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EarthCARE: una nuova missione satellitare per capire l’impatto delle nuvole sul cambiamento climatico

Il Politecnico di Torino è tra i protagonisti degli studi scientifici che hanno permesso la realizzazione della missione. Le missioni di ricerca Earth Explorer, realizzate nell’ambito del programma dell’ESA FutureEO, mirano a comprendere la complessità del funzionamento della Terra e l’influenza delle attività umane sui processi naturali.

Torino, 6 giugno 2024

ESA missione EarthCARE

Nella giornata di martedì 28 maggio, nel contesto del prestigioso programma di osservazione della Terra “Earth Explorer” dell’ESA, è stato lanciato dalla base di Vandenberg, in California, il satellite EarthCARE-Earth Cloud Aerosol Radiation Explorer, frutto della collaborazione tra l’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e quella Giapponese (JAXA). La missione, rivoluzionaria nel suo genere, si prefigge di migliorare la comprensione dell’interazione tra nuvole e aerosol nel modificare i bilanci energetici associati al trasporto di onde elettromagnetiche e il ciclo dell’acqua, così da contribuire in modo significativo ad una migliore previsione dell’entità dei cambiamenti climatici e quindi ad ottimizzare le strategie di adattamento e mitigazione del clima.

Tra gli attori coinvolti nella progettazione della missione il Politecnico di Torino, con il gruppo di ricerca del Dipartimento di Ingegneria dell’Ambiente, del Territorio e delle Infrastrutture-DIATI che ha partecipato, sotto la guida del professor Alessandro Battaglia, agli studi scientifici per la realizzazione del lancio e che contribuirà alle prossime fasi del progetto. Il professor Battaglia è da anni coinvolto nell’ideazione della missione: dal 2008 si registrano i suoi primi interventi negli studi preliminari di settore e nel 2015 viene ufficializzata la sua nomina a membro dell’ESA Mission Advisory Board per lo sviluppo della missione.

Il satellite EarthCARE, una volta lanciato, ha raggiunto in pochi minuti la sua orbita eliosincrona polare, intorno ai 400 km di altezza. Nel corso dei prossimi gironi cominceranno  i primi test dei 4 strumenti all’avanguardia inseriti al suo interno: un radar atmosferico a 94 GHz con capacità Doppler che permette di profilare nuvole  e precipitazioni e di mappare per la prima volta le velocità verticali delle idrometeore; un lidar che, grazie alla sua risoluzione spettrale, consente di ottenere profili verticali micro e macrofisici di nubi e aerosol riuscendo anche a distinguere i diversi tipi di aerosol; un imager multispettrale (MSI) capace di offrire una mappatura bidimensionale della scena sotto osservazione; e infine un radiometro a banda larga che misura la radiazione solare riflessa e la radiazione infrarossa proveniente dalla Terra.

“La missione EarthCARE è uno dei progetti più ambiziosi mai affrontati dall’Agenzia spaziale europea in collaborazione con quella giapponese – ha commentato il professor Alessandro Battaglia – Nonostante le innumerevoli sfide tecnologiche e logistiche, la missione è diventata finalmente operativa. Insieme a colleghi dell’Università di Leicester, UK e McGill in Canada abbiamo lavorato in particolare allo sviluppo del simulatore e agli algoritmi di inversione del radar Doppler a lunghezza d’onda millimetrica. È quindi con trepidazione che aspettiamo i primi dati dopo tanti anni passati a simulare numericamente la risposta degli strumenti sui nostri computer. La tecnologia innovativa del radar che è stato sviluppato dai colleghi giapponesi ci consentirà di misurare per la prima volta il movimento verticale dell’aria in nuvole (e.g. all’interno di celle convettive) e la dimensione di particelle come gocce di pioggia e fiocchi di neve”“Questa missione terrestre – ha concluso Battaglia – è cruciale per meglio caratterizzare le nuvole e i sistemi precipitanti che svolgono un ruolo vitale nel sistema climatico. I risultati della missione potranno inoltre fungere da apripista ad altre missioni spaziali che impiegano radar Doppler millimetrici quali la missione WIVERN, al momento in fase A nello stesso programma Earth Explorer dell’ESA, e nella quale il Politecnico svolge un ruolo di punta”.

 

Testo e immagine dall’Ufficio Web e Stampa del Politecnico di Torino.

ALLA SCOPERTA DELL’UNIVERSO PRIMORDIALE: AL VIA LE ANALISI DEI FRAMMENTI DELL’ASTEROIDE RYUGU

Un team tutto italiano composto da ricercatori e ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dell’Università degli Studi di Firenze (UNIFI) e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) avvia le analisi dei due preziosissimi campioni dell’asteroide Ryugu ricevuti a maggio del 2023 nell’ambito di un bando internazionale per l’analisi dei materiali cosmici riportati a Terra dalla missione Hayabusa-2 dell’Agenzia Spaziale giapponese JAXA.

I due grani a disposizione del gruppo di ricerca sono denominati C0242 (del peso di 0,7 milligrammi e lunghezza di 1,712 millimetri) e A0226 (pesante 1,9 milligrammi e lunghezza di 2,288 millimetri). Ciascun grano è posto all’interno di un particolare recipiente di acciaio riempito di azoto, il cui scopo è sia di preservare il grano evitando contaminazioni dovute alle polveri e al vapore d’acqua presenti nell’ambiente, sia di permettere un trasporto sicuro. Per rendere onore alla cultura giapponese, il team italiano ha deciso di assegnare un nome ai due grani attingendo alla tradizione degli anime, in particolare le opere dello studio Ghibli con il suo creatore Hayao Miyazaki. I nomi sono stati scelti guardando sia alla forma (A0226-Totoro) dal film Il mio vicino Totoro, sia al compito di Hayabusa2 di spedire a Terra campioni extraterrestri (C0242-Kiki) dal film Kiki – Consegne a domicilio.

analisi frammenti asteroide Ryugu Foto grani
Al via le analisi dei frammenti dell’asteroide Ryugu. Foto dei grani. Crediti INFN – LNF

Le prime indagini di spettroscopia nell’infrarosso prendono il via presso il laboratorio di luce di sincrotrone Dafne Luce dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, sfruttando così la luce prodotta dall’acceleratore di particelle dei laboratori, Dafne. E, per preservare al meglio i due frammenti di asteroide, i ricercatori hanno ideato e realizzato delle attrezzature speciali:

“per la prima volta apriremo i contenitori dove sono contenuti in atmosfera protetta per poter fare le prime analisi spettroscopiche nell’infrarosso. In questi mesi abbiamo messo a punto dei portacampioni “universali” in grado di poter tener fermo ciascuno dei due frammenti per tutta la durata delle analisi, che durerà alcuni mesi”

spiega Ernesto Palomba, ricercatore INAF e professore presso l’Università “Federico II” di Napoli, che coordina le operazioni di analisi.

“Le tecniche e gli strumenti che abbiamo progettato e realizzato permetteranno di analizzare i campioni preservandoli dalla contaminazione dell’atmosfera terrestre che li danneggerebbe irreversibilmente, cancellando informazioni preziose per capire i meccanismi di formazione ed evoluzione del nostro Sistema solare e dei corpi che lo abitano, compresa la nostra Terra”.

Con le prime analisi il gruppo di ricerca si focalizzerà sullo studio della mineralogia, della materia organica e dell’acqua presente in questi campioni per ottenere le prime informazioni da questi veri e propri fossili del Sistema solare, che risalirebbero proprio alle primissime fasi di formazione del nostro sistema planetario, ovvero circa quattro miliardi di anni fa.

“La luce di sincrotrone di Dafne consentirà di analizzare in modo totalmente non distruttivo i micro-frammenti dei minerali contenuti nei grani dell’asteroide Ryugu.  Le analisi verranno svolte utilizzando un rivelatore per imaging nel medio infrarosso e consentiranno di evidenziare una eventuale presenza di tracce di materiale organico, fornendo importanti informazioni sulle interazioni fisico-chimiche tra molecole organiche e minerali che potrebbero aver avuto un ruolo nell’origine della vita sulla Terra o in altri corpi del Sistema Solare,”

spiega Mariangela Cestelli Guidi, ricercatrice INFN, responsabile della linea di luce di sincrotrone nell’infrarosso del Laboratorio Dafne Luce.

Le analisi dei campioni a Frascati si protrarranno per circa due settimane. Poi i grani di Ryugu verranno trasportati all’Università di Firenze per ulteriori indagini volte ad ottenere maggiori informazioni sulla storia di questi campioni.

“I grani di Ryugu arriveranno a Firenze entro un mese e vi rimarranno per circa sei settimane”

sottolinea Giovanni Pratesi, docente di Mineralogia Planetaria presso l’Università di Firenze e leader del gruppo di ricerca UNIFI.

“L’obiettivo di queste ulteriori indagini è quello di caratterizzare la morfologia e la composizione chimica della superficie dei frammenti, cosa che ci permetterà di avere informazioni preziose per aiutarci a ricostruire la storia di questo asteroide ma anche del nostro Sistema solare”.

Testo, video e immagini dagli Uffici Stampa INAF e INFN.

KIKI E TOTORO: “CONSEGNA A DOMICILIO” NEI LABORATORI INAF PER DUE FRAMMENTI DELL’ASTEROIDE RYUGU, CHE SARANNO UTILI COME ISTANTANEA SUL MATERIALE CHE HA DATO ORIGINE AL SISTEMA SOLARE PRIMORDIALE

 Un viaggio lunghissimo nel Sistema solare li ha portati dall’asteroide Ryugu alla Terra, all’interno della capsula di raccolta della sonda Hayabusa2 che li ha prelevati dalla superficie del corpo celeste nel 2019. Due piccoli grani dell’asteroide, lunghi meno di due millimetri e pesanti in totale tre milligrammi, parte del preziosissimo carico di Hayabusa2, sono giunti dal Campus Sagamihara della JAXA in Giappone ai laboratori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica a Roma, dove un team di ricerca li analizzerà con l’ambizioso obiettivo di ricostruire la storia dell’evoluzione di Ryugu nei suoi quattro miliardi di anni di vita. In omaggio alla cultura giapponese, i ricercatori INAF hanno ribattezzato i due grani Kiki e Totoro, come i personaggi di altrettanti film di animazione del maestro Hayao Miyazaki.

La missione Hayabusa2 dell’Agenzia spaziale giapponese JAXA ha esplorato l’asteroide Ryugu, grande un chilometro, ottenendo immagini dettagliate della superficie. Hayabusa2 ha scagliato un piccolo proiettile sull’asteroide allo scopo di scavare una piccola porzione del suo strato esterno e mettere a nudo il materiale al di sotto, rimasto preservato per miliardi di anni. Il veicolo spaziale ha poi raccolto frammenti della superficie in due siti differenti di Ryugu, uno di questi nelle vicinanze del cratere. In due camere di raccolta – denominate A e C – sono stati quindi recuperati sia frammenti superficiali che sotto-superficiali, questi ultimi protetti dal vuoto profondo dello spazio fino al momento dell’impatto. La capsula di rientro con il materiale raccolto è stata recuperata a Woomera, in Australia, il 6 dicembre 2020. Si tratta del primo campione raccolto appartenente a una classe di asteroidi molto primitivi, la cui composizione ci fornisce un’istantanea del materiale che ha dato origine al Sistema solare primordiale e alla Terra.

Frammenti dall’asteroide Ryugu, Totoro e Kiki, per conoscere il Sistema solare primordiale. Gallery

La quantità di materiale che è stato raccolto in totale è di circa 5 grammi. Dopo aver completato una prima ispezione, le particelle di Ryugu sono state prelevate singolarmente dai piccoli contenitori di vetro zaffiro con una pinzetta a vuoto e su questi grani è stata eseguita un’analisi al microscopio.

“Grazie al mio contributo nella caratterizzazione dell’asteroide Ryugu, come Co-Investigator della missione Hayabusa 2, sono stato chiamato a far parte del ristretto Team Internazionale che prima  dell’apertura dei bandi pubblici, si è occupato per un anno delle prime analisi in esclusiva” ricorda Ernesto Palomba, ricercatore INAF a Roma.

Nell’ambito del secondo bando internazionale pubblico per l’analisi dei campioni di Ryugu, la JAXA, ha assegnato al gruppo di ricerca INAF coordinato da Ernesto Palomba due grani denominati C0242 (del peso di 0,7 milligrammi e lunghezza di 1,712millimetri) e A0226 ( pesante 1,9 milligrammi e lunghezza di2.288millimetri). Ciascun grano è posto all’interno di un particolare recipiente di acciaio riempito di azoto, il cui scopo è sia di preservare il grano evitando contaminazioni dovute alle polveri e al vapor d’acqua presenti nell’ambiente, sia di permettere un trasporto sicuro. Per rendere onore alla cultura giapponese, il team italiano ha deciso di assegnare un nome ai due grani attingendo alla tradizione degli Anime, in particolare le opere dello studio Ghibli con il suo creatore Hayao Miyazaki. I nomi sono stati scelti guardando sia alla forma (A0226-Totoro) dal film “Il mio vicino Totoro”, sia al compito di Hayabusa 2 di spedire a Terra campioni extraterrestri (C0242-Kiki) dal film “Kiki – Consegne a domicilio”.

“Tra tutte le 38 proposte di analisi accettate dalla JAXA per il secondo bando internazionale, la nostra è l’unica italiana” commenta Palomba e prosegue: “ Il team è composto da una dozzina di persone delle sedi INAF di Roma, Napoli, Catania e dall’Università di Firenze, di cui quasi la metà sono borsisti, studenti di dottorato e postdoc. Per preparaci all’analisi e alla manipolazione di grani millimetrici, abbiamo cominciato a fare palestra con dei frammenti di una meteorite carbonacea,  la Tagish Lake, che si può considerare molto simile ai frammenti di Ryugu. Abbiamo ideato e prodotto dei portacampioni in grado di mantenere fermi i grani durante il trasporto e le analisi. E ora una decina di giorni fa la JAXA ci ha contattato chiedendoci l’indirizzo per spedire i campioni. In realtà in meno di una settimana, con nostra grande emozione, Kiki e Totoro sono arrivati”.

“Per questo progetto, abbiamo avuto anche a supporto un Large Grant dell’INAF” sottolinea Palomba. “Il nostro obiettivo sarà comprendere come questo asteroide si sia evoluto durante i 4 miliardi di anni della sua vita. In particolare, andremo a studiare le trasformazioni causate dall’interazione con l’ambiente spaziale, che a differenza di quanto si potrebbe credere è lungi dall’essere completamente inerte. Una pioggia continua di micrometeoriti, particelle galattiche e cosmiche, nonché il flusso costante del vento solare – il cosiddetto space weathering –  bombarda le superfici dei corpi planetari incessantemente per miliardi di anni, provocando anche sostanziali trasformazioni. Per capire meglio queste trasformazioni, nel nostro progetto abbiamo richiesto due grani, uno proveniente dalla camera A e un altro dalla camera C, cosicché sarà possibile comprendere quanto lo space weathering abbia modificato la superficie dell’asteroide” conclude Palomba.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)