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BESTIARI, ERBARI, LAPIDARI, documentario di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

Un viaggio sentimentale tra cultura, scienza e arte del nostro vecchio continente

IN TOUR NEI CINEMA DAL 5 OTTOBRE 2024

Bestiari, Erbari, Lapidari, documentario di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti 
il poster del documentario

Presentato in anteprima Fuori Concorso all’81. Mostra d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia Bestiari, Erbari, Lapidari di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti arriva nei cinema a partire dal 5 ottobre distribuito da Luce Cinecittà.

L’uscita in sala sarà accompagnata da un tour nei cinema alla presenza della coppia di documentaristi che prende il via sabato 5 ottobre a Milano (ore 16.30 – Fondazione Prada) dove torneranno anche giovedì 10 ottobre (ore 19.00 Anteo Palazzo del Cinema) e mercoledì 16 ottobre (ore 20.00 Cinema Beltrade). Dopo la prima tappa nella città meneghina si prosegue a Roma lunedì 7 ottobre (ore 20.15 – Nuovo Sacher), martedì 8 ottobre a Firenze (ore 19.00 – Cinema La Compagnia), mercoledì 9 ottobre a Pisa (ore 20.00 – Cinema Arsenale), sabato 12 ottobre a Spoleto (ore 17.00 – Sala Pegasus) e Perugia (ore 20.00 – Postmodernissimo), domenica 13 ottobre a Bologna (ore 20.00 – Cinema Modernissimo), lunedì 14 ottobre a Bergamo (ore 20.00 – Cinema Borgo), martedì 15 ottobre a Brescia (ore 20.45 – Nuovo Eden), giovedì 17 ottobre Torino (Cinema Fratelli Marx), sabato 19 ottobre a Padova (ore 20.00 – Cinema Lux),  lunedì 21 ottobre a Venezia (ore 19.00 – Cinema Giorgione), martedì 22 ottobre a Reggio Emilia (ore 20.15 – Rosebud), mercoledì 23 ottobre a Parma (Cinema Astra, ore 19.00) e Modena (Cinema Truffaut, ore 20.30), sabato 26 ottobre a Aosta dove aprirà FrontDoc, Festival Internazionale del Cinema di Frontiera.

Bestiari, Erbari, Lapidari di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti è stato selezionato Fuori Concorso all’81. Mostra d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.

La prima volta che abbiamo visto queste immagini siamo rimasti ipnotizzati. Il bianco della neve e del cielo avvolgono tutta la scena: le due sagome nere si fronteggiano con un movimento inverso: l’uomo avanza e il pinguino indietreggia. Il fotogramma li contiene entrambi fino a quando il pinguino camminando all’indietro si allontana fino a sparire.  Così abbiamo scoperto che queste immagini erano state filmate durante la spedizione al Polo Sud di Roald Amundsen nel 1910-1912 che aveva raggiunto il Polo Sud con quella che probabilmente è l’imbarcazione di legno più resistente della storia, il Fram.  Questa è la prima volta che un uomo e un pinguino vengono filmati all’interno dello stesso fotogramma.  Questa immagine che ha tutta la potenza del cinema delle origini è diventata l’immagine del manifesto cinematografico del nostro ultimo film, “Bestiari, Erbari, Lapidari”.

 Massimo D’Anolfi, Martina Parenti

La coppia di documentaristi torna con il nuovo progetto alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, dove aveva presentato nel 2016 “Spira Mirabilis” in Concorso Ufficiale, nel 2018 il cortometraggio “Blu” e, nel 2020, “Guerra e pace” in Concorso Orizzonti.

“Il compito dei documentari-saggio è quello di rappresentare un concetto. Anche ciò che è invisibile deve essere reso visibile. […]

Per riuscire a dare corpo al mondo invisibile dell’immaginazione, dei pensieri e delle idee,

il film-saggio può servirsi di una riserva di mezzi espressivi incomparabilmente maggiore di quella del semplice film documentario”
Hans Richter, 1939

SINOSSI

Bestiari, Erbari, Lapidari è un documentario “enciclopedia”, diviso in tre atti ognuno dei quali tratta un singolo soggetto: gli animali, le piante, le pietre. Un omaggio a quegli “sconosciuti” e per certi versi alieni mondi, fatti di animali, vegetali e minerali, che troppo spesso diamo per scontato, ma con cui dovremmo essere in costante dialogo dal momento che costituiscono la parte essenziale della nostra esistenza sul pianeta Terra. Strettamente connessi tra loro, gli atti del film disegnano uno sviluppo drammaturgico unico, attraverso tre diversi dispositivi di messa in scena. Ogni atto è infatti un omaggio a uno specifico genere del cinema documentario.

Bestiari è un found-footage su come e perché il cinema ha ossessivamente rappresentato gli animali; Erbari un documentario poetico d’osservazione all’interno dell’Orto Botanico di Padova; Lapidari, infine, un film industriale sulla trasformazione della pietra in memoria collettiva.

Un coro unico di protagonisti, attraverso multiformi voci e suoni, racconta di noi e preserva il nostro sapere.


NOTE DI REGIA

A scuola nel Medioevo tra una lezione di grammatica e una di retorica si studiavano bestiari, erbari e lapidari. Dai primi si imparava, per esempio, che le tigri s’incantano davanti alla loro immagine riflessa in uno specchio (e non mancava lo studio di animali particolari, sulla cui esistenza nessuno nutriva dubbi, come draghi e ippogrifi), dai secondi si cercavano cure, rimedi e afrodisiaci, mentre dai terzi si estraeva quanto c’era da sapere sugli influssi che le stelle hanno su ogni singola pietra preziosa e sulle loro virtù magiche.

Così, alla stregua della tradizione europea condivisa, Bestiari, Erbari, Lapidari è il luogo in cui animali, piante e pietre, convivono con le persone che di essi quotidianamente si occupano, ma è anche l’occasione per raccogliere i racconti, le storie, le riflessioni su noi umani.

A ogni spettatore il compito di arricchire il film con il proprio bagaglio di esperienze, interessi, letture o visioni cinematografiche.

Bestiari, Erbari, Lapidari, nella sua totalità, procede dunque come un film-saggio: la videocamera puntata su ciò che accade davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie.

Il racconto ha una struttura narrativa che combina pensiero razionale ed emotivo.

Crediamo che il nostro compito sia quello di “re-inventare” una visione e una rappresentazione del reale e cercare di instaurare relazioni vitali fra gli elementi che compongono le inquadrature dell’opera.

Così facendo, non cerchiamo il “reale”, ma la rappresentatività del reale.

Scriveva T. S. Eliot che l’unico modo per esprimere un’emozione in forma d’arte consiste nel trovare “un correlativo oggettivo”; in altre parole, una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi che costituiscano la formula di quella particolare emozione.

Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

L’IMMAGINE DELLA LOCANDINA

La prima volta che abbiamo visto queste immagini siamo rimasti ipnotizzati. Il bianco della neve e del cielo avvolgono tutta la scena: le due sagome nere si fronteggiano con un movimento inverso: l’uomo avanza e il pinguino indietreggia. Il fotogramma li contiene entrambi fino a quando il pinguino camminando all’indietro si allontana fino a sparire.

Così abbiamo scoperto che queste immagini erano state filmate durante la spedizione al Polo Sud di Roald Amundsen nel 1910-1912 che aveva raggiunto il Polo Sud con quella che probabilmente è l’imbarcazione di legno più resistente della storia, il Fram.

Questa è la prima volta che un uomo e un pinguino vengono filmati all’interno dello stesso fotogramma. Questa immagine che ha tutta la potenza del cinema delle origini è diventata l’immagine del manifesto cinematografico del nostro ultimo film, “Bestiari, Erbari, Lapidari”.

 


 

Bestiari, Erbari, Lapidari vuole essere un viaggio sentimentale tra cultura, scienza e arte del nostro vecchio continente.

Crediamo che il nostro compito sia quello di “re-inventare” una visione e una rappresentazione del reale e cercare di instaurare relazioni vitali fra gli elementi che compongono le inquadrature dell’opera. Così facendo, non cerchiamo il “reale”, ma la rappresentatività del reale e l’occasione per raccogliere i racconti, le storie, le riflessioni su noi umani.

A ogni spettatore il compito di arricchire il film con il proprio bagaglio di esperienze, interessi, letture o visioni cinematografiche. (Massimo D’Anolfi e Martina Parenti)

Massimo D’Anolfi e Martina Parenti
Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

Bestiari, Erbari, Lapidari è una produzione Montmorency Film con Rai Cinema Lomotion con SRF Schweizer Radio Und Fernsehen / SRG SSR con il supporto di MIC, Euimages con il contributo di PR FESR Lombardia 2021-2027 – Bando “Lombardia per il cinema” Fondo Sviluppo Italia Francia con il supporto di Berner Filmförderung, Burgergemeinde Bern in associazione con Luce Cinecittà con partecipazione con Eye Filmmuseum, Cinémathèque Suisse. Vendite internazionali Fandango Sales.

Il film sarà distribuito da Luce Cinecittà a partire da ottobre 2024.

Bestiari, Erbari, Lapidari   – opera in tre atti (I atto 73’ + II atto 73’ + III atto 62’ per un totale di 208 min.)  è prodotto da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, David Fonjallaz e Louis Mataré.

Massimo D’Anolfi e Martina Parenti oltre che della produzione e della regia si occupano della fotografia, delle riprese, del suono, del montaggio dei loro progetti. Le musiche originali sono di Massimo Mariani.

Il film distribuito da Luce Cinecittà a partire dal 5 ottobre 2024


CREDITI

Scritto e diretto da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

Fotografia e camera Massimo D’Anolfi

Suono in presa diretta Massimo D’Anolfi, Agit Utlu

Montaggio Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

Musiche originali Massimo Mariani

Prodotto da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti David Fonjallaz e Louis Mataré

Prodotto da Montmorency Film con Rai Cinema

e Lomotion con SRF Schweizer Radio Und Fernsehen / SRG SSR

Con il supporto di MIC Eurimages

Berner Filmförderung Burgergemeinde Bern

Con il contributo di PR FESR Lombardia 2021-2027 – Bando “Lombardia per il cinema” Fondo Sviluppo Italia Francia

In associazione con Luce Cinecittà

Con partecipazione con Eye Filmmuseum Cinémathèque Suisse

Grazie a Orto Botanico dell’Università di Padova

Durata 208’ (I atto 73 + II atto 73 + III atto 62)

Anno 2024

Vendite internazionali Fandango Sales

Distribuzione Luce Cinecittà

 


 

Bestiari è stato filmato presso Lichtspiel | Kinemathek Bern, Clinica Veterinaria Rovati Villa

Zibellini, Archivio Tembrock | Humboldt Universität Berlin,

Archivio dello Zoo di Zurigo

con Sophia Gräfe e Francesco Pitassio

Erbari è stato filmato presso Orto Botanico dell’Università di Padova, CBC Bioplanet,

TecnogardenService

con Roberto Tacchetto, Luca Cacciavillani, Marco Canella, Antonio Giraldo, Nicola Lain, Giacomo Mario, Stefano Miotto, Leopoldo Negrin, Pierluigi Palini, Pierluigi Pavelli, Abdoulaye Sangare, SimonePeraro,RiccardoPieran,PaoloRigon,FabioRossanese, Mariacristina Villani, Greta D’Apice, Silvia Moschin, Rossella Marcucci,PaolaMario

Lapidari è stato filmato presso Cementificio Buzzi, Cava Manfrinato, Archivio Centrale dello Stato,

Laboratorio delle Pietre di Inciampo di Berlino, Museo della Natura e dell’Uomo

con Marco Steiner e Michael Friedrichs-Friedlaender


 

 

Testi, video e immagini dagli Uffici Stampa Luce Cinecittà e del film. Aggiornato il 20 agosto e il 27 settembre 2024.

AFTER WORK

un documentario per la regia di ERIK GANDINI

After Work Erik Gandini

liberamente ispirato dagli scritti sull’ideologia del lavoro di Roland Paulsen

Durata 77’

DAL 15 GIUGNO AL CINEMA CON FANDANGO DISTRIBUZIONE

After Work – Opzioni per lo streaming

SINOSSI LUNGA

Nel 2013, due ricercatori di Oxford hanno pubblicato “The Future of Employment” (Il futuro dell’occupazione), in cui hanno analizzato la possibilità che diverse professioni vengano sostituite da algoritmi informatici nei prossimi 20 anni. Questo studio, molto citato, è giunto alla conclusione che il 47% dei lavori statunitensi è ad alto rischio. Ad esempio, c’è una probabilità del 99% che gli addetti al telemarketing e i sottoscrittori di assicurazioni perdano il loro lavoro a favore degli algoritmi. Il 97% di probabilità che entro il 2033 i cassieri saranno sostituiti da macchine. Per gli autisti di autobus le probabilità sono l’89%.

La maggior parte dei lavori esistenti oggi potrebbe scomparire nel giro di qualche anno. Man mano che l’intelligenza artificiale supera l’uomo in un numero sempre maggiore di compiti, sostituirà l’uomo in un numero sempre maggiore di lavori. Si profila un’era di disoccupazione tecnologica, in cui gli scienziati informatici e gli ingegneri del software ci toglieranno essenzialmente il lavoro, e il numero totale di posti di lavoro diminuirà in modo costante e permanente.

La nostra società è una società basata sul lavoro. Fin dall’infanzia ci viene insegnato ad essere orientati al risultato e ad essere competitivi. Mentre impariamo a lavorare, tendiamo a mettere da parte tutti gli altri aspetti dell’essere umano. Possiamo pensare a un futuro diverso?

Uno sguardo al futuro prossimo ci dice che nel XXI secolo potremmo assistere alla creazione della classe dei non lavoratori, caratterizzata da persone che si sentono irrilevanti, senza valore economico perché non possono fare nulla di meglio dell’IA o di un robot e, diventando sostituibili, potrebbero finire per essere privi di una forza politica collettiva.

Il dibattito sulle conseguenze di questa situazione è dominato da esperti di tecnologia ed economisti e spesso dipinto come una distopia fantascientifica. Ciò che manca è la prospettiva umana, nel senso di uno sguardo a ciò che questo significherà per noi come esseri umani. L’approccio di questo documentario è quindi puramente esistenziale e mira a esplorare come saremo e cosa faremo quando non dovremo più lavorare.

Il paradosso del lavoro è che molte persone odiano il proprio lavoro, ma sono molto più infelici se non fanno nulla. Oppure, sono infelici perché non guadagnano abbastanza? O perché c’è una pressione culturale intorno a loro?

Attraverso storie contemporanee, in quattro diversi angoli del mondo, After Work porta allo spettatore utili elementi per disegnare scenari futuri, raccontando aspetti iperbolici e paradigmatici dell’ideologia, dell’etica del lavoro, del rapporto tra esistenza e lavoro, in – Kuwait, Corea del Sud, Stati Uniti e Italia – società con modelli di sviluppo molto distanti tra loro.

una produzione FASAD PRODUCTION AB

una coproduzione

PROPAGANDA ITALIA con RAI CINEMA

e INDIE FILM

CAST

Insegnante – YOO GA YEON

Fabbricante – YOO DEUG YOUNG

Proprietario del giardino di Valsanzibio – ARMANDO PIZZONI

Direttore generale del Centro sviluppo etica del lavoro – JOSH DAVIS

Filosofo – ELIZABETH S. ANDERSON

Socio dirigente di Gallup – PA SINYAN

Filosofo – NOAM CHOMSKY

Autista Amazon – ASTRID MOSS

Sceneggiatore – MEQDAD AL KOUT

Autore e professore universitario – MAI AL NAKIB

Impiegata pubblica – FATIMA

Allevatrice di cavalli – RORY MARZOTTO

Uomo d’affari – FERDINANDO BUSINARO

Sociologo – LUCA RICOLFI

Ex dipendente – JEONG BOSEONG

CREW

Regia di ERIK GANDINI

Direttore della fotografia FREDRIK WENZEL, FSF

Montaggio e Musiche JOHAN SÖDERBERG

Produttore musicale e arrangiamenti CHRISTOFFER BERG

Sound Design JØRGEN BERGSUND, RIKARD STRØMSODD

Sound recordist CHIARA ANDRICH

CREDITI

Prodotto da Fasad Production AB

In coproduzione con Propaganda Italia / Marina Marzotto a.g.i.c.i & Mattia Oddone con Rai Cinema
Indie film / Carsten Aanonsen

SVT / Axel Arnö & Asta Dalman
Film i Väst / Jenny Luukkonen
VPRO / Commissioning Editor Barbara Truyen
GEO Television / Arno Becker & Simone Theilmann

In associazione con YLE / Jenny Westergård

 

Con la partecipazione di RTS Radio Télévision Suisse Department of Documentaries Steven Artels & Bettina Hofmann

Con il contributo di MiC- Ministero Italiano della Cultura

Svenska Filminstitutet / Klara Grunning

Nordisk Film & Tv Fond / Karolina Lidin

Norsk Filminstitutt / Eirin Gjørv

Fritt Ord Foundation / Bente Roalsvig NRK / Fredrik Færden

Consulenti di produzione NFI Ravn Wikhaug & Benedikte Danielsen

Produttore associato Costanza Julia Bani

Produttore delegato

per Propaganda Italia Cristina Rajola

Durata 77’

Distributore Fandango

I DIVERSI STATI IN AFTER WORK

USA

‘No Vacation Nation’ – Secondo uno studio condotto dal Project Time Off della US Travel Association, nel 2018 i lavoratori americani hanno lasciato sul tavolo 768 milioni di giorni di vacanza non utilizzati. Ciò si traduce in una stima di 65,5 miliardi di dollari di mancati benefici, ovvero una media di 571 dollari per dipendente. Inoltre, lo studio ha rilevato che più della metà dei lavoratori americani (55%) non ha utilizzato tutti i giorni di ferie nel 2018 e il 24% ha dichiarato di non averne usufruito affatto. Ciò suggerisce che molti lavoratori americani non sono in grado o non sono disposti a prendere le ferie a cui hanno diritto, perpetuando la cultura del superlavoro e la reputazione di “No Vacation Nation”.

Gli americani hanno un rapporto unico con il lavoro. Il concetto di “sogno americano” è stato a lungo associato all’idea di lavorare sodo e raggiungere il successo. Questa mentalità ha creato una cultura in cui il lavoro è spesso visto come l’obiettivo finale, con poca enfasi sul tempo libero. Di conseguenza, gli Stati Uniti sono noti come la “nazione senza vacanze”. Mentre molti altri Paesi sviluppati garantiscono ai loro lavoratori ferie retribuite, negli Stati Uniti non esiste una legge federale che imponga ai datori di lavoro di fornire ferie retribuite.

KUWAIT

L’impiego pubblico in questo paese comporta privilegi unici: il rischio di essere licenziati è praticamente inesistente e le promozioni si basano sull’età anziché sul rendimento. La vita quotidiana nel settore pubblico è caratterizzata da un notevole esubero di personale e dalla mancanza di compiti. Questo modello si ripercuote sull’etica del lavoro e sulla produttività e, secondo l’OMS, il Kuwait è il Paese più fisicamente inattivo del mondo, anche se tutti hanno un impiego e sono ben retribuiti. Il sistema di distribuzione delle ricchezze petrolifere del Paese è stato paragonato a un reddito di base (UBI), ma con un impegno lavorativo ’’simulato’’ come contropartita. La scarsa intensità di lavoro in edifici all’avanguardia, il clima caldo disagevole e i vasti centri commerciali rendono il Kuwait un luogo congeniale per analizzare una probabile idea di lavoro del futuro.

COREA DEL SUD

Un’etica del lavoro unica, che affonda le sue radici nel confucianesimo, è alla base della miracolosa crescita della Corea del Sud, dalla povertà estrema al successo informatico. Tuttavia, la cultura del lavoro si è rivelata un rischio per la salute e un problema sociale che è considerato la causa del calo delle nascite, delle alte statistiche sui suicidi e del fenomeno della Gwarosa, la “morte per eccesso di lavoro”. Il ministro del Lavoro coreano Kim Joung Joo (forse l’unico ministro del Lavoro al mondo con la missione di far lavorare meno le persone) ha lanciato diverse campagne per cambiare le abitudini lavorative tossiche. A lei si deve l’iniziativa “Diritto al riposo”, che ha ridotto la settimana lavorativa da 68 ore a un massimo di 52. L’ultima direttiva del governo garantisce che i computer in tutti i principali luoghi di lavoro vengano spenti automaticamente alle 18.00. Parallelamente, vengono realizzate campagne pubblicitarie che invitano i lavoratori a non rimanere in ufficio fino a tardi. In una di queste appaiono lavoratori esausti che ricevono consigli su occupazioni alternative: cucinare, fare formazione, dipingere un quadro, passare del tempo con i bambini e la famiglia. L’immaginazione collettiva di una società sovraccarica di lavoro è esaurita al punto che sono necessarie immagini prodotte dall’esterno per ispirare idee su ciò che potrebbe essere la vita al di là del lavoro?

ITALIA

Con l’obiettivo di raggiungere un altro livello di riflessione sull’esistenza senza lavoro, l’attenzione iniziale si concentra sul piccolo gruppo di persone iper-ricche appartenenti a dinastie imprenditoriali industriali che hanno vissuto per diverse generazioni senza dover lavorare. Come si presenta la vita quotidiana di queste persone? Che cosa hanno imparato dovendo scegliere la propria vita, esplorando creativamente ciò che ha senso per loro? Quali sono le intuizioni e i consigli di cui possono beneficiare i futuri disoccupati? Un aspetto che rende l’Italia ancora più interessante è che offre un ulteriore livello di complessità. Qui non sono solo i super-ricchi a non lavorare. All’interno della classe media italiana si trova il più grande gruppo di “NEET” (Neither in Employment, Education or Training) in Europa. Questo gruppo rappresenta il 28,9% degli italiani tra i 20 e i 34 anni, rispetto a una media del 16,5% in Europa e dell’8% in Svezia.

NOTE DI REGIA

Ho un incubo personale ricorrente: arrivare alla fine della mia vita e con rimpianto, rendermi conto di aver lavorato troppo. Essere colpito, troppo tardi, dalla consapevolezza di aver sbagliato a stabilire le priorità per tutta la mia esistenza a causa di un’idea, radicata in me, che fa parte della cultura di cui sono il prodotto. Il lavoro è un’idea normale come l’aria che respiriamo, quindi difficile da mettere in discussione. La nostra società è una società basata sul lavoro. Fin dall’infanzia ci viene insegnato a seguire l’etica del lavoro, a istruirci per prepararci a trovare un lavoro.

Ho sempre visto il documentario come un modo per catturare, esporre e dare un senso al mio tempo (La teoria svedese dell’amore, The Rebel Surgeon, Videocracy, Surplus). Con After Work ho voluto fare un passo avanti, cercando di documentare una realtà che non è ancora completamente accaduta. Attraverso il metodo del What-if? Cosa faremo quando non dovremo più lavorare?

Questo film non è fatto con l’intenzione di ritrarre le cose come sono. Piuttosto come potrebbero essere.

È girato nel presente, con l’obiettivo di creare una proiezione nel futuro. Il futuro attraverso il presente.

Erik Gandini. Crediti per la foto: Jens Lasthein
Erik Gandini. Crediti per la foto: Jens Lasthein

CATTURARE CIÒ CHE POTREBBE ESSERE

Un importante punto di partenza per questo progetto è la distinzione del filosofo tedesco Herbert Marcuse tra pensiero unidimensionale – attenersi solo a “ciò che è” – e pensiero bidimensionale – abbracciare anche “ciò che potrebbe essere”. Marcuse vedeva nell’arte la chiave per dare vita alla seconda dimensione in un’epoca in cui le razionalizzazioni aprivano la strada al dominio del pensiero unidimensionale. O all’evasione come cura alla sorta di alienazione che la vita moderna, il consumo e il lavoro noioso portavano con sé. Per Marcuse l’arte ha il dovere di invitare a immaginare un mondo migliore. Non solo per criticare o per distrarre.

Quando ho iniziato a girare After Work c’era questa mia chiara intenzione: la maggior parte del dibattito sul futuro del lavoro è dominato da tecnici e teorici, esperti di IA e automazione. A me non interessa la tecnologia, il mio approccio con After Work è esistenziale. Ho cercato di evitare quasi completamente la prospettiva tecnologica, concentrandomi invece sui personaggi, sulla prospettiva umana. Sono incuriosito dalle possibilità di una vita post-lavorativa, di un’esistenza libera dal lavoro. Esplorare questo enigma: riusciremo a liberarci dal workismo, dalla convinzione quasi religiosa che il lavoro debba essere il fulcro della nostra esistenza? O continueremo a lavorare per il gusto di lavorare?

Una delle ispirazioni per After Work mi è venuta leggendo il sociologo svedese Roland Paulsen e i suoi scritti su quella che lui chiama ‘’L’ideologia del lavoro’’, ‘’un insieme di paure, valori e idee che giustificano il fatto che dovremmo continuare a lavorare tanto, o anche di più, indipendentemente da quanto la tecnologia diventi efficace.’’

Perché l’ideologia del lavoro sia così forte, perché queste paure e questi valori siano così presenti è una sorta di enigma, un mistero che mi ha ispirato in questo film. Con questa domanda ho esplorato diverse società che sono interessanti se ci si interroga sul ruolo del lavoro. Siamo in grado di immaginare un futuro diverso, con una nuova idea di lavoro più compatibile con il futuro?

E si può trovare un modello nel presente? Magari proprio tra quelli che non ci aspettiamo che possano insegnarci qualcosa? Come per esempio i super ricchi e i privilegiati.

Mi piace pensare a After Work come a un film guidato dalle idee, più che dai personaggi. Eppure ho trovato persone immensamente affascinanti con intuizioni nate da esperienze reali negli Stati Uniti, la “No Vacation Nation”, l’unico paese del mondo sviluppato senza leggi che garantiscano le ferie.

E in Corea del Sud, dove il governo sta cercando di affrontare il problema del sovraccarico di lavoro attraverso drastici interventi statali, e dove c’è l’unico ministro del Lavoro al mondo con la missione di far lavorare meno le persone.

In Kuwait, dove i cittadini privilegiati potrebbero lavorare meno, ma viene chiesto loro di far finta di lavorare in cambio di un reddito garantito.

E in Italia, il mio Paese d’origine, dove esiste una cultura dell’anti-lavoro e dell’edonismo all’interno della categoria dei giovani definiti NEET – giovani tra i 20 e i 34 anni che non hanno un lavoro, né un’istruzione, né una formazione che in Italia costituiscono 1/3 della gioventù. Considerata dalla leadership del Paese come preoccupante, ma che potrebbe contenere i semi di una potenziale etica anti-lavoro.

SULL’ESTETICA DI AFTER WORK

La collaborazione con Fredrik Wenzel, pluripremiato direttore della fotografia (due volte vincitore della Palma d’Oro come DOP di The Square e Triangle of Sadness di Ruben Östlund), ha aperto nuove frontiere. Abbiamo iniziato a utilizzare semplici telecamere fisse in ambienti reali come uffici o centri commerciali. Per le interviste, abbiamo utilizzato sfondi come i grandi uffici vuoti di Seoul, e lo strumento ‘Eye direct’, la stessa tecnica usata da Errol Morris Interrotron, che fa sì che gli occhi degli intervistati siano rivolti direttamente verso l’obiettivo. Il 4K e il formato cinemascope hanno rafforzato la qualità cinematografica del materiale filmico che è stato curato dal montatore e compositore delle musiche Johan Söderberg, mio collaboratore di lunga data.

Johan Söderberg ha composto le musiche che sono state arrangiate da Christoffer Berg e registrate dal vivo nello studio di Ennio Morricone a Roma con un’orchestra di musicisti italiani.

Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Studio Sottocorno.

IL CERCHIO, di Sophie Chiarello, documentario finalista ai David di Donatello che cattura il punto di vista dei bambini sul mondo

 

IN ESCLUSIVA SU SKY DOCUMENTARIES L’11 MAGGIO 2023 ALLE 21.15

IN STREAMING SOLO SU NOW E DISPONIBILE ANCHE ON DEMAND

Il Cerchio documentario Sophie Chiarello

Chi sono i bambini di oggi, cosa pensano, e come vedono il mondo adulto? Per trovare le risposte a queste domande, Sophie Chiarello è entrata con la telecamera in una classe appena formata di prima elementare. Con una cadenza regolare, per l’intero ciclo di cinque anni, ha partecipato in classe ai cerchi organizzati dalla maestra.

Questo è Il Cerchio, candidato come miglior documentario (Premio Cecilia Mangini) ai David di Donatello, in esclusiva su Sky Documentaries l’11 maggio alle 21.15, in streaming solo su NOW e disponibile on demand.

Il Cerchio è un vero e proprio esperimento sociale, dove per cinque anni la regista ha seguito con la sua cinepresa gli alunni di una classe elementare, catturando così il loro punto di vista speciale sul mondo. Che cos’è l’amore? Chi sono i migranti? Quali sono le differenze tra maschi e femmine? Che cosa vuol dire diventare adulti? Ma soprattutto, chi è Babbo Natale? Queste sono solo alcune delle domande universali su cui i bambini ridono, discutono e si confrontano dalla prima alla quinta elementare, formando di volta in volta un cerchio dove insieme si relazionano, si ascoltano e scoprono qualcosa di nuovo, anche su loro stessi. In poche parole: crescono.

Il Cerchio non è un documentario sui bambini, ma con i bambini, un documentario che parla di loro ma anche degli adulti. Un ritratto del mondo di oggi in cui si specchia quello di domani.

 

IL CERCHIO di Sophie Chiarello è una produzione Indigo Film con Rai Cinema, in collaborazione con Sky Documentaries. In esclusiva su Sky Documentaries l’11 maggio 2023 alle 21.15, in streaming solo su NOW e disponibile on demand.

Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Sky.