In queste settimane si parla sempre più insistentemente di interfacce che possano ampliare le possibilità umane. Pensa accetteremo mai una simile prospettiva, da un punto di vista culturale? I rischi e i vantaggi ai quali andremmo incontro sarebbero diversi da quelli che vediamo nei futuri distopici della fantascienza?

Penso che, come in ogni avventura dell’umanità, ci sarà spazio per tutto: qualcuno ambirà ad avere un corpo performante, in grado di correre veloce come il vento o, che so io, di vedere nell’infrarosso, e qualcuno si accontenterà di quel che madre natura ci ha donato, puntando sostanzialmente ad avere un corpo in buona salute e che mantenga le proprie funzionalità, nonostante l’invecchiamento, le malattie o eventuali incidenti di percorso che possono capitare.

Nel libro racconto il caso emblematico di Neil Harbisson, il primo ragazzo cyborg, in grado di percepire i colori in forma di suoni, anche quelli al di là delle possibilità della visione umana. Ha fatto bene a farsi impiantare in testa un’antenna per trasformare il mondo che ci circonda in una sinfonia? Non saprei. Mi auguro solo che possa spegnere l’impianto quando desidera il buio, cioè un po’ di silenzio.

Materiali per la vita Foto Giuseppe Fraccalvieri
Il saggio di Devis Bellucci, Materiali per la vita. Le incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo, pubblicato da Bollati Boringhieri (2022) nella collana Saggi Scienze. Foto di Giuseppe Fraccalvieri

Quali potrebbero essere le grandi scoperte in ambito biomateriali che ci aspettano nei prossimi decenni? Saranno inaspettate?

Riguardo all’inaspettato, quando fai ricerca è sempre lì che ti aspetta! A parte gli scherzi, sono tanti i campi di indagine da cui avremo – credo – delle belle sorprese. Impareremo sempre meglio a sfruttare i biomateriali per coadiuvare i processi autoriparativi dei nostri tessuti. Proprio al Dipartimento di Ingegneria dell’Università di Modena e Reggio Emilia stiamo cercando di sviluppare degli speciali biovetri in polvere, con effetto antibatterico e cicatrizzante, per metterli su cerotti e garze da impiegare laddove una ferita fatichi a guarire.

Penso, ad esempio, alle piaghe da decubito o a quelle che affliggono i pazienti diabetici. Ancora, impareremo a sfruttare sempre meglio la stampa e la biostampa 3D, così da realizzare in laboratorio parti di ricambio per i nostri corpi, fatte su misura per ognuno di noi. Infatti, il punto di partenza sono le cellule del corpo del paziente, prelevate tramite biopsia. In questo modo, il tessuto e chissà, in futuro l’organo che andiamo a impiantare non verrà rigettato dall’organismo: spariranno quindi le lunghe lista di attesa per i trapianti e anche i farmaci anti-rigetto diventeranno solo un brutto ricordo.

Un altro ambito interessante è quello dei biomateriali per drug-delivery, ossia il rilascio controllato di farmaci. In questo caso, il biomateriale, ad esempio sottoforma di nanoparticelle, viene caricato con un farmaco, e funge da vettore per condurre la molecola direttamente al bersaglio, ad esempio una massa tumorale. In ultimo, c’è tutto quello che arriverà grazie all’impiego dell’elettronica. Personalmente, sono molto curioso e fiducioso.

 

Le ultime parole del libro mi hanno incuriosito. Riusciremo superare il limite di Hayflick, a raggiungere l’immortalità? Sarebbe poi auspicabile o no?

Il limite di Hayflick ci racconta che, in un certo senso, è scritto nella trama stessa della vita che essa debba esaurirsi e spegnersi. Non so se riusciremo a modificare questo straordinario racconto, di cui facciamo parte e che si svolge ogni giorno attorno a noi. A livello di impressione, mi sembra più probabile che impareremo a riparare sempre meglio i nostri corpi, fino a rigenerarne alcune parti, più che a renderli immortali.

Materiali per la vita Foto Giuseppe Fraccalvieri
Il saggio di Devis Bellucci, Materiali per la vita. Le incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo, pubblicato da Bollati Boringhieri (2022) nella collana Saggi Scienze. Foto di Giuseppe Fraccalvieri

Riprendendo una suggestione del libro, nella scienza oggi servirebbe più gente ragionevole o irragionevole?

Serve gente innamorata di quello che fa: stare continuamente in bilico ai confini, seminare con fiducia senza veder crescere nulla per molto tempo, sentire di far parte di un grande gioco di squadra di cui non conosci appieno né le regole, né gli avversari. E non nascondiamolo: sono necessari grandi sacrifici. Spesso non hai orari, la precarietà è all’ordine del giorno e la tua mente è sempre un pochino da un’altra parte. Ci vogliono quindi passione e amore. L’amore deve essere ragionevole o irragionevole per continuare ad ardere e rinnovarsi, nonostante tutto? Me lo dica lei…

 

La copertina del saggio di Devis Bellucci, Materiali per la vita. Le incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo
La copertina del saggio di Devis Bellucci, Materiali per la vita. Le incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo, pubblicato da Bollati Boringhieri (2022) nella collana Saggi Scienze

Devis Bellucci

Devis Bellucci (Vignola, 1977) ha conseguito una laurea e un dottorato di ricerca in fisica all’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, dove oggi è ricercatore in Scienza e Tecnologia dei Materiali presso il Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari”. Si occupa di materiali compositi per il settore automotive e di biomateriali per ortopedia, odontoiatria e ingegneria dei tessuti. Scrittore, giornalista e divulgatore scientifico, ha pubblicato: “Perché la forchetta non sa di niente? E altre domande curiose per capire la scienza senza uscire di casa” (Rizzoli); “Materiali per la vita. Le incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo” (Bollati Boringhieri) e “Guida ai luoghi geniali. Le mete più curiose in Italia tra scienza, tecnologia e natura per piccoli e grandi esploratori” (Ediciclo).

Antefatto 

Prima di incontrare l’autore del saggio Materiali per la vita, Devis Bellucci, mi stavo arrovellando su una questione. Nel tentativo di questa testata di comunicare gli avanzamenti scientifici (quindi, un fatto intrinsecamente positivo), notavo una risposta assai negativa dal pubblico.
Se si scopriva qualcosa a livello di astronomia, era uno spreco perché quei soldi era meglio spenderli per curare i tumori.
Se si raccontava un’iniziativa in ambito medico, si ipotizzavano chissà quali oscuri moventi.
Se si spiegavano gli avanzamenti nell’intelligenza artificiale, il pubblico si ribellava, ritenendola inutile e ipotizzando futuri distopici nei quali le macchine superano l’uomo, dimenticando completamente le attuali, ubique applicazioni dell’IA.
Non oso neppure accennare alle reazioni sul COVID-19.

La risposta mi era chiara, che non si può pretendere di avere una scienza “on demand”, ma che per raggiungere un obiettivo tanti piccoli passi intermedi sono necessari, che gli studi legati alle missioni spaziali hanno contributo alle nostre conoscenze in tante direzioni, ecc.
Sentivo però che non era una risposta di quelle che lasciano sazio l’interlocutore.

Devis Bellucci Beatrice Mautino Food & Science 2022 Foto Giuseppe Fraccalvieri
Devis Bellucci e Beatrice Mautino al Food&Science 2022 di Mantova. Foto di Giuseppe Fraccalvieri

Arrivarono così i giorni del Food&Science Festival di Mantova e dell’intervento di Devis Bellucci, ricercatore in Scienza e Tecnologia dei Materiali, Università di Modena e Reggio Emilia. Il tema era quello dei materiali che incontrano il cibo, e rimasi piacevolmente colpito tanto dall’eloquio spigliato e acuto, come dalle storie raccontate.
Storie di scienza che spiegavano il mondo attorno, ma davano anche una risposta alle mie domande. Dai materiali utilizzati nello spazio che trovano applicazione sulla terra, a quelli scoperti decenni prima e ritenuti inutili, che diventano d’un tratto utilissimi nel contesto giusto.
È il concetto di serendipità (p. 88), che spesso trova applicazione in campo scientifico, e che in questo libro, oltre a mostrarsi con alcuni splendidi esempi, diventa anche un invito a non essere superficiali e a osservare con grande attenzione (p. 117).

Le storie raccontate in Materiali per la vita non mi sono parse troppo diverse da quelle dell’intervento, e pur nella forma scritta, conservano lo stesso spirito del racconto dal vivo, e così le pagine scorrono veloci [Torna all’inizio].

“Jeff voleva che Amazon si distinguesse per la sua capacità di inventare”, a raccontarlo Colin Bryar e Bill Carr ne Il libretto rosso di Amazon, pubblicato da Vallardi Editore, poco tempo dopo che nel febbraio di quest’anno Bezos aveva lasciato la guida di Amazon ad Andy Jassy, diventandone presidente esecutivo.

La narrazione è resa interessante poiché entrambi gli autori hanno lavorato a stretto contatto con il fondatore del colosso americano per più di un decennio, riuscendo a interessare il lettore escludendo temi di natura teorica in funzione di pratici modelli di business testati sulla pelle di Amazon e dei suoi lavoratori, che di volta in volta con analisi e pianificazione ne hanno migliorato o scartato i dettagli.

Il libretto rosso di Amazon
La copertina del saggio Il libretto rosso di Amazon. I segreti del metodo Jeff Bezos raccontati da due insider, di Colin Bryar e Bill Carr, pubblicato da Antonio Vallardi Editore (2021)

Gli obiettivi e i principi su cui Amazon si fonda sono precisi e mirano, da una parte, a rispondere in modo efficace a una domanda crescente di un determinato cliente target che non segue necessariamente l’andamento di un mercato esistente, dall’altra, far leva sulle competenze interne di chi è chiamato ad essere “amazoniano” per abbracciare la sua intera filosofia aziendale. È Bezos in un discorso pubblico a descrivere l’azienda in questi termini: “La nostra cultura si compone di quattro elementi: la passione per il cliente invece che l’ossessione della concorrenza; la propensione per una vision a lungo termine, con un orizzonte d’investimento più ampio di gran parte dei concorrenti; la passione per l’innovazione, che va di pari passo con la possibilità di sbagliare; infine, l’eccellenza operativa”.

Nulla – come si intuisce nell’analogo Inventa & Sogna pubblicato dalla Sperling & Kupfer nello stesso periodo e basato su lettere che Bezos negli anni ha scritto agli azionisti più qualche sua attenta riflessione -, dalle assunzioni alla comunicazione, dal lancio di nuovi prodotti (come Kindle) e servizi (come quelli digitali di musica e video), era ed è casuale, tanto che essendo metodo collaudato da successi e fallimenti, secondo gli autori, può essere imparato anche da altre aziende piccole o grandi che siano. Bryar e Carr, in questo libro, allora puntano anche alla trasmissione di valori che hanno il potere di completare non solo il lavoro ma anche le interazioni relazionali che nel business possono essere spendibili nel futuro.

Di fatto ad Amazon sanno bene che “il successo [collettivo] può essere raggiunto solo in un ambiente in cui le persone non hanno paura ad esprimersi su eventuali problemi nella loro area di azione”, tenendo sempre d’occhio l’obiettivo di business generale su cui con pazienza dovrà confrontarsi ogni singola (re)azione (che sia di analisi SWOT, di startup o di mantenimento di un progetto innovativo).

Il libretto rosso prescinde dalle polemiche sollevate sul pagamento delle tasse e sul presunto sfruttamento dei lavoratori, concentrandosi invece sulle tecniche di leadership e di management che Amazon ha adottato dal 1994, anno della sua fondazione fino ai giorni nostri, cavalcando l’onda tecnologica e materialistica del sapere.

Amazon
Amazon Spheres, Seattle, Washington. Foto di Joe Mabel, CC BY-SA 4.0

 Colin Bryar e Bill Carr, Il libretto rosso di Amazon. I segreti del metodo Jeff Bezos raccontati da due insider, Antonio Vallardi Editore 2021, pagg. 352, Euro 15.90

 

Il libro recensito è stato cortesemente fornito dalla casa editrice.

IL NUOVO MONDO POST-COVID DALLA FINANZA AL CALCIO

DA EDIZIONI CA’ FOSCARI INSTANT-BOOK FIRMATO DA 53 ECONOMISTI

Investire sulla resilienza per affrontare crisi future tra i messaggi chiave del volume che analizza esperienze e scenari internazionali

economia post-COVID instant-book Edizioni Ca' Foscari
La copertina dell’instant-book A New World post COVID-19. Lessons for Business, the Finance Industry and Policy Makers, edited by Monica Billio and Simone Varotto, Edizioni Ca’ Foscari. Un team di 53 studiosi di economia sul mondo post-COVID

VENEZIA – Gli spettri del protezionismo o dell’austerity, il delicato ruolo della Banca centrale europea, l’incertezza dei mercati attenti alla curva epidemica, la prudenza nel ritorno al turismo. Ma anche l’immobiliare orientato verso case più grandi in cui lavorare, le criptovalute per diversificare, investimenti sulla scia del Green Deal e il calcio che si dovrà reinventare.

Un team di 53 economisti ha esplorato esperienze del passato e scenari di possibile ripresa in vari campi dell’economia, del business e della finanza, realizzando in poche settimane il primo libro sul mondo post-COVIDedito da Edizioni Ca’ Foscari e scaricabile gratuitamente online.

Uno dei capitoli firmati da ricercatori cafoscarini riguarda il nesso tra pandemia, clima e finanza pubblica. Secondo gli studiosi, non sarebbe lungimirante uno sforzo per tornare alla situazione pre-epidemica, ma piuttosto andrebbero favorite politiche che puntino sulla resilienza socio-economica in vista di future pandemie o crisi di simile portata, allineandole a iniziative europee come il Green Deal. Sarebbero scelte egualmente costose rispetto a politiche di più corto respiro, ma metterebbero l’Europa nelle condizioni di affrontare meglio futuri shock, concludono gli autori Stefano Battiston, Monica Billio e Irene Monasterolo, i quali hanno condotto queste analisi nell’ambito di un progetto in collaborazione con la Banca Mondiale che ha riguardato finora paesi in via di sviluppo e proseguirà nei prossimi mesi.

Il volume, curato da Monica Billio, direttrice del Dipartimento di Economia dell’Università Ca’ Foscari Venezia, e da Simone Varotto, professore associato alla Henley Business School della University of Reading, inaugura una collana su Innovation in Business, Economics & Finance, diretta da Carlo Bagnoli, professore di Innovazione Strategica a Ca’ Foscari.

“Le pandemie sono eventi dirompenti che hanno conseguenze profonde per la società e l’economia – afferma Simone Varotto, cafoscarino oggi docente a Reading e curatore del libro – il volume intende presentare un’analisi degli impatti economici del COVID-19 e le probabili conseguenze future. Abbiamo chiesto agli studiosi che hanno contribuito di scrivere per lettori non esperti, in modo da diffondere un messaggio che vada oltre l’accademia e gli economisti, per raggiungere i decisori e la società”.

“I contenuti del libro derivano dalle più recenti ricerche e forniscono una quantità di spunti per ulteriori approfondimenti e riflessioni – aggiunge Monica Billio, professoressa a Ca’ Foscari – Questo rende la pubblicazione uno strumento ideale anche per gli studenti di economia e finanza che vogliano capire meglio come la pandemia influenzi le loro discipline”.

E il calcio? Il tema, tanto caro agli appassionati inglesi come agli italiani, ha implicazioni economiche che non vanno sottovalutate. Secondo J. James Reade e Carl Singleton della University of Reading il futuro dipenderà dalle scelte di proprietari e manager dei principali club: punteranno su diversità e inclusione o continueranno a dominare gli interessi finanziari? L’analisi tocca anche il vantaggio, eroso dalle porte chiuse, del giocare “in casa”. Inoltre, paventa un possibile contagio, ma questa volta finanziario, in caso di bancarotta di club molto dipendenti dagli incassi dei biglietti: la maggior parte dei loro debiti sono detenuti da altre società sottoforma di pagamenti dilazionati dei trasferimenti di giocatori. Vie d’uscita? Secondo i ricercatori diversificare su un asset in crescita come il calcio femminile e tagliare spese improduttive come le provvigioni degli agenti sarebbero tra le migliori politiche per garantire un futuro all’industria del pallone.

Link al libro:  http://doi.org/10.30687/978-88-6969-442-4

A New World Post COVID-19 

Lessons for Business, the Finance Industry and Policy Makers

 

Testo e immagine dall’Ufficio Comunicazione e Promozione di Ateneo Università Ca’ Foscari Venezia sull’instant-book Edizioni Ca’ Foscari, realizzato da 53 studiosi di economia sul mondo post-COVID.