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Pasquale Pignatelli

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L’albumina, proteina del sangue che predice il rischio di cancro e infarto negli anziani
Uno studio italiano condotto su 18.000 persone ha dimostrato che la presenza di bassi livelli di albumina è associata alla mortalità per cancro e malattie cardiovascolari negli individui di età pari o superiore ai 65 anni. I risultati dello studio, condotto dalla Sapienza in collaborazione con I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, Mediterranea Cardiocentro di Napoli e Università LUM di Casamassima, sono stati pubblicati sulla rivista eClinical Medicine-Lancet.

 

Una ricerca congiunta condotta da Sapienza Università di Roma in collaborazione con I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, Mediterranea Cardiocentro di Napoli e Università LUM di Casamassima, ha messo in luce un’associazione significativa tra ipoalbuminemia (bassi livelli di albumina nel sangue) e un aumento del rischio di mortalità per malattie vascolari e cancro in individui anziani.

La ricerca, condotta sulla base dei dati raccolti dallo studio epidemiologico Moli-sani e pubblicata sulla rivista scientifica eClinical Medicine-Lancet, ha analizzato un vasto gruppo di persone (circa 18.000 soggetti, dei quali 3.299 di età pari o superiore ai 65 anni), dimostrando che livelli di albumina inferiori a 35 g/L sono collegati a un rischio maggiore di morte negli anziani. Questa relazione è stata osservata anche dopo aver escluso fattori come malattie renali o epatiche e stati infiammatori acuti, che possono influenzare i livelli di albumina.

“La possibilità di ottenere indicazioni predittive su malattie con alta incidenza e elevato rischio di morte – come quelle cardiovascolari o i tumori – attraverso un esame semplice e ampiamente disponibile, anche a basso costo, rappresenta una importante conquista per la medicina moderna” – commenta la rettrice della Sapienza Antonella Polimeni. “Questo studio, che conferma e consolida l’eccellenza delle attività scientifica delle università e degli enti di ricerca italiani in campo medico, ha anche un importante valore sociale attribuibile alle possibili ricadute nell’ambito della prevenzione”.

“La nostra analisi – dice Francesco Violi, Professore Emerito della Sapienza Università di Roma e ideatore dello studio – origina dal fatto che nel sangue l’albumina è una proteina che svolge attività antiossidante, antinfiammatoria e anticoagulante. La sua diminuzione, pertanto, accentua lo stato infiammatorio sistemico, facilitando l’iperattività delle cellule predisposte alla cancerogenesi o alla trombosi. È importante, in questo contesto, sottolineare che cancro e infarto cardiaco condividono una base comune proprio nella presenza di uno stato infiammatorio cronico, e che pazienti a rischio di malattie cardiovascolari, come i diabetici e gli obesi, sono anche a rischio di cancro”.

“I risultati del nostro studio – aggiunge Augusto Di Castelnuovo, epidemiologo della Mediterranea Cardiocentro e dell’I.R.C.C.S. Neuromed- mostrano che un livello basso di albumina, oltre a fornire indicazioni sullo stato nutrizionale e sulla salute del fegato, segnala anche una aumentata suscettibilità verso altre gravi patologie. L’ipoalbuminemia potrebbe riflettere quel processo infiammatorio cronico, tipico dell’invecchiamento, noto come ‘inflammaging’, che potrebbe aver contribuito al rischio elevato di mortalità che abbiamo osservato.”

Un dato interessante della ricerca è che l’ipoalbuminemia è correlata a un livello socioeconomico più basso. Questo solleva un’importante questione sociale, poiché per motivi economici, gli anziani optano spesso per una dieta meno salutare, scegliendo alimenti con proteine meno nobili.

“Oltre a fornirci lo spunto per approfondire con ulteriori ricerche il rapporto tra albumina nel sangue e salute – commenta Licia Iacoviello, direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed e Professore Ordinario di Igiene dell’Università LUM – questo studio può avere implicazioni dirette sulla pratica clinica e sulla prevenzione. La misura dell’albumina nel sangue è infatti un test semplice e poco costoso. È quindi da considerare un’analisi di primo livello, che permetterebbe di porre una maggiore attenzione clinico-diagnostica verso gli individui anziani potenzialmente a rischio. Il nostro studio fornisce anche un valore di riferimento (35 g/L) che può guidare il medico nell’interpretazione della misura di albumina”.

Riferimenti bibliografici:

The association between hypoalbuminemia and risk of death due to cancer and vascular disease in individuals aged 65 years and older: findings from the prospective Moli-sani cohort study – Augusto Di Castelnuovo, Marialaura Bonaccio, Simona Costanzo, Amalia De Curtis, Sara Magnacca, Mariarosaria Persichillo, Teresa Panzera, Francesca Bracone, Pasquale Pignatelli, Roberto Carnevale, Chiara Cerletti, Maria Benedetta Donati, Giovanni de Gaetano, Licia Iacoviello, Francesco Violi, for theMoli-sani Study Investigators – eClinical Medicine-Lancet, DOI: https://doi.org/10.1016/j.eclinm.2024.102627.

Bassi livelli di albumina associati alla mortalità per cancro e malattie cardiovascolari negli anziani. Foto di Claudia Peters

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Covid e trombosi: uno studio italiano coordinato da Sapienza scopre un recettore causa di ictus

La pubblicazione sulla rivista Circulation Research, giornale ufficiale della società americana di cardiologia, apre la strada a prospettive cliniche importanti nel trattamento dei pazienti COVID-19.

trombosi COVID-19 vaccinazione sesso stile vitaCovid e trombosi: uno studio italiano coordinato da Sapienza scopre un recettore causa di ictus. Foto di PIRO4D

La grave polmonite bilaterale con conseguente insufficienza respiratoria non è la sola causa di mortalità dovuta al COVID-19. I pazienti infatti subiscono spesso le complicanze di embolie polmonari, infarto del miocardio ed ictus, che sono altrettanti fattori di rischio di morte; nei casi più gravi circa il 20 % dei pazienti ospedalizzati può avere conseguenze cardiovascolari. Sebbene l’uso di eparina abbia ridotto l’entità di queste complicanze, il rischio rimane ancora elevato.

Lo studio realizzato da un gruppo di ricercatori di Sapienza Università di Roma, coordinato dal professore emerito Francesco Violi, apre nuove prospettive per contrastare il rischio trombotico nei pazienti affetti da COVID-19.  Attraverso lo studio di circa 50 pazienti gli autori hanno dimostrato che la proteina Spike del virus si lega al recettore TLR4 delle piastrine causandone l’attivazione e la trombosi; alla scoperta sono arrivati usando il sangue prelevato dai pazienti e seguendo 3 differenti metodologie, tutte concordanti sul legame tra proteina Spike e TLR4 delle piastrine.

“Il fatto che la trombosi mediata dalle piastrine sia stata bloccata da un inibitore del TLR4 – sottolinea Violi – apre prospettive cliniche importanti nel trattamento dei pazienti COVID-19 in quanto questo inibitore potrebbe essere usato per la prevenzione e la cura durante la fase acuta della malattia come farmaco antitrombotico”.

Al fine di favorire l’immediata sperimentazione clinica il gruppo di ricerca e la Rettrice della Sapienza Antonella Polimeni hanno scelto di non brevettare la scoperta e quindi favorire la libera circolazione nella comunità scientifica dei risultati dello studio, a beneficio della salute e della sicurezza collettiva.

Riferimenti:

Toll-Like Receptor 4-Dependent Platelet-Related Thrombosis in SARS-CoV-2 Infection

Roberto Carnevale, Vittoria Cammisotto, Simona Bartimoccia, Cristina Nocella, Valentina Castellani, Marianna Bufano, Lorenzo Loffredo, Sebastiano Sciarretta, Giacomo Frati, Antonio Coluccia, Romano Silvestri, Giancarlo Ceccarelli, Alessandra Oliva, Mario Venditti, Francesco Pugliese, Claudio Maria Mastroianni, Ombretta Turriziani, Martina Leopizzi, Giulia D’Amati, Pasquale Pignatelli and Francesco Violi

https://doi.org/10.1161/CIRCRESAHA.122.321541 Circulation Research. 2023;0

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

COVID-19: scoperta la “tempesta perfetta” che aumenta il rischio di trombosi

Due studi italiani, condotti da un gruppo di ricercatori della Sapienza Università di Roma su pazienti con infezione da Sars Cov-2, identificano un mix di fattori per riconoscere i soggetti a maggior rischio di trombosi e le indicazioni per ottimizzare la terapia anti-coagulante.

trombosi COVID-19
Foto di PIRO4D

Nei pazienti COVID-19 una delle principali cause di mortalità è l’elevato rischio di trombosi, che può presentarsi sia nel distretto venoso in forma di trombosi venosa profonda o embolia polmonare, sia in quello arterioso in forma di infarto del miocardio o ictus. Circa il 20% dei pazienti COVID-19 può andare incontro a queste gravi complicanze durante il ricovero.

Purtroppo fino a ora le evidenze disponibili non hanno consentito di identificare con chiarezza i pazienti COVID-19 a rischio di trombosi né le indicazioni alla terapia anticoagulante per la prevenzione del rischio tromboembolico.

Il gruppo di ricerca coordinato da Francesco Violi del Dipartimento di Medicina interna e specialità mediche della Sapienza Università di Roma, in collaborazione con Lorenzo Loffredo, Pasquale Pignatelli e Annarita Vestri dello stesso Ateneo, ha realizzato due studi nei quali vengono identificati quali sono i pazienti con maggiore rischio di trombosi e quali le dosi ideali di terapia anticoagulante per la prevenzione di eventi trombotici. Uno dei due lavori è pubblicato sulla rivista Thrombosis and Haemostasis e l’altro è in pubblicazione su Haematologica.

In particolare, il primo lavoro è consistito in uno studio multicentrico che ha incluso 674 pazienti COVID-19, nel quale la combinazione di 3 semplici variabili quali età, albumina serica e livelli di D-dimero, uno dei frammenti proteici della fibrina, responsabile della formazione di coaguli (trombi) nei vasi sanguigni, ha permesso di identificare i pazienti con maggior rischio di trombosi.

È stato visto che coloro che avevano una combinazione di età elevata (più di 70anni) bassa albumina (<35 g/L) e D-dimero elevato (>2000ng/ml) avevano una maggiore probabilità di trombosi, rispetto a pazienti di età inferiore e con valori normali di albumina e D-dimero.

“Avendo a disposizione questo semplice punteggio, chiamato ADA score – spiega Francesco Violi – è adesso possibile stabilire chi è a maggiore rischio di trombosi e che ha necessità di un trattamento anticoagulante”.

Il secondo lavoro, in pubblicazione su Haematologica, rivista ufficiale della Società Europea di Ematologia, risponde a una problematica ancora dibattuta dopo due anni dall’inizio della pandemia, ovvero se la prevenzione di questi eventi trombotici vada fatta con una terapia anticoagulante standard o con dosi profilattiche, cioè basse dosi di anticoagulanti. Questo aspetto è rilevante in quanto le basse dosi di anticoagulante, che tutt’oggi sono la terapia più usata, potrebbero essere insufficienti a ridurre il rischio di trombosi.

Il team di ricercatori ha effettuato una meta-analisi degli studi che hanno confrontato i due tipi di trattamento, dimostrando che le dosi standard di anticoagulanti sono superiori alle dosi profilattiche nel ridurre gli eventi trombotici senza aumentare il rischio di emorragie serie.

“La meta-analisi, che ha incluso circa 4500 pazienti COVID-19 – conclude Violi – dimostra come questa terapia rappresenterebbe un utile supporto non solo per ridurre gli eventi trombotici, ma anche della mortalità, che, purtroppo, rimane ancora elevata fra questi soggetti”.

Riferimenti:

The ADA (Age-D-Dimer-Albumin) score to predict thrombosis in SARS-CoV-2 – Francesco Violi, Pasquale Pignatelli, Annarita Vestri, Alessandra Spagnoli, Francesco Cipollone, Giancarlo Ceccarelli, Alessandra Oliva, Maria Amitrano, Matteo Pirro, Gloria Taliani, Roberto Cangemi, Miriam Lichtner, Francesco Pugliese, Marco Falcone, Mario Venditti, Claudio Maria Mastroianni, Lorenzo Loffredo – Thromb Haemost DOI: 10.1055/a-1788-7592

Full versus prophylactic-intermediate doses of anticoagulants in COVID-19: a meta-analysis – Lorenzo Loffredo, Augusto Di Castelnuovo, Giovanni Aldo Chiariello, Pasquale Pignatelli and Francesco Violi – Haematologica

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Albumina contro Covid-19: avviata con successo la sperimentazione clinica

Il gruppo di ricerca coordinato da Francesco Violi della Sapienza ha iniziato la sperimentazione dell’uso di albumina come supporto alla tradizionale terapia anticoagulante nel trattamento delle complicanze trombotiche. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulla rivista Thrombosis and Haemostasis

albumina
Struttura dell’albumina sierica umana. Immagine Jawahar Swaminathan e staff MSD presso European Bioinformatics Institute (http://www.ebi.ac.uk/pdbe-srv/view/images/entry/1ao6600.png, su http://www.ebi.ac.uk/pdbe-srv/view/entry/1ao6/summary), in pubblico dominio

Nei pazienti con infezione da SARS-CoV-2 è ormai accertato l’elevato rischio legato alla formazione di trombi che possono determinare conseguenze devastanti come ostruzioni polmonari (embolie), infarto cardiaco e ictus con una frequenza più elevata di quella riscontrata nella polmonite comunitaria. Per tale ragione la comunità scientifica ha cercato di identificare una terapia mirata, a supporto di quelle tradizionali, per far fronte alle complicanze dovute alla formazione di trombi riducendo il ricorso alla terapia intensiva.

Un nuovo studio coordinato da Francesco Violi del Dipartimento di Scienze cliniche internistiche, anestesiologiche e cardiovascolari, ha indagato se l’impiego di albumina in pazienti Covid-19 con concomitante ipoalbuminemia, inibisse la coagulazione del sangue. Per una settimana, a 10 pazienti Covid-19, già in trattamento con anticoagulanti, è stata somministrata albumina endovena e si è osservata una ridotta coagulazione rispetto a quella di 20 pazienti in terapia con il solo anticoagulante. Allo studio, pubblicato sulla rivista Thrombosis and Haemostasis, hanno collaborato anche Francesco Pugliese del Reparto di Terapia intensiva, Claudio Maria Mastroianni e Mario Venditti del Reparto di Malattie Infettive del Policlinico Umberto I e Francesco Cipollone dell’Università degli studi “Gabriele Annunzio” di Chieti.

In un precedente lavoro il gruppo di Violi, aveva osservato che i pazienti Covid-19 presentano livelli ridotti di albumina, proteina che viene prodotta dal nostro organismo e che è tra i più potenti antinfiammatori oltre a svolgere anche un’azione anticoagulante. “Questa osservazione − dichiara Violi− ha fatto supporre che i bassi livelli di albumina potessero facilitare la coagulazione e dunque contrastare anche l’efficacia della terapia anticoagulante”.

Partendo da queste basi, il team di ricerca è passato alla osservazione clinica degli effetti dell’infusione di albumina, ottenendo risultati incoraggianti.

“Oggi, dai primi dati preliminari, sembrerebbe che il trattamento determina una minor comparsa di eventi vascolari – conclude Violi – Seppure sia necessario un numero maggiore di pazienti per confermare questo dato preliminare, lo studio apre la strada all’uso dell’albumina in pazienti Covid-19 per valutare se la sua infusione, associata alla terapia anticoagulante classica, riduca il rischio trombotico e quindi la mortalità”.

Riferimenti:

Albumin Supplementation Dampens Hypercoagulability in COVID-19: A Preliminary Report – Francesco Violi, Giancarlo Ceccarelli, Lorenzo Loffredo, Francesco Alessandri, Francesco Cipollone, Damiano D’ardes, Gabriella D’Ettorre, Pasquale Pignatelli, Mario Venditti, Claudio Maria Mastroianni, Francesco Pugliese –Thromb Haemost 2020. DOI: 10.1055/s-0040-1721486

 

Testo dall’Ufficio Stampa Sapienza Università di Roma.

Un nuovo studio della Sapienza e del Policlinico Umberto I di Roma fornisce per la prima volta una interpretazione del rischio trombotico nei pazienti Covid-19, aprendo la strada a una identificazione precoce dei soggetti ad alto rischio e a nuove prospettive terapeutiche.

Foto di Michal Jarmoluk 

Eruzioni cutanee, gambe gonfie, cateteri ostruiti e morte improvvisa.  La “tempesta” di coaguli di sangue è una complicazione letale in una buona percentuale di coloro che si ammalano gravemente di COVID-19.

Alcuni studi stanno iniziando a chiarire i meccanismi alla base di questa correlazione, ma fino a oggi la strategia terapeutica giusta per una guarigione era ancora lontana.

In un nuovo lavoro coordinato da Francesco Violi del Dipartimento di Medicina interna e specialità mediche e pubblicato sulla rivista Circulation Research, il team di ricercatori della Sapienza e del Policlinico Umberto ha osservato valori molto bassi di albumina sierica nei pazienti Covid-19 e ne ha quindi indagato, confermandola, una relazione con le complicanze trombotiche.

Partendo dall’assunto che, in qualsiasi condizione clinica, quando l’albumina nel sangue è inferiore a un certo livello – che corrisponde a <35g/L – il rischio di trombosi arteriosa e venosa aumenta, i ricercatori hanno verificato questi dati nei pazienti Covid-19. Lo studio, condotto su 73 pazienti ricoverati presso i reparti di Malattie infettive e di Terapia intensiva del Policlinico Umberto I, diretti rispettivamente da Claudio Mastroianni e Francesco Pugliese, ha dimostrato che i pazienti Covid-19, soprattutto quelli gravi o che andavano incontro a complicanze trombotiche, avevano valori di albumina più bassi, appunto, di 35g/L.

L’albumina è una importante proteina del sangue che svolge una potente attività antinfiammatoria grazie alla capacità di antagonizzare gli effetti dello stress ossidativo nel nostro organismo. L’importanza di queste funzioni è confermata dal fatto che quando vi è una riduzione dei livelli di albumina plasmatica, le cellule producono elevate quantità di radicali di ossigeno, portando a una attivazione incontrollata delle cellule fino alla loro morte.

“Il nostro lavoro – spiega Francesco Violi del Dipartimento di Medicina interna e specialità mediche della Sapienza e Direttore della I Clinica Medica del Policlinico – oltre a dare una interpretazione, fino a ora non chiarita, del rischio trombotico dei pazienti Covid-19, apre la strada a una identificazione precoce dei soggetti ad alto rischio e a nuove prospettive terapeutiche per ridurne le trombosi”.

Riferimenti:

Hypoalbuminemia, Coagulopathy and Vascular Disease in Covid-19 – Francesco Violi, Giancarlo Ceccarelli  Roberto Cangemi, Francesco Alessandri, Gabriella d’Ettorre, Alessandra Oliva, Daniele Pastori, Lorenzo Loffredo, Pasquale Pignatelli, Franco Ruberto, Mario Venditti, Francesco Pugliese, and Claudio Maria Mastroianni – Circulation Research Jun 2020 https://doi.org/10.1161/CIRCRESAHA.120.317173

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Università Sapienza di Roma