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Un nuovo studio, pubblicato su Brain, suggerisce che la rigidità muscolare nella malattia di Parkinson abbia alla base la disfunzione di un circuito neuronale

Un nuovo studio internazionale, pubblicato sulla rivista Brain e coordinato dal Dipartimento di Neuroscienze umane della Sapienza, suggerisce una nuova ipotesi interpretativa della rigidità muscolare nella malattia di Parkinson.

neuroni rigidità muscolare Parkinson
Immagine di Colin Behrens

Uno dei tratti caratteristici della Malattia di Parkinson è la rigidità muscolare, un aumento patologico del tono muscolare che si manifesta con una contrazione sostenuta e involontaria, che costituisce una invalidante limitazione della mobilità, talvolta associata a dolore cronico. Ad oggi sono ancora poco chiari i meccanismi alla base del fenomeno, del quale non è disponibile neanche una misura strumentale affidabile.

Uno studio internazionale, coordinato dalla Sapienza in collaborazione con la University College di Londra e il National Institutes of Health (NIH), Bethesda (USA), introduce una nuova ipotesi interpretativa secondo cui la rigidità è legata alla disfunzione di uno specifico circuito neuronale che include connessioni funzionali tra midollo spinale, cervelletto e la formazione reticolare del tronco dell’encefalo.

Il lavoro, che chiarisce rilevanti aspetti fisiopatologici della rigidità, affrontando anche il problema dello studio sperimentale di questo segno clinico, è stato pubblicato sulla rivista Brain.

Grazie a un innovativo protocollo sperimentale che ha visto l’utilizzo di una innovativa strumentazione robotica, associata e sincronizzata a specifiche misure neurofisiologiche e biomeccaniche, è stato possibile valutare con un algoritmo le caratteristiche della muscolatura e l’attività nervosa riflessa di 20 pazienti affetti dalla malattia di Parkinson e 25 soggetti sani di controllo con caratteristiche anagrafiche ed antropometriche simili.

“Il principale traguardo scientifico del nostro studio – spiega Antonio Suppa del Dipartimento di Neuroscienze Umane della Sapienza – consiste nella dimostrazione sperimentale che la rigidità nella Malattia di Parkinson dipende da specifiche alterazioni del controllo nervoso del tono muscolare (es. aumento velocità-dipendente dei riflessi di lunga latenza) che a loro volta riflettono una disfunzione nelle connessioni tra midollo spinale, cervelletto e formazione reticolare del tronco dell’encefalo.”

La Malattia di Parkinson è una patologia neurodegenerativa assai frequente nella popolazione generale (circa 300.000 pazienti in Italia) e purtroppo in continua crescita secondo le ultime stime dell’Organizzazione mondiale della sanità. Una più approfondita conoscenza dei suoi principali segni e sintomi clinici risulta fondamentale anche nell’ottica di una più appropriata pianificazione e programmazione di interventi specifici di sanità pubblica.

Riferimenti:
Rigidity in Parkinson’s disease: Evidence from Biomechanical and Neurophysiological Measures, Francesco Asci, Marco Falletti, Alessandro Zampogna, Martina Patera, Mark Hallett,John Rothwell, e Antonio Suppa,  https://doi.org/10.1093/brain/awad114

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

UN NUOVO STUDIO, PUBBLICATO SU NATURE COMMUNICATIONS, CHE VEDE PROTAGONISTI VIMM – UNIVERSITÀ DI PADOVA VA AD INDIVIDUARE UN NUOVO GENE CHE REGOLA L’INTEGRITÀ DEL MUSCOLO SCHELETRICO

Lo studio del gruppo di ricerca guidato da Marco Sandri, Principal Investigator dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) e Professore dell’Università di Padova è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista “Nature Communications”.

Anais Franco e Marco Sandri al VIMM gene integrità muscolo scheletrico
Anaïs Franco Romero e Marco Sandri al VIMM

La perdita di forza è una condizione condivisa da molteplici e frequenti situazioni fisiopatologiche e che impatta fortemente sulla qualità della vita dei soggetti. L’ invecchiamento, l’immobilizzazione, la malnutrizione, le infezioni, i tumori, il diabete e l’obesità, le patologie epatiche, cardiache, renali e polmonari sono tutte condizioni che frequentemente inducono la perdita di massa muscolare – processo noto con il termine di atrofia muscolare – e l’insorgenza di uno stato di debolezza ed affaticamento che causa anche una minore risposta alle terapie.

Purtroppo, i meccanismi molecolari che inducono l’atrofia muscolare non sono ancora completamente definiti, e ad oggi non esistono terapie atte a prevenirla o contrastarla. Un aiuto importante può arrivare dalla ricerca, e in particolare da quella rivolta a conoscere e studiare i geni che hanno un ruolo nella regolazione della massa muscolare, con il fine di identificare nuovi bersagli per future terapie farmacologiche.

Tuttavia, un ostacolo importante a questo tipo di ricerca nasce dall’elevato numero di geni sconosciuti tra quelli che codificano le proteine: dei 20.000 geni conosciuti, più di 5.000 sono infatti inesplorati (i cosiddetti geni oscuri o dark genes).

Uno degli scopi del laboratorio del Prof. Marco SandriPrincipal Investigator dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) e Professore Ordinario in Patologia Clinica e Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova è proprio quello di studiare i “geni oscuri” e capirne la loro funzione all’interno del muscolo scheletrico.

In quest’ottica, i risultati pubblicati sulla prestigiosa rivista “Nature Communications” dal Gruppo di ricerca del Prof. Sandri, contenuti all’interno dello studio coordinato da Anaïs Franco Romero e Jean Philipe Leduc-Gaudet (primi co-autori dello studio) hanno portato all’identificazione di un nuovo gene – chiamato MYTHO (Macroautophagy and YouTH Optimizer) – importante per l’integrità del muscolo scheletrico e in particolare del processo di degradazione delle proteine e degli organelli.

Questo processo cellulare deve funzionare correttamente e in modo bilanciato: un eccesso di degradazione proteica potrebbe infatti portare a una diminuzione della massa muscolare, mentre al contrario un blocco di questo processo potrebbe portare ad un accumulo di organelli e di proteine danneggiate che impediscono una normale contrazione muscolare.

Nello specifico, i ricercatori hanno visto come l’inibizione acuta di questo nuovo gene abbia un ruolo protettivo in caso di tumore, immobilizzazione e assenza di nutrimenti. Tuttavia, poiché la funzione di questo gene è critica per la pulizia della cellula, non si può ridurre la sua funzione per periodi prolungati perché si causa un accumulo di materiale non degradato, risultando in una degenerazione cellulare e diminuzione della forza muscolare. Quest’ultima situazione sembra verificarsi in una malattia muscolare genetica chiamata Distrofia muscolare di tipo 1 (DM1), in cui i ricercatori hanno trovato una riduzione di espressione di questo nuovo gene.

“La scoperta di nuovi geni che controllano la qualità dei nostri muscoli apre nuovi orizzonti non solo terapeutici – con la possibilità di sviluppare nuovi farmaci che preservino la forza – ma anche diagnostici” ha sottolineato Marco Sandri.

“Grazie alla conoscenza di questi geni e del loro funzionamento saremo in grado di identificare nuove cure per tutti i pazienti che hanno malattie ereditarie, di cui non si conosce il gene mutato”.

Lo studio, sostenuto in Italia da Fondazione Cariparo e in Francia dalla Fondazione AFM Telethon è stato condotto in stretta collaborazione con un team di ricercatori della prestigiosa McGill University di Montreal, diretto da Gilles Gouspillou Sabah NA Hussain.

 

Titolo dello studio:

MYTHO is a novel regulator of skeletal muscle autophagy and integrity

Nature Communications – 2023

Link alla pubblicazone:

https://www.nature.com/articles/s41467-023-36817-1

Autori:

Jean-Philippe Leduc-Gaudet,  Anaïs Franco-Romero,  Marina Cefis, Alaa Moamer, Felipe E. Broering, Giulia Milan, Roberta Sartori, Tomer Jordi Chaffer, Maude Dulac, Vincent Marcangeli, Dominique Mayaki, Laurent Huck, Anwar Shams, José A Morais, Elise Duchesne, Hanns Lochmuller, Marco Sandri, Sabah NA Hussain, Gilles Gouspillou.

 

Testo e immagini dagli Uffici Stampa VIMM e dell’Università di Padova

NUOVE SCOPERTE SUI MECCANISMI MOLECOLARI ALLA BASE DELLE MALATTIE NEURODEGENERATIVE

Due ricerche del laboratorio di Maria Pennuto (UNIPD-VIMM) e Manuela Basso (UNITRENTO) pubblicati su «Nature Communications»

Gli studi del team di ricerca guidato dalla Prof.ssa Maria Pennuto (Università di Padova e VIMM) e dalla Prof.ssa Manuela Basso (Università di Trento) sulla malattia di Kennedy hanno portato a nuove scoperte ed evidenze sui meccanismi molecolari alla base della malattia.

Nuovi risultati per il team di ricerca guidato dalla Prof.ssa Maria Pennuto – Principal Investigator del VIMM e Professore Associato dell’Università degli Studi di Padova – che da diversi anni sta investigando il coinvolgimento del muscolo scheletrico nella malattia neurodegenerativa nota come malattia di Kennedy.

Se è stato dimostrato e provato da molti studi internazionali che questa malattia – causata da una mutazione del recettore degli ormoni (androgeni) – parte da processi patologici che iniziano nel muscolo scheletrico e che causano la perdita dei neuroni che regolano il movimento volontario, sono emerse nuove evidenze da una prima ricerca dal titolo “Defective excitation-contraction coupling and mitochondrial respiration precede mitochondrial Ca2+ accumulation in spinobulbar muscular atrophy skeletal muscle”, pubblicata sulla rivista «Nature Communications».

Realizzata e condotta dal team della Prof.ssa Pennuto con Caterina Marchioretti, Giulia Zanetti e Marco Pirazzini, la ricerca dimostra che nella malattia di Kennedy ci sono alterazioni precoci della capacità dei muscoli di contrarsi e di produrre energia, che si traduce in una progressiva alterazione della capacità dei muscoli di produrre la forza necessaria ad effettuare un movimento senza stancarsi precocemente.

L’altro risultato, pubblicato sempre su «Nature Communications», emerge dallo studio con titolo “LSD1/PRMT6-targeting gene therapy to attenuate androgen receptor toxic gain-of-function ameliorates spinobulbar muscular atrophy phenotypes in flies and mice” – frutto del lavoro del team della Prof. Pennuto con Ramachandram Prakasam e Roberta Andreotti e di Manuela Basso con Angela Bonadiman dell’Università di Trento) – in cui si spiega che questi fenomeni sono dovuti alla presenza nel muscolo di fattori che interagiscono con la proteina mutata.

A partire da questa evidenza, il gruppo di ricerca ha generato delle piccole molecole capaci di ridurre l’espressione di quei fattori che interagiscono con la proteina mutata, dimostrando che così facendo si migliora lo stato di salute dei muscoli e dei neuroni da loro contattati.

«Le malattie neurodegenerative sono una vasta categoria di condizioni patologiche che va da disordini cognitivi a motori, e dove i sintomi clinici sono dovuti al malfunzionamento di specifiche popolazioni del sistema nervoso centrale. Ciò che è attualmente oggetto di indagine è il meccanismo, o meglio i meccanismi molecolari alla base di queste malattie – sottolinea Maria Pennuto. Un concetto che è emerso negli ultimi anni è che molto spesso le malattie neurodegenerative sono multi-sistemiche e non coinvolgono solo i neuroni, ma diversi tipi di cellule e organi oltre al sistema nervoso. Queste due ricerche ci portano un passo avanti verso la comprensione di questi meccanismi, andando a identificare nuovi target terapeutici che verranno sviluppati dai gruppi coinvolti nei prossimi anni».

«In questi anni ci siamo chieste come poter preservare la funzione fisiologica del recettore degli androgeni, eliminando quella tossica legata alla mutazione. In questo studio siamo riuscite a realizzare questo nostro obiettivo e siamo pronte a investire i prossimi anni per traslare questo nostro approccio dalla ricerca di base alla clinica» afferma Manuela Basso.

Il progetto di ricerca della prof.ssa Maria Pennuto sulla malattia di Kennedy è iniziato nel 2013, quando ha ricevuto un finanziamento di oltre 500.000 euro da parte della Provincia Autonoma di Trento, nell’ambito del programma per le carriere dell’Istituto Telethon-Dulbecco (DTI), che le ha permesso di creare un gruppo di ricerca indipendente per lo studio di questa patologia.

LINK AI PAPER SU NATURE COMMUNICATIONS:

https://www.nature.com/articles/s41467-023-36185-w

https://www.nature.com/articles/s41467-023-36186-9

malattie neurodegenerative malattia di Kennedy
Nuove scoperte sui meccanismi molecolari alla base delle malattie neurodegenerative

MARIA PENNUTO

Maria Pennuto si è laureata con lode in Scienze Biologiche nel 1996 all’Università “La Sapienza” di Roma. Nel 2000 ha ottenuto il diploma di dottore di ricerca in “Biologia cellulare (Cellulare e Molecolare)” (XIII ciclo) all’Università degli Studi di Milano. Dal 2001 al 2004, ha svolto un post-dottorato nel laboratorio del Dr Lawrence Wrabetz (San Raffaele, Milano), dove ha investigato i meccanismi molecolari alla base della malattia della mielina periferica Charcot-Marie-Tooth tipo 1B. Nel 2005 si è recata al National Institute of Neurological Disorders and Stroke (National Institutes of Health, NIH, Bethesda, MD) negli USA, dove ha svolto attività di ricerca come visiting post-dottorato nel laboratorio del Dr Kenneth Fischbeck, investigando i meccanismi molecolari alla base delle malattie del motoneurone. Nel 2008 ha ottenuto la posizione di Staff Scientist al Dipartimento di Neurologia della University of Pennsylvania (UPenn, Philadelphia, PA USA), dove ha continuato la propria attività di ricerca sulle malattie neurodegenerative.

Nel 2009 la Professoressa Pennuto è rientrata in Italia con una posizione di ricercatore indipendente al Dipartimento di “Neuroscience and Brain Technologies” dell’Istituto Italiano di Tecnologia di Genova. Qui ha diretto l’unità di ricerca sulle basi molecolari delle malattie neuromuscolari degenerative quali SBMA e SLA. Nel 2013 ha vinto il premio alla carriera Dulbecco Telethon (DTI) e ha ottenuto una posizione di Ricercatore di tipo B al Centro di Biologia Integrata dell’Università di Trento. Nel 2017 Maria ha ottenuto una posizione di Professore Associato all’Università degli Studi di Padova. A partire dal 2018 è capo unità nell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM), Padova.

Maria Pennuto
Maria Pennuto

MANUELA BASSO

Manuela Basso si è laureata con lode e dignità di Stampa in Biotecnologie Mediche presso l’Università degli Studi di Torino nel 2002 con una tesi realizzata presso il Bioindustry Park del Canavese. Nel 2008 ha ottenuto il diploma di dottore di ricerca in Life Science presso l’università inglese The Open University e l’Istituto di Ricerche Farmacologiche Mario Negri lavorando sulla Sclerosi Laterale Amiotrofica. Dal 2008 al 2012 ha svolto un post-dottorato nel laboratorio del Dr Rajiv Ratan, presso il Burke Neurological Institute e il Weill Medical College, Cornell University, New York. Dal 2012 al 2013 è stata promossa alla posizione di Instructor alla Cornell University dove ha studiato i meccanismi molecolari coinvolti nella morte neuronale.

Nel novembre 2013 è rientrata in Italia con chiamata diretta dall’Università di Trento e ha iniziato a dirigere il suo gruppo di ricerca. Ad oggi Manuela Basso è professore Associato presso il Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrata (Dipartimento CIBIO).

Manuela Basso. Foto © UniTrento, di Federico Nardelli

Testo e foto dagli Uffici Stampa dell’Università degli Studi di Padova, di Trento e VIMM sulla scoperta dei meccanismi molecolari alla base delle malattie neurodegenerative.

DA UNA RICERCA SVOLTA IN COLLABORAZIONE TRA VIMM E UNIVERSITÀ DI PADOVA UN POSSIBILE BERSAGLIO MOLECOLARE PER CONTRASTARE LA CACHESSIA TUMORALE

Il gruppo di ricerca guidato da Bert Blaauw ha mostrato che l’attivazione della via di comunicazione cellulare Akt-mTOR può aiutare a recuperare la perdita di massa e forza muscolari dovuta alla cachessia.

Bert Blaauw bersaglio molecolare cachessia tumorale
Bert Blaauw, Principal Investigator presso l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) e Professore Associato dell’Università di Padova, alla guida del gruppo di ricerca per lo studio pubblicato ul Journal of Cachexia, Sarcopenia and Muscle, che individua un possibile bersaglio molecolare per contrastare la cachessia tumorale – PI Vimm PRESS

Chiarire i meccanismi molecolari del deperimento muscolare associato a cachessia, una sorta di “esaurimento” del muscolo e del tessuto adiposo al quale vanno incontro molti pazienti con cancro, e individuare possibili meccanismi di contrasto di questo fenomeno. Sono alcuni degli obiettivi del gruppo di ricerca guidato da Bert Blaauw, Principal Investigator presso l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) e Professore Associato dell’Università di Padova.

I risultati dello studio, pubblicati recentemente sul Journal of Cachexia, Sarcopenia and Muscle, hanno mostrato un possibile bersaglio molecolare sul quale lavorare per aiutare i pazienti colpiti da cachessia tumorale a recuperare massa e forza muscolari.

Nel progetto, sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, i ricercatori sono partiti dallo studio di una via di comunicazione cellulare, chiamata via Akt-mTOR e già nota per il suo ruolo nel mantenimento dell’equilibrio funzionale del muscolo.

“Si tratta di una via che, quando è attiva, promuove la crescita delle fibre muscolari. Allo stesso tempo, però, è noto che questa via è attiva anche in vari tumori. Per questo motivo alcune componenti di tale via sono il bersaglio di numerosi farmaci antitumorali, che hanno tuttavia come effetto collaterale un aumento del deperimento muscolare”, ha spiegato Bert Blaauw. “Obiettivo della nostra ricerca è capire meglio che cosa succede alla via Akt-mTOR nel muscolo scheletrico in una situazione di cachessia tumorale, sia quando la si inibisce, sia quando la si riattiva”.

Nei soggetti con tumore che mostrano deperimento muscolare, i ricercatori hanno osservato che la via Akt-m TOR è meno attiva del normale. Inoltre, in esperimenti con animali di laboratorio, hanno dimostrato che la riattivazione della via tramite modifiche genetiche ha portato a un recupero quasi completo non solo della massa muscolare, ma anche della forza. Il recupero ha anche riguardato una serie di caratteristiche molecolari che si erano alterate nel corso del deperimento.

L’attenzione dei ricercatori si è inoltre concentrata sulle modalità per attivare la via Akt-mTOR. Tra queste vi è l’esercizio fisico, anche se resta da capire quali tipi di esercizi siano più efficaci a questo scopo e per quanto tempo debbano essere praticati per ottenere un risultato.

“Avere questa informazione permetterebbe di costruire piani mirati di attività fisica per i pazienti colpiti da cachessia, in modo che debbano fare solo quanto è strettamente necessario per avere un beneficio muscolare” sottolinea Blaauw. Un’altra opzione potrebbe essere farmacologica“Ci sono gruppi di ricerca nel mondo che stanno lavorando a tecniche per veicolare farmaci in maniera precisa per un determinato tessuto. In futuro queste tecniche potrebbero, per esempio, permettere l’attivazione di Akt-mTOR solo nel muscolo scheletrico durante la cachessia tumorale” conclude Blaauw.

 

Titolo dell’articolo: Activation of Akt–mTORC1 signalling reverts cancer-dependent muscle wasting, 2021

Autori: Geremia A, Sartori R, Baraldo M, Nogara L, Balmaceda V, Dumitras GA, Ciciliot S, Scalabrin M, Nolte H, Blaauw B.

Link alla ricercahttps://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/jcsm.12854

 

 

BERT BLAAUW

Bert Blaauw ha avviato il suo laboratorio indipendente nel 2012, dopo aver ottenuto la posizione di Assistente Professore presso l’Università di Padova e di Principal Investigator presso l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM).

Blaauw ha pubblicato numerosi articoli di ricerca peer-reviewed, ha collaborato come autore senior ad articoli di membri del suo team di ricerca come primi autori e ha contribuito ad oltre 80 articoli di ricerca sulla fisiologia muscolare, il signaling e la conoscenza del muscolo scheletrico.

Negli ultimi 10 anni, il team del prof. Blaauw ha avuto parecchi riconoscimenti a livello internazionale per gli studi sulla determinazione della funzione muscolare adulta a vari livelli (in vivo, ex vivo, in vitro), prestando particolare attenzione alla via di segnalazione Akt-mTORC1.

In particolare, è stato dimostrato come l’attivazione del percorso Akt-mTORC1 nel muscolo scheletrico si verifica in tutti i modelli di crescita muscolare (Frontier in Physiology, 2017), e che la sua attivazione è sufficiente per aumentare la massa e la funzione muscolare (FASEB J, 2009).

È stato inoltre dimostrato che questo percorso del muscolo scheletrico è fondamentale per il mantenimento della giunzione neuromuscolare durante l’omeostasi muscolare (JSCM 2019).

Bert Blaauw ha anche contribuito come autore senior a studi volti ad aumentare la comprensione del ruolo dell’attività muscolare e di come questo influisca sui muscoli sani (Mol Metabolism 2015, Acta Physiologica 2020) e su quelli malati (Redox Biology 2019, JSCM 2021).

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università degli Studi di Padova

Trattamento dei tumori infantili: nuove possibilità di cura grazie ai meccanismi di regolazione basati sull’RNA

Un gruppo di ricercatori della Sapienza Università di Roma, in collaborazione con l’Istituto italiano di tecnologia (IIT), ha scoperto come l’interazione tra due specifiche molecole di RNA favorisca in laboratorio la crescita di cellule di rabdomiosarcoma, uno dei tumori maligni più ricorrenti in età pediatrica. I risultati dello studio sostenuto da Fondazione AIRC sono stati pubblicati sulla rivista Molecular Cell e aprono nuove strade al trattamento di tumori maligni infantili.

tumori infantili RNA
Trattamento dei tumori infantili: nuove possibilità di cura grazie ai meccanismi di regolazione basati sull’RNA. Foto di RyanMcGuire

L’interesse della scienza per gli RNA circolari (circRNA) è in crescita per le caratteristiche peculiari di questa classe emergente di molecole e per il loro ruolo in diverse condizioni patologiche tra cui il cancro.

In uno studio del Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza Università  di Roma e dell’Istituto italiano di tecnologia (IIT), i ricercatori hanno individuato un inedito meccanismo molecolare alla base della regolazione dell’espressione di diverse proteine. Si tratta dell’interazione tra molecole di RNA (in particolare tra un RNA circolare, circZNF609, e alcuni RNA messaggeri). In esperimenti di laboratorio i ricercatori hanno scoperto che, in un caso specifico, l’interazione con l’mRNA che contiene le istruzioni per la proteina CKAP5, a sua volta coinvolta nel controllo della duplicazione cellulare, regola la capacità proliferativa delle cellule di rabdomiosarcoma, un tumore maligno pediatrico.

I risultati dello studio sostenuto dalla Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro sono stati pubblicati sulla rivista Molecular Cell e rappresentano un ulteriore progresso nella comprensione delle diverse funzioni che l’RNA svolge nelle cellule. In particolare, è stata così chiarita una nuova rilevante funzione delle molecole di RNA circolari.

Nello specifico, i ricercatori hanno dimostrato come questo meccanismo di regolazione genica sia capace di regolare la crescita delle cellule di rabdomiosarcoma, uno dei tumori maligni più ricorrenti in età pediatrica e che fa parte dei cosiddetti sarcomi dei tessuti molli, tumori che si sviluppano nei muscoli, nel grasso e nel tessuto connettivo.

Spiega Irene Bozzoni della Sapienza, coordinatrice dello studio: “Impedendo l’interazione tra le due molecole di RNA, siamo riusciti a rendere le cellule tumorali in coltura più sensibili a diversi trattamenti chemioterapici generalmente usati nella cura del rabdomiosarcoma, ma spesso inefficaci nei casi più gravi”.

Si è inoltre evidenziato che questo meccanismo è presente anche in altri tipi di tumore, come la leucemia mieloide cronica e il neuroblastoma, rendendo questo circuito molecolare un interessante candidato per nuove terapie mediche basate sull’RNA.

Tali risultati sottolineano l’importanza dello studio delle interazioni tra RNA non codificanti e mRNA per l’identificazione di nuovi meccanismi di regolazione di importanti processi cellulari.

Riferimenti:

Circular RNA ZNF609/CKAP5 mRNA interaction regulates microtubule dynamics and tumorigenicity – Francesca Rossi, Manuel Beltran, Michela Damizia, Chiara Grelloni, Alessio Colantoni, Adriano Setti, Gaia Di Timoteo, Dario Dattilo, Alvaro Centrón-Broco, Carmine Nicoletti, Maurizio Fanciulli, Patrizia Lavia, Irene Bozzoni – Mol. Cell 2021 https://doi.org/10.1016/j.molcel.2021.11.032

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

DISTROFIE MUSCOLARI DEI CINGOLI: RISULTATI POSITIVI DI UNA PICCOLA MOLECOLA TERAPEUTICA IN UN NUOVO MODELLO DI STUDIO

Il team di ricerca della Professoressa Dorianna Sandonà, dell’Università di Padova, propone su «Human Molecular Genetics» un nuovo modello murino per lo studio della malattia, più vicino alla realtà rispetto alle cellule in coltura. I risultati emersi utilizzando questo nuovo modello indicano che il correttore CFTR C17 consente un recupero completo della forza degli animali trattati, senza effetti tossici.

Distrofie muscolari dei cingoli molecola terapeutica modello di studio
Distrofie muscolari dei cingoli: risultati positivi di una molecola terapeutica in un nuovo modello di studio. La professoressa Dorianna Sandonà in prima fila al centro.

Una piccola molecola individuata per il trattamento della fibrosi cistica potrebbe essere utile anche per le sarcoglicanopatie, malattie genetiche rare appartenenti al gruppo delle distrofie muscolari dei cingoli per le quali non è al momento disponibile alcuna terapia specifica. Lo suggeriscono i risultati ottenuti in un nuovo modello animale della malattia dal gruppo di ricerca della Professoressa Dorianna Sandonà del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova appena pubblicati sulla rivista scientifica «Human Molecular Genetics»* .

«Una delle grosse difficoltà nello studio delle sarcoglicanopatie è la mancanza di modelli animali adatti, che tuttavia sono fondamentali per valutare l’effetto di potenziali nuovi farmaci – dice Dorianna Sandonà -. Una parte fondamentale di questo lavoro è stata proprio quella di sviluppare un nuovo modello di una di queste malattie, la distrofia dei cingoli indicata come LGMD3, più vicino alla realtà rispetto alle tradizionali colture di cellule. Grazie a questo nuovo modello animale – un topo geneticamente modificato – abbiamo potuto testare per la prima volta in un organismo vivente una piccola molecola già sperimentata con successo nel caso della fibrosi cistica: il correttore CFTR C17».

I risultati ottenuti sono decisamente promettenti: i ricercatori hanno infatti osservato il recupero completo della forza muscolare negli animali malati trattati con il correttore.

Il nuovo modello

Il modello è costituito da topi privi del gene corrispondente a quello che, nell’essere umano, codifica la proteina coinvolta nelle distrofie LGMDR3. In questi animali viene introdotto alla nascita il gene umano, con la mutazione responsabile della malattia. Una volta cresciuti, i topi mostrano effetti analoghi a quelli della distrofia nell’essere umano, come per esempio l’assenza dalla localizzazione sulla membrana delle cellule muscolari di una particolare proteina chiamata sarcoglicano, fondamentale per il corretto funzionamento dei muscoli e, a livello di sintomi, un’evidente riduzione della forza muscolare.

«In molti casi di LGMDR3, la proteina mutata viene prodotta, ma con una forma diversa da quella fisiologica. Per questo motivo, anche se potrebbe comunque svolgere la sua funzione, viene riconosciuta come difettosa dai sistemi di controllo di qualità della cellula ed eliminata prima ancora che possa raggiungere la sua collocazione – spiega Dorianna Sandonà –. Qualcosa di analogo succede nella fibrosi cistica, dove il correttore CFTR C17 si è mostrato in grado di recuperare le proteine dalla forma “sbagliata”, permettendo loro di arrivare al sito di destinazione e ripristinando una situazione simile a quella fisiologica. Da qui l’idea di valutare l’effetto anche nel caso delle sarcoglicanopatie. Il dato più promettente di questo studio – sottolinea Sandonà – è che il trattamento con il correttore dei topi modello di malattia che abbiamo sviluppato permette il recupero completo della forza muscolare, che torna ad essere uguale a quella degli animali sani».

Grazie alla preziosa collaborazione di altri ricercatori dell’Università di Padova, è stata misurata accuratamente la forza muscolare degli animali testati e, parallelamente, non sono stati rilevati effetti tossici causati della sostanza somministrata.

«Questi dati – conclude Dorianna Sandonà – rafforzano l’idea che i correttori CFTR C17 possano rappresentare una valida opzione terapeutica per diverse malattie genetiche, muovendo così un altro importante passo verso la sperimentazione clinica».

Il lavoro di questo piccolo ma intraprendente gruppo, formato da cinque persone coordinate da Dorianna Sandonà, che da anni si occupa di malattie genetiche rare – in particolare delle sarcoglicanopatie – è stato reso possibile grazie al supporto di AFM (Association Française contre les Myopathies), MDA (Muscular Dystrophy Association) e Fondazione Telethon. Con un nuovo finanziamento della Fondazione Telethon, la Professoressa Sandonà guida dal primo ottobre di quest’anno un nuovo progetto per lo sviluppo di piattaforme in cui creare muscoli artificiali utilizzando direttamente le cellule dei pazienti.

Proprio in questi giorni è in corso sulle reti RAI la trentaduesima edizione della Maratona televisiva di Fondazione Telethon per sostenere la ricerca sulle malattie genetiche rare. Grazie al sostegno degli italiani è possibile raggiungere anche risultati come questo. Fino al 31 dicembre sarà possibile donare chiamando da rete fissa o inviando un sms al numero solidale 45510.

*Link alla ricerca, https://academic.oup.com/hmg/advance-article/doi/10.1093/hmg/ddab260/6367978

Titolo: “CFTR corrector C17 is effective in muscular dystrophy, in vivo proof of concept in LGMDR3” – «Human Molecular Genetics» – 2021

Autori: Martina Scano, Alberto Benetollo, Leonardo Nogara, Michela Bondì, Francesco Dalla Barba, Michela Soardi, Sandra Furlan, Eylem Emek Akyurek, Paola Caccin, Marcello Carotti, Roberta Sacchetto, Bert Blaauw and Dorianna Sandonà*.

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università degli Studi di Padova

INDIVIDUATI I SEGNALI CON CUI IL TUMORE ALTERA I NEURONI MOTORI, IN UNO STUDIO DEL VIMM E DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA 

I risultati della ricerca, pubblicati sulla rivista “Science Translational Medicine”, hanno mostrato che la crescita della massa neoplastica causa la produzione di specifiche proteine (activina A, IL6, noggin) che alterano la struttura e la funzionalità dei neuroni motori presenti nel midollo spinale. A partire dall’identificazione delle molecole coinvolte nella cachessia neoplastica, è stata avviata la sperimentazione di un farmaco già utilizzato in diversi Paesi per trattare altri tipi di patologie.

Individuati i segnali con cui il tumore altera i neuroni motori: Roberta Sartori

La crescita di un tumore all’interno del corpo umano causa dei cambiamenti funzionali, strutturali e metabolici dei tessuti che portano al progressivo aggravarsi delle condizioni del paziente. Nella maggior parte dei casi la neoplasia altera la normale capacità contrattile e metabolica muscolare, inducendo spesso nei pazienti uno stato di affaticamento, di stanchezza e di “mancanza di fiato” che non solo limita la capacità di movimento, ma riduce anche la tolleranza ai trattamenti farmacologici.

Più specificamente, una delle cause di mortalità associata alla crescita tumorale è dovuta ad un’incontrollata perdita di peso che non può essere contrastata con un supporto nutrizionale. Più della metà dei pazienti con tumori solidi va incontro a questo processo, chiamato cachessia, che è il risultato dell’esaurimento del tessuto adiposo e muscolare.

Purtroppo i meccanismi molecolari alla base della cachessia neoplastica non sono ancora completamente definiti e, a oggi, non esistono terapie atte a contrastarne l’insorgenza. Un aiuto importante può arrivare allora dalla ricerca, e in particolare da quella rivolta a identificare bersagli per terapie farmacologiche.

Vanno in questa direzione i risultati pubblicati sulla prestigiosa rivista “Science Translational Medicine” dal gruppo di ricerca guidato dal Prof. Marco Sandri (e coordinato dalla Dott.ssa Roberta Sartori, prima autrice dello studio) presso il dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova e l’Istituto Veneto di Medicina Molecolare (VIMM) di Padova e dal Professor Paul Gregorevic (con il co-primo autore Adam Hagg) presso il Centre for Muscle Research dell’University of Melbourne. Il titolo dell’articolo è: “Perturbed BMP signaling and denervation promote muscle wasting in cancer cachexia”.

tumore neuroni motori cachessia neoplastica
Individuati i segnali con cui il tumore altera i neuroni motori: Marco Sandri

La ricerca ha chiarito come la crescita della massa neoplastica causi la produzione di specifiche proteine (activina A, IL6, noggin) che alterano la struttura e la funzionalità dei neuroni motori, responsabili del rilascio di segnali attivatori dalla spina dorsale alle fibre muscolari. Questo effetto sui moto-neuroni comporta una diminuita comunicazione tra nervo e muscolo, evento che induce debolezza, affaticabilità precoce, perdita di massa muscolare e l’insorgenza, appunto, della cachessia.

Lo studio, sostenuto in Italia da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro e dalla Fondazione Umberto Veronesi, è stato condotto in collaborazione con un team di ricercatori dell’Università di Padova diretto dal Prof. Stefano Merigliano e con il team della Prof. Paola Costelli dell’Università di Torino.

“Questo lavoro è un esempio di come una collaborazione internazionale e multidisciplinare abbia permesso sia l’individuazione delle molecole coinvolte nella cachessia neoplastica, sia la sperimentazione, in animali di laboratorio, di un farmaco già in uso in vari Paesi per il trattamento di altre patologie.” Ha sottolineato il Prof. Marco Sandri del Dipartimento di Scienze Biomediche.

“Il trattamento farmacologico ha contrastato la degenerazione dei neuroni, preservato la massa muscolare e, inoltre, ha aumentato la sopravvivenza indipendentemente dalla crescita del tumore. Questi risultati hanno gettato le basi per lo sviluppo di una nuova serie di farmaci che potrebbero agire sia sui neuroni sia sui muscoli, per massimizzare l’azione anti-cachettica e migliorare la qualità di vita e la sopravvivenza dei pazienti oncologici.” I risultati ottenuti in laboratorio dovranno essere confermati in sperimentazioni cliniche.

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Link al testo completo e al PDF della ricerca al seguente sito nella sezione “Key Publications”: https://www.vimm.it/scientific-board/marco-sandri/

Titolo: Perturbed BMP signaling and denervation promote muscle wasting in cancer cachexia – «Science Translational Medicine» – 2021

Autori: Roberta Sartori, Adam Hagg, Sandra Zampieri, Andrea Armani, Catherine E. Winbanks , Laís R. Viana, Mouna Haidar, Kevin I. Watt, Hongwei Qian, Camilla Pezzini, Pardis Zanganeh, Bradley J. Turner, Anna Larsson, Gianpietro Zanchettin, Elisa S. Pierobon, Lucia Moletta, Michele Valmasoni, Alberto Ponzoni, Shady Attar, Gianfranco Da Dalt, Cosimo Sperti, Monika Kustermann, Rachel E. Thomson, Lars Larsson, Kate L. Loveland, Paola Costelli, Aram Megighian, Stefano Merigliano, Fabio Penna, Paul Gregorevic, Marco Sandri 

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Padova.

Scoperta la firma molecolare della SLA

Un nuovo studio condotto dalla Sapienza in collaborazione con il laboratorio dell’Istituto Pasteur-Italia ha identificato i potenziali marcatori della progressione della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA): sono piccole molecole di RNA non codificante, i microRNA. Lo studio è stato da poco pubblicato su Cell Death Discovery

Foto di Arek Socha 

Sclerosi laterale amiotrofica (SLA). Nota anche come malattia dei motoneuroni perché causa una graduale perdita di queste cellule che impartiscono ai muscoli il comando del movimento. È una malattia degenerativa che porta progressivamente alla paralisi e al decesso del paziente entro pochi anni dalla comparsa dei sintomi.

Il decorso non è però uguale in tutti pazienti, e fino a oggi, le basi molecolari che potessero spiegarlo erano sconosciute: molti biomarcatori sono stati descritti per diverse patologie neurodegenerative, ma per nessuno di loro era stata riscontrata una specifica correlazione con la SLA.

Ora, il lavoro sinergico di diversi centri di ricerca clinica, coordinato da Antonio Musarò e Irene Bozzoni, della Sapienza Università di Roma e del laboratorio dell’Istituto Pasteur-Italia, ha portato a identificare i potenziali biomarcatori prognostici della SLA. Si tratta di molecole di microRNA (miRNA) che non contengono informazioni per la formazione di proteine, ma che spesso risultano alterate in alcune condizioni patologiche e che possono anche essere rilasciate nel sangue.

In questo studio, pubblicato su Cell Death Discovery, sono stati selezionati e analizzati quantitativamente, ogni tre mesi durante la progressione della malattia, cinque miRNA. I risultati hanno mostrato che queste molecole sembrano essere predittive del decorso della malattia. “Il nostro studio è il primo a quantificare i miRNA circolanti nei pazienti con SLA e a farlo durante la progressione della malattia permettendo così di dare un significato prognostico a tre delle cinque molecole studiate – spiega Antonio Musarò – e rappresenta una base da cui partire per mettere a punto dei test sierologici per la valutazione di queste molecole nelle persone affette da SLA”.

“Un’ottima integrazione di competenze tra ricerca e clinica” aggiunge Irene Bozzoni.

“Quantificare i livelli di queste molecole − continua Musarò – potrebbe essere un valido aiuto per la gestione clinica di questi pazienti. I microRNA che abbiamo analizzato sembrano essere la firma molecolare della SLA e l’uso dei loro livelli sierici per suddividere i pazienti secondo aggressività e velocità di progressione della malattia potrà servire ad arruolarli nei trial clinici in modo più preciso, proprio in relazione a una specifica firma molecolare”.

Lo studio è stato parzialmente supportato da Fondazione Roma, ASI, ARiSLA, ERC e dai progetti dei centri di ricerca coinvolti.

 

Riferimenti:

A longitudinal study defined circulating microRNAs as reliable biomarkers for disease prognosis and progression in ALS human patients – Gabriella Dobrowolnyj, Julie Martone, Elisa Lepore, Irene Casola, Antonio Petrucci, Maurizio Inghilleri, Mariangela Morlando, Alessio Colantoni, Bianca Maria Scicchitano, Andrea Calvo, Giulia Bisogni, Adriano Chiò, Mario Sabatelli, Irene Bozzoni & Antonio Musarò – Cell Death Discovery, 2021. https://www.nature.com/articles/s41420-020-00397-6

 

Testo dalla Sapienza Università di Roma sull’identificazione dei potenziali marcatori della progressione della Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA)

RUOLO CENTRALE PER LA GLUTAMMINA NELLA RIGENERAZIONE DEL MUSCOLO E NELL’INIBIZIONE DELLE METASTASI TUMORALI

 

Due recenti ricerche internazionali guidate dal Prof. Massimiliano Mazzone, docente straordinario al Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute di UniTo e afferente al VIB-KU Leuven Center for Cancer Biology, rivelano l’importanza della glutammina nella risposta infiammatoria in seguito a tumore o a danno degenerativo tissutale.

glutammina muscolo tumori
Tessuto muscolare murino rigenerante

Sono due i lavori pubblicati su prestigiose riviste scientifiche internazionali, Nature il 28 ottobre e EMBO Molecular Medicine il 28 agosto, guidati dal Prof. Mazzone che con il suo team di ricerca ha dimostrato come il metabolismo della glutammina con la sua capacità di influire sulla rigenerazione delle fibre muscolari e sull’inibizione delle metastasi tumorali apre nuove prospettive per la cura dell’invecchiamento muscolare

In particolare Mazzone e il suo team, nel lavoro pubblicato su Nature (“Macrophage-derived glutamine boosts satellite cells and muscle regeneration”), dimostrano un dialogo metabolico tra un tipo di cellule infiammatorie, chiamate macrofagi, e cellule staminali muscolari, chiamate satelliti, che, se potenziato con un inibitore dell’enzima GLUD1, favorisce il rilascio di glutammina. In questo modo l’aminoacido migliora la rigenerazione muscolare stimolando la proliferazione e il differenziamento delle cellule staminali, e quindi aumentando le prestazioni fisiche in modelli sperimentali di degenerazione muscolare come traumi, ischemia ed invecchiamento.

I ricercatori hanno osservato che, in seguito a danni muscolari degenerativi, tra i quali l’invecchiamento, i normali livelli di glutammina nel muscolo diminuiscono in conseguenza della morte del tessuto muscolare. La ri-stabilizzazione dei livelli originali di glutammina stimola la rigenerazione delle fibre muscolari.

La glutammina assume quindi il ruolo di molecola sensore, garante dell’integrità tissutale, per cui i suoi livelli all’interno del tessuto muscolare controllano un programma rigenerativo. Inoltre, lo studio suggerisce l’enzima GLUD1 come bersaglio terapeutico per promuovere la rigenerazione muscolare dopo lesioni acute come traumi o ischemie, oppure in condizioni degenerative croniche come appunto l’invecchiamento.

Lo studio, oltre al suo potenziale traslazionale, fornisce spunti chiave in diversi ambiti medico-scientifici tra cui il metabolismo del sistema immunitario, la biologia delle cellule staminali, e la fisiologia del muscolo.

Gli studi sulla glutammina hanno portato Mazzone e i suoi a fornire un importante contributo anche per la ricerca sul cancro. Il lavoro pubblicato sulla rivista EMBO Molecular Medicine (“Glufosinate constrains synchronous and metachronous metastasis by promoting anti‐tumor macrophages) analizza la glutammina sintetasi (GS), cioè l’enzima che genera glutammina dal glutammato, come il crocevia che controlla il rilascio di mediatori infiammatori. L’inibizione farmacologica della GS nei macrofagi blocca le metastasi aumentando l’immunità anti-tumorali.

Su questa base è stato valutato il potenziale farmacologico di derivati del glufosinato, comunemente usato come erbicida, nel ruolo di inibitori specifici della glutammina sintetasi nella lotta alle metastasi. I ricercatori hanno scoperto che il glufosinato ricabla i macrofagi sia nel tumore primario che nella sede metastatica, contrastando l’immunosoppressione e la formazione di nuovi vasi tumorali. Questo effetto è stato osservato in modelli sperimentali murini in condizioni di malattia primaria e metastatica o dopo rimozione del tumore primaria nel trattamento di ricaduta metastaticaIl trattamento con glufosinato è stato ben tollerato, senza tossicità epatica o cerebrale, né difetti ematopoietici.

Questi risultati, in conclusione, identificano il bersagliamento farmacologico della glutammina sintetasi come prospettiva utile per ricablare le funzioni dei macrofagi. Un potenziale straordinario per il trattamento delle metastasi tumorali.

glutammina muscolo tumori
Cellule staminali proliferanti

“Questi due studi offrono conoscenza biologica sia nel campo della rigenerazione tissutale che della progressione tumorale” spiega il Prof. Mazzone “ma identificano già in questa fase due molecole sulle quali lavorare per creare nuovi farmaci. Le ricerche sono il frutto di un lavoro intenso condotto in Italia, tra le Università di Torino, ed in particolare il Centro per le Biotecnologie Molocolari (MBC) e l’Università di Bari, e in Belgio, all’Università di Lovanio e al VIB. Questo lavoro non si sarebbe potuto realizzare senza il contributo essenziale del Dottor Berardi, la Dottoressa Min Shang, il Dottor Menga, ricercatori in Belgio e a Torino, e la Professoressa Castegna, docente presso l’Università di Bari”.

La Professoressa Fiorella Altruda, direttrice del Centro per le Biotecnologie Molecolari aggiunge con orgoglio: “Siamo contenti di avere riportato un anno e mezzo fa il Professor Mazzone alla sede che lo ha formato 15 anni fa. In poco tempo dalla sua nomina a Professore Ordinario Straordinario, Massimiliano si è ben collocato all’interno del Centro, sviluppando nuove linee di ricerca ed iniziando moltissime collaborazioni con altri gruppi di ricerca nel Centro ma anche a livello nazionale ed internazionale”.

Massimiliano Mazzone

Il Professor Mazzone si è laureato con il massimo dei voti in Bioteconologie Mediche nel 2002 e ha conseguito il Dottorato di Ricerca nel Febbraio del 2007 presso Istituto per la Ricerca e la Cura del Cancro, sempre all’Università di Torino. Trasferitosi per i suoi studi specialistici all’Università di Lovanio nell’Ottobre del 2006, dal 2009 Mazzone dirige il Laboratorio di Infiammazione ed Angiogenesi presso l’Istituto fiammingo per le Biotecnologie VIB e dal 2016 è Professore Ordinario presso l’Università Cattolica di Lovanio. Dal 2019 Mazzone è Professore Straordinario all’Università di Torino dove dirige un secondo gruppo di ricerca presso il Centro per le Biotecnologie Molecolari. Mazzone è autore di 126 lavori in riviste mediche prestigiose che hanno già ricevute, in totale, oltre 10000 citazioni. Il Professore ad oggi è stato invitato più di 150 volte a dare interventi scientifici in tutto il mondo, presiede ad importanti commissioni di valutazione della ricerca accademica ed industriale, ed ha organizzato lui stesso diverse conferenze di importanza mondiale. Ha ricevuto più di 15 premi di prestigio nazionale ed internazionale, tra cui 3 consecutivi riconoscimenti dal Consiglio Europeo della Ricerca. Il Professor Mazzone ha contribuito all’insegnamento in diversi corsi di laurea e di Dottorato, e fino ad oggi ha contribuito alla crescita scientifica di 50 tesisti in Medicina, Farmacia, Biologia e Biotecnologie, 16 ricercatori afferenti a diversi Dottorati di Ricerca, e 14 ricercatori post-Dottorato, tutti insieme provenienti da 20 diverse nazioni. Nel 2017 ha co-fondato una prima industria farmaceutica (Oncurious) e due anni dopo, una seconda industria chiamata Montis Biosciences, e detiene 15 brevetti. Negli ultimi 5 anni, Mazzone ha co-sviluppato due farmaci anti-tumorali che hanno visto la fase sperimentale clinica in collaborazione con due altre aziende farmaceutiche, ed ha maturato l’idea per un kit diagnostico per il cancro al colon. La ricerca del suo team si focalizza da sempre sull’infiammazione in particolare nel tumore ma anche in altre condizioni patologiche come rigenerazione ed infezioni, ponendo la carenza di ossigeno (meglio conosciuta come ipossia) e il metabolismo al centro delle sue scoperte. Recentemente, il focus della sua ricerca si è centralizzato sui meccanismi di resistenza all’immunoterapia dei tumori. Mazzone ha contribuito in maniera fondamentale in questi settori della biologia ed è riconosciuto come un leader mondiale emergente nei campi dell’infiammazione e della regolazione del microambiente tumorale.

 

Testo e immagini dall’Università degli Studi di Torino

Uno studio della Sapienza in collaborazione con l’Istituto Italiano di Tecnologia fornisce nuove informazioni sulla parte meno conosciuta del nostro corredo genetico mettendo sotto i riflettori il meccanismo di azione di una molecola di RNA non codificante sulla formazione dei tessuti muscolari. L’articolo è stato pubblicato sulla rivista EMBO Reports, che gli ha dedicato una creativa copertina per il numero di giugno.

Il nostro genoma può essere paragonato a un “manuale di istruzioni” che regola lo sviluppo e il funzionamento del nostro organismo. Per molti anni la comunità scientifica non ha approfondito quella parte consistente del suo contenuto che non essendo destinata alla produzione di proteine, era ritenuta meno importante. Per tale ragione, le informazioni presenti al suo interno, ovvero il ruolo funzionale di questi elementi, non codificanti”, è rimasto a lungo sconosciuto.

Nell’ambito della cosiddetta “materia oscura” del genoma, ci sono migliaia di sequenze di RNA non codificanti (ncRNA), che si sono rivelate invece centrali nel controllo di tutti quei processi che sottintendono al corretto differenziamento di cellule e tessuti del nostro organismo, e che, se alterate, possono causare numerose malattie. La loro funzione si esplica sia nel nucleo che nel citoplasma dove regolano rispettivamente la produzione degli RNA messaggeri (mRNA) e il successivo processo di traduzione in proteine.

Un team di ricercatori del Dipartimento di Biologia e biotecnologie “Charles Darwin” della Sapienza e dei centri CLNS e CHT dell’Istituto Italiano di Tecnologia (IIT), ha scoperto in un RNA non codificante, lnc-SMaRT, un interessante meccanismo d’azione attraverso il quale la molecola riesce a controllare lo sviluppo delle cellule muscolari.

Il nuovo studio ha svelato come lnc-SMaRT sia capace di regolare negativamente la traduzione di un RNA messaggero, MLX-g, che ricopre un ruolo fondamentale nella formazione dei tessuti muscolari. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista EMBO Reports, che ha dedicato allo studio la copertina del numero di giugno.

“Questo RNA – spiega Irene Bozzoni, coordinatrice del team di ricerca – presenta al suo interno una struttura G-quadruplex, una sorta di nodo, che ha bisogno di essere sciolta da un enzima, DHX36, affinchè l’informazione contenuta al suo interno possa essere efficientemente tradotta e quindi convertita in proteina. In questo meccanismo raffinato, abbiamo visto che lnc-SMaRT va a inserirsi come antagonista rispetto a DHX36, bloccando la sequenza su cui l’enzima opera”.

I ricercatori hanno dimostrato come lnc-SMaRT, legandosi alla struttura G-quadruplex dell’RNA messaggero MLX-g, riesca ad abbassare i livelli della corrispondente proteina e a scandire in maniera precisa le tempistiche che portano al corretto differenziamento muscolare.

“I risultati – conclude Bozzoni – aggiungono un importante tassello alla comprensione dell’utilità di strutture complesse dell’RNA come le G-quadruplex e, grazie all’identificazione di un nuovo meccanismo di regolazione, contribuiscono a gettare nuova luce sul repertorio funzionale degli RNA non codificanti, la parte “oscura” dei trascritti delle nostre cellule.

Lo studio di questi meccanismi d’azione è parte integrante di progetti finanziati dal programma H2020 Synergy Grants (SyG) dell’European Research Council (ERC).

genoma muscoli

 

Riferimenti:

 

SMaRT lncRNA controls translation of a Gquadruplexcontaining mRNA antagonizing the DHX36 helicase – Julie Martone, Davide Mariani, Tiziana Santini, Adriano Setti, Sama Shamloo, Alessio Colantoni, Francesca Capparelli, Alessandro Paiardini, Dacia Dimartino, Mariangela Morlando, Irene Bozzoni – EMBO Rep (2020) https://doi.org/10.15252/embr.201949942

 

Testo e immagine dall’Ufficio Stampa Università La Sapienza di Roma