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L’IMPATTO PSICOLOGICO DEL COVID-19 SULLA POPOLAZIONE ITALIANA E SUGLI OPERATORI SANITARI

Due studi coordinati dall’Università di Torino hanno indagato i sintomi depressivi e da stress post-traumatico in seguito alla diffusione del Covid-19 in Italia e i loro possibili fattori di rischio

Due studi, condotti durante la pandemia, tra il 19 marzo e il 5 Aprile 2020, e recentemente pubblicati su riviste scientifiche internazionali, hanno indagato i livelli di ansia, depressione e di sintomi da stress post-traumatico (PTSS) nella popolazione generale e negli operatori sanitari (medici e infermieri). I due studi sono stati condotti dal gruppo di ricerca “ReMind the Body” coordinato dal Prof. Lorys Castelli del Dipartimento di Psicologia dell’Università di Torino.

Il primo studio, pubblicato sulla rivista The Canadian Journal of Psychiatry, è stato condotto su 1321 partecipanti provenienti da diverse zone d’Italia. Ai partecipanti è stato richiesto di compilare una serie di questionari, attraverso una survey online anonima.

I risultati hanno messo in luce non solo un’elevata percentuale di individui che presentano sintomi di ansia e depressione clinicamente rilevanti, rispettivamente 69% e 31%, ma anche un’elevata prevalenza di sintomi da stress post-traumatico. Il 20 % del campione riferisce infatti la presenza di significativi PTSS che, come evidenzia la letteratura scientifica, tendono ad aggravarsi nel tempo e che possono sfociare in veri e propri disturbi da stress post-traumatico. Dalla analisi effettuate emerge che i soggetti più a rischio per lo sviluppo di PTSS sono le donne, i soggetti con bassi livelli di scolarità e coloro che sono entrati in contatto con pazienti Covid-19 positivi.

Il secondo studio, condotto sugli operatori sanitari e pubblicato sul Journal of Evaluation in Clinical Practice, è stato condotto su 145 operatori sanitari (72 medici e 73 infermieri), confrontando i sintomi psicopatologici (ansia, depressione e PTSS) tra gli operatori sanitari che stavano lavorando nei reparti Covid-19 (63), vale a dire con pazienti Covid positivi, e quelli che lavoravano in altre unità ospedaliere (82) e non erano quindi a contatto con pazienti Covid positivi. I risultati hanno messo in luce che i primi riportano livelli significativamente più elevati sia di depressione sia di PTSS rispetto ai secondi. Inoltre, tra i professionisti sanitari impegnati nei reparti Covid-19, l’essere donna e l’essere single rappresentano fattori di rischio per i sintomi depressivi mentre l’essere donna e avere un’età più avanzata sono associati a maggiori livelli di PTSS.

Questi risultati, oltre a evidenziare l’impatto drammatico dell’epidemia in atto sulla salute mentale della popolazione italiana e in particolare sugli operatori sanitari impegnati in prima linea nella lotta al Covid-19, evidenziano la necessità di mettere in atto tempestivi programmi di screening, volti a identificare le persone con livelli di psicopatologia clinicamente rilevanti.

È infatti noto che i disturbi psicologici/psichiatrici, come la depressione, possano avere un peso importante anche sulla salute fisica. Le persone che sviluppano depressione, ad esempio, hanno maggiori probabilità di andare incontro a determinate patologie mediche, come l’infarto del miocardio. La presenza di sintomi psicopatologici clinicamente rilevanti non rappresenta quindi solamente un problema di per sé ma ha ampie ricadute a lungo termine sulla salute psico-fisica dell’individuo.

Gli strumenti di screening psicologico permettono di identificare i soggetti che presentano una sintomatologia clinicamente rilevante e, attraverso successive valutazioni, di monitorarne l’andamento nel tempo. Tale procedura, qualora venisse applicata su larga scala, renderebbe possibile proporre degli interventi psicologici mirati (sportelli di ascolto, sostegno psicologico, psicoterapia) che si tradurrebbero in un beneficio per i soggetti che presentano disagio psicologico e in un risparmio economico per il sistema sanitario sul lungo periodo, in termini di minori ricadute psicofisiche e minor richiesta di cure.

Il celebre “motto” dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) “There is no health without mental health”, “non c’è salute senza salute mentale”, ben fotografa la necessità di prendersi carico oggi di questo disagio, affinché non si cronicizzi e non si traduca nel tempo in un più generale peggioramento della salute psicofisica, con i costi umani, sociali ed economici che ne conseguirebbero. Lo Spazio di Ascolto dell’Ateneo torinese, promosso e coordinato dal dipartimento di Psicologia, rappresenta un utile esempio di questo modello, che andrebbe valorizzato ed esteso.

 


Testo dall’Università degli Studi di Torino sui due studi relativi all’impatto psicologico sulla popolazione e sugli operatori sanitari a seguito della diffusione del Covid-19 in Italia.

Te lo leggo negli occhi! Come stimoli politici influenzano la decisione di mentire agli altri

Un nuovo studio italiano, coordinato da un team di ricerca del Dipartimento di Psicologia della Sapienza, ha osservato l’influenza che volti e parole della politica possono avere sul comportamento morale degli elettori “indecisi”. I risultati del lavoro, pubblicati sulla rivista Scientific Reports, sono stati ottenuti attraverso l’analisi del comportamento oculomotorio di un campione di persone prive di una convinzione ideologica precisa

occhi politici mentire
Gli stimoli politici influenzano la decisione di mentire agli altri, ma gli occhi non mentono

Gli occhi non mentono perchè secondo alcuni sono lo specchio dell’anima.

Dal movimento oculare è possibile capire se una persona mentirà o dirà la verità e ottenere anche informazioni utili sulle ragioni e sulle modalità dell’uno o dell’altro comportamento e sulle relative conseguenze.

È quanto ha dimostrato il team di ricerca composto da Michael Schepisi, Giuseppina Porciello, Salvatore Maria Aglioti e Maria Serena Panasiti del Dipartimento di Psicologia della Sapienza in un nuovo lavoro pubblicato sulla rivista Scientific Reports.

L’obiettivo generale dello studio è stato quello di indagare se la presentazione di stimoli politici di diversa natura (volti di politici vs. parole ideologiche) e associati a diverse ideologie (sinistra vs. destra) potesse influenzare la tendenza di persone politicamente indecise a mentire. Inoltre, attraverso la registrazione dei movimenti oculari dei partecipanti è stato possibile avere un indice attentivo in grado di predire il processo decisionale che porta a tale comportamento.

Nello specifico, i risultati mostrano come alcune parole ideologiche (es. “condivisione”, “tolleranza”) possano essere utilizzate più efficacemente per veicolare messaggi che influiscono sul comportamento morale dei partecipanti, portandoli a mentire di più per l’interesse altrui e meno per quello personale.

A queste conclusioni si è arrivati attraverso un esperimento nel quale ai partecipanti è stato chiesto di cimentarsi in un gioco di carte contro avversari dal differente status socioeconomico. In palio una ricompensa monetaria per ottenere la quale i giocatori potevano decidere se mentire o dire la verità ai loro avversari riguardo all’esito del gioco.

“L’analisi dei movimenti oculari dei partecipanti – spiega Michael Schepisi della Sapienza, primo autore del lavoro – ha inoltre evidenziato come gli stimoli ideologici avessero influenzato le loro decisioni durante il gioco spostandone il focus attentivo: in seguito all’esposizione di stimoli di sinistra i partecipanti tendevano a prestare più attenzione alle informazioni relative allo status dei propri avversari che al risultato del gioco, condizionando i successivi comportamenti e il contatto oculare a seconda della posizione socioeconomica degli avversari stessi”.

I ricercatori hanno visto che i partecipanti modellavano il loro comportamento mentendo meno agli avversari di basso status, ossia quelli percepiti come probabilmente più “deboli”. Inoltre, dopo aver mentito, i partecipanti tendevano a distogliere lo sguardo dagli avversari di alto status e a mantenerlo verso quelli di basso status.

“I risultati del nostro studio, che rientra nel progetto ERC Advanced Grant eHONESTY, – conclude Salvatore Maria Aglioti – offrono nuove evidenze circa il modo in cui un priming ideologico puo’ influenzare il processo decisionale di tipo morale e suggeriscono come il comportamento oculomotorio possa fornire informazioni cruciali su come questo processo abbia luogo”.

 

Riferimenti:

Oculomotor behavior tracks the effect of ideological priming on deception – Michael Schepisi, Giuseppina Porciello, Salvatore Maria Aglioti & Maria Serena Panasiti – Sci Rep 10, 9555 (2020) https://doi.org/10.1038/s41598-020-66151-1

 

Testo e immagine dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma.

“Ingrandisci. Ancora. Adesso metti a fuoco”. Si tratta della tipica frase che potevamo registrare alla fine degli anni ’90 in tutti i film e le serie crime, quando un piccolo dettaglio sfocato, rilevato in una registrazione delle telecamere di sorveglianza veniva (poco credibilmente) ingrandito, messo a fuoco, per poi rivelarsi una traccia portante nella risoluzione del mistero.

E se questo stesso piccolo dettaglio esistesse, ma all’interno del nostro cervello? Il paragone, molto alla lontana, è calzante se parliamo di neuroscienze forensi.

Le neuroscienze forensi sono un campo dagli sviluppi relativamente recenti ed innovativi, che si propone di “ingrandire e mettere a fuoco” correlati neurali di alcuni concetti giuridici, per portare a galla la “verità”.

Quando si parla di neuroscienze forensi?

Statua della giustizia - Neuroscienze forensi
Foto di jessica45

Quando è necessario fare ricorso a questa disciplina? Laddove diventa difficile estrarre alcune classi di informazioni, le neuroscienze forensi presentano strumenti innovativi per dare risposte a quesiti impegnativi. Ecco riportati alcuni esempi.

Lo studio del vizio di mente (parziale o totale) e come questo ha influito sulla capacità di intendere e di volere

Il nostro sistema giuridico esercita una “tutela retroattiva” nei confronti dei cittadini. Questo vuol dire che commettere un reato per colpa di una condizione mentale che interferisce con la capacità di intendere e di volere avrà delle conseguenze differenti per la persona. La regolamentazione relativa ad imputabilità e vizio di mente totale o parziale è meglio chiarita negli articoli del codice penale 88, 89 e 90. Particolare attenzione va posta su quest’ultimo articolo che afferma che gli stati emotivi o passionali “non escludono né diminuiscono l’imputabilità”. Qui in particolare spicca il ruolo del perito: cosa è vizio di mente e cosa è semplice stato emotivo o passionale? Quando il vizio di mente è tale da incidere sulla capacità di intendere e di volere? Quando invece il vizio di mente non giustifica comunque l’atto commesso (come nei casi della pedofilia o nei disturbi di personalità)? Se fino ad oggi si è preferito un approccio convenzionalista, dove vi erano delle regole imposte per “convenzione”, le neuroscienze forensi aprono uno spiraglio sul creare delle basi interpretative più solide ai fini della perizia, non sostituendo ma integrando quella psichiatrica.

L’analisi dell’idoneità

Ma idoneità a fare cosa? Alla guida, al porto d’armi, a testimoniare, a fare testamento. Un cliente che appare sveglio e collaborativo può mettere in atto importanti strategie dette “di compenso” per nascondere in realtà una serie di deficit cognitivi. I referti di neuroimmagine, in combinazione con esami neurologici e test neuropsicologici, possono mettere in evidenza disturbi che a livello ecologico (nella vita di tutti i giorni) potrebbero passare facilmente inosservati.

Scoprire le simulazioni

Probabilmente sembrerà sorprendente, ma per i traumi cranici lievi i soggetti che simulano un danno nella richiesta di risarcimento sono fra un terzo e la metà di tutti i casi (Stracciari, Sartori, & Bianchi, 2010).  Non solo, ancora più sorprendente: la prognosi e la gravità del colpo di frusta a seguito di incidente stradale sembrano essere dipendenti dai sistemi assicurativi e di risarcimento connessi a quel genere di danno (Cassidy et al., 2000). A questo punto, o i soldi hanno un magico potere curativo, o la simulazione è in qualche maniera coinvolta. C’è di più che non si tratta di malfattori convinti e senza rimorso: molto spesso la simulazione è messa in atto a livello inconsapevole. Le neuroscienze forensi hanno diversi modi per scoprire la simulazione. I correlati neurali rilevati con le neuroimmagini spesso possono documentare la reale esistenza di una patologia o meno.  E quando i correlati neurali sono assenti (tipico nei traumi cranici, nelle intossicazioni o nei danni da folgorazione ad esempio) molti test, neuropsicologici e non, presentano delle metodologie o delle sottoscale che permettono di rilevare con un certo livello di accuratezza il danno presente e se la persona sta mentendo o se lo sta esagerando.

Tecniche innovative per un’investigazione innovativa

Detective - Neuroscienze forensi
Foto di SamWilliamsPhoto

Appurati i numerosi usi delle neuroscienze forensi, quali sono alcuni esempi di queste tecniche di cui parlo da inizio articolo? Alcuni li ho già citati nel paragrafo precedente, ma andiamo a vederli insieme più nel dettaglio.

Test neuropsicologici nelle neuroscienze forensi

Test - Neuroscienze forensi
Foto di Tumisu

Elemento portante delle neuroscienze forensi, i test neuropsicologici associano un’affidabilità e un’oggettività moderatamente elevata (grazie alle loro caratteristiche “performance based” ossia di valutazione quantitativa della performance) alla valutazione di caratteristiche funzionali che non è possibile dedurre in altre maniere. Alcuni esempi?

  • Un tumore in una determinata sede non presenta gli stessi effetti in tutte le persone;
  • Essere anziani, avere una demenza in primissima fase o aver subito un trauma cranico non sono di per sé condizioni sufficienti a togliere la patente ad una persona (Dobbs, Carr, & Morris, 2002);
  • Lesioni derivate ad esempio da traumi cranici lievi, colpo di frusta, intossicazione da sostanze, ecc. spesso non presentano alcun correlato neuroradiologico (Stracciari et al., 2010).

Somministrare i test neuropsicologici permette comunemente di valutare lo stato mentale generale oltre che di funzioni specifiche per l’esercizio di determinate abilità. Ad esempio:

  • Verificare lo stato delle funzioni esecutive (pianificazione, inibizione degli impulsi, ecc) si rivelerà ad esempio fondamentale per determinare se la persona è in grado di guidare;
  • Descrivere lo stato delle funzioni di memoria e linguaggio potrebbe essere fondamentale per determinare se un testimone è idoneo a prestare testimonianza;
  • Alcuni importanti indici clinico-anamnestici permettono di valutare quale potesse essere lo stato mentale di una persona prima di un incidente, così da confrontarlo con lo stato post-traumatico e determinare l’entità del danno. Un indice particolarmente usato a questo scopo in Europa è la “formula di Pichot”;
  • Scoprire se una persona sta facendo finta di avere un disturbo o meno:
    • Alcune scale di valutazione psicopatologica ad esempio presentano degli indici che determinano “Quanto si sta fingendo di avere o non avere un disturbo”. Ne è un esempio il Millon Clinical Multiaxial Inventory III (MCMI-III) (che però è un test psicodiagnostico);
    • Dal punto di vista neuropsicologico un esempio è il Test of Memory Malingering (TOMM) che analizza attraverso criteri probabilistici se si sta fingendo di avere un disturbo amnesico o meno.
Aspetti critici dei test neuropsicologici

Sicuramente splendido ma permangono rischi e perplessità. Il rischio che i test diventino strumenti utilizzabili da chiunque e fuori contesto. Molti dei miei professori di neuropsicologia mettevano in evidenza la differenza fondamentale fra un bravo neuropsicologo, in grado di integrare tutta una serie di elementi clinici, e un testista, che semplicemente si limita a somministrare il test.

Due mie esperienze personali sono esemplificative di questa differenza:

  • Recentemente mi è stato somministrato l’MCMI per questioni di indagine clinica. Secondo il test l’unico disturbo che mi caratterizza è un disturbo di personalità schizoide (robetta da poco). La realtà, che viene messa in evidenza solo al colloquio con il clinico, è che in passato ho avuto diverse difficoltà a relazionarmi con le persone: benché le abbia superate, questa situazione ha portato degli strascichi sintomatici che si identificano in parte con il disturbo di personalità schizoide. Ma non ho assolutamente niente e fare una diagnosi di questo tipo sulla base di un singolo test sarebbe davvero improponibile.
  • Mentre assistevo alla mia prima valutazione neuropsicologica dal vivo, il neuropsicologo con cui collaboravo chiese al paziente di ricopiare un disegno di una casa. Si tratta di un test che serve a valutare la presenza di aprassia costruttiva. Il paziente, benché manifestasse segni clinici particolarmente interessanti (altro elemento importante che può essere notato solo dal clinico e non dai risultati del test), eseguì un disegno pressoché accettabile della casetta. Ciononostante, il mio tutor indicò ugualmente una probabile aprassia costruttiva sulla scheda del paziente. Alla mia domanda di ulteriori spiegazioni (ovviamente dopo che il paziente era andato via), il mio tutor mi fece notare come gli errori commessi dal paziente nel disegno fossero accettabili, ma non da un paziente che in passato aveva lavorato in un ambito che richiedeva di eseguire disegni e rappresentazioni con una certa precisione. Tale competenza pregressa indicava che dovesse esserci in corso una reale compromissione perché questa abilità si degradasse.

Alla luce di queste osservazioni diventa evidente come non solo i test non siano di per sé completamente oggettivi, ma che un’interpretazione complessiva e contestualizzata sia fondamentale per comprenderne il significato. La necessità di un’interpretazione può talvolta rappresentare un punto critico sul quale la parte opposta può far leva per far crollare un’ipotesi.

Tecniche di neuroimmagine

DTI - Neuroscienze forensi
Nell’immagine GR_Image: Rappresentazione ottenuta tramite DTI (Diffusion Tensor Imaging), una tecnica di neuroimaging basata sulla risonanza magnetica. Il suo scopo principale è determinare le principali connessioni strutturali fra le aree cerebrali, in particolare per permettere lo studio della sostanza bianca e di alcune sue caratteristiche specifiche.

Avere referti di neuroimmagine rappresenta un’evidenza difficile da mettere in discussione in ambito forense. Una lesione in area prefrontale dorsolaterale, documentata ad esempio con una PET che rileva un calo metabolico focale, associata ad un basso punteggio in batterie che valutano funzioni esecutive e memoria di lavoro, sarà molto difficile da mettere in discussione in diversi contesti forensi.

La scelta dello strumento adeguato necessario a dimostrare la propria ipotesi è fondamentale in ambito forense, dove l’obiettivo non è la “diagnosi clinica”. Se si lavora come perito diventa essenziale trovare l’evidenza che risponda alla domanda posta dal giudice. Se si lavora come consulente tecnico di parte diventa essenziale trovare gli elementi che supportino le tesi dell’avvocato. Fortunatamente, le neuroscienze mettono a disposizione numerosi strumenti tecnici per raggiungere entrambi gli obiettivi:

  • Neuroimmagini strutturali, permettono di rilevare la struttura cerebrale in vivo (ossia nel soggetto ancora in vita, laddove fino a poco tempo fa l’analisi strutturale poteva essere eseguita solo post-mortem). Include esami quali la TAC (Tomografia Assiale Computerizzata) o la MRI (Risonanza Magnetica). Un derivato molto interessante della MRI è la VBM (Voxel Based Morphometry) che permette di eseguire controlli sulla microstruttura cerebrale al fine di determinare la densità della materia grigia (principalmente quella corticale) e della materia bianca (le strutture connettive del cervello) così da rilevare anche microlesioni e piccole differenze rispetto ai soggetti sani. Un’altra tecnica particolarmente utile a valutare la struttura connettiva del cervello è la DTI (Diffusion Tensor Imaging), che permette di rilevare le connessioni presenti fra aree cerebrali (un esempio di DTI è riportato nella figura all’inizio del paragrafo).
  • Neuroimmagini funzionali, complesse tecniche che permettono di rilevare il funzionamento cerebrale in base ad esempio al metabolismo del glucosio o alle variazioni del flusso sanguigno. Ne sono esempi tipici PET  e fMRI. Si basano sull’assunto che una maggior attività cerebrale in un’area si connetta ad una maggiore richiesta di sangue e di glucosio nella relativa area. Sono particolarmente utili quando si vuole verificare il grado di attivazione di un’area a fronte di un compito che si ritiene la coinvolga, per determinare la presenza di correlati neurali al deficit funzionale.
Aspetti critici delle tecniche di neuroimmagine

Purtroppo (o per fortuna) le tecniche di neuroimmagine non necessariamente parlano da sole. Benchè in molti casi una neuroimmagine possa essere autoesplicativa (una lobectomia sinistra associata alla compromissione del linguaggio è più un fatto che un’opinione) in molti altri trarre delle conclusioni è un aspetto tutt’altro che automatico. Un importante caso di studio nell’ambito delle neuroscienze forensi riporta un contrasto non indifferente sopra il danno derivato da un Clivus Chordoma, una forma di neoplasia delle ossa del cranio. L’interpretazione delle alterazioni funzionali derivate è stata forte oggetto di dibattito nel determinare se i comportamenti pedofiliaci del soggetto colpito fossero congeniti o derivati dal danno acquisito. Per approfondimento si rimanda a Farisco & Petrini, 2014; Sartori, Scarpazza, Codognotto, & Pietrini, 2016; Scarpazza, Pellegrini, Pietrini, & Sartori, 2018.

Tecniche psicofisiologiche

Elettrocardiogramma
Foto di PublicDomainPictures

Le tecniche psicofisiologiche studiano la relazione sussistente fra alcuni parametri fisici e il funzionamento cerebrale. Partono dall’assunto che questi parametri fisici rispondano di alcune funzioni cerebrali attraverso l’azione del Sistema Nervoso Autonomo. Alcuni esempi rilevanti per l’ambito delle neuroscienze forensi:

  • La risposta di startle è un riflesso automatico che si verifica in seguito a stimoli intensi e improvvisi volto a proteggere le parti del corpo fragili (in parole povere, il sobbalzo che abbiamo quando sentiamo rumori forti). Essendo mediato dall’amigdala, lo startle è maggiore quando si è in presenza di stimoli negativi (ad esempio di armi) ed è minore quando si è in presenza di stimoli positivi (ad esempio del cibo). In individui psicopatici, la presenza di stimoli negativi non aumenta lo startle, anzi. La vista di immagini connesse a vittime di aggressione sembra ridurre lo startle  (Levenston, Patrick, Bradley, & Lang, 2000). La misurazione dello startle può quindi essere utile nell’identificazione di predisposizioni congenite o acquisite alla psicopatia.
  • La risposta di conduttanza cutanea è una variazione della resistenza elettrica della cute dovuta ad una variazione delle condizioni dei dotti sudoripari. Questa variazione è legata all’azione del sistema simpatico, la branca del Sistema Nervoso Autonomo che si occupa di “proteggerci” con la risposta attacco o fuga. Nel corso di un test chiamato Iowa Gambling Task le nostre emozioni sono in grado di guidare inconsapevolmente le nostre scelte per permetterci di ottenere la prestazione migliore. L’ipotesi dei marcatori somatici di Damasio evidenzia come in presenza di scelte complesse si attivi un complesso sistema di simulazione fisico e mentale che identifica le scelte sbagliate rispetto a quelle giuste. Questo sistema è mediato da un complesso circuito cerebrale che trova la sua principale espressione nella corteccia prefrontale ventromediale. L’attivazione dei marcatori somatici nello Iowa Gambling Task si riflette nella presenza di una risposta di conduttanza cutanea maggiore prima che venga eseguita una scelta scorretta (Damasio, 1996).  È stato evidenziato come invece in pazienti con danno frontale questo stesso meccanismo non si ripresenti. Lo Iowa Gambling Task presenta infatti risultati decisamente peggiori in questi soggetti (Bechara, Damasio, Tranel, & Damasio, 1997). Valutare la risposta di conduttanza cutanea allo Iowa Gambling Test in soggetti con danno frontale può aiutare a determinare la loro capacità di prendere scelte giuste nel corso della loro vita; un’alterazione del sistema dei marcatori somatici può mettere in dubbio la capacità di scelta del soggetto, e quindi quella più generale di intendere e di volere.
  • I potenziali evento relati sono degli elementi che si presentano nel tracciato elettroencefalografico a fronte di determinati stimoli. La loro interpretazione permette di identificare i processi cognitivi in azione nel cervello della persona. Un esempio d’uso dei potenziali evento relati consiste nel valutare i correlati neurali della capacità di inibire le risposte impulsive della persona e quindi la neurobiologia del reato d’impeto.
  • Evidenze psicofisiologiche cliniche, ossia tutti gli elementi psicofisiologici che possono fornire ulteriore evidenza in relazione ad una presupposta condizione psicopatologica. Ad esempio, soggetti con disturbo da stress post-traumatico (PTSD) presentano frequenza cardiaca, conduttanza cutanea e risposta di startle più elevati sia a riposo che in reazione a stimoli negativi (Orr & Roth, 2000).
Aspetti critici delle tecniche psicofisiologiche

Problema principale delle tecniche psicofisiologiche è lo stesso che caratterizza la famosa macchina della verità: gli indicatori psicofisiologici non sono specifici.

L’incremento della frequenza cardiaca, ad esempio, non solo non è univocamente interpretabile in relazione all’azione del Sistema Nervoso Autonomo (ossia, può dipendere sia dal sistema parasimpatico che simpatico, quindi è di difficile interpretazione), ma è presente in numerosissime condizioni psicopatologiche. Non solo: a volte è semplicemente dovuto a condizioni non patologiche, oppure ad alterazioni di tipo fisico che hanno ben poco a che fare con lo stato mentale. La conduttanza cutanea è un indice particolarmente instabile sia nella misurazione che nella sua connessione ad eventi reali. E la rilevazione dei potenziali evento relati, oltre ad essere lunga e faticosa, si confronta con un certo grado di “rumore statistico” dipendente soprattutto dalla qualità della registrazione.
Se si vuole far ricorso a tecniche psicofisiologiche nell’ambito delle neuroscienze forensi bisogna partire dal presupposto che possano solo supportare l’ipotesi e molto difficilmente possano essere la base di partenza.

Genetica comportamentale

DNA
Foto di Darwin Laganzon

La genetica comportamentale è quel campo che si occupa di studiare la maniera in cui determinate strutture genetiche possono influire sullo sviluppo di comportamenti e attitudini. Elemento determinante della genetica comportamentale è il concetto di polimorfismo genetico. In breve, un polimorfismo genetico consiste in una mutazione genetica presente con una frequenza superiore all’1% nella popolazione. Alcuni esempi di polimorfismi e della loro azione sul comportamento sono:

  • Polimorfismi del gene 5-HT sembrano essere coinvolti in diversi disturbi quali “Disturbi dell’umore, PTSD, tendenze suicide, OCD, autismo, ecc” (Margoob & Mushtaq, 2011);
  • Il polimorfismo funzionale (Val/Met) del gene COMT sembra alterare la funzionalità delle funzioni esecutive e la fisiologia della corteccia prefrontale ed è stato identificato come fattore di rischio per la schizofrenia (J. B. Fan et al., 2005);
  • Le monoammino ossidasi (MAO) sono enzimi il cui ruolo è metabolizzare i neurotrasmettitori monoamminergici (come ad esempio serotonina, dopamina, ecc). Di conseguenza un’azione eccessiva  della MAO può portare ad una riduzione eccessiva della serotonina, meccanismo potenzialmente connesso alla depressione. Al contrario, un’insufficiente azione della MAO può essere connessa ad una presenza eccessiva di neurotrasmettitori come la dopamina, potenzialmente connesso a comportamenti aggressivi e impulsivi. Diversi studi supportano il ruolo dei polimorfismi del gene MAOA nella predisposizione a depressione, disturbo bipolare (M. Fan et al., 2010) e impulsività (Huang et al., 2004).
Aspetti critici della genetica comportamentale

Benché le evidenze siano diffuse, è difficile trovare un’opinione univoca e il grado di interferenza reale delle componenti genetiche in un sistema così complesso come il cervello. Come esempio, la precision medicine, una branca della medicina che si propone di generare terapie fatte apposta per il singolo paziente, si ripropone fra le altre cose di recuperare informazioni di ordine genetico per massimizzare l’efficacia terapeutica, ma nel piano pratico diversi studi sull’influenza genetica sono ancora insufficienti per dare un reale contributo su questo piano.

Come se non bastasse, l’azione dei geni è estremamente dipendente dall’ambiente in cui l’individuo è immerso, secondo i moderni principi di epigenetica. Secondo il modello diatesi-stress, una predisposizione genetica a sviluppare una condizione psichiatrica (ad esempio la schizofrenia) può rimanere solo una predisposizione se non si verificano delle condizioni sufficientemente stressanti che causino il manifestarsi della problematica.

Un esempio affascinante e decisamente portante dell’influenza epigenetica riguarda propriamente l’azione dei geni MAOA  e 5-HT. Infatti, benché il polimorfismo esponga i bambini a sviluppare i disturbi sopra discussi nel corso della crescita, questo si verifica solo se tali bambini sono esposti ad un ambiente abusivo. Bambini che presentano tali polimorfismi cresciuti correttamente in un ambiente stimolante diventano, al contrario, più resistenti allo sviluppo di patologie comportamentali e psichiatriche (Belsky & Pluess, 2009; Taylor et al., 2006).

Conclusioni

Detective
Photo by Ali Hajian

In questo articolo abbiamo osservato i potenziali sviluppi giuridici apportati dalle neuroscienze forensi e come questi strumenti, come tutti gli strumenti, vadano utilizzati con cautela e con cognizione di causa. Le neuroscienze forensi non hanno la pretesa di sostituire le classiche perizie psichiatriche o di rigenerare il campo giuridico, quanto piuttosto di fornire un’integrazione volta ad una ricerca di una verità che sia supportabile scientificamente.

Quali prospettive per il futuro? Ancora non possiamo prevedere l’estensione di tecnologie quali il mind reading, che analizza l’attivazione cerebrale associata al pensiero, o l’uso dell’intelligenza artificiale per diversi scopi, quali la detezione delle menzogne o l’avanzamento degli studi sulla memoria e sul riconoscimento dei volti. Ma con lo sviluppo di queste nuove tecnologie non va dimenticato l’importante ruolo dell’etica nell’ambito neuroscientifico, oltre che il fondamentale e insostituibile ruolo dei giudizi di valore, competenza unica ed esclusiva del giudice.

Bibliografia sulle neuroscienze forensi:

  • Bechara, A., Damasio, H., Tranel, D., & Damasio, A. R. (1997). Deciding advantageously before knowing the advantageous strategy. Science, 275(5304), 1293–1295. https://doi.org/10.1126/science.275.5304.1293
  •  Belsky, J., & Pluess, M. (2009). Beyond Diathesis Stress: Differential Susceptibility to Environmental Influences. https://doi.org/10.1037/a0017376
  •  Cassidy, J. D., Carroll, L. J., Côté, P., Lemstra, M., Berglund, A., & Nygren, Å. (2000). Effect of Eliminating Compensation for Pain and Suffering on the Outcome of Insurance Claims for Whiplash Injury. New England Journal of Medicine, 342(16), 1179–1186. https://doi.org/10.1056/NEJM200004203421606
  •  Damasio, A. R. (1996). The somatic marker hypothesis and the possible functions of the prefrontal cortex. Philosophical Transactions of the Royal Society of London. Series B: Biological Sciences, 351(1346), 1413–1420. https://doi.org/10.1098/rstb.1996.0125
  •  Dobbs, B. M., Carr, D. B., & Morris, J. C. (2002). Evaluation and Management of the Driver with Dementia. The Neurologist, 8(2), 61–70. https://doi.org/10.1097/00127893-200203000-00001
  •  Fan, J. B., Zhang, C. S., Gu, N. F., Li, X. W., Sun, W. W., Wang, H. Y., … He, L. (2005). Catechol-O-methyltransferase gene Val/Met functional polymorphism and risk of schizophrenia: A large-scale association study plus meta-analysis. Biological Psychiatry, 57(2), 139–144. https://doi.org/10.1016/j.biopsych.2004.10.018
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