News
Ad
Ad
Ad
Tag

piante

Browsing

Da rifiuti a risorsa: gli scarti agro-alimentari dell’olio diventano fitovaccini e biopesticidi
Due studi internazionali, coordinati dalla Sapienza, mostrano come i residui della produzione di olio extravergine d’oliva possano essere valorizzati in composti immunostimolanti e antimicrobici, efficaci nella protezione delle piante da malattie come come Xylella fastidiosa. I risultati sono stati pubblicati sulle riviste Plant Stress e Plant Physiology and Biochemistry.

La crescente produzione globale di olio d’oliva ha portato con sé sfide ambientali rilevanti. Gli scarti generati dai frantoi spesso non vengono smaltiti in modo controllato, causando danni al suolo e compromettendo la salute microbica a causa dell’alto contenuto di tannini e composti fenolici.

La gestione sostenibile dei rifiuti agricoli è fondamentale per la salvaguardia ambientale. In risposta a questa esigenza, il team di ricercatori coordinato da Vincenzo Lionetti del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza ha sviluppato approcci innovativi di chimica verde per riciclare i residui dei frantoi, come la sansa d’olive, trasformandoli in agenti naturali di protezione delle piante. Il progetto, esitato in due studi pubblicati sulle riviste Plant Stress e Plant Physiology and Biochemistry, ha visto il coinvolgimento anche dell’Istituto della protezione sostenibile delle piante del CNR di Bari, le aziende AGROLIO e BIOENUTRA, e università spagnole e danesi.

“Gli estratti ottenuti – spiega Lionetti – agiscono anche come attivatori naturali dell’immunità delle piante, stimolando i meccanismi di difesa innati e potenziando la capacità delle piante di affrontare le infezioni”.

Preparando il sistema immunitario, gli estratti naturali identificati si configurano come un’alternativa ecologica ai pesticidi chimici, contribuendo così a ridurre l’impatto ambientale delle soluzioni sintetiche e sostenendo pratiche agricole più rispettose della natura.
Alcuni di questi composti bioattivi hanno mostrato proprietà antimicrobiche significative, risultando particolarmente efficaci contro patogeni, come Xylella fastidiosa, Pseudomonas syringae e Botrytis cinerea. Questi patogeni attaccano diverse specie vegetali, causando sintomi come marciumi, appassimento e, in alcuni casi, gravi disseccamenti che minacciano colture di enorme valore, come gli ulivi.

“Questa innovazione offre quindi, nuove opportunità per utilizzare i sottoprodotti dei frantoi, trasformando i residui agricoli in strumenti preziosi per la gestione integrata di diversi parassiti – afferma Lionetti – inoltre, promuove un’economia circolare sostenibile nel settore agro-industriale, contribuendo a ridurre l’uso di pesticidi nocivi per la salute umana e per l’ambiente”.

Queste ricerche sono state sostenute da diversi progetti tra cui la Linea tematica 2- Bioenergy and Green Chemistry nell’ambito dell’ecosistema dell’innovazione Rome Technopole guidato da Sapienza in sinergia con REACH-XY finanziato dal MUR e MEF e altri progetti.

Riferimenti bibliografici:

Upcycling olive pomace into pectic elicitors for plant immunity and disease protection – Greco M., Kouzounis D., Fuertes-Rabanal M., Gentile M., Agresti S., Schols H.A., Mélida H. e Lionetti V – Plant Physiology and Biochemistry (2024) https://doi.org/10.1016/j.plaphy.2024.109213

Phenolic compounds-enriched extract recovered from two-phase olive pomace serves as plant immunostimulants and broad-spectrum antimicrobials against phytopathogens including Xylella fastidiosa – Greco M., Fuertes-Rabanal M., Frey C., Del Grosso C., Coculo D., Moretti P., Saldarelli P., Agresti S., Caliandro R., Mélida H. e Lionetti V – Plant Stress (2024) https://doi.org/10.1016/j.stress.2024.100655

Due studi mostrano come gli scarti agro-alimentari della produzione di olio extravergine d’oliva diventano fitovaccini e biopesticidi. Ulivi in Puglia. Foto di Orubino, in pubblico dominio

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Cambiamento climatico: il ritiro dei ghiacciai indebolisce le interazioni tra piante e impollinatori, la biodiversità, l’ecosistema

Con il ritiro dei ghiacciai le interazioni tra piante e impollinatori diventano più fragili, rischiando di rendere l’intero ecosistema più vulnerabile ai cambiamenti ambientali in atto e meno resiliente.
È il risultato della ricerca di un’equipe internazionale di scienziati coordinato dall’Università Statale di Milano, effettuata nell’area del ghiacciaio del Monte Miné nelle Alpi Svizzere e pubblicata su
Ecography.

Milano, 12 novembre 2024 – I ghiacciai si stanno ritirando, questo ormai è noto. Ma che cosa succede alla terra una volta libera dal ghiaccio? Che tipo di nuovo ecosistema si viene a formare?

Per capire l’impatto del ritiro dei ghiacciai su biodiversità e funzionamento dei sistemi ecologici, un’équipe internazionale di scienziati dell’Università degli Studi di Milano, in collaborazione con l’Università di Losanna, con l’Università Sapienza di Roma e con l’Università di Modena e Reggio Emilia, ha preso in esame le interazioni tra piante e impollinatori e ha scoperto che il ritiro dei ghiacciai mette a rischio la stabilità delle relazioni tra piante e impollinatori, fondamentali per la biodiversità.

Lo studio, pubblicato sulla rivista Ecography è stato effettuato nell’area del ghiacciaio del Monte Miné nelle Alpi Svizzere, un luogo in cui i ghiacciai si sono costantemente ritirati a causa dell’aumento delle temperature globali.

Utilizzando una modellazione ecologica avanzata basata sulla teoria delle reti che analizza l’ecosistema sulla base delle interazioni tra molte specie diverse, i ricercatori hanno identificato i meccanismi chiave nell’evoluzione di queste interazioni su un arco temporale di 140 anni. È così emerso che le specie di piante in una prima fase formano connessioni altamente specializzate con i loro impollinatori, creano relazioni di mutua dipendenza e “mutua assistenza”. Ad esempio, piante pioniere come l’epilobio (Epilobium fleischeri) sono risultate avere relazioni forti e uniche con impollinatori specifici, assicurando il successo riproduttivo alla pianta e risorse alimentari agli impollinatori.

Tuttavia, con l’arretramento dei ghiacciai e l’aumento della colonizzazione da parte della foresta, hanno iniziato a dominare piante come il rododendro (Rhododendron ferrugineum), una pianta “super-generalista” che interagisce con una più ampia varietà di impollinatori, indebolendo la solidità della rete complessiva.

Nelle prime fasi del ritiro del ghiacciaio, abbiamo riscontrato che molte specie vegetali formavano interazioni specializzate con gli impollinatori, creando una rete molto fitta e robusta. Ma con l’avanzare del ritiro e la maturazione dell’ecosistema, in particolare con l’arrivo della foresta e la scomparsa delle praterie, abbiamo assistito a uno spostamento verso specie più generaliste. Se da un lato queste specie generaliste possono adattarsi a una gamma più ampia di partner, dall’altro formano con loro connessioni più deboli, che potrebbero rendere l’intero ecosistema più vulnerabile ad ulteriori cambiamenti ambientali” spiega Gianalberto Losapio, ricercatore del Dipartimento di Bioscienze dell’Università Statale di Milano e coordinatore della ricerca.

Il team ha utilizzato un approccio interdisciplinare unico, concentrandosi sui “motivi di rete”, piccoli schemi di interazione all’interno di una rete più ampia. Si è visto così che con l’arretramento dei ghiacciai e il cambiamento degli ecosistemi, questi piccoli motivi passano dall’essere altamente connessi a diventare più frammentati, il che è un indicatore critico di ridotta resilienza.

Questo studio è stato condotto sulla fronte di un ghiacciaio subalpino, ma il ritiro dei ghiacciai avviene in tutto il mondo. Per comprendere appieno gli impatti globali, abbiamo bisogno di studi simili in altre regioni” conclude Losapio.

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano.

L’oro verde delle Alpi: il progetto NETTLE (ri)scopre le piante alpine e i loro benefici

Il progetto transfrontaliero NETTLE, coordinato dalla Libera Università di Bolzano, mira a valorizzare le piante alpine caratterizzando le proprietà funzionali dei loro estratti. Un futuro promettente con applicazioni in campo farmaceutico ed alimentare.

progetto NETTLE alcune delle piante analizzate
alcune delle piante analizzate

Le piante officinali sono note ed utilizzate sin dall’antichità per le loro proprietà aromatiche e curative. La saggezza del detto di Ippocrate “Fa che il cibo sia la tua medicina e la medicina sia il tuo cibo” rappresenta bene il rinato interesse verso le piante medicinali che è alla base di un sempre maggiore numero di studi che si occupano delle loro funzioni curative. A questa filosofia si è ispirato anche il progetto NETTLE, finanziato dal programma europeo Interreg Italia-Austria, che mira a scoprire e far riscoprire il valore delle piante alpine ai cittadini, alle imprese e agli istituti di ricerca.

NETTLE nasce da una collaborazione tra la Libera Università di Bolzano, l’Università di Udine e l’Università di Salisburgo. I tre atenei collaborano, condividendo competenze ed esperienze già a partire dal campo dove vengono raccolte le piante di interesse. La meta è rappresentata dalla creazione di un database accessibile al pubblico che permetta a tutte le persone o istituzioni pubbliche e private interessate di conoscere le proprietà delle piante alpine. Un esempio è l’achillea millefoglie, una tra le specie più presenti nei prati delle nostre montagne che però non è molto conosciuta. Questa pianta presenta una lunghissima lista di proprietà medicinali: nelle valli è infatti usata non solo come calmante e antidepressivo, ma anche per disintossicare il corpo, per alleviare i dolori e come condimento nelle pietanze. Più conosciuta è invece l’ortica, ricca di ferro e potente diuretico, utilizzata per rafforzare il sistema immunitario, ma ottima soprattutto in piatti tipici dell’Alto Adige e dell’Austria come canederli e spätzle.

“L’intento del progetto NETTLE è quello di trasferire al tessuto produttivo, alla cittadinanza e agli enti di ricerca della regioni coinvolte le competenze necessarie per immettere sul mercato ed utilizzare gli estratti naturali ottenuti dalle piante alpine”,

afferma Giovanna Ferrentino, professoressa di Scienze e tecnologie alimentari alla Facoltà di Scienze agrarie, ambientali e alimentari di unibz e responsabile del progetto.

Giovanna Ferrentino
Giovanna Ferrentino

Le fasi del progetto

NETTLE, iniziato a febbraio di quest’anno, si divide in più fasi. I ricercatori e le ricercatrici delle Università di Bolzano e di Salisburgo si occuperanno della raccolta di oltre 30 piante alpine della regione transfrontaliera coordinati dal prof. Stefan Zerbe, botanico della Facoltà di Scienze agrarie, ambientali e alimentari di unibz. La raccolta in Alto Adige si svolgerà sui prati del maso “Il Castellino delle Erbe” a Coldrano, che da anni si impegna nella coltivazione biologica di erbe officinali ed aromatiche. Una volta ottenute ed essiccate le piante, si procederà all’estrazione dei composti di interesse. In questa fase i ricercatori confronteranno l’efficacia delle tecniche tradizionali, quali l’estrazione con solventi organici, con quella di metodi più innovativi e sostenibili dal punto di vista ambientale, come l’uso di anidride carbonica supercritica, ultrasuoni e campi elettrici pulsati. Gli estratti ottenuti verranno poi testati su linee cellulari umane per valutare le loro proprietà antiossidanti, antimicrobiche, antiinfiammatorie e cicatrizzanti. Oltre alle proprietà farmaceutiche, verrà valutata anche l’attività antiossidante degli estratti negli alimenti.

“Questi estratti potrebbero fungere da conservanti naturali in quanto il loro utilizzo in oli vegetali, come ad esempio quelli di girasole e lino, o la loro applicazione in grassi di origine animale quali lo speck potrebbe favorire un rallentamento della loro ossidazione, evitandone quindi l’irrancidimento”, conclude Ferrentino.

Il progetto NETTLE rappresenta quindi un’importante punto di incontro tra la crescita delle aziende locali e la conservazione della biodiversità dell’area transalpina e sottolinea l’importante ruolo della natura nell’economia e nella società.

Il Castellino delle Erbe
Il Castellino delle Erbe

Testo e foto dall’Ufficio Stampa e organizzazione eventi Libera Università di Bolzano

Citizen Salad: IL PROGETTO DI SCIENZA PARTECIPATIVA DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO PER SVELARE IL MICROBIOMA DELL’INSALATA

Un team di ricerca di UniTo ha attivato una campagna di crowdfunding per mappare i batteri presenti su cespi di insalata coltivati dai cittadini e studiare come possano migliorare la salute umana

È partita ufficialmente Citizen Salad – Chi vive sulle foglie di insalata, una campagna di crowdfunding che si pone l’obiettivo di coinvolgere la cittadinanza in un esperimento di citizen science volto a mappare le comunità di batteri presenti sulle foglie di insalata coltivate in diversi ambienti, sia urbani che rurali, per capire il loro impatto sul benessere della flora batterica intestinale umana.

Il progetto è stato selezionato dall’Università di Torino con la terza edizione del bando Funds Together ed è possibile sostenerlo sulla piattaforma Ideaginger.it.

Per proseguire la ricerca ci occorrono due risorse”, ha dichiarato Marco Giovannetti, ricercatore in biologia e botanica di UniTo e responsabile del progetto di crowdfunding “Fondi per realizzare l’esperimento e persone disponibili a partecipare coltivando delle piantine di insalata. Il crowdfunding ci è sembrato lo strumento perfetto per trovarle entrambe!

Alla scoperta dei batteri che abitano sulle foglie d’insalata

Il progetto Citizen Salad è curato da un team di ricercatori del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino con l’obiettivo di esplorare il mondo invisibile dei microrganismi che vivono sulle foglie di insalata. Studiando come le condizioni di crescita e la forma delle foglie influenzano la comunità batterica, lo studio fornirà nuove informazioni su come i batteri interagiscono con le piante e, potenzialmente, con la nostra salute.

“Questa ricerca è nata per comprendere meglio come i batteri colonizzano le foglie d’insalata,” spiega Marco Giovannetti. “Negli ultimi tre anni abbiamo scoperto che la forma delle foglie e le condizioni ambientali influenzano la presenza di diversi batteri, ora vogliamo estendere lo studio coinvolgendo la comunità per coltivare le piantine in terreni e climi differenti. Si è scoperto che i batteri che sopravvivono sulle foglie di insalata sopravvivono anche nell’uomo; una possibile ricaduta di lungo periodo della ricerca è capire se questi batteri possano quindi essere utilizzati per il benessere della flora batterica umana, aprendo per esempio nuove possibilità per lo sviluppo di alimenti che possano sostenere la salute intestinale”.

Coinvolgere la comunità attraverso la scienza partecipativa

Un aspetto fondamentale di Citizen Salad è il coinvolgimento diretto della cittadinanza nella ricerca. Sostenendo la campagna di crowdfunding le persone possono finanziare la ricerca con una donazione, ma anche prendere parte all’esperimento coltivando la propria insalata.

Chiunque ci supporti con una donazione di 35 euro può scegliere come ricompensa di ricevere un kit completo per coltivare due varietà di insalata e raccogliere campioni di foglie. Il nostro team analizzerà poi i dati raccolti dai cittadini per mappare il microbioma delle foglie” ha dichiarato Valentina Fiorilli, professoressa di Botanica dell’Università di Torino, che ha poi aggiunto: “Il crowdfunding ci sta offrendo l’opportunità per coinvolgere attivamente le persone nella ricerca scientifica e divulgare in modo innovativo la ricerca sulle piante. Grazie al supporto dei donatori possiamo finanziare l’acquisto dei materiali necessari per l’esperimento, ma possiamo anche ampliare la nostra rete di sperimentatori. Ogni contributo è fondamentale per completare la ricerca, raccogliere più dati e rendere lo studio più rappresentativo.”

Come sostenere Citizen Salad

L’obiettivo della campagna è raccogliere 8.000 euro che serviranno a mappare i batteri presenti sulle foglie di 200 piantine di insalata cresciute in ambienti differenti. In pochi giorni Citizen Salad ha già raccolto il 30% dell’obiettivo, grazie al supporto di molti sostenitori che hanno donato e deciso di entrare a far parte dell’esperimento coltivando anche loro due piantine di insalata. Quando la campagna avrà raccolto il 100% del suo obiettivo l’Università di Torino raddoppierà i fondi raccolti, fino a un massimo di 10.000 euro.

Per sostenere il progetto Citizen Salad con una donazione basta cliccare sul link Citizen Salad – Chi vive sulle foglie di insalata, scegliere la ricompensa preferita e completare la procedura in pochi click.

Fate una donazione, indossate il camice e diventate ricercatori e ricercatrici insieme a noi!” ha aggiunto Marco Giovanetti “Abbiamo bisogno del vostro supporto per completare la nostra ricerca, sosteneteci e preparatevi a diventare anche voi coltivatori di insalata”.

Citizen Salad

Il crowdfunding dell’Università di Torino per sostenere la ricerca scientifica

L’Università di Torino ha selezionatCitizen Salad nell’ambito della terza edizione del bando Funds TOgether, sviluppato in collaborazione con Ginger Crowdfunding, che gestisce Ideaginger.it, la piattaforma di crowdfunding con il tasso di successo più alto in Italia.

L’obiettivo del bando, con cui sono già state supportate 13 campagne di crowdfunding, che hanno raccolto oltre 191.000 euro, è fornire ai ricercatori competenze specifiche per sviluppare campagne di crowdfunding utili sia a raccogliere preziose risorse dedicate alla ricerca, ma anche per comunicare alla società civile il prezioso lavoro svolto quotidianamente in ateneo.

“L’Università di Torino”, ha dichiarato Alessandro Zennaro, Vice-Rettore per la valorizzazione del patrimonio umano e culturale in Ateneo,“ha intrapreso un’azione organizzata di valorizzazione della conoscenza e di divulgazione scientifica, anche attraverso l’iniziativa di crowdfunding. È un’opportunità per avvicinare sempre di più la ricerca scientifica alla cittadinanza, illustrandone gli obiettivi di medio-lungo termine, aprendo le porte dei laboratori dove ricercatrici e ricercatori lavorano, stimolando la curiosità della comunità e soprattutto mettendo in evidenza che i risultati della ricerca hanno ricadute immediate sulla vita quotidiana di tutti e tutte noi. Citizen Salad è un progetto esemplare che mostra come ricerca, tecnologia, coinvolgimento della società civile e innovazione possano cambiare il futuro in meglio e per questo merita di essere sostenuto”.

“Questa campagna è un’occasione di collaborazione e formazione anche per lo staff dell’Università di Torino, che mette a disposizione delle ricercatrici e dei ricercatori dell’ateneo le proprie competenze specialistiche in ambito fundraising e finanza alternativa” ha aggiunto Elisa Rosso, Direttrice della Direzione Ricerca, Innovazione e Internazionalizzazione di UniTo. “Ad esempio, lavoriamo per creare contatti, rafforzare reti di collaborazione e ricercare partner istituzionali e aziendali interessati a supportare il progetto e a svilupparlo anche nel futuro. Promuovere il crowdfunding è un’occasione per raccontare il valore della ricerca scientifica e sensibilizzare la comunità sul lavoro svolto in ateneo, che in questo caso permetterà di proseguire una preziosa attività di ricerca nel campo delle scienze della vita e della biologia”.

Citizen Salad

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

BESTIARI, ERBARI, LAPIDARI, documentario di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

Un viaggio sentimentale tra cultura, scienza e arte del nostro vecchio continente

IN TOUR NEI CINEMA DAL 5 OTTOBRE 2024

Bestiari, Erbari, Lapidari, documentario di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti 
il poster del documentario

Presentato in anteprima Fuori Concorso all’81. Mostra d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia Bestiari, Erbari, Lapidari di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti arriva nei cinema a partire dal 5 ottobre distribuito da Luce Cinecittà.

L’uscita in sala sarà accompagnata da un tour nei cinema alla presenza della coppia di documentaristi che prende il via sabato 5 ottobre a Milano (ore 16.30 – Fondazione Prada) dove torneranno anche giovedì 10 ottobre (ore 19.00 Anteo Palazzo del Cinema) e mercoledì 16 ottobre (ore 20.00 Cinema Beltrade). Dopo la prima tappa nella città meneghina si prosegue a Roma lunedì 7 ottobre (ore 20.15 – Nuovo Sacher), martedì 8 ottobre a Firenze (ore 19.00 – Cinema La Compagnia), mercoledì 9 ottobre a Pisa (ore 20.00 – Cinema Arsenale), sabato 12 ottobre a Spoleto (ore 17.00 – Sala Pegasus) e Perugia (ore 20.00 – Postmodernissimo), domenica 13 ottobre a Bologna (ore 20.00 – Cinema Modernissimo), lunedì 14 ottobre a Bergamo (ore 20.00 – Cinema Borgo), martedì 15 ottobre a Brescia (ore 20.45 – Nuovo Eden), giovedì 17 ottobre Torino (Cinema Fratelli Marx), sabato 19 ottobre a Padova (ore 20.00 – Cinema Lux),  lunedì 21 ottobre a Venezia (ore 19.00 – Cinema Giorgione), martedì 22 ottobre a Reggio Emilia (ore 20.15 – Rosebud), mercoledì 23 ottobre a Parma (Cinema Astra, ore 19.00) e Modena (Cinema Truffaut, ore 20.30), sabato 26 ottobre a Aosta dove aprirà FrontDoc, Festival Internazionale del Cinema di Frontiera.

Bestiari, Erbari, Lapidari di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti è stato selezionato Fuori Concorso all’81. Mostra d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.

La prima volta che abbiamo visto queste immagini siamo rimasti ipnotizzati. Il bianco della neve e del cielo avvolgono tutta la scena: le due sagome nere si fronteggiano con un movimento inverso: l’uomo avanza e il pinguino indietreggia. Il fotogramma li contiene entrambi fino a quando il pinguino camminando all’indietro si allontana fino a sparire.  Così abbiamo scoperto che queste immagini erano state filmate durante la spedizione al Polo Sud di Roald Amundsen nel 1910-1912 che aveva raggiunto il Polo Sud con quella che probabilmente è l’imbarcazione di legno più resistente della storia, il Fram.  Questa è la prima volta che un uomo e un pinguino vengono filmati all’interno dello stesso fotogramma.  Questa immagine che ha tutta la potenza del cinema delle origini è diventata l’immagine del manifesto cinematografico del nostro ultimo film, “Bestiari, Erbari, Lapidari”.

 Massimo D’Anolfi, Martina Parenti

La coppia di documentaristi torna con il nuovo progetto alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, dove aveva presentato nel 2016 “Spira Mirabilis” in Concorso Ufficiale, nel 2018 il cortometraggio “Blu” e, nel 2020, “Guerra e pace” in Concorso Orizzonti.

“Il compito dei documentari-saggio è quello di rappresentare un concetto. Anche ciò che è invisibile deve essere reso visibile. […]

Per riuscire a dare corpo al mondo invisibile dell’immaginazione, dei pensieri e delle idee,

il film-saggio può servirsi di una riserva di mezzi espressivi incomparabilmente maggiore di quella del semplice film documentario”
Hans Richter, 1939

SINOSSI

Bestiari, Erbari, Lapidari è un documentario “enciclopedia”, diviso in tre atti ognuno dei quali tratta un singolo soggetto: gli animali, le piante, le pietre. Un omaggio a quegli “sconosciuti” e per certi versi alieni mondi, fatti di animali, vegetali e minerali, che troppo spesso diamo per scontato, ma con cui dovremmo essere in costante dialogo dal momento che costituiscono la parte essenziale della nostra esistenza sul pianeta Terra. Strettamente connessi tra loro, gli atti del film disegnano uno sviluppo drammaturgico unico, attraverso tre diversi dispositivi di messa in scena. Ogni atto è infatti un omaggio a uno specifico genere del cinema documentario.

Bestiari è un found-footage su come e perché il cinema ha ossessivamente rappresentato gli animali; Erbari un documentario poetico d’osservazione all’interno dell’Orto Botanico di Padova; Lapidari, infine, un film industriale sulla trasformazione della pietra in memoria collettiva.

Un coro unico di protagonisti, attraverso multiformi voci e suoni, racconta di noi e preserva il nostro sapere.


NOTE DI REGIA

A scuola nel Medioevo tra una lezione di grammatica e una di retorica si studiavano bestiari, erbari e lapidari. Dai primi si imparava, per esempio, che le tigri s’incantano davanti alla loro immagine riflessa in uno specchio (e non mancava lo studio di animali particolari, sulla cui esistenza nessuno nutriva dubbi, come draghi e ippogrifi), dai secondi si cercavano cure, rimedi e afrodisiaci, mentre dai terzi si estraeva quanto c’era da sapere sugli influssi che le stelle hanno su ogni singola pietra preziosa e sulle loro virtù magiche.

Così, alla stregua della tradizione europea condivisa, Bestiari, Erbari, Lapidari è il luogo in cui animali, piante e pietre, convivono con le persone che di essi quotidianamente si occupano, ma è anche l’occasione per raccogliere i racconti, le storie, le riflessioni su noi umani.

A ogni spettatore il compito di arricchire il film con il proprio bagaglio di esperienze, interessi, letture o visioni cinematografiche.

Bestiari, Erbari, Lapidari, nella sua totalità, procede dunque come un film-saggio: la videocamera puntata su ciò che accade davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie.

Il racconto ha una struttura narrativa che combina pensiero razionale ed emotivo.

Crediamo che il nostro compito sia quello di “re-inventare” una visione e una rappresentazione del reale e cercare di instaurare relazioni vitali fra gli elementi che compongono le inquadrature dell’opera.

Così facendo, non cerchiamo il “reale”, ma la rappresentatività del reale.

Scriveva T. S. Eliot che l’unico modo per esprimere un’emozione in forma d’arte consiste nel trovare “un correlativo oggettivo”; in altre parole, una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi che costituiscano la formula di quella particolare emozione.

Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

L’IMMAGINE DELLA LOCANDINA

La prima volta che abbiamo visto queste immagini siamo rimasti ipnotizzati. Il bianco della neve e del cielo avvolgono tutta la scena: le due sagome nere si fronteggiano con un movimento inverso: l’uomo avanza e il pinguino indietreggia. Il fotogramma li contiene entrambi fino a quando il pinguino camminando all’indietro si allontana fino a sparire.

Così abbiamo scoperto che queste immagini erano state filmate durante la spedizione al Polo Sud di Roald Amundsen nel 1910-1912 che aveva raggiunto il Polo Sud con quella che probabilmente è l’imbarcazione di legno più resistente della storia, il Fram.

Questa è la prima volta che un uomo e un pinguino vengono filmati all’interno dello stesso fotogramma. Questa immagine che ha tutta la potenza del cinema delle origini è diventata l’immagine del manifesto cinematografico del nostro ultimo film, “Bestiari, Erbari, Lapidari”.

 


 

Bestiari, Erbari, Lapidari vuole essere un viaggio sentimentale tra cultura, scienza e arte del nostro vecchio continente.

Crediamo che il nostro compito sia quello di “re-inventare” una visione e una rappresentazione del reale e cercare di instaurare relazioni vitali fra gli elementi che compongono le inquadrature dell’opera. Così facendo, non cerchiamo il “reale”, ma la rappresentatività del reale e l’occasione per raccogliere i racconti, le storie, le riflessioni su noi umani.

A ogni spettatore il compito di arricchire il film con il proprio bagaglio di esperienze, interessi, letture o visioni cinematografiche. (Massimo D’Anolfi e Martina Parenti)

Massimo D’Anolfi e Martina Parenti
Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

Bestiari, Erbari, Lapidari è una produzione Montmorency Film con Rai Cinema Lomotion con SRF Schweizer Radio Und Fernsehen / SRG SSR con il supporto di MIC, Euimages con il contributo di PR FESR Lombardia 2021-2027 – Bando “Lombardia per il cinema” Fondo Sviluppo Italia Francia con il supporto di Berner Filmförderung, Burgergemeinde Bern in associazione con Luce Cinecittà con partecipazione con Eye Filmmuseum, Cinémathèque Suisse. Vendite internazionali Fandango Sales.

Il film sarà distribuito da Luce Cinecittà a partire da ottobre 2024.

Bestiari, Erbari, Lapidari   – opera in tre atti (I atto 73’ + II atto 73’ + III atto 62’ per un totale di 208 min.)  è prodotto da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, David Fonjallaz e Louis Mataré.

Massimo D’Anolfi e Martina Parenti oltre che della produzione e della regia si occupano della fotografia, delle riprese, del suono, del montaggio dei loro progetti. Le musiche originali sono di Massimo Mariani.

Il film distribuito da Luce Cinecittà a partire dal 5 ottobre 2024


CREDITI

Scritto e diretto da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

Fotografia e camera Massimo D’Anolfi

Suono in presa diretta Massimo D’Anolfi, Agit Utlu

Montaggio Massimo D’Anolfi e Martina Parenti

Musiche originali Massimo Mariani

Prodotto da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti David Fonjallaz e Louis Mataré

Prodotto da Montmorency Film con Rai Cinema

e Lomotion con SRF Schweizer Radio Und Fernsehen / SRG SSR

Con il supporto di MIC Eurimages

Berner Filmförderung Burgergemeinde Bern

Con il contributo di PR FESR Lombardia 2021-2027 – Bando “Lombardia per il cinema” Fondo Sviluppo Italia Francia

In associazione con Luce Cinecittà

Con partecipazione con Eye Filmmuseum Cinémathèque Suisse

Grazie a Orto Botanico dell’Università di Padova

Durata 208’ (I atto 73 + II atto 73 + III atto 62)

Anno 2024

Vendite internazionali Fandango Sales

Distribuzione Luce Cinecittà

 


 

Bestiari è stato filmato presso Lichtspiel | Kinemathek Bern, Clinica Veterinaria Rovati Villa

Zibellini, Archivio Tembrock | Humboldt Universität Berlin,

Archivio dello Zoo di Zurigo

con Sophia Gräfe e Francesco Pitassio

Erbari è stato filmato presso Orto Botanico dell’Università di Padova, CBC Bioplanet,

TecnogardenService

con Roberto Tacchetto, Luca Cacciavillani, Marco Canella, Antonio Giraldo, Nicola Lain, Giacomo Mario, Stefano Miotto, Leopoldo Negrin, Pierluigi Palini, Pierluigi Pavelli, Abdoulaye Sangare, SimonePeraro,RiccardoPieran,PaoloRigon,FabioRossanese, Mariacristina Villani, Greta D’Apice, Silvia Moschin, Rossella Marcucci,PaolaMario

Lapidari è stato filmato presso Cementificio Buzzi, Cava Manfrinato, Archivio Centrale dello Stato,

Laboratorio delle Pietre di Inciampo di Berlino, Museo della Natura e dell’Uomo

con Marco Steiner e Michael Friedrichs-Friedlaender


 

 

Testi, video e immagini dagli Uffici Stampa Luce Cinecittà e del film. Aggiornato il 20 agosto e il 27 settembre 2024.

PIANTE IN MOVIMENTO: Progetto ROOMors – At the roots of motor intentions

Inaugurato oggi il laboratorio dove si studiano le piante e come sono in grado di pianificare intenzionalmente un’azione

L’intenzione è “nascosta” nelle caratteristiche specifiche del movimento stesso. Eseguire un’azione non prevede solo una componente biomeccanica, ma anche una componente intenzionale che tiene conto del perché un’azione viene eseguita. Per esempio, è possibile afferrare un bicchiere d’acqua per portarlo alla bocca e bere, oppure si può eseguire la stessa azione per porgere il bicchiere d’acqua ad un’altra persona. Nel caso esposto il modo in cui viene afferrato il bicchiere sarà diverso a seconda della ragione ultima che ha guidato l’azione.

ROOMors – At the roots of motor intentions – sotto la supervisione del Prof. Umberto Castiello in qualità di Responsabile scientifico del progetto di ricerca, apre nuovi scenari nella comprensione di questi processi considerando organismi privi di un sistema nervoso centrale quali appunto le piante.

«Le nostre ricerche più recenti suggeriscono che anche le piante sono in grado di pianificare un’azione e che tali azioni potrebbero essere guidate da una componente intenzionale. Questo progetto affronta lo studio di processi che sino a pochi anni fa sarebbe stato impensabile ascrivere alle piante: la capacità di pianificare un movimento in base all’intenzione che lo determina, di comunicare attraverso una forma di linguaggio chimico e di prendere decisioni importanti per risolvere i problemi dettati da un ambiente in continua mutazione», dice Umberto CastielloResponsabile scientifico di ROOMors che avrà durata quinquennale ed è finanziato con 4 milioni di euro. E lo fanno senza neuroni e cervello in una maniera più efficace di tanti animali inclusi gli esseri umani. Con un’analisi di tipo fisio-molecolare si ambisce a codificare i geni che sottostanno alla capacità delle piante di agire in maniera intenzionale. Queste conoscenze – continua Castiello – potrebbero portare ad esplorare parallelismi con le specie animali per comprendere le origini comuni di tali processi. Noi esseri umani condividiamo con le piante tra il 30 ed il 50% dei geni».

Attraverso appunto l’utilizzo di tecniche sofisticate sia per l’analisi del movimento, che per la rilevazione delle molecole chimiche utilizzate dalle piante per comunicare e per la caratterizzazione genetica, ROOMors andrà alla ‘radice’ dell’”intenzionalità”.

Il progetto si inserisce all’interno dell’area di ricerca denominata “Psicologia Comparata” che studia, attraverso un metodo comparativo il comportamento delle diverse specie animali, incluso l’uomo e le piante. Viene studiata la capacità delle piante di pianificare un movimento e di comunicare attraverso un linguaggio chimico e motorio che per certi aspetti le accomuna alle modalità utilizzate dalle specie animali. Tutto questo senza voler trasformare le piante in animali o antropomorfizzarle. Lo scopo è di trovare analogie che permettano di arrivare alle radici evolutive di tali processi.

«Il progetto nasce da una serie di studi in cui abbiamo dimostrato per la prima volta, attraverso l’utilizzo di sofisticate tecniche di analisi del movimento, che le piante sono in grado di pianificare una risposta in base alle caratteristiche degli stimoli ambientali e al contesto in cui si sviluppano. Inoltre, le nostre ricerche indicano che le piante sono in grado di riconoscere l’attitudine sociale espressa da altre piante e agire di conseguenza – sottolinea Umberto Castiello –. Piuttosto che studiare le piante per scopi legati alla produttività e allo sfruttamento cerchiamo di capire come le piante vivono la loro vita e applicano soluzioni “intelligenti”. L’idea è di arrivare a decodificare il loro linguaggio chimico e comportamentale per farci dire da loro come salvaguardare l’ambiente e la nostra specie. Il modello sperimentale utilizzato è la pianta di pisello: abbiamo scelto questa pianta perché il suo movimento verso un potenziale supporto è indice di una azione orientata verso un oggetto. Un perfetto esempio di percepire per agire. Le piante – conclude Castiello – vengono studiate in un ambiente all’interno del quale viene controllata l’illuminazione, l’irrigazione, la temperatura e l’umidità. Durante il loro sviluppo siamo in grado di effettuare in tempo reale l’analisi tridimensionale del movimento, l’analisi delle molecole volatili utilizzate per comunicare e l’analisi dei potenziali elettrici utilizzati per scandagliare l’ambiente circostante. L’acquisizione simultanea di tutti questi segnali e la possibilità di poterli correlare rende il nostro laboratorio unico al mondo. Ricercatrici e ricercatori con competenze diverse quali la bioinformatica, la bioingegneria, la chimica analitica, la filosofia, la fisiologia vegetale e la psicologia fisiologica e comparata studiano il comportamento delle piante con le tecnologie più sofisticate».

«Tre sono i livelli in cui questo progetto si innesta nelle ricerche del dipartimento. Il primo è teorico: lo studio della cognizione affrontato anche dalla prospettiva vegetale fornisce una visione più integrata dell’evoluzione dei processi cognitivi. Il secondo è di opportunità perché offre a giovani psicologi e psicologhe la possibilità di confrontarsi con nuove tecnologie arricchendo così il bagaglio metodologico ad alta tecnologia tipico della formazione psicologica che già include tecniche quali la risonanza magnetica funzionale, l’elettroencefalografia e altre applicazioni nell’ambito delle neuroscienze”, ­ afferma Francesca Pazzaglia, Direttrice del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova. Il terzo, infine, è applicativo: questo filone di ricerche potrà contribuire a comprendere se i meccanismi che permettono alle piante di percepire, agire e comunicare sono influenzati dai cambiamenti climatici in atto. Un’agricoltura di precisione che mira alla salvaguardia delle risorse oltre alla ottimizzazione di input chimici, meccanici e biologici non può prescindere da una valutazione “psicologica” della capacità delle piante di fronteggiare i cambiamenti in atto.”

Umberto Castiello è Professore Ordinario di Neuroscienze Cognitive al Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova. Ha lavorato in università straniere quali l’Università di Lione, l’Università dell’Arizona, l’Università di Melbourne e l’Università di Londra. È diventato Professore Ordinario all’Ateneo patavino nel 2004 con chiamata per chiara fama. Membro di diverse società scientifiche tra cui il “Centro Beniamino Segre” all’Accademia dei Lincei. La sua attività di ricerca è centrata sull’utilizzo delle tecniche di analisi tridimensionale del movimento e di spettrometria di massa per studiare il comportamento e la comunicazione negli esseri umani e nelle piante. I suoi studi più recenti sono per lo più basati sullo sviluppo di nuovi e sofisticati esperimenti che impiegano l’analisi del movimento e altre metodologie per studiare il comportamento e la comunicazione nelle piante. I suoi risultati più importanti includono la dimostrazione che le piante, anche in assenza di un cervello, sono in grado di percepire e valutare le caratteristiche fisiche degli elementi esterni al fine di poter “pianificare” un movimento funzionale al raggiungimento di un obiettivo. Aprendo così una nuova visione per lo studio delle capacità cognitive, affrontato sia dalla prospettiva animale sia vegetale (neurale e non neurale) che offre una visione più integrata dell’evoluzione dei processi cognitivi e delle interazioni ecologiche che contribuiscono a modellarli. La sua ricerca è stata finanziata da vari programmi e fondazioni internazionali e nazionali. Per ultimo il prestigioso ERC Advanced Grants per studiare l’intenzionalità nelle piante. Ha pubblicato oltre 300 lavori su riviste internazionali.

Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

Dai germogli della salicornia un aiuto per il fegato: l’estratto dei germogli di Salicornia europaea può contribuire a prevenire la steatosi epatica, conosciuta anche come “fegato grasso”

Lo studio dell’Università di Pisa pubblicato sulla rivista Antioxidants realizzato nell’ambito del progetto europeo  HaloFarMs

 

L’estratto dei germogli di Salicornia europaea può contribuire a prevenire la steatosi epatica, conosciuta anche come “fegato grasso”, una condizione frequente e spesso asintomatica che però in alcuni casi può arrivare a compromettere l’organo e la sua funzionalità. A rivelare gli effetti protettivi di questa pianta mediterranea sempre più amata dagli chef è uno studio dell’Università di Pisa pubblicato sulla rivista Antioxidants e condotto nell’ambito del progetto europeo HaloFarMs.

Lo studio è stato condotto su modelli animali.

Per la prima volta scienziati e scienziate hanno dimostrato che le foglie più giovani di salicornia hanno livelli significativamente più alti di composti bioattivi, come polifenoli totali, flavonoidi, flavonoli e antociani rispetto a quelle più vecchie.

“Alla luce di questi risultati, la salicornia emerge come un alimento prezioso da inserire nei pasti, soprattutto per coloro che soffrono di malattie cardiovascolari, disturbi epatici e steatosi”, commenta la professoressa Annamaria Ranieri dell’Università di Pisa.

La salicornia è una pianta alofita, capace cioè di vivere in terreni salini e marginali in condizioni proibitive per la maggior parte della vegetazione. Qui la salicornia esercita una importantissima funzione ecologica: la sua capacità di estrarre i sali dal suolo serve infatti a contrastare l’impoverimento idrico dei terreni. Basti pensare che attualmente circa 18 milioni di ettari nel mondo, che corrispondono al 25% del totale delle terre irrigate nell’area Mediterranea e al 7% della superficie totale del pianeta, sono colpite dal fenomeno della salinità.

“Oltre a questo fondamentale ruolo ecosistemico, la salicornia è quindi un alimento che può avere una funzione importante nella dieta – continua Ranieri – come emerge dalla nostra ricerca gli estratti di questa pianta testati su modelli animali evidenziando un recupero completo dalla steatosi epatica”.

Lo studio sulla salicornia si è svolto nell’ambito di HaloFarMs, un progetto finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca e dal Programma PRIMA, la Partnership per l’innovazione del settore idrico e agro-alimentare nell’area mediterranea promossa dall’Unione Europa con la partecipazione di 19 paesi

Alla base di HaloFarMs c’è l’idea di sviluppare e ottimizzare nuovi sistemi di agricoltura sostenibile basati sull’uso delle piante alofite. Oltre a desalinizzare il suolo, le alofite vengono studiate per impiegarle nell’industria cosmetica, alimentare e veterinaria. L’adozione da parte degli agricoltori dei risultati del progetto ha così l’obiettivo di diminuire la salinizzazione del suolo, aumentare le rese dei terreni senza esaurire le risorse di acqua dolce, e diversificare le fonti di reddito.

 

Riferimenti bibliografici:

Souid, Aymen, Lucia Giambastiani, Antonella Castagna, Marco Santin, Fabio Vivarelli, Donatella Canistro, Camilla Morosini, Moreno Paolini, Paola Franchi, Marco Lucarini, and et al. 2024. “Assessment of the Antioxidant and Hypolipidemic Properties of Salicornia europaea for the Prevention of TAFLD in Rats”, Antioxidants 13, no. 5: 596, DOI: https://doi.org/10.3390/antiox13050596

Salicornia europaea. Foto dallo stagno di Cagliari
Salicornia europaea. Foto dallo stagno di Cagliari, di Marco Vinicio Olla, CC BY-SA 3.0

Testo dal Polo Comunicazione CIDIC – Centro per l’innovazione e la diffusione della cultura dell’Università di Pisa.

Pubblicato il nuovo censimento delle piante in Italia: al 2024, si contano 46 specie autoctone in più e 185 aliene in più

Il professore Lorenzo Peruzzi dell’Università di Pisa fra i coordinatori del lavoro che ha aggiornato i dati del 2018

Secondo il nuovo censimento delle piante in Italia, che ha aggiornato i dati del 2018, sono 46 in più le specie autoctone e 185 in più quelle aliene registrate. Dai dati complessivi emerge che nel nostro Paese ci sono oggi 8.241 specie e sottospecie autoctone, di cui 1.702 endemiche (cioè esclusive del territorio italiano) mentre 28 sono probabilmente estinte. A queste si aggiungono 1.782 specie aliene. Tra di esse, 250 sono invasive su scala nazionale e ben 20 sono incluse nella ‘lista nera’ della Commissione Europea, che elenca una serie di piante e animali esotici, la cui diffusione in Europa va assolutamente tenuta sotto controllo.

“Rispetto all’analogo censimento pubblicato sei anni fa abbiamo un incremento dei numeri totali: ciò è dovuto a nuovi studi e all’esplorazione di nuovi territori, ma anche, per quanto riguarda le aliene, all’ingresso di numerose nuove specie, da monitorare attentamente e se possibile eradicare”,

racconta Lorenzo Peruzzi, fra i coordinatori della ricerca, professore di Botanica sistematica nel Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e direttore dell’Orto e Museo Botanico.

Nuovo censimento delle piante in Italia al 2024, gallery con foto di piante autoctone

Gli elenchi aggiornati della flora vascolare (ossia felci e affini, conifere e piante a fiore) autoctona e aliena presente in Italia sono stati appena pubblicati sulla rivista internazionale “Plant Biosystems”, organo ufficiale della Società Botanica Italiana. Si è trattato di una ricerca collaborativa, realizzata grazie agli sforzi congiunti di 45 ricercatori italiani e stranieri. Insieme a Lorenzo Peruzzi hanno coordinato lo studio anche Gabriele Galasso del Museo Civico di Storia Naturale di Milano e Fabrizio Bartolucci e Fabio Conti dell’Università di Camerino. Tra gli autori della ricerca anche Francesco Roma-Marzio, Curatore dell’Erbario dell’Orto e Museo Botanico dell’Ateneo pisano.

Nuovo censimento delle piante in Italia al 2024, gallery con foto di piante aliene

“C’è ancora molto da fare – conclude Peruzzi – e il lavoro di continua ricerca e verifica svolto dai floristi e dai tassonomi per descrivere la biodiversità vegetale italiana è ben lungi dall’essere concluso. Certamente, però, il quadro delle conoscenze che abbiamo oggi è sempre più completo e potrà permettere azioni di tutela maggiormente mirate e consapevoli”.

Lorenzo Peruzzi Censimento piante 2024
Lorenzo Peruzzi
Censimento flora nativa:
Censimento flora aliena

Testo e foto dall’Unità Comunicazione Istituzionale dell’Università di Pisa. Aggiornato l’8 aprile 2024.

Un fiore mai visto prima è sbocciato in montagna: scoperta una nuova specie di Campanula nelle Prealpi bergamasche, la Campanula bergomensis

Un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, dell’Università di Siena e del gruppo Flora Alpina Bergamasca (FAB) ha scoperto una nuova specie di pianta, che cresce in un territorio ristretto delle Prealpi lombarde. La specie appartiene al genere Campanula ed è stata denominata Campanula bergomensis, ovvero di Bergamo, dal nome della provincia di cui è esclusiva. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Phytotaxa.

Campanula bergomensis

Milano, 28 febbraio 2024 – Una nuova campanula, mai scoperta prima, è stata identificata nelle Prealpi Bergamasche da un gruppo di ricerca coordinato dall’Università degli Studi di Milano, assieme all’Università di Siena e al gruppo Flora Alpina Bergamasca – FAB.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista internazionale Phytotaxa.

Si tratta di Campanula bergomensis, la cui caratteristica è che cresce in ambienti molto particolari: su conoidi detritici carbonatici di bassa quota e si trova solo in poche valli nei pressi della città di Clusone (BG).

Gli studiosi hanno trovato delle affinità con Campanula cespitosa, che fiorisce sulle Alpi orientali in Italia, Austria e Slovenia. Ma attraverso analisi genetiche, morfologiche e palinologiche, hanno visto che le due specie sono in realtà ben distinte e che Campanula bergomensis rappresenta un’entità autonoma rispetto alle campanule conosciute. Alcuni esemplari della nuova specie sono stati cresciuti da seme e ora sono in coltivazione all’Orto Botanico Città Studi della Statale di Milano.

Secondo i ricercatori, la distribuzione ristretta della nuova specie, che solo in minima parte ricade all’interno di aree protette, rende necessarie appropriate iniziative di tutela.

“La specie”, spiega Barbara Valle, ricercatrice dell’Università di Siena e prima firmataria dell’articolo “ha un areale limitato ed è gravemente minacciata dalle attività umane. È quindi urgente adottare delle misure di protezione e conservazione”.

Questa scoperta dimostra come la biodiversità italiana riservi ancora molte sorprese e che le conoscenze sulla nostra flora e fauna siano tutt’altro che complete, oltre a confermare la straordinaria ricchezza floristica delle zone prealpine. Per affrontare la perdita di biodiversità attualmente in corso è necessario innanzitutto conoscerla a fondo, indagando anche territori apparentemente ben conosciuti” conclude Marco Caccianiga, docente di Botanica del Dipartimento di Bioscienze dell’Università Statale di Milano e coordinatore della ricerca.

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano

Contrastare la sterilità dei terreni con piante tolleranti alle alte concentrazioni saline 

Una nuova ricerca coordinata da Raffaele Dello Ioio della Sapienza Università di Roma ha individuato il meccanismo molecolare che inibisce lo sviluppo delle radici quando una pianta si trova in un terreno con elevate presenza di sale. Lo studio, pubblicato su Communications Biology, può portare allo sviluppo di piante in grado di sopravvivere e avere alta resa agricola anche se esposte a questo minerale.

Come effetto del riscaldamento globale, le condizioni climatiche di molte aree nel mondo stanno radicalmente cambiando aumentando le zone soggette ad inaridimento del suolo o ad alluvioni. Tali cambiamenti causano un aumento della concentrazione salina nel suolo, rendendo molte aree coltivabili quasi completamente sterili. Infatti, l’aumento di sale nel suolo inibisce la crescita delle piante causando una notevole riduzione nella resa agricola.

Il primo organo che viene a contatto con il sale presente nel suolo è la radice: da questa propagano segnali che generano molteplici anomalie nello sviluppo di tutta la pianta che conducono alla morte.

Un nuovo studio coordinato da ricercatori del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza di Roma ha combinato esperimenti di biologia molecolare, genetica e biologia computazionale giungendo a identificare il meccanismo molecolare che inibisce la crescita della radice quando una pianta è esposta ad alte concentrazioni saline. I risultati del lavoro sono stati pubblicati sulla rivista Communications Biology.

Il gruppo di ricerca si è servito della nota pianta modello Arabidopsis thaliana, meglio conosciuta come Arabetta comune, percomprendere come le condizioni chimiche, fisiche e meccaniche del suolo interferiscano con lo sviluppo della radice alterando di conseguenza lo sviluppo della pianta in toto.

“Questo studio – commenta Raffaele Dello Ioio – è seminale per la produzione futura di piante resistenti ad alte concentrazioni saline. Infatti, è plausibile che rendendo le radici delle piante insensibili alla presenza di sale nel suolo queste potranno sopravvivere ed avere alta resa agricola anche se esposte a questo minerale”.

Arabidopsis thaliana piante tolleranti concentrazioni saline
Contrastare la sterilità dei terreni con piante tolleranti alle alte concentrazioni saline: la pianta modello Arabidopsis thaliana. Foto di Flocci Nivis, CC BY-SA 4.0

Riferimenti:

microRNA165 and 166 modulate response of the Arabidopsis root apical meristem to salt stress – Daria Scintu, Emanuele Scacchi, Francesca Cazzaniga, Federico Vinciarelli, Mirko De Vivo, Margaryta Shtin, Noemi Svolacchia, Gaia Bertolotti, Simon Josef Unterholzner, Marta Del Bianco, Marja Timmermans, Riccardo Di Mambro, Paola Vittorioso, Sabrina Sabatini, Paolo Costantino & Raffaele Dello Ioio – Communications Biology (2023)  https://www.nature.com/articles/s42003-023-05201-6

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma