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FONDO ITALIANO PER LA SCIENZA: AL DIPARTIMENTO DI FISICA UN DOPPIO FINANZIAMENTO PER STUDIARE I COSTITUENTI ELEMENTARI DELLA MATERIA, AL PROGETTO FLAME DI SILVIA FERRARIO RAVASIO E ALLO STUDIO DELLA TEORIA DEI CAMPI CON MARCO MEINERI; I FINANZIAMENTI ARRIVERANNO NEI PROSSIMI 3 ANNI

Dal MUR oltre 2,5 milioni di euro a due progetti di ricerca UniTo per promuovere lo sviluppo della ricerca fondamentale

Importante risultato nella ricerca per il Dipartimento di Fisica dell’Università di Torino, a cui vanno due dei cinque Starting Grant messi a bando dal Fondo Italiano per la Scienza (MUR), per il Settore – PE2 – Fundamental Costituents of Matter. L’obiettivo principale del Fondo è quello di promuovere lo sviluppo della ricerca fondamentale secondo le modalità consolidate a livello europeo sul modello dell’European Research Council (ERC). Questo prestigioso riconoscimento giunge grazie al lavoro della dottoressa Silvia Ferrario Ravasio, e del dottor Marco Meineri, che hanno ottenuto un finanziamento rispettivamente di 1.325.026,79 milioni di euro e 1.325.504,44 milioni di euro per i prossimi 3 anni.

La dott.ssa Ferrario Ravasio, attualmente al CERN,  riceve il contributo grazie al progetto “FLAME – Fixed-order and Logarithmic Accuracy in Monte Carlo Events”. Il progetto è dedicato alla fisica delle particelle. Grazie agli acceleratori di particelle come il Large Hadron Collider (LHC), è possibile testare la nostra conoscenza a energie e precisioni molto elevate. Lo studio e la comprensione del bosone di Higgs, la particella che fornisce una spiegazione per l’origine della massa di tutte le altre particelle, rimane un pilastro della fisica del LHC, così come una precisa determinazione delle proprietà delle particelle elementari che compongono il Modello Standard, la teoria che racchiude l’attuale conoscenza delle interazioni fondamentali.

L’obiettivo del progetto è aumentare l’accuratezza delle predizioni teoriche per processi chiave misurati al LHC, così da avere uno strumento interpretativo accurato e affidabile per tradurre l’enorme mole di dati misurati in conoscenza delle interazioni fondamentali tra particelle. L’LHC consente di esplorare le forze fondamentali che governano la natura. I generatori di eventi Monte Carlo (MC) sono lo strumento principale per stabilire la connessione quantitativa tra gli esperimenti di collisione e il Modello Standard, il quadro teorico che racchiude la nostra comprensione delle interazioni tra particelle fondamentali. L’obiettivo di FLAME è produrre le previsioni teoriche più precise per i processi di collisione all’interno di MC flessibili, per una migliore descrizione teorica di qualsiasi osservabile.

“Nei prossimi due decenni – dichiara Silvia Ferrario Ravasio – le misure di LHC raggiungeranno un’energia e una precisione senza precedenti, per svelare la natura del bosone di Higgs e trovare potenziali indizi di nuovi scenari fisici. FLAME fornirà la svolta urgentemente necessaria per sviluppare nuovi GPMC formalmente e praticamente accurati, in linea con i requisiti sperimentali dei futuri programmi di fisica dell’LHC e dei suoi successori”.

Questo obiettivo sarà raggiunto utilizzando la risommazione logaritmica per combinare GPMC, che ben modellano fisica a basse scale, con calcoli ad ordine fisso, solitamente atti a descrivere processi molto energetici. Il progetto FLAME rappresenta dunque una potente opportunità per spingere i confini della nostra conoscenza della fisica delle particelle e sfruttare tutto il potenziale della dinamica multi-scala negli esperimenti di collisione.

Il dottor Marco Meineri accede al finanziamento invece con il progetto “New frontiers for the bootstrap program: from entanglement to renormalization group flows”, dedicato allo studio delle teorie di campo quantistiche fortemente interagenti. La teoria dei campi è il più sofisticato linguaggio a disposizione in fisica per descrivere le interazioni fondamentali. Sorprendentemente, sono descritti da teorie di campo anche fenomeni macroscopici in cui un enorme numero di costituenti elementari si comporta collettivamente, quali la magnetizzazione spontanea di un metallo, o la transizione dell’elio liquido verso lo stato superfluido. Il prezzo da pagare per un modello teorico così potente e flessibile è che spesso non è facile estrarre predizioni esplicite da esso. Se i costituenti elementari interagiscono tra loro con forze intense, i metodi di approssimazione a nostra disposizione diventano inefficaci.

“Tuttavia – dichiara Marco Meineri – anche se non sappiamo calcolare la risposta esatta, qualche volta sappiamo escludere alcune risposte sbagliate. Infatti, i processi descritti dalle teorie di campo devono soddisfare condizioni di auto-consistenza, e verificarle è più semplice che fare predizioni esatte. A volte, i vincoli sono così stringenti da isolare una sola possibilità. Questo approccio viene chiamato “bootstrap”. Finora, il bootstrap è stato applicato con grande successo alle cosiddette funzioni di correlazione, che descrivono la risposta di un sistema a piccole sollecitazioni”.

L’obiettivo del progetto di ricerca del dott. Meineri è quello di estendere questo paradigma a nuove osservabili, che dipendono dalle proprietà di intere regioni di spazio invece che di singoli punti. Il prototipo di queste osservabili è la quantità di entanglement tra due regioni diverse di spazio. L’entanglement è una proprietà fondamentale delle teorie quantistiche, e implica che il risultato di un esperimento in una certa regione sia influenzato da cosa avviene in una regione diversa, pur senza un’azione diretta. Maggiore l’entanglement, maggiore l’incertezza associata a una conoscenza imprecisa dello stato del sistema. Il calcolo della cosiddetta entropia dovuta all’entanglement è particolarmente arduo: Il bootstrap potrebbe consentire di determinarne limiti universali.

Il rettorato dell'Università degli Studi di Torino.
Fondo Italiano per la Scienza: finanziamenti al progetto FLAME di Silvia Ferrario Ravasio e allo studio della teoria dei campi con Marco Meineri. In foto, il rettorato dell’Università degli Studi di Torino. Foto Unitomaster, CC BY-SA 3.0

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Misurata, nei laboratori del CERN, la massa del Bosone W, con una precisione mai raggiunta prima

Il prof. Bianchini dell’Università di Pisa coordinatore nell’esperimento sulla particella che nel 1984 è valsa il Nobel a Rubbia

Lorenzo Bianchini bosone W
Lorenzo Bianchini

 80360,2 Megaelettronvolt: è questa la massa del bosone W, una misura determinata con una precisione mai raggiunta prima da un team di scienziati e scienziate, al lavoro nei laboratori del CERN di Ginevra. La misura è stata realizzata analizzando i dati prodotti nelle collisioni protone-protone nell’acceleratore Large Hadron Collider (LHC) grazie al Compact Muon Solenoid (CMS), una sorta di gigantesca fotocamera ad alta velocità, che scatta “fotografie” 3D di collisioni di particelle da tutte le direzioni fino a 40 milioni di volte al secondo.
“Questa misura è il risultato di molti anni di lavoro capillare durante il quale abbiamo affrontato e risolto numerose problematiche sperimentali”, spiega Lorenzo Bianchini, professore di Fisica all’Università di Pisa, associato all’INFN e coordinatore del progetto ERC ASYMOW dedicato proprio a questa misura.

“Abbiamo fatto tesoro dell’esperienza accumulata – ha aggiunto Binchini – e ne è uscita una misura moderna e innovativa sotto molti punti di vista, frutto di un lavoro di collaborazione internazionale in cui il contributo italiano è risultato estremamente importante, anche grazie alle opportunità offerte dai finanziamenti europei alla ricerca”.

Il risultato della misura è molto rilevante per la comunità scientifica, non solo per la sua capacità di confermare con precisione più elevata le predizioni del Modello Standard, la teoria che da più di mezzo secolo usiamo per spiegare le interazioni tra le particelle elementari, ma soprattutto perché rappresenta un importante passo in avanti per risolvere un puzzle nato nel 2022, quando un altro esperimento al collider Tevatron presso il Fermi National Accelerator Laboratory (Stati Uniti) ha invece ottenuto una misura della massa del Bosone W con analoga precisione, ma in netto disaccordo col Modello Standard.


Dalla sua scoperta, il bosone W è stato misurato con sempre maggiore precisione da diversi esperimenti, al CERN e in altri laboratori. Assieme al bosone Z, il bosone W è la particella elementare mediatrice della forza debole ed è stato osservato per la prima volta nel 1983 nei laboratori del CERN da Carlo Rubbia, laureato all’Università di Pisa come allievo della Scuola Normale, e Simon van deer Meer, che per questo furono insigniti del premio Nobel per la Fisica l’anno successivo.

 

Testo e foto dal Polo Comunicazione CIDIC – Centro per l’innovazione e la diffusione della cultura dell’Università di Pisa.

Convegno a 100 anni dalla nascita del fisico austriaco – “Bruno Touschek Memorial Symposium (1921-2021)”

Il fisico che visse due volte: a 100 anni dalla nascita, i due Premi Nobel per la Fisica Carlo Rubbia e Giorgio Parisi insieme per ricordare la figura eclettica di Bruno Touschek e la sua eredità nel campo dell’accelerazione di particelle.

Dal 2 al 4 dicembre 2021 si svolgerà un convegno organizzato da Sapienza Università di Roma, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare-INFN e Accademia Nazionale dei Lincei dedicato al brillante fisico austriaco che ha insegnato e fatto ricerca in Italia

Giovedì 2 dicembre – ore 9.00 – Aula Amaldi, Ed. di Fisica – Sapienza, piazzale Aldo Moro 5, Roma

Venerdì 3 dicembre – ore 9.30 – Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, via Enrico Fermi 54, Frascati

Sabato 4 dicembre – ore 9.30 – Accademia Nazionale dei Lincei, via della Lungara 10 , Roma

Foto storica (INFN): Il fisico austriaco Bruno Touschek, uno dei pionieri delle ricerche sugli acceleratori di particelle. Giunto a Roma nel 1952, lavorò ai Laboratori INFN, dove propose e poi diresse la costruzione dell’Anello di Accumulazione (Ada), nel quale per la prima volta circolarono insieme, per poi collidere frontalmente, un fascio di elettroni e uno delle loro antiparticelle, i positroni.

È il 1945 e Bruno Touschek si separa dalla colonna dei deportati, cadendo riverso in un fosso a lato della strada, stremato dalla polmonite e dalla lunga marcia; uno dei soldati che scortavano i prigionieri, gli spara, un colpo alla testa e uno al petto.

Come si sarebbe evoluta la fisica delle particelle, se quello sparo avesse realmente ucciso il giovane austriaco? Invece il proiettile raggiunse Touschek solo di striscio e lui fu tratto in salvo, sottraendosi a un destino che sembrava già segnato.

Foto storica (INFN): Il fisico austriaco Bruno Touschek, uno dei pionieri delle ricerche sugli acceleratori di particelle. Giunto a Roma nel 1952, lavorò ai Laboratori INFN, dove propose e poi diresse la costruzione dell’Anello di Accumulazione (Ada), nel quale per la prima volta circolarono insieme, per poi collidere frontalmente, un fascio di elettroni e uno delle loro antiparticelle, i positroni.

A 100 anni dalla sua nascita, la Sapienza, l’INFN e l’Accademia dei Lincei dedicano alla figura e all’eredità del brillante fisico austriaco il “Bruno Touschek Memorial Symposium (1921-2021)”, un convegno di tre giorni ospitato nelle sedi delle tre istituzioni che hanno avuto una parte tanto rilevante nella sua vita.

Si parte il 2 dicembre alla Sapienza dove tra gli altri parteciperanno i due Nobel per la Fisica, Carlo Rubbia e Giorgio Parisi, intervenendo dall’aula Amaldi, proprio l’aula dedicata al fisico italiano che più si adoperò per inserire Touschek nel panorama della fisica italiana. Fu infatti negli ‘Anni 50 che Touschek giunse in Italia in forma stabile, insegnando all’università capitolina e contribuendo alla realizzazione e all’evoluzione degli acceleratori di alta energia.

Foto storica (INFN): Il fisico austriaco Bruno Touschek (il primo da sinistra), uno dei pionieri delle ricerche sugli acceleratori di particelle, nell’officina “Magneti” dei Laboratori INFN di Frascati alla fine degli anni ‘50. Touschek propose e poi diresse la costruzione dell’Anello di Accumulazione (Ada), nel quale per la prima volta circolarono insieme, per poi collidere frontalmente, un fascio di elettroni e uno delle loro antiparticelle, i positroni.

Un approdo non scontato per lo studioso, profondamente segnato da vicende personali. In seguito all’annessione dell’Austria alla Germania e all’introduzione delle leggi razziali fu costretto a lasciare gli studi presso l’Università di Vienna dove si era iscritto, dopo un breve soggiorno in Italia presso la zia materna, Adele, detta Ada. Fu proprio in suo onore che, molti anni più tardi, Touschek chiamò il prototipo di acceleratore, da lui concepito, realizzato presso i Laboratori di Frascati dell’INFN, ADA: Anello di Accumulazione. L’idea rivoluzionaria realizzata per la prima volta da Touschek in AdA consisteva nel far circolare all’interno di uno stesso anello e in direzioni opposte due fasci di particelle, uno di materia e uno di antimateria, dalle cui collisioni poter produrre nuove particelle. Questa idea ha aperto la strada allo sviluppo dei successivi anelli di collisione ed è alla base del funzionamento di LHC (Large Hadron Collider) del CERN, il più grande e potente collisore al mondo.

In Italia, grazie alla sua brillante personalità, contribuì al grande sviluppo dell’ambiente accademico e scientifico italiano, formando una nuova generazione di teorici – tra i suoi primi laureandi Nicola Cabibbo e Francesco Calogero – e consolidò quella che sarebbe divenuta una caratteristica dei Laboratori di Frascati: la simbiosi tra teoria, sperimentazione e costruzione di macchine acceleratrici.

Touschek era una personalità del tutto fuori dagli schemi e, oltre a coltivare la sua passione per le motociclette, aveva un talento innato per il disegno, al quale si dedicava in continuazione, dando forma artistica a dubbi e intuizioni: molti dei suoi schizzi e disegni, custoditi da amici e colleghi saranno esposti il 2 dicembre in occasione del convegno presso l’Edificio di fisica Marconi, accanto all’aula Amaldi.

Venerdì 3 dicembre, si terrà la cerimonia di intitolazione a Bruno Touschek del visitor centre dei Laboratori Nazionali di Frascati, alla quale prenderà parte, tra gli altri, il figlio Francis Touschek.

Link: https://agenda.infn.it/e/btms100

 

 

Testo e locandina dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma per il convegno a 100 anni dalla nascita di Bruno Touschek.

Foto storiche con didascalia di Bruno Touschek dall’INFN – Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.

APRE IL MUSEO “GIOVANNI POLENI” DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA

LA STORIA DELLA FISICA TRA PADOVA E IL MONDO

 

È dedicato a Giovanni Poleni (1683 – 1761) il Museo della Fisica dell’Università di Padova. Poleni – stimato da Eulero, Newton, Leibniz e Cassini – fu membro delle principali accademie europee e i suoi contributi scientifici sono innumerevoli. All’Università di Padova gli vengono nel tempo affidate ben cinque cattedre nelle discipline dell’astronomia, della filosofia naturale, della matematica, della fisica e della nautica.

Giovanni Poleni Museo
Ritratto di Giovanni Poleni. Immagine McTutor History of Mathematics, in pubblico dominio

Il Museo “Giovanni Poleni” dell’Università di Padova propone un vero e proprio “viaggio nel tempo”, dal Gabinetto di Fisica avviato a Padova da Giovanni Poleni nel 1739, fino alle ultime ricerche nel campo della Fisica. Una presentazione raffinata, coinvolgente ed emozionante, volta a mettere in risalto non solo le mille storie collegate ai vari strumenti, ma anche la bellezza di molti oggetti, che vengono esposti quasi come opere d’arte. L’idea è di portare il visitatore nel cuore del Gabinetto di Fisica di Padova, dal ‘700 in poi, fino a presentare il lavoro dei fisici di oggi in una piccola sezione temporanea dove via via saranno esposti strumenti del XXI secolo. Per l’inaugurazione, sarà esposto un pezzo di CMS, uno dei rivelatori dell’LHC del CERN di Ginevra.

Gli oggetti sono i protagonisti assoluti del Museo “Giovanni Poleni”: ognuno di loro narra molteplici storie che il nuovo allestimento vuole portare alla luce. Tra i moltissimi in esposizione: lo strumento usato da Poleni nella verifica della statica e nel restauro della cupola di S. Pietro in Vaticano, i termometri firmati da Angelo Bellani, il modello di battipalo con cui fu ricostruito a metà del Settecento il palladiano ponte di Bassano, uno ottocentesco di macchina a vapore pensato per la manifattura di tabacchi di Venezia, una delle prime cellule fotovoltaiche inventata e realizzata da Augusto Righi nel 1888, una straordinaria raccolta di radiografie realizzate da Giuseppe Vicentini tra il 16-18 gennaio 1896 solo due settimane dopo l’invenzione dei Raggi X, strumenti  per studiare i raggi cosmici e tanti altri quali microscopi, galvanometri, strumenti per lo studio della rifrazione e delle leggi della Fisica.

Busto di Giovanni Poleni. Il busto fa parte del Panteon Veneto, conservato presso Palazzo Loredan di Campo Santo Stefano a Venezia. Autore Luigi Baldin, immagine Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, CC BY 4.0

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova.

Record mondiale di luminosità all’acceleratore di particelle SuperKEKB in Giappone, il ruolo degli scienziati perugini

Luminosità istantanea fornita dall’acceleratore SuperKEKB al rilevatore Belle II in funzione del tempo

Alle 13.34 del 15 Giugno 2020 ora italiana, l’acceleratore SuperKEKB, nel laboratorio KEK a Tsukuba in Giappone, ha stabilito un nuovo record mondiale, raggiungendo la luminosità istantanea di 2.22×1034 cm-2 s -1 . Il precedente record di luminosità era detenuto dal Large Hadron Collider (LHC) del CERN di Ginevra con 2.14×1034 cm-2 s -1 .

La luminosità di un acceleratore esprime la capacità dell’apparato di produrre collisioni tra particelle e pertanto rappresenta uno dei principali elementi per ottenere nuove scoperte nel campo della fisica. In SuperKEKB avvengono collisioni tra elettroni e positroni ad un’energia prossima alla massa della risonanza Y(4S) (10.58 GeV) dove è copiosa la produzione di mesoni B, D e di leptoni t.

L’esperimento Belle II ha come obbiettivo principale la ricerca di effetti di nuova fisica, al di là del Modello Standard, nella produzione e nel decadimento di tale particelle.

Belle II è il risultato di una collaborazione internazionale di circa 1.000 fisici e ingegneri provenienti da 115 università e laboratori di 26 Paesi. L’Italia partecipa attraverso l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) e le Università collegate, tra cui la Sezione di Perugia INFN e l’Ateneo perugino.

Claudia Cecchi, Maurizio Biasini, Elisa Manoni

Il gruppo perugino dell’esperimento Belle II, guidato dalla Professoressa Claudia Cecchi del Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università degli Studi di Perugia, contribuisce attivamente alla presa dati dell’esperimento, al mantenimento di una parte del rivelatore in particolare del Calorimetro Elettromagnetico (ECL) per la misura dell’energia di fotoni ed elettroni e ricopre ruoli di responsabilità nell’analisi dei dati per la ricerca di decadimenti rari che potrebbero dare informazioni fondamentali sulla ricerca di Nuova Fisica oltre il modello Standard. Il gruppo si avvale inoltre della collaborazione del Professor Maurizio Biasini, docente dello stesso Dipartimento, e della Dottoressa Elisa Manoni, ricercatrice della Sezione di Perugia dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare.

Sebbene il Modello Standard descriva correttamente il comportamento delle particelle sub-atomiche note, numerose teorie predicono nuove particelle e ci sono osservazioni di natura astrofisica che suggeriscono l’esistenza di materia ed energia oscure. Inoltre è tutt’ora aperta la questione di quale sia l’origine dell’asimmetria materia-antimateria dell’universo. Nuove particelle, con massa molto grande, possono essere prodotte direttamente se si dispone di energia sufficiente, oppure possono essere osservate indirettamente attraverso gli effetti quantistici con cui modificano i processi di produzione e decadimento delle particelle già note e questo secondo approccio è quello seguito dal collisore SuperKEKB e dall’esperimento Belle II. Questi effetti quantistici sono tanto più rari quanto è maggiore la massa della nuova particella che li genera ed è quindi necessaria una grande quantità di dati per osservarli, per cui la luminosità fornita dal collisore è un fattore cruciale in questa ricerca. L’esperimento Belle II, in circa 10 anni di presa dati, accumulerà una luminosità integrata 50 volte maggiore (corrispondente alla produzione di 50 miliardi di coppie di mesoni B) rispetto ai suoi predecessori Belle e Babar. I dati raccolti fino ad ora hanno già permesso di porre un limite interessante nell’ambito della ricerca della materia oscura e sono stati pubblicati.

Per raggiungere l’alta luminosità necessaria, SuperKEKB adotta l’innovativo schema a nano-beam secondo il quale si fanno collidere fasci di elettroni e positroni organizzati in pacchetti lunghi ed estremamente sottili che si scontrano con un angolo d’incrocio relativamente grande. Questo record di luminosità è stato ottenuto integrando lo schema a nano-beam con il crab-waist, una tecnica quest’ultima che consente di contenere la distribuzione nello spazio delle fasi delle particelle nei fasci interagenti e di stabilizzare le collisioni.

È doveroso ricordare che lo schema a nano-beam ed il crab-waist sono stati concepiti e realizzati grazie ad un lavoro pioneristico del gruppo di fisica degli acceleratori dei Laboratori Nazionali di Frascati guidati dal fisico italiano Pantaleo Raimondi, anche nel contesto del progetto, poi non realizzato, dell’acceleratore SuperB.

 

Perugia, 26 giugno 2020

 

 

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università degli Studi di Perugia