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Marte, il pianeta rosso. Gli antichi Greci lo identificarono col dio Ares, corrispondente a sua volta al romano Marte: il rosso dio della guerra pare una scelta certo appropriata. Lo si rappresenta con scudo e lancia, i quali vennero stilizzati per formare il simbolo astronomico del pianeta (e pure del sesso maschile).

 

Tra i sette pianeti del sistema solare, è quello più simile alla nostra Terra; sebbene più piccolo (il diametro è circa la metà di quello terrestre), il giorno solare marziano, detto sol, dura poco più di 24 h e l’asse di rotazione è inclinato di circa 25° sul piano dell’orbita, vicino al valore dei 23° di quella terrestre. Per via della somiglianza nel valore dell’angolo di inclinazione dell’asse, anche Marte sperimenta il susseguirsi delle quattro stagioni che, assieme alla latitudine, producono una variazione di temperatura da un minimo di circa -140° C ad un massimo di una ventina di gradi.

Il Monte Olimpo. Foto Nasa, mosaico di altre dal Viking, ritoccata da Seddon, pubblico dominio

Pure la morfologia della superficie è simile a quella del nostro pianeta: su Marte ci sono valli, pianure e montagne. Tra queste ultime, spicca il Monte Olimpo, la vetta più alta del sistema solare, con i suoi 27 km. Degna di nota è anche la Valles Marineris, un solco analogo al nostro Grand Canyon, ma decisamente più lungo, largo e profondo.

Marte
La Valles Marineris, foto mosaico di altre dal Viking, courtesy NASA/JPLCaltech, attribuzione

Nel cielo di Marte potremmo scorgere due piccole lune, Phobos e Deimos, dei grossi sassi per nulla sferici e molto scuri che, in un lasso di tempo superiore alle centinaia di milioni di anni, abbandoneranno il loro pianeta, il primo precipitandovi sopra, il secondo allontanandosene definitivamente.

Forse, però, l’aspetto più intrigante di Marte è la ricerca di forme di vita.

La mappa di Marte di Giovanni Schiaparelli, dalla Meyers Konversations-Lexikon (1888). Pubblico dominio

Già nel 1877, l’astronomo italiano Giovanni Schiaparelli, osservando Marte, notò delle strutture simili ai fiumi terrestri che chiamò canali. Da un’errata traduzione di “canale” in canal si originò e diffuse l’affascinante idea di un Marte popolato da una civiltà intelligente e avanzata, in grado di progettare una rete idraulica di canali per sopperire all’aridità del pianeta. Questa convinzione era corroborata anche dall’osservazione delle frequenti variazioni nell’aspetto di Marte dovute a fenomeni meteorologici, ma interpretate allora come movimento di una copertura boschiva. La distruzione del mito fantascientifico dei marziani arriva solo nella seconda metà del ‘900 grazie alle esplorazioni spaziali. Come per la corsa alla Luna, i primi protagonisti della corsa alla scoperta di Marte furono USA e URSS e, analogamente, fu un susseguirsi di insuccessi cominciati nel 1960 con le sonde sovietiche Marsnik e Sputnik. La prima foto arriva nel 1964 con la Mariner 4 della NASA che fornisce l’immagine di un pianeta morto, molto simile alla Luna. Dunque i marziani non esistevano, ma le immagini della Mariner 9 del 1971 fecero intuire la presenza di antichi mari e fiumi e risorgere la speranza della presenza di forme di vita, almeno in passato.

Francobollo da 6 copechi dell’Unione Sovietica (1964), ritraente la sonda Mars 1/Sputnik23. Pubblico dominio

Grande successo ebbero poi le due missioni, nel 1975, del programma Viking della NASA che inviarono più di 50000 foto a colori; tra queste anche la famosa “faccia” che alimentò la fantasia degli ufologi. Nel Dicembre del 1996 partì la missione Mars Pathfinder che trasportava Sojourner, il primo rover a muoversi su Marte, a cui seguirono i due rover gemelli Spirit ed Opportunity nel 2003, del programma Mars Exploration Rover, tutti sotto guida NASA. Nel 2003 scese in campo anche l’ESA, con Mars Express che prevedeva anche un lander andato, purtroppo, perduto. L’orbiter, tutt’oggi in funzione, scovò, invece, ghiaccio d’acqua e di anidride carbonica nel polo Sud del pianeta. La presenza di ghiaccio al polo Nord era già stata accertata nel 2008 dal lander della missione NASA Phoenix.

Marte
Il programma Viking col suo lander nella Chryse Planitia. Foto realizzata da Roel van der Hoorn sulla base di scatti (1977) NASA Viking image archive, pubblico dominio

Nel 2011, il programma Mars Science Laboratory con il rover Curiosity, si è rivelato indubbiamente una delle missioni di maggior successo per l’esplorazione di Marte. Atterrato nell’Agosto del 2012 nel mezzo del cratere Gale, Curiosity ha superato di gran lunga i due anni di durata nominale della missione ed è tuttora attivo. L’obiettivo principale della missione era proprio determinare l’“abitabilità” di Marte. Nel suo viaggio dal cratere Gale al monte Sharp, Curiosity ha collezionato numerosi risultati scientifici; tra di essi ricordiamo la conferma della presenza di antichi laghi che hanno ospitato l’acqua per decine di migliaia di anni e, dall’analisi delle rocce, la scoperta di composti organici. Curiosity ci ha anche rivelato che Marte, in passato, possedeva un’atmosfera molto più spessa nella quale c’era una maggiore percentuale di ossigeno. Ha trovato una variazione ciclica del metano in atmosfera attribuibile all’interazione tra rocce ed acqua oppure a microrganismi. Ci ha descritto, in conclusione, un ambiente compatibile con la vita.

Il cratere Korolev ripreso dal Mars Express dell’ESA. Foto ESA/DLR/FU Berlin, CC BY-SA 3.0

Ancora in corso sono anche InSight (NASA) e ExoMars (ESA). A quest’ultima, di cui l’Italia attraverso l’ASI è il principale sostenitore con il 40% dell’investimento totale, si deve la scoperta di un bacino di acqua salata sotterraneo nei pressi del polo Sud di Marte.

Il futuro dell’esplorazione del pianeta rosso è in mano alle numerose nuove spedizioni, a partire dal diretto successore di Curiosity, il rover Perseverance, a cui si affiancherà il Mars Helicopter nell’ambito della missione Mars 2020, la cui partenza è stata programmata per questa estate. Per non parlare delle missioni con equipaggio umano…

Video a cura di Inter Nos: Silvia Giomi e Marco Merico