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Proceedings of the National Academy of Sciences of the USA

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L’EFFETTO FLIPPER DEGLI ATOMI ESPOSTI AI RAGGI X: ALCUNI VETRI DIVENTANO FLUIDI

Lo studio pubblicato su «PNAS» dal team di ricerca guidato dall’Università di Padova mostra, per la prima volta, come gli atomi di alcuni vetri, esposti a raggi X, si spostano in risposta a tante piccole “molle cariche” che si accendono in maniera casuale nel materiale. L’effetto medio è che gli atomi si muovono con una serie di accelerazioni improvvise, un po’ come biglie in un flipper. La ricerca mostra una possibile nuova strategia per modificare, e dunque alla fine controllare, le proprietà fisiche dei vetri.

Un vetro può essere realizzato raffreddando rapidamente un liquido – si pensi ad un comune oggetto di vetro ottenuto per raffreddamento del fuso. In conseguenza di questa procedura, nello stato vetroso gli atomi si trovano in una forma disordinata, come in un liquido. A differenza di quest’ultimo, però, la loro configurazione resta pressoché fissa, vale a dire che gli atomi sono vincolati alla loro posizione di equilibrio e possono spostarsi all’interno del materiale solo in tempi estremamente lunghi (comunque troppo estesi anche per un osservatore molto paziente). Recentemente si è rilevato che, esponendo i vetri a un fascio di raggi X di intensità sufficiente, è possibile indurre spostamenti degli atomi all’interno dei vetri: sottoposti ai raggi X i vetri fluiscono, come i liquidi.

L’origine di questo fenomeno è ancora dibattuta e la ricerca dal titolo “Stochastic atomic acceleration during the X-ray-induced fluidization of a silica glass” pubblicata su «PNAS», nata da una collaborazione del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova con Istituto di Fisica dell’Università di Amsterdam, centro di ricerca DESY di Amburgo e Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento, getta nuova luce su come gli atomi, esposti a raggi X, possano spostarsi all’interno della struttura disordinata del vetro su distanze altrimenti irraggiungibili in tempi così brevi.

«Con una serie di misure eseguite con una tecnica nota come spettroscopia di correlazione di fotoni X (XPCS) e realizzate nel sincrotrone PETRA III del centro di ricerca DESY ad Amburgo – afferma Francesco Dallari, ricercatore post-doc del Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università di Padova –  è stato possibile tracciare questi spostamenti a partire dalla scala interatomica che è dell’ordine dell’angstrom, pari ad un decimilionesimo di millimetro, fino a distanze di svariate centinaia di angstrom, per intenderci della dimensione di un coronavirus».

Francesco Dallari
Francesco Dallari

La dinamica osservata segue le leggi di quello che viene definito “iper-trasporto”, ossia un tipo di moto dove la distanza percorsa dagli atomi aumenta col passare del tempo più rapidamente non solo di quanto non avvenga in una semplice diffusione (si pensi ad una goccia di caffè che si estende in una tazza di latte) ma addirittura di quanto non avvenga quando una particella si muove a velocità costante in una certa direzione.

«In pratica – spiega il Professor Giulio Monaco del Dipartimento di Fisica ed Astronomia dell’Università di Padova – i raggi X che raggiungono il vetro generano dei difetti all’interno del materiale. Questi inducono dei campi di forza che si comportano come delle molle compresse che a loro volta spostano gli atomi vicini fino a distanze dell’ordine di centinaia o migliaia di angstrom».

Giulio Monaco atomi flipper
Giulio Monaco

Quando, dopo un sufficiente irraggiamento, questi difetti diventano densi (abbastanza numerosi), gli atomi si spostano in risposta a tante piccole molle cariche che si “accendono” in maniera casuale nel materiale. L’effetto medio è che gli atomi si muovono con una serie di accelerazioni improvvise, un po’ come palline in un flipper: una traiettoria caratterizzata da tanti spostamenti brevi intervallati da spostamenti sorprendentemente lunghi seguendo una distribuzione di probabilità nota come distribuzione di Lévy.

Questo tipo di distribuzione di spostamenti è osservata in una classe di situazioni molto diverse fra loro: dalla materia interstellare accelerata da campi magnetici distribuiti in maniera casuale, fino alle migrazioni di animali o al trasporto di persone.

Le particelle, quindi, si muovono eseguendo piccoli passi e spostandosi di poco, ma hanno sempre una certa probabilità di eseguire improvvisamente un salto estremamente lungo che le trasporta in una nuova regione dello spazio dove eseguono di nuovo piccoli passi per poi spostarsi nuovamente in un’altra regione completamente diversa. Per analogia si può pensare ad un turista: visita una città muovendosi a piedi, poi prende un aereo, cambia nazione e metropoli e ricomincia a spostarsi a piedi. Questo tipo di dinamica è stata osservata, come si è detto, in molti sistemi su scale estremamente disparate, ma viene osservata, come riportato dallo studio, per la prima volta in un sistema compatto come un vetro per effetto di forze interatomiche.

Questa ricerca mostra dunque una possibile nuova strategia per modificare, e dunque alla fine controllare, le proprietà fisiche dei vetri.

Link alla ricerca: https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2213182120

Titolo: “Stochastic atomic acceleration during the X-ray-induced fluidization of a silica glass” – «PNAS» 2023

Autori: Francesco Dallari, Alessandro Martinelli, Federico Caporaletti, Michael Sprung, Giacomo Baldi, Giulio Monaco

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova

Migliorare la memoria è una questione di allenamento ripetuto, ma nel tempo

Un nuovo studio firmato dalla Sapienza ha scoperto che il coinvolgimento di aree diverse del cervello nella memorizzazione, alla base del ricordo, è legato alla distribuzione nel tempo dell’apprendimento. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista PNAS.

migliorare la memoria allenamento
Migliorare la memoria è una questione di allenamento ripetuto, ma nel tempo. Foto di Dariusz Sankowski

L’apprendimento migliora se un’esperienza viene distribuita nel tempo piuttosto che essere concentrata in un’unica soluzione. Questo vale nello studio, ma anche nell’ambito della pubblicità e di tanti altri aspetti della vita quotidiana.

Un team di ricerca della Sapienza ha svelato per la prima volta che la maggiore efficienza di un apprendimento ripartito nel tempo dipende dal fatto che il cervello utilizza circuiti cerebrali diversi a seconda della modalità di apprendimento, indipendentemente da ciò che deve essere appreso. Inoltre, i ricercatori hanno dimostrato che la stimolazione artificiale dei circuiti responsabili dell’apprendimento distribuito nel tempo si traduce in un miglioramento della memoria.

In particolare lo studio, pubblicato sulla rivista PNAS, ha messo in evidenza, che lo striato, una struttura del cervello che si pensava coinvolta principalmente in funzioni motorie (ad esempio il Parkinson), ha un ruolo anche in funzioni cognitive complesse.

“Inoltre – spiega Andrea Mele, coordinatore dello studio – abbiamo visto che la sua stimolazione esogena durante l’apprendimento, migliora la durata della memoria nei topi”.

Lo studio è molto importante sia da un punto di vista teorico, perché include tra le aree del cervello responsabili del ricordo regioni cui prima erano attribuite altre funzioni, sia da un punto di vista traslazionale perché suggerisce la possibilità di migliorare la memoria attraverso una stimolazione artificiale del cervello, aprendo nuove prospettive nel trattamento di patologie neurodegenerative come l’Alzheimer.

Riferimenti:

The neural substrate of spatial memory stabilization depends on the distribution of the training sessions – Valentina Mastrorilli, Eleonora Centofante, Federica, Arianna Rinaldi and Andrea Mele – PNAS 2022 https://doi.org/10.1073/pnas.2120717119

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

TUMORE DEL PANCREAS: SCOPERTA DAI RICERCATORI DEL CERMS DELLE MOLINETTE E DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO LA CHIAVE DI INGRESSO PER L’INVASIONE DEI LINFOCITI KILLER

In uno studio appena pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Proceedings of the National Academy of Sciences of the USA (1) i ricercatori del Centro di Ricerche in Medicina Sperimentale (CeRMS) della Città della Salute di Torino e del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino hanno scoperto il modo per permettere ai linfociti killer antitumore di infiltrarsi all’interno del tessuto tumorale per eliminarlo.

Da destra verso sinistra: linfocita T, piastrina ed eritrocita. Immagine Electron Microscopy Facility at The National Cancer Institute at Frederick (NCI-Frederick) – [1] in pubblico dominio
Il tumore del pancreas viene a ragione definito il “killer silenzioso”. Il motivo di questo nome deriva dal fatto che non presenta sintomi specifici quando si manifesta, o meglio, quando questi compaiono spesso sono associati ad uno stadio molto avanzato della malattia. La causa potrebbe derivare dal fatto che, fin dalla sua origine il tumore del pancreas è caratterizzato da un intricato insieme di cellule di diversa natura che lo circonda e forma il cosiddetto “microambiente tumorale”. Nel microambiente vengono accesi numerosi programmi genetici e metabolici che forniscono un enorme vantaggio alla crescita del tumore e nello stesso tempo impediscono ai linfociti T killer antitumore di “infiltrarsi” nel tessuto tumorale, confinandoli all’esterno ed impedendo loro di riconoscerlo ed eliminarlo.

Coordinati dai professori Paola Cappello e Francesco Novelli, i ricercatori impegnati in questo studio hanno dimostrato che bloccando l’interleuchina 17A, un importante messaggero della comunicazione tra le cellule del sistema immunitario e tra queste e le cellule circostanti, si modifica “il microambiente” tumorale ed in particolare il comportamento di un tipo di cellule, i fibroblasti. Queste cellule sono particolarmente abbondanti nel tumore del pancreas e sono responsabili della deposizione di un complesso e compatto reticolato di fibre, la cosiddetta “matrice”, che rappresenta il più grosso ostacolo all’ingresso dei linfociti killer antitumore così come la diffusione dei farmaci utilizzati per il trattamento.

Il dottorando Gianluca Mucciolo, impegnato nel Dottorato di Ricerca in Medicina Molecolare dell’Università di Torino e primo autore di questo studio, utilizzando un modello animale predestinato a sviluppare il tumore del pancreas e privo della capacità di produrre l’interleuchina 17A, ha osservato che, nonostante la presenza di molti fibroblasti, il microambiente tumorale era molto più “invaso” da linfociti killer antitumore. Grazie ad una collaborazione con un gruppo di ricerca della Czech Academy of Sciences di Praga, diretto dal professor Luca Vannucci, il gruppo torinese ha dimostrato che in assenza dell’interleuchina 17A, la matrice depositata dai fibroblasti era, diversamente dal solito, molto più soffice e lassa, e presentava un’architettura che aveva poco in comune con le vere e proprie “autostrade” che favoriscono l’invasione delle cellule tumorali dei tessuti circostanti.

Anatomia del pancreas. Immagine BruceBlaus, Blausen.com staff. “Blausen gallery 2014”. Wikiversity Journal of Medicine. DOI:10.15347/wjm/2014.010. ISSN 20018762. – CC BY-SA 3.0

Per analizzare a fondo il comportamento dei fibroblasti nel tumore del pancreas, la professoressa Cappello è ritornata presso il Campbell Family Institute for Breast Cancer Research a Toronto nel Laboratorio diretto Professor Tak Mak, dove aveva già trascorso alcuni periodi di lavoro, e mediante l’utilizzo di sofisticate tecnologie per lo studio dell’espressione genica a livello di una singola cellula, ha dimostrato come in assenza dell’interleuchina 17A i fibroblasti del tumore del pancreas modificano il loro programma genico per promuovere sia l’accumulo di linfociti T antitumore che l’aumento della loro attività killer.

Seppure siano necessari ulteriori studi per approfondire il ruolo di questa interleuchina nella risposta anti-tumorale nell’ambito del tumore pancreatico, la grande notizia è che anticorpi anti-interleuchina 17A vengono già utilizzati nella pratica clinica per limitare i danni di alcune malattie autoimmunitarie e quindi potrebbero essere combinati con altre strategie per colpire il tumore del pancreas da più parti e rendere più efficienti i diversi trattamenti” commenta la Prof.ssa Cappello.

Questi dati aggiungono un nuovo mattone per costruire una strategia efficace per la cura del tumore del pancreas. Aggiunge il Prof. Novelli: “Il nostro stesso gruppo ha recentemente sviluppato una terapia basata su vaccinazione a DNA e chemioterapia che nel modello animale ha dimostrato una notevole efficacia nel bloccare la progressione del tumore (2). Questa efficacia potrebbe essere ulteriormente aumentata dalla somministrazione combinata di anticorpi anti-interleuchina 17A, scatenando l’attività antitumore dei linfociti killer”

Dallo studio contestuale del microambiente tumorale e dei meccanismi con cui il sistema immunitario può reagire contro il tumore del pancreas nascono le nuove terapie combinate che ci permettono di “accerchiare” sempre di più questo tumore e di aprire prospettive concrete per la sua cura.

 

1)    https://www.pnas.org/content/118/6/e2020395118

2)    https://jitc.bmj.com/content/8/2/e001071

 

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Torino.