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Chirurgia genica: arrivano le nanoparticelle d’oro per riparare il DNA

Il risultato frutto di I-Gene, un progetto coordinato dall’Università di Pisa che è stato premiato per l’alto contenuto innovativo dall’European Innovation Council

La chirurgia genica ha un nuovo alleato, sono le nanoparticelle d’oro grazie alle quali i principi attivi riescono ad entrare nel nucleo delle cellule e agire sul DNA eliminando le mutazioni dannose. La scoperta arriva dal progetto europeo I-Gene appena giunto a conclusione e premiato dall’European Innovation Council per il suo alto contenuto innovativo. Si tratta di un riconoscimento che la Commissione Europea concede in caso di risultati estremamente rilevanti.

“Siamo un’epoca in cui possiamo editare i genomi e questo significa che se ci sono degli errori, noi tendenzialmente li possiamo correggere, ma per trasformare tutto questo in terapie e applicazioni utili c’è un collo di bottiglia”, spiega la professoressa Vittoria Raffa del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa, coordinatrice del progetto.

“I principi attivi che fanno questo editing sono infatti degli enzimi che da soli non riescono a penetrare nelle cellule, – continua Raffa – per risolvere la questione noi abbiamo inventato dei vettori che sono delle nanoparticelle d’oro. Rispetto ai vettori attualmente utilizzati che impiegano virus presentano alcuni vantaggi: non sono tossici, il che consente un loro utilizzo più ampio senza controindicazioni, e si attivano con la luce”.

Vittoria Raffa
Vittoria Raffa

La sperimentazione delle nanoparticelle d’oro è stata fatta in vitro e in vivo su embrioni di zebrafish, i casi studio hanno riguardato il COVID-19 e il melanoma, sfruttando in quest’ultimo caso proprio la fotoattivazione attraverso laser.

A livello tecnico, I-Gene ha dunque proposto un nuovo concetto di ingegneria genetica con una metodologia basata sull’attivazione laser di un nano vettore capace di innescare una rottura o scissione del DNA. La superiorità rispetto alle metodologie attuali risiede anche nell’integrazione delle funzioni temporale, spaziale e di fedeltà: l’editing avviene solo quando il laser è acceso, dove il laser è focalizzato e solo sul bersaglio. Complessivamente, questo consente il controllo dell’editing a singola cellula e fornisce un livello di sicurezza assoluto per lo sviluppo di un editing genomico efficace per applicazioni biotecnologiche e terapeutiche.

Insieme alla professoressa Vittoria Raffa hanno lavorato al progetto per l’Università di Pisa la professoressa Chiara Gabellini del dipartimento di Biologia, il professore Mauro Pistello e il dottore Michele Lai del dipartimento di Medicina Traslazionale, e il professore Francesco Fuso del dipartimento di Fisica.

Chirurgia genica nanoparticelle d’oro il team di ricerca UniPi
il team di ricerca UniPi

Testo e foto dall’Ufficio stampa dell’Università di Pisa.

Serendipity grant della danese Fondazione LEO a Marta Giacomello dell’Università di Padova: 500.000 euro per i suoi studi sulla melanogenesi

La Fondazione LEO è uno dei maggiori finanziatori privati mondiali della ricerca sulle malattie della pelle. Quest’anno, per la prima volta, l’istituzione danese ha creato il Serendipity grant con lo scopo di consentire ai premiati – già attivi nella Fondazione LEO – di indagare su idee o scoperte nuove e inaspettate scaturite dalla loro precedente attività scientifica.

Marta Giacomello del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova nel 2021 si era aggiudicata un Open competition grant, dell’importo di mezzo milione di euro, per una ricerca sui processi cellulari alla base della produzione della melanina. Oggi la ricercatrice padovana ha ottenuto una seconda borsa sempre di 500.000 euro per approfondire il ruolo di una proteina coinvolta nella frammentazione di alcuni organelli intracellulari (mitocondri) nella melanogenesi, il processo di produzione dei pigmenti responsabili della colorazione della pelle, noti come melanina.

«La melanina viene sintetizzata nei melanociti all’interno di organelli specifici: i melanosomi. I processi che regolano la formazione di questi ultimi, tuttavia, non sono ancora chiari: alcuni dati preliminari ottenuti dalla dottoressa Ana Paula Magalhaes Rebelo, una brillante ex-assegnista nel mio laboratorio, indicano che una proteina nota per il suo ruolo nel controllare la forma di altri organelli potrebbe essere coinvolta anche nella formazione dei melanosomi – dice Marta Giacomello del Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova –. Obiettivo del progetto “Exploring the serendipitous connection between a mitochondria fission protein and melanosomes maturation” è non solo di confermare questa possibilità, ma anche di estendere il concetto ad altri organelli in cellule specializzate quali ad esempio gli adipociti. I risultati di questo progetto potrebbero portare a nuove scoperte nell’ambito della biologia cellulare di base, di potenziale interesse anche per lo studio di patologie umane associate ad alterazioni nella produzione di melanina, quali albinismo, vitiligine o melanoma».

L’idea del Serendipity grant, che dura due anni, è di consentire ai ricercatori affermati, indipendentemente dall’anzianità di servizio, di rimanere curiosi e di continuare a perseguire nuove idee di ricerca, anche se queste esulano dall’ambito del progetto originale o dall’area di competenza o dal campo di ricerca riconosciuto del ricercatore.

«La storia ci insegna che le scoperte scientifiche hanno spesso origine da ricercatori che seguono la loro curiosità per indagare su scoperte inaspettate – spiega Anne-Marie Engel, Chief Scientific Officer della Fondazione LEO –. Con le nostre sovvenzioni Serendipity vogliamo sostenere le scoperte che, nel contesto del progetto perseguito, possono essere viste come fallimentari o al di fuori del campo di applicazione, ma che potrebbero comunque avere il potenziale per generare nuove intuizioni e conoscenze».

Marta Giacomello, professoressa associata al Dipartimento di Biologia dell’Università di Padova, ha conseguito la laurea in Biotecnologie farmaceutiche all’Università di Padova nel 2003, il dottorato di ricerca in Biotecnologie nel 2007 lavorando nel laboratorio della professoressa Paola Pizzo del Dipartimento di Scienze biomediche dell’Ateneo patavino. Infine, ha conseguito la laurea magistrale in Biologia molecolare e cellulare all’Università di Bologna nel 2011. Fin dall’inizio della sua carriera professionale Marta Giacomello ha lavorato con scienziati di fama internazionale, come ad esempio il Premio Nobel per la Chimica Roger Y Tsien (2005, Howard Hughes Medical Institute and Dept. of Pharmacology; University of California, San Diego USA), il professor Tullio Pozzan (Dipartimento di Scienze biomediche dell’Università di Padova), il professor Ernesto Carafoli (Istituto Veneto di Medicina Molecolare), il professor Bruno Cozzi (Dipartimento di Biomedicina comparata e alimentazione dell’Università di Padova) e il professor Luca Scorrano (Dipartimento di Fisiologia cellulare e molecolare dell’Università di Ginevra). Dal 2016 a oggi è ricercatrice all’Università di Padova al Dipartimento di Biologia: qui coordina un gruppo di ricerca internazionale nello studio del ruolo fisiologico dell’interazione tra organelli intracellulari.

Marta Giacomello melanogenesi
Marta Giacomello, vincitrice di un Serendipity Grant per lo studio della melanogenesi

La danese Fondazione LEO è stata creata nel 1984, suoi obiettivi sono la responsabilità nella ricerca e lo sviluppo di nuovi farmaci che portino significativi benefici per i pazienti di tutto il mondo. La Fondazione eroga finanziamenti filantropici con l’obiettivo di supportare la migliore ricerca internazionale relativa a patologie della pelle.

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

Melanoma: uno studio nazionale identifica nuovi biomarcatori di malattia

Una nuova ricerca coordinata dalla Sapienza ha individuato nei microRNA del sangue la funzione di biomarcatori non invasivi per la diagnosi precoce del più frequente tumore maligno della pelle. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Journal of Translational Medicine.

Il melanoma è un tumore maligno della pelle molto aggressivo che deriva dalla mutazione dei melanociti, cellule responsabili del colore della pelle. La frequenza di questo tumore è in aumento in tutto il mondo. La diagnosi precoce e accurata è un fattore fondamentale per migliorare la percentuale di guarigione e sopravvivenza.

causa rischio metastasi tumore al seno melanoma biomarcatori
Foto di StockSnap

Finora la diagnosi di melanoma è stata effettuata, attraverso la biopsia escissionale, un esame invasivo mediante l’asportazione di tessuto, cioè l’estrazione della lesione cutanea sospetta.

Il team coordinato da Elisabetta Ferretti del Dipartimento di Medicina Sperimentale della Sapienza Università in collaborazione con gli oncologi e i ricercatori di università ed enti di ricerca nazionali, ha identificato nuove molecole, i microRNA, biomarcatori specificamente dosabili nei pazienti affetti da melanoma mediante prelievo del sangue, attraverso quindi un esame non invasivo.

La ricerca di biomarcatori non invasivi in grado di individuare la malattia e monitorare la risposta a trattamenti terapeutici è molto importante, in quanto ha lo scopo di migliorare la prognosi dei pazienti affetti da melanoma.

Negli ultimi due decenni, i microRNA hanno suscitato un forte interesse come biomarcatori per la diagnosi, la prognosi e la previsione della risposta al trattamento di diverse malattie. La loro presenza nei fluidi biologici, come il sangue, conferma il loro ruolo fondamentale di biomarcatori non invasivi per la diagnosi precoce di tumore.

“Nello specifico – spiega Elisabetta Ferretti – abbiamo deciso di analizzare i microRNA circolanti ottenuti da biopsia liquida in tre coorti indipendenti di pazienti affetti da melanoma ed abbiamo identificato e validato un gruppo di microRNA dosabili nel plasma che con elevata precisione identificano i pazienti affetti da melanoma e li distinguono dai soggetti sani.”

“Il miglioramento nella gestione dei pazienti affetti da melanoma è un’importante necessità clinica. La nostra ricerca – dichiara Elisabetta Ferretti – è la prima ad offrire una combinazione di biomarcatori circolanti da poter usare come strumento diagnostico nel melanoma e riteniamo che la firma molecolare da noi proposta possa avere una forte rilevanza clinica”

Alla ricerca hanno collaborato i team dell’Università e dell’Epigen Therapeutics di Siena coordinati da Michele Maio, dell’Istituto Tumori di Milano coordinati da Andrea Anichini e il team di Computational System Biology Scientist coordinato da Michele Ceccarelli dell’Istituto di Ricerche Genetiche (BioGeM) “Gaetano Salvatore” di Ariano Irpino (AV) e dell’Università Federico II di Napoli.

Riferimenti: A novel microRNA signature for the detection of melanoma by liquid biopsy. Journal of Translational Medicine. DOI 10.1186/s12967-022-03668-1

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Tumori: vaccino anti COVID efficace al 94%, ma servono 2 dosi in 21 giorni. È italiano il più grande studio al mondo nei pazienti oncologici

La sperimentazione, che ha coinvolto 816 persone con cancro, pubblicata su “Clinical Cancer Research” rivista ufficiale dell’American Association for Cancer Research (AACR).

Il Professor Francesco Cognetti, Direttore Oncologia Medica Regina Elena-Sapienza Università di Roma: “Il tasso di risposta è aumentato in maniera significativa dal 59,8% a tre settimane dalla prima inoculazione fino al 94,2% dopo la seconda. Sono in corso valutazioni sul mantenimento dell’immunoreattività nel tempo per definire la necessità della terza somministrazione in questi pazienti fragili”

tumori vaccino anti COVID
Tumori: vaccino anti COVID efficace al 94%, ma servono 2 dosi in 21 giorni. Foto di Spencer Davis

Roma, 28 settembre 2021 – Il vaccino anti COVID è efficace nei pazienti oncologici, ma per ottenere un’adeguata protezione sono indispensabili due dosi. Lo dimostra il più grande studio al mondo sulla risposta immunologica e sulla sicurezza del vaccino a mRNA nelle persone colpite da cancro, condotto presso l’Istituto Regina Elena-Sapienza Università di Roma. Lo studio, pubblicato su “Clinical Cancer Research”, la rivista ufficiale dell’American Association for Cancer Research (AACR), ha arruolato 816 pazienti con diversi tipi di neoplasie solide, in particolare tumore della mammella (31%), del polmone (21%) e melanoma (15%), in trattamento attivo o sottoposti a cure nei 6 mesi precedenti la vaccinazione anti COVID. I risultati del lavoro sono presentati oggi in una conferenza stampa presso Sapienza Università di Roma.

“Tutti i pazienti hanno ricevuto entrambe le dosi di vaccino a distanza di 21 giorni – spiega Francesco Cognetti, Professore di Oncologia Medica Sapienza Università di Roma e Direttore Oncologia Medica Regina Elena di Roma -. Il tasso di risposta sierologico e il titolo positivo di immunoglobuline (IgG) sono stati misurati in tre diversi momenti: prima della vaccinazione, a 3 e a 7 settimane dalla prima inoculazione. Il gruppo di confronto con le persone sane era rappresentato da 274 operatori sanitari, sottoposti alla immunizzazione anti COVID con ciclo completo. Il tasso di risposta anticorpale è aumentato nei pazienti oncologici in maniera significativa dal 59,8% a 21 giorni dalla prima dose fino al 94,2% dopo 7 settimane. Invece gli operatori sani hanno evidenziato una percentuale di risposta del 93,7% già 21 giorni dopo la prima dose (raggiungendo il 100% a 7 settimane). Tutti i pazienti oncologici vaccinati sono stati seguiti con frequenti tamponi molecolari. Complessivamente sono stati registrati solo 5 casi (0,6%) di infezioni da COVID peraltro asintomatiche. Ciò conferma l’elevatissimo valore della vaccinazione in questa popolazione molto fragile di pazienti”.

“Primi in Italia, abbiamo cominciato a vaccinare i pazienti oncologici nel Lazio lo scorso marzo – afferma Alessio D’Amato, Assessore Sanità e integrazione Socio-Sanitaria Regione Lazio -. I risultati di questo studio convalidano la nostra decisione. Nel Lazio c’è stato uno sforzo senza precedenti grazie al lavoro di squadra condotto dagli operatori sanitari e dalle Istituzioni. La nostra Regione si è distinta per efficienza proprio verso i più fragili e siamo partiti per primi anche con la somministrazione della terza dose del vaccino anti COVID nei confronti di questa popolazione”.

“Si tratta di uno studio fondamentale che mostra come la vaccinazione induca una risposta immune in un’elevata percentuale di pazienti affetti da neoplasie solide – spiega Gianni Rezza, Direttore Generale della Prevenzione, Ministero della Salute -. Si tratta di uno studio estremamente ampio e condotto nella pratica reale. Sarà estremamente importante ora valutare l’effetto a lungo termine della vaccinazione”.

È lo studio con la più ampia casistica al mondo sull’efficacia del vaccino anti COVID nei pazienti oncologici in trattamento attivo. Le persone colpite da cancro sono ad alto rischio di conseguenze gravi fino alla morte, se contagiate dal virus. Finora però vi erano evidenze scientifiche molto limitate sull’immunogenicità e sulla sicurezza del vaccino in questa popolazione, perché esclusa dagli studi di fase 3 che hanno portato all’approvazione del siero. Le ricerche già pubblicate fino a oggi hanno considerato solo qualche decina di pazienti oncologici. Inoltre, questo è il primo studio effettuato con valutazioni della sierologia in tre tempi diversi: prima della vaccinazione, dopo la prima inoculazione e successivamente alla seconda. Una ricerca israeliana e una americana su casistiche molto inferiori hanno considerato i risultati solo in due momenti: prima della vaccinazione e alla conclusione del ciclo completo, non analizzando quindi i risultati dopo la prima dose.

“Lo studio presentato oggi ribadisce l’alto profilo della ricerca medica italiana nello scenario internazionale e punta i riflettori su una fascia di pazienti fragili che è necessario tutelare al meglio – sottolinea la Rettrice Antonella Polimeni -. Sono particolarmente orgogliosa del contributo di Sapienza nel contrasto alla pandemia, che trova fondamento nel legame indissolubile tra assistenza, ricerca e didattica, ben rappresentato dai Policlinici universitari e dalla capacità di dialogo con gli enti di territorio. Un modello che ha prodotto casi virtuosi e risultati concreti”.

Dallo studio emerge con chiarezza il valore fondamentale della seconda dose nelle persone colpite da cancro e molto fragili, che devono riceverla entro 21 giorni dalla prima, pena il potenziale rischio di contagio. FOCE (Federazione degli oncologi, cardiologi ematologi) aveva già segnalato le potenziali conseguenze pericolose del ritardo della seconda dose di vaccino per i pazienti oncologici in trattamento attivo, nei quali invece andava rigorosamente rispettata la tempistica delle due somministrazioni.

Inoltre, nello studio, la risposta anticorpale è risultata inferiore nelle persone trattate con chemioterapia e con uso prolungato di steroidi, proprio per gli effetti immunosoppressivi di queste cure. Ed è il primo studio a evidenziare l’impatto negativo dei glucorticoidi (cortisone), una classe di ormoni steroidei, sull’efficacia del vaccino anti COVID a mRNA, finora dimostrato solo in persone con malattie infiammatorie croniche. Va quindi evitato l’uso non indispensabile di steroidi. Nello studio è anche emerso lo scarso valore aggiunto degli anticorpi neutralizzanti anche particolarmente costosi, i cui test possono essere evitati nei pazienti oncologici.

La frequenza di effetti collaterali locali o sistemici, nella maggior parte dei casi lievi, è stata bassa e comunque in linea con quanto osservato nei sani, anzi la comparsa di effetti collaterali espressione dell’attivazione della risposta infiammatoria è stata osservata correlata ad un maggiore tasso di risposta anticorpale.

Sono in corso valutazioni sul mantenimento dell’immunoreattività umorale nel corso del tempo. “Dati preliminari in corso di pubblicazione – conclude il Professor Cognetti – mostrano a questo riguardo una notevole diminuzione del tasso anticorpale nei pazienti oncologici in trattamento attivo a 6 mesi dalla prima dose, diminuzione molto più significativa rispetto ai sani ed una previsione di azzeramento degli anticorpi in questi pazienti a circa 9 mesi rispetto ai 16 mesi nei sani e la conferma nel corso del tempo degli stessi fattori clinici già dimostratisi correlati con la diminuzione delle immunoreattività umorale. Questi dati, quindi, sono di indubbia utilità nella selezione delle priorità temporali alla somministrazione della terza dose nei malati oncologici”.

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma sulla validità del vaccino anti COVID a mRNA per chi è colpito da tumori.