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Ines Testoni

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VIOLENZA CONTRO LE DONNE COSA “VEDE” L’ALTRA PARTE – Pubblicata su «The Arts in Psychotherapy» la ricerca firmata dalla Professoressa Ines Testoni dell’Università di Padova su un intervento di Creative Arts Therapies in carcere, con sessioni di psicodramma; il programma ha coinvolto persone che avevano commesso femminicidio o lo aveva tentato.

La violenza di genere è un fenomeno dilagante che va prevenuto. Barzellette sessiste, stalking, salari più bassi, matrimoni forzati, femminicidi, mutilazioni genitali, violenza domestica, prostituzione forzata, violenza sessuale, molestie sessuali, abuso sessuale, uso di acidi e delitto d’onore sono solo sono solo alcune delle varie forme di violenza a cui le donne sono esposte in tutto il mondo.

Nell’articolo pubblicato su «The Arts in Psychotherapy» con il titolo “Gender-based violence comes on the scene: Creative Arts Therapies intervention in prison with men who committed or tried to commit feminicide” firmato dal gruppo di ricerca della Professoressa Ines Testoni, direttrice del Corso di perfezionamento in Creative Arts Therapies per il supporto alla resilienza dell’Università di Padova, sono presentati i risultati di un intervento psicodrammatico intermodale volto a contrastare il rischio di futuri comportamenti violenti.

Sei detenuti di un istituto di pena, che hanno commesso o tentato di commettere un femminicidio, hanno partecipato a sessioni di psicodramma: si sono valutati la motivazione preliminare dei partecipanti al programma, gli aspetti dell’intervento, i cambiamenti personali e relazionali e le riflessioni sui ruoli di genere. La ricerca realizzata dal team della professoressa Ines Testoni si è svolta in due tappe, in anni differenti, e a differenza degli interventi sporadici che normalmente avvengono in carcere si è potuto rilevare il cambiamento degli atteggiamenti che sottostanno al comportamento violento contro la donna.

Le Creative Arts Therapies (CAT) sono tecniche che utilizzano i diversi canali espressivi delle arti per permettere alle persone di accedere a parti del Sé rimaste segregate nell’inconscio o nella segretezza della rimozione o più banalmente nell’inconsapevolezza e di aprirle al circuito comunicativo con gli altri. Questa dinamica permette loro di potersi guardare, scoprire qualcosa che ignoravano del proprio rapporto con il mondo e con sé stesse.

Il primo passo è stato motivare i partecipanti a prendere dal un lato consapevolezza delle rappresentazioni implicite che hanno fatto loro credere di potersi comportare liberamente e senza freni nei confronti della loro vittima, dall’altro che nella vita è necessario saper riconoscere le proprie emozioni, nominarle e gestirle nella relazione con l’altro nell’autocoscienza e nella condivisione con la società in cui si vive.

Il risultato di questo intervento di gruppo volto alla sensibilizzazione della coscienza (consciousness raising) ha rivelato che: i partecipanti non avevano mai problematizzato la questione e non avevano mai considerato la donna come “altra”, ma di averla idealizzata come madre che deve accudirli e rispondere a tutti i loro bisogni.

Le motivazioni dei detenuti a partecipare al programma, come indica la ricerca, sono state dettate dalla necessità di un confronto con qualcuno, dal “togliersi la maschera” che rende le interazioni con altri superficiali, uscire dalla routine della vita da ristretto e lavorare su sé stessi e riflettere sulla propria esistenza.

L’intervento con le Creative Arts Therapies e la condivisione di esperienze e sentimenti è stato considerato dai partecipanti utile per accedere a ricordi e riflettere sulle proprie emozioni; la tecnica dell’inversione di ruolo e dell’assunzione del ruolo di io ausiliario ha dato ai partecipanti la possibilità di sperimentare il significato del “vedere” un’altra prospettiva e di guardare con altri occhi; di accedere al loro mondo interiore e di esprimerlo sinteticamente in un’immagine.

Vi sono stati dei cambiamenti sia a livello personale che relazionale: i partecipanti hanno sottolineato come l’intervento di psicodramma li abbia aiutati ad acquisire nuovi modi di comportarsi e interagire con gli altri; la qualità delle relazioni che si sono sviluppate tra loro sono state ritenute utili come risorsa spendibile nel futuro.

Riflessioni sui ruoli di genere: l’ultimo tema ha raccolto le vecchie e nuove narrazioni dei partecipanti sulle rappresentazioni dei ruoli maschili e femminili. È emerso che l’uomo è associato a una figura forte, esente da sensibilità, dall’altra parte la donna è vista come una figura accogliente e di sostegno. Inoltre ci si aspetta che la donna sia devota al marito e alla famiglia e che mantenga questi valori anche di fronte a molestie o violenze. Alla fine del percorso i partecipanti hanno rivisto le proprie posizioni: hanno potuto riflettere sul loro bisogno di mostrarsi forti/dominanti e sulla possibilità di accedere ad aspetti più fragili e sensibili, dando un valore positivo al riconoscimento delle proprie vulnerabilità ed emozioni.

«Da questo risultato possiamo dire che se vogliamo prevenire la violenza contro le donne e quindi garantire parallelamente il benessere degli uomini bisogna creare degli spazi di consciousness raising anche per questi ultimi prima che essi diventino violenti e assassini. Sicuramente le Creative Arts Therapies possono aiutare in questo, magari a partire fin dalle scuole e da percorsi di crescita personale per gli stessi genitori e insegnanti – afferma Ines Testoni prima firma della ricerca pubblicata –. Tutte le storie di femminicidio e violenza contro le donne dimostrano che ormai gli stessi uomini sono vittime del patriarcato in quanto vivono in modo disadattivo la capacità della donna di dimostrare la propria intelligenza e di costruire una società nuova. Il cambiamento storico, avviato dopo i diritti umani universali, del contratto relazionale tra individui e nello specifico tra generi, che ha permesso alla donna di ridefinire i propri ruoli esistenziali, è ormai irreversibile – conclude Ines Testoni – e gli uomini che non riescono a gestirlo positivamente non possono che essere degli infelici disadattati che tentano di ripristinare un’idea di autorità in modo arcaico e disfunzionale per sé e per coloro che hanno la sventura di avere un rapporto con loro».

Ines Testoni
Ines Testoni, autrice sullo studio relativo alle Creative Arts Therapies in carcere per detenuti che avevano commesso o tentato femminicidio

Link alla ricerca: https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S0197455623001089

Titolo: “Gender-based violence comes on the scene: Creative Arts Therapies intervention in prison with men who committed or tried to commit feminicide”. – «The Arts in Psychotherapy» 2023.

Autori: Ines Testoni*, Gianmarco Biancalani, Maibrit Arbien, Melania Corallini, Evelina Cataldo, Consuelo Ubaldi.

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

Il cane può provare dolore per la morte di un altro cane

La ricerca, coordinata dall’Università degli Studi di Milano e condotta con Università degli Studi di Padova, suggerisce che i cani soffrano per la perdita di un altro cane che vive nella stessa famiglia. Lo studio, condotto su oltre quattrocento proprietari di cani, è stato pubblicato su Scientific Reports.( https://www.nature.com/articles/s41598-022-05669-y).

cane dolore morte
Il cane può provare dolore per la morte di un altro cane

Un cane può provare dolore per la morte di un altro cane che vive nella stessa famiglia dimostrando comportamenti negativi, ricerca di attenzioni e apatia: questo suggeriscono i cambiamenti del comportamento e delle emozioni riportati da 426 proprietari di cani italiani coinvolti in uno studio dell’Università degli Studi di Milano condotto con l’Università di Padova e pubblicato su Scientific Reports (https://www.nature.com/articles/s41598-022-05669-y).

Sebbene siano stati segnalati comportamenti di lutto in alcune specie animali, inclusi gli uccelli e gli elefanti, non è ancora chiaro se i cani domestici soffrano per la morte di un conspecifico. Il gruppo di studio coordinato da Federica Pirrone, ricercatrice di Etologia Veterinaria dell’Università degli Studi di Milano, ha intervistato oltre quattrocento persone a cui era morto un cane, mentre in casa ve n’era almeno un altro. L’86% ha osservato cambiamenti negativi nel comportamento del cane sopravvissuto dopo la morte dell’altro cane, ma solo quando i due cani erano legati da una relazione particolarmente amichevole o addirittura genitore-figlio. Questi animali erano più alla ricerca di attenzioni, mangiavano e giocavano meno ed erano, in generale, meno attivi del solito.

Federica Pirrone

“Da un punto di vista ecologico, sia i legami di affiliazione che quelli parentali sono componenti importanti della naturale organizzazione sociale dei cani liberi e questo vale anche per i cani di casa”, spiega Federica Pirrone. “Gli animali sociali come i cani domestici hanno una forte tendenza a cooperare e sincronizzare i loro comportamenti per mantenere la coesione e poter beneficiare dei vantaggi derivanti dal vivere insieme. Questo coordinamento può essere interrotto quando muore un membro del gruppo. Dunque, l’interruzione di una routine sociale che, in virtù della forte affiliazione, si era creata tra le coppie di cani del nostro studio, quando entrambi gli animali erano in vita, potrebbe spiegare i cambiamenti osservati in quello sopravvissuto dopo l’evento fatale”.

Ines Testoni

Come sottolinea Ines Testoni, direttrice del Master Death Studies & The End of Life dell’Università di Padova, “Siamo abituati a pensare che gli animali non abbiano una coscienza e non provino sentimenti, quindi non possano né mentalizzare la morte né provare dolore per la perdita. Le nostre ricerche hanno già mostrato come tra caregiver e animale da compagnia si instauri un legame di attaccamento e che questo può influenzare il comportamento del cane che sopravvive alla perdita del conspecifico.

 

È importante sottolineare che il nostro studio, per la prima volta nel panorama scientifico, indaga contemporaneamente i comportamenti assimilabili al lutto nel cane e il lutto dei proprietari. Sorprendentemente, abbiamo notato che i diversi modi di relazionarsi agli animali e di rappresentarsi la loro vita/morte da parte del proprietario non sono apparsi correlati alle variazioni del comportamento dei cani dopo la morte del conspecifico. Questo è importante perché indica che il proprietario, nel descrivere queste variazioni, non stava semplicemente proiettando il proprio dolore sul suo cane, ed è quindi più probabile che le modifiche riportate siano reali”.

I cani sopravvissuti sono apparsi più impauriti dopo la morte del conspecifico, e su questo cambiamento emotivo potrebbe invece aver pesato lo stato emotivo del proprietario. Il livello di paura era infatti maggiore nei cani sopravvissuti i cui proprietari mostravano segni più evidenti di sofferenza, rabbia e trauma psicologico in seguito alla morte del proprio pet.

Ulteriori studi, già in corso presso il gruppo di ricerca, dimostreranno se attraverso queste reazioni i cani stanno davvero rispondendo alla morte di un compagno della propria specie, o se esse siano solo scatenate dalla perdita, ossia dalla semplice separazione da quest’ultimo.

“È un obiettivo che ci siamo riproposti di raggiungere in fretta” – conclude Pirrone“Oggi come oggi milioni di famiglie nel mondo vivono con più di un cane. Conoscere le reazioni comportamentali e le emozioni suscitate dalla morte di un consimile è quindi fondamentale perché ci permetterà di riconoscere i bisogni emotivi di tantissimi animali, che sono effettivamente a rischio di soffrire per la perdita di un compagno canino”.

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Il cane può provare dolore per la morte di un altro cane

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università degli Studi di Padova