LA TEMPESTA GEOMAGNETICA PERFETTA DEL 1872. COSA SUCCEDEREBBE SE CAPITASSE OGGI?
Un team internazionale composto da fisici solari, geofisici e storici ha analizzato le osservazioni e i documenti che descrivono una tempesta geomagnetica che si è verificata nel febbraio 1872. I risultati dello studio pubblicato oggi su The Astrophysical Journal mostrano che un gruppo di macchie solari di moderate dimensioni ha innescato una delle più grandi tempeste geomagnetiche mai registrate, che ha prodotto aurore osservate anche a basse latitudini in entrambi gli emisferi terrestri. Se una tempesta simile si verificasse oggi danneggerebbe gravemente le infrastrutture tecnologiche della società moderna, arrecando ingenti perdite economiche e notevoli disagi.
Nei primi giorni di novembre sono stati osservati fenomeni atmosferici associati all’aurora boreale a latitudini sorprendentemente basse, anche nelle regioni meridionali dell’Italia e del Texas. I fenomeni osservati manifestano le relazioni Sole-Terra che si stabiliscono quando un’espulsione di massa coronale del Sole produce effetti sul campo magnetico e l’atmosfera della Terra. I fenomeni osservati lo scorso novembre, seppur spettacolari, sono stati di piccola entità rispetto a quelli prodotti da una tempesta geomagnetica che si è verificata nel febbraio 1872. Gli effetti di quella tempesta riguardarono l’intero globo terrestre, con aurore osservate anche in località prossime all’equatore, quali Bombay e Khartum. Un gruppo di ricerca internazionale composto da 22 ricercatori di 16 istituti in 9 nazioni e a cui ha partecipato anche Ilaria Ermolli dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), ha analizzato osservazioni e documenti dell’epoca per ricostruire l’origine nell’atmosfera solare e gli effetti a terra della tempesta del febbraio 1872.
Quella tempesta danneggiò le reti telegrafiche e disturbò le comunicazioni per molte ore, ad esempio tra Bombay (Mumbai) e Aden, tramite il cavo sottomarino posizionato nell’Oceano Indiano, e nelle linee a terra tra Il Cairo e Khartum. Oggi tempeste simili produrrebbero danni e malfunzionamenti alle infrastrutture tecnologiche della società moderna, in particolare alle reti di distribuzione elettrica a terra, ai sistemi di comunicazione e navigazione, ai satelliti nello spazio, arrecando ingenti perdite economiche e notevoli disagi.
mappa delle aurore nel 1872
Alla luce delle conoscenze scientifiche attuali, i ricercatori hanno analizzato dati di macchie solari provenienti da archivi di osservazioni storiche del Sole, effettuate in Italia da Angelo Secchi, Francesco Denza e Pietro Tacchini e in Belgio da Gustave Bernaerts, al fine di ricostruire l’origine solare della tempesta. Per valutare l’evoluzione e l’intensità degli effetti a terra della tempesta hanno inoltre analizzato misure del campo magnetico terrestre registrate in varie località, tra le quali Bombay (Mumbai), Tiflis (Tbilisi) e Greenwich. Hanno infine esaminato anche centinaia di resoconti di aurore osservate durante la tempesta, conservati nelle biblioteche, negli archivi e negli osservatori di tutto il mondo.
disegni del Sole di Angelo Secchi
Uno degli aspetti più interessanti emerso dallo studio riguarda l’origine solare della tempesta, individuata nell’evoluzione di un gruppo di macchie di modeste dimensioni osservato vicino al centro del disco solare. Per quanto modesto, quel gruppo di macchie è stato in grado di innescare una delle tempeste geomagnetiche più estreme della storia.
“I risultati ottenuti mostrano che la tempesta del febbraio 1872 è tra le più estreme avvenute nella storia recente. Le sue caratteristiche sono paragonabili a quelle della tempesta Carrington del settembre 1859 e della tempesta della New York Railroad nel maggio 1921”
afferma Hisashi Hayakawa, assistente professore designato dell’Università di Nagoya e primo autore dello studio.
“Ora sappiamo che negli ultimi due secoli si sono verificate tre tempeste geomagnetiche estreme e queste sono avvenute nell’arco di soli sei decenni: la minaccia per la società moderna legata a queste tempeste è reale” aggiunge Hayakawa.
Ilaria Ermolli, ricercatrice dell’INAF a Roma e parte del team che ha condotto lo studio ricorda che
“L’INAF, con strumentazione dedicata in funzione presso vari osservatori a terra e in orbita, è molto attivo nel monitoraggio continuo del Sole, dell’eliosfera, della magnetosfera e della ionosfera terrestre, con l’obiettivo di migliorare le conoscenze dei processi che determinano lo Space Weather, cioè le caratteristiche di quegli ambienti, e sviluppare competenze e modelli utili a mitigare gli effetti di eventi simili alla tempesta del febbraio 1872. L’INAF, che coordinerà l’attività relativa allo Space Weather nel programma PNRR SPACE IT UP, conserva inoltre nei suoi archivi osservazioni storiche uniche per avanzare la conoscenza degli eventi estremi di Space Weather”.
Il Sole si sta avvicinando al massimo del Ciclo Solare 25, previsto nel 2024-2025. A seguito della maggiore attività solare nei prossimi anni sarà possibile osservare più facilmente regioni instabili nell’atmosfera del Sole e fenomeni aurorali nell’atmosfera terrestre.
Per ulteriori informazioni:
L’articolo The Extreme Space Weather Event of 1872 February: Sunspots, Magnetic Disturbance, and Auroral Displays di Hisashi Hayakawa, Edward W. Cliver, Frédéric Clette, Yusuke Ebihara, Shin Toriumi, Ilaria Ermolli, Theodosios Chatzistergos, Kentaro Hattori, Delores J. Knipp, Séan P. Blake, Gianna Cauzzi, Kevin Reardon, Philippe-A. Bourdin, Dorothea Just15, Mikhail Vokhmyanin, Keitaro Matsumoto, Yoshizumi Miyoshi, José R. Ribeiro, Ana P. Correia, David M. Willis, Matthew N. Wild, e Sam M. Silverman è stato pubblicato online sul sito web della rivista The Astrophysical Journal.
Testo e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)
Macchine del Tempo – Il viaggio nell’Universo inizia da te, la mostra a Palazzo Esposizioni Roma
a cura dell’Istituto Nazionale di Astrofisica
dal 25 novembre 2023 al 24 marzo 2024
Roma, 24 novembre 2023 – “MACCHINE DEL TEMPO”, è il titolo della mostra dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) a Palazzo Esposizioni Roma dal 25 novembre 2023 al 24 marzo 2024. Un connubio perfetto tra divulgazione scientifica, gioco e cultura in un percorso espositivo che guarda al futuro strizzando l’occhio ai favolosi anni ‘80.
Promossa dall’Assessorato alla Cultura di Roma Capitale e da Azienda Speciale Palaexpo, organizzata da Azienda Speciale Palaexpo, ideata e realizzata da INAF in collaborazione con Pleiadi, e prodotta con il contributo di Azienda Speciale Palaexpo, “Macchine del Tempo” parla di astrofisica e astronomia a tutti, grandi e piccoli, neofiti e appassionati. La mostra ha come obiettivo principale far conoscere l’astrofisica e il coinvolgimento di INAF nelle grandi scoperte recenti, attraverso un percorso fatto di exhibit interattivi, foto di telescopi e satelliti, suoni coinvolgenti, videogiochi e molto altro.
il poster della mostra Macchine del Tempo – Il viaggio nell’Universo inizia da te
COSA SONO LE MACCHINE DEL TEMPO?
Si tratta di strumenti dell’ingegno italiano, frutto della ricerca condotta negli osservatori INAF, utilizzati dalle donne e dagli uomini che ogni giorno mettono impegno e passione per ampliare la nostra conoscenza del cosmo. La mostra vuole parlare di scienza e astrofisica mostrando proprio questi strumenti ma facendo anche vedere chi c’è “dietro l’oculare”. Un’esperienza immersiva che comincia innanzitutto da noi stessi, dai visitatori, passando poi a Galileo, l’italiano che, posando l’occhio sul cannocchiale, utilizzò la prima “macchina del tempo”.
I telescopi, che gli astrofisici oggi costruiscono nei luoghi più lontani del pianeta, sono in grado di trasportarci in un remoto passato, all’origine dell’universo, all’indomani del Big Bang, quando le prime galassie e le stelle hanno preso forma, ma anche di immergerci nel nostro passato più recente, sviscerando la storia del nostro pianeta e del sistema solare attraverso la ricerca e l’osservazione di esopianeti, di mondi lontani che stanno nascendo o che già orbitano attorno ad altre stelle.
La galassia a spirale M 63, a circa 37 milioni di anni luce dalla Terra.
The irregular galaxy IC 10, about 37 million light years from Earth.
Crediti: LRS/TNG; D. del Nero Festa Nobre
La coppia di galassie interagenti NGC 520, a circa 105 milioni di anni luce dalla Terra. The interacting pair of galaxies NGC 520, about 105 million light years from Earth. Crediti: LRS/TNG; D. del Nero Festa Nobre
I Pilastri della Creazione, una regione di formazione stellare a circa 6500 anni luce dalla Terra, osservata nelle lunghezze d’onda del medio infrarosso.
The Pillars of Creation, a star-forming region about 6500 light years from Earth, observed in mid-infrared wavelengths.
Crediti: NASA, ESA, CSA, STScI, J. DePasquale (STScI), A. Pagan (STScI)
La Grande e la Piccola Nube di Magellano, due galassie nane satelliti della Via Lattea, rispettivamente a 160.000 e 200.000 anni luce dalla Terra.
The Large and Small Magellanic Clouds, two dwarf galaxies that orbit the Milky Way, at 160,000 and 200,000 light years from Earth, respectively.
Crediti: ESA/Gaia/DPAC; CC BY-SA 3.0 IGO; L. Chemin; X. Luri et al
Il pianeta Mercurio ripreso il 19 giugno 2023 durante un sorvolo, a 4000 chilometri dalla superficie. Planet Mercury imaged on June 19, 2023 during a flyby, 4000 km above the surface.
Crediti: ESA/BepiColombo/MTM, CC BY-SA 3.0 IGO
LA MOSTRA
Il percorso espositivo si snoda su tre sale. Si parte da un’ambientazione familiare: un cielo stellato, con l’invito a ripetere l’esperienza che Galileo fece oltre 400 anni fa, puntando verso il firmamento un “occhio potenziato”, il cannocchiale. Da qui inizia un viaggio attraverso i pianeti del nostro vicinato cosmico, il Sistema Solare, ricreato sulla scala della città di Roma e riproposto in versione ludica con una vera e propria sala giochi in stile anni Ottanta.
Il viaggio prosegue tra pianeti, stelle, galassie e giganteschi ammassi di galassie, abbracciando le immense scale cosmiche che le “macchine del tempo” dell’astrofisica contemporanea cercano di afferrare, fino agli albori dell’Universo. Attraverso una combinazione di immagini iconiche, exhibit interattivi e tecnologie innovative come la realtà virtuale, chi visita la mostra verrà in contatto diretto con le sfide di una ricerca che, giorno dopo giorno, spinge sempre più avanti i limiti della nostra conoscenza.
I visitatori della mostra intraprenderanno un vero e proprio “viaggio nel tempo” il cui tema centrale è la luce che con la sua velocità non ci permette di vedere il presente bensì il passato. Grazie alla luce è possibile viaggiare nel tempo guardando il cielo: più distante osserviamo e più indietro nel tempo riusciamo a vedere. Un percorso che farà conoscere al pubblico il principale Ente di Ricerca italiano per lo studio dell’universo e che vuole giocare tra il vecchio e il nuovo, ma con contenuti che parlano di oggi e del futuro.
DOPPIA LINGUA E INCLUSIVITÀ
La mostra è realizzata in doppia lingua (italiana e inglese) e ha molti elementi di inclusività per persone sorde, cieche e ipovedenti: software di sonificazione che permettono di “sentire” le immagini, rappresentazioni tattili che rendono tangibile l’informazione sulle diverse aree di un’immagine, video in LIS. Nel corso dei mesi della mostra, verranno implementati altri percorsi attenti all’universalità ed equità della conoscenza.
LABORATORI
La mostra si rivolge a tutti, con particolare attenzione alle famiglie e alle scolaresche. “Macchine del tempo” offre, per le scuole dell’infanzia, le scuole primarie e le famiglie, una serie di laboratori didattici per esplorare e scoprire insieme le meraviglie del Cosmo. Tutte le attività didattiche e inclusive della mostra sono realizzate in collaborazione con OAE – Italia. Sono previste inoltre visite guidate ad hoc per le scuole secondarie di primo e secondo grado.
EVENTI
Durante i quattro mesi saranno previsti vari incontri scientifici di alto livello, con nomi importanti della Ricerca astrofisica e spaziale mondiale, ma anche aperitivi scientifici, incontri di Poetry Slam e dibattiti che vedranno come protagonisti intellettuali e politici attivi nel campo della cultura. Sarà l’astronauta Roberto Vittori a inaugurare il programma di conferenze della mostra “Macchine del Tempo”, giovedì 30 novembre alle ore 18:30 con un talk dal titolo “L’uomo che è stato tre volte nello Spazio”. Tra gli ospiti, mercoledì 6 dicembre alle ore 18:30, il Premio Nobel per la Fisica Michel Mayor, con una conferenza dal titolo “Altre terre nell’Universo? La ricerca della vita nello Spazio”. Giovedì 8 febbraio alle ore 18:30, ospiteremo Marica Branchesi, Gran Sasso Science Institute (GSSI), e Viviana Fafone, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), con una conferenza dal titolo “Otto anni di onde gravitazionali – l’astronomia multimessagera, da LIGO-VIRGO all’Einstein Telescope”. Da non perdere poi, domenica 11 febbraio alle ore 20:00, lo spettacolo di e con La Scienza Coatta, progetto di divulgazione scientifica, e Ludovica Di Donato, autrice e attrice, dal titolo “STEMmano ponno esse donne o ponno esse scienziate”, in occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella Scienza (iniziativa UNESCO). E tanto altro.
DICHIARAZIONI
Caterina Boccato, la curatrice della mostra, spiega: “Noi siamo convinti che la scienza sia cultura. Con questa mostra intendiamo dare l’opportunità a tutti, senza che si abbia una particolare preparazione in fisica o astrofisica, di fruire di contenuti scientifici in modo ludico e piacevole. Il nostro obiettivo non è solo fare pura diffusione scientifica, bensì di portare al cittadino un approfondimento culturale unico e accattivante”.
Marco Tavani, presidente di INAF, sottolinea entusiasta: “La mostra che vedrete al Palazzo Esposizioni è rivolta a tutti i curiosi e agli appassionati dell’esplorazione dell’Universo. Un viaggio attraverso la meraviglia e la complessità del Cosmo. Vi invito fortemente ad immergervi nelle trame intricate della natura e a lasciarvi affascinare dalla bellezza di multiformi sorgenti. Pianeti vicini e lontani, il Sole e le stelle, la nostra Galassia e le galassie lontane, stelle compatte e buchi neri, le sorgenti di onde gravitazionali, gli effetti della materia oscura e della energia oscura, l’evoluzione cosmologica, la ricerca della vita nell’Universo: sono questi i grandi temi dell’Astrofisica. Come fare tutto questo? Salendo a bordo delle Macchine del Tempo ideate e create da INAF e tuffandovi con noi in questa avventura. Mi auguro che con questa mostra INAF possa essere fonte di ispirazione per il pubblico e soprattutto per le nuove generazioni che un giorno vorranno, chissà, dedicarsi alla scienza e all’astrofisica”.
Dichiara Marco Delogu, presidente di Azienda Speciale Palaexpo: “Sono particolarmente lieto che un progetto così prestigioso sia allestito a Palazzo Esposizioni Roma, uno spazio la cui vocazione multidisciplinare consente a questa tipologia di mostre di svilupparsi in tutta la loro ampiezza descrittiva. Macchine del Tempo, concepita e realizzata grazie alla proficua collaborazione con INAF, prosegue la grande tradizione di mostre scientifiche e divulgative già ospitate con successo e rivolte a un vasto pubblico grazie all’utilizzo di un linguaggio moderno, accessibile e inclusivo. Questa straordinaria rassegna – che mostrerà in maniera inedita lo scenario maestoso dell’evoluzione dell’universo attraverso parole, immagini e suoni prodotti e sviluppati dalle migliori tecnologie oggi a disposizione – convive con il programma espositivo autunnale di Palazzo Esposizioni che ospita contestualmente le mostre Don McCullin a Roma, Boris Mikhailov: Ukrainian Diary e L’Avventura della Moneta. Un’offerta ampia e differenziata che ci auguriamo soddisfi i visitatori desiderosi di arte, scienza e cultura”.
Dal martedì alla domenica dalle 10.00 alle 20.00, lunedì chiuso.
L’ingresso è consentito fino a un’ora prima della chiusura.
BIGLIETTI
Intero € 12,50 – ridotto € 10,00 – ragazzi dai 7 ai 18 anni € 6,00.
Ingresso gratuito per i bambini fino a 6 anni.
Il biglietto è valido per visitare anche le mostre Don McCullin a Roma e Boris Mikhailov: Ukrainian Diary.
Con un biglietto supplementare di € 1.00 è possibile visitare la mostra L’Avventura della moneta.
Primo mercoledì del mese ingresso gratuito per gli under 30 (dalle 14.00 a chiusura).
ACCESSIBILITÀ
Palazzo Esposizioni Roma è accessibile alle persone con ridotta capacità motoria o sensoriale da tre ingressi privi di barriere architettoniche.
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MACCHINE DEL TEMPO
public program
incontri | aperitivi scientifici | spettacoli
30 Novembre 2023 – 24 Marzo 2024
Macchine del tempo è una mostra dell’INAF, l’Ente di Ricerca italiano per lo studio del cosmo, che offre un viaggio alla scoperta dell’Universo e degli strumenti di misura di cui l’umanità si è dotata per conoscerlo e svelare i suoi misteri. Nel corso dei quattro mesi di durata della mostra si terranno presso Palazzo Esposizioni Roma una serie di incontri che permetteranno ai visitatori di conoscere più da vicino lo stato dell’arte della ricerca in campo astrofisico, senza tralasciare le contaminazioni artistiche e culturali. Si alterneranno aperitivi scientifici, che vedranno protagonisti i ricercatori dell’INAF, dibattiti con alcuni dei più importanti rappresentanti dell’avventura spaziale e astronomica, e intellettuali provenienti dal mondo umanistico, nonché spettacoli teatrali, comici e gare di poetry slam.
PROGRAMMA
giovedì 30 novembre, ore 18.30 | Sala Auditorium
incontro con
Roberto Vittori, astronauta
L’uomo che è stato tre volte nello Spazio
Roberto Vittori
Ad aprire il ricco programma di eventi della mostra dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) “Macchine del tempo” sarà l’astronauta Roberto Vittori con una conferenza dal titolo “L’uomo che è stato tre volte nello spazio”. L’evento è stato organizzato presso la Sala Auditorium di Palazzo Esposizioni Roma il giorno 30 novembre alle ore 18:30.
Ha frequentato l’Accademia Aeronautica italiana e ha conseguito il brevetto di pilota militare negli Stati Uniti, oggi. Roberto Vittori è Generale dell’Aeronautica Militare e il primo astronauta europeo ad aver visitato la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) per tre volte. La prima visita risale al 2002, quando a bordo della navicella Sojuz ha preso parte alla missione Marco Polo, la seconda nel 2005 con la missione Eneide. Nel 2011 decolla a bordo dello Space Shuttle ricoprendo il ruolo di mission specialist. Un incontro per conoscere più da vicino la vita e la carriera di uno degli italiani che ha maggiormente contribuito alla conquista umana dello spazio.
SERVIZIO DI INTERPRETARIATO – LIS
mercoledì 6 dicembre, ore 18.30 | Sala Cinema
incontro con
Michel Mayor, Università di Ginevra, Premio Nobel per la Fisica
Altre terre nell’Universo? La ricerca della vita nello Spazio
La ricerca di vita su altri pianeti è uno dei campi di studio che incuriosisce maggiormente sia gli esperti che gli appassionati di scienza. Insieme al Professor Mayor, premio Nobel per la fisica nel 2019 per la scoperta del primo pianeta in orbita attorno a una stella di tipo solare, faremo un viaggio tra le stelle e cercheremo di capire a che punto siamo con la scoperta di forme di vita extraterrestri.
martedì 12 dicembre, ore 20.00 | Sala Auditorium
concerto/spettacolo
Templum luminis
di Stefano Giovanardi, astronomo e Angelina Yershova, compositrice, pianista e produttrice
In cima alla montagna a picco sul cosmo, cala la notte. Con un brivido meccanico, la cupola del grande osservatorio si apre, spalanca una fessura sull’Universo. Nell’oscurità filtra luce impercettibile, scaturita da una voragine del tempo, in arrivo da astri remoti. L’astronomo trattiene il fiato, si affaccia su un frammento mai visto del cosmo. Inizia la liturgia scientifica del Tempio della Luce.
mercoledì 20 dicembre, ore 18.30 | Caffè delle Esposizioni
aperitivo scientifico con
Ilaria Musella, INAF Osservatorio Astronomico di Capodimonte e Serena Benatti, INAF Osservatorio Astronomico di Palermo
Dai grani di polvere alla vita – un viaggio tra stelle e pianeti
Come nascono stelle e pianeti? Come evolvono nel tempo e quali sono gli ingredienti necessari a formare un sistema planetario? Come facciamo a studiarli e a conoscerli? Queste sono solo alcune delle domande alle quali cercheremo di rispondere con questo dialogo a due voci, un percorso per ricostruire in meno di un’ora milioni o addirittura miliardi di anni di cambiamenti che avvengono dentro alle stelle e nei loro dintorni.
mercoledì 10 gennaio, ore 18.30 | Caffè delle Esposizioni
aperitivo scientifico con
Marco Feroci, INAF Istituto di Astrofisica e Planetologia Spaziali e Silvia Piranomonte, INAF Osservatorio Astronomico di Roma
L’Universo estremo: un cocktail di raggi X, raggi gamma e molto altro
Lampi, esplosioni, scontri frontali, materia inghiottita o trasferita da una stella all’altra… l’Universo visto alle alte energie non è certo un posto dove ci si possa annoiare. Con questo dialogo a due voci vi accompagneremo alla scoperta di alcune delle sorgenti fisiche più estreme e violente del cosmo, là dove si raggiungono energie impossibili anche per i laboratori più moderni sulla Terra, dove è possibile studiare condizioni fisiche della materia altrimenti non riproducibili.
Il teatro di improvvisazione e la divulgazione scientifica si incontrano sul palco per creare uno spettacolo unico. Una persona proveniente dal mondo della ricerca scientifica condivide e racconta il suo percorso professionale e di vita accompagnata da I Bugiardini, una compagnia specializzata nell’arte di andare sul palco senza copione e di costruire in tempo reale la propria performance. Un gioco tra le parti di libere associazioni e ispirazioni creerà una miscela unica, dove il mondo reale si incontrerà, per fondersi e confondersi, con gli infiniti scenari offerti dagli altri (im)possibili mondi.
mercoledì 24 gennaio, ore 18.30 | Caffè delle Esposizioni
aperitivo scientifico con
Angelo Antonelli, INAF Osservatorio Astronomico di Roma, e Anna Wolter, INAF Osservatorio Astronomico di Brera
Schiere di telescopi Cherenkov: come osservare da terra i fotoni più energetici
I telescopi Cherenkov sfruttano la nostra atmosfera come rivelatore per raccogliere la luce emessa dagli eventi più potenti ed estremi dell’Universo, come esplosioni e collisioni di stelle, venti stellari, getti lanciati da buchi neri supermassicci. Due nuovi progetti in costruzione stanno portando questa scienza a un livello superiore, sfruttando lo sguardo combinato di schiere di telescopi. Il progetto ASTRI, a guida INAF, ha iniziato la costruzione di una schiera di nove telescopi a Tenerife ed è un precursore dei piccoli telescopi che faranno parte, insieme a telescopi medi e grandi, del progetto internazionale Cherenkov Telescope Array Observatory (CTAO), oltre 60 telescopi in due siti osservativi, uno nell’emisfero nord (Canarie) e uno nell’emisfero sud (Cile). CTAO sarà il più grande osservatorio di raggi gamma da terra, con una precisione e un intervallo di energia senza precedenti. Un dialogo a due voci vi accompagnerà alla scoperta di questi ambiziosi progetti.
giovedì 25 gennaio, ore 18.30 | Sala Auditorium
incontro con
Michele Ciliberto, Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, Giovanni Iuzzolino e Riccardo Finozzi, Banca d’Italia
L’Umanesimo e la nuova economia: la nascita della modernità
La rivoluzionedell’Umanesimo italiano implica lo sviluppo e la novità del ruolo delle banche. Michele Ciliberto, tra i massimi studiosi della cultura umanistica, Giovanni Iuzzolino e Riccardo Finozzi di Banca d’Italia conversano attorno ai punti di sutura dei due paradigmi della civiltà moderna.
mercoledì 31 gennaio, ore 18.30 | Caffè delle Esposizioni
aperitivo scientifico con
Stavro Lambro Ivanovski, INAF Osservatorio Astronomico di Trieste, Elisabetta Dotto, INAF Osservatorio Astronomico di Roma ed Elena Mazzotta Epifani, INAF Osservatorio Astronomico di Roma
Un “piccolo” aperitivo: asteroidi e comete
Vere e proprie macchine del tempo, gli asteroidi e le comete sono “piccoli” corpi antichi e primitivi che orbitano attorno al Sole, quasi inalterati da miliardi di anni. Studiandoli dalla Terra con i telescopi e dallo spazio con le sonde robotiche, gli astronomi cercano di dare una risposta alle domande più affascinanti che nascono guardando un cielo notturno: com’era all’inizio e come si è evoluta la nebulosa da cui Sole e pianeti si sono formati? Quanto è comune, nella galassia, il nostro sistema planetario? Come si sono create, sul nostro pianeta, le condizioni perché si sviluppasse quella che oggi chiamiamo vita?
giovedì 1 febbraio, ore 18.30 | Sala Auditorium
incontro con
Roberto Tamai, Program Manager Extremely Large Telescope – ELT – European Southern Observatory ESO
Quali orizzonti ci aprirà l’ELT della ESO, la “macchina del tempo” più grande del mondo
Lo hanno definito “il più grande occhio sul cielo del mondo”, perché con i suoi 39 metri di specchio primario l’Extremely Large Telescope (ELT) della ESO (European Southern Observatory) diventerà, una volta ultimato, il più grande telescopio nella banda ottica e infrarossa. Unendo dimensioni senza precedenti e una serie di strumenti all’avanguardia in grado di garantire un’ampia gamma di possibilità scientifiche, l’ELT della ESO ci permetterà di realizzare un enorme passo in avanti nella nostra conoscenza dell’Universo. A parlarci di questa incredibile macchina del tempo sarà Roberto Tamai, Programme Manager a ESO dell’ELT.
giovedì 8 febbraio, ore 18.30 | Sala Auditorium
incontro con
Marica Branchesi, Gran Sasso Science Institute – GSSI, e Viviana Fafone, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare
Otto anni di onde gravitazionali – l’astronomia multimessagera, da LIGO-VIRGO all’Einstein Telescope
Era l’11 febbraio del 2016 quando in tutto il mondo arrivava la notizia: avevamo osservato il primo segnale di onde gravitazionali. Un secolo dopo le previsioni di Einstein eravamo finalmente in grado di “toccare con mano” l’esistenza delle increspature nel tessuto spazio-temporale, aprendo le porte a un nuovo campo di studi: l’astronomia multimessaggera. A distanza di otto anni da quello storico annuncio abbiamo scoperto molte cose grazie agli interferometri della collaborazione LIGO-Virgo e altrettante ce ne aspettiamo dall’Einstein Telescope, il rivelatore di prossima realizzazione.
SERVIZIO DI INTERPRETARIATO – LIS
domenica 11 febbraio, ore 20.00 | Sala Auditorium
spettacolo
STEMmano ponno esse donne o ponno esse scienziate
di e con La Scienza Coatta, progetto di divulgazione scientifica, e Ludovica Di Donato, autrice e attrice
In occasione della Giornata internazionale delle donne e delle ragazze nella Scienza (iniziativa UNESCO)
Le chiamano nerd o “Signorina”; so’ troppo irrazionali ed emotive, non sono brave ed efficienti: chi sono? Non quello che volemo raccontavve in questo spettacolo. STEMano ponno esse donne e ponno esse scienziate è lo spettacolo a cura de La Scienza Coatta, che racconterà il gajardissimo contributo delle donne nelle discipline STEM a suon de meme e co ‘na cifra de ironia e de come nun so state piuma, ma fero ner monno daa scienza!
mercoledì 21 febbraio, ore 18.30 | Caffè delle Esposizioni
aperitivo scientifico con
Giangiacomo Gandolfi, INAF Osservatorio Astronomico di Roma e Antonella Gasperini, INAF Osservatorio Astrofisico di Arcetri
Le radici storiche dell’Astrofisica italiana
Il legame tra lo studio del cielo e il nostro Paese è molto profondo e lontano nel tempo: da Galileo a Padre Angelo Secchi, l’Italia ha visto nascere i primi strumenti di osservazione del cosmo, sia a occhio nudo che con l’ausilio di strumenti di misura. Un dialogo a due voci ci permetterà di tratteggiare alcuni dei contributi più rilevanti allo studio dell’Universo ottenuti grazie a studiosi italiani e ci rivelerà l’esistenza di uno straordinario e unico patrimonio storico.
mercoledì 28 febbraio, ore 18.30 | Caffè delle Esposizioni
aperitivo scientifico con
Gabriella De Lucia, INAF Osservatorio Astronomico di Trieste e Luca Valenziano, INAF Osservatorio Astronomico di Bologna
Euclid, la macchina per ricostruire la storia dell’Universo
A luglio 2023 il satellite europeo Euclid ha aperto i suoi occhi ottici e infrarossi sul cosmo. Le sue prime immagini erano talmente nitide da essere state definite “ipnotiche” e questo ci fa ben sperare perché il suo obiettivo è più che ambizioso: aiutarci a svelare pezzi della storia del nostro Universo che ancora non riusciamo a comprendere, oltre a far luce sui misteri di materia ed energia oscure.
giovedì 7 marzo, ore 20.00 |Sala Auditorium
spettacolo
coSmic – L’arte di risolvere la complessità coSmica in comica
di e con Tony Marzolla, autore, regista e attore
Un monologo che, con uno stile da stand-up comedy, affronta i “misteri” dell’Universo, dalle prime missioni spaziali alle nuove frontiere dell’astrofisica. Senza tralasciare i dati scientifici, questo spettacolo è in grado di parlare a tutti, anche ai più giovani, accompagnando per mano lo spettatore da un avvincente inizio fino a un’emozionante meta: la consapevolezza che questo pallido pallino blu sul quale poggiamo i piedi è quanto di più prezioso potremmo mai desiderare.
mercoledì 13 marzo, ore 18.30 | Caffè delle Esposizioni
aperitivo scientifico con
Roberto Ragazzoni, INAF Osservatorio Astronomico di Padova e Mauro Centrone, INAF Osservatorio Astronomico di Roma
Si fa presto a dire stella – Astri naturali o creati artificialmente permettono di sondare l’Universo più recondito
Un dialogo a due voci per fare il punto su ciò che accade nei laboratori di ricerca in campo astrofisico. Uno spaccato su alcuni degli strumenti più avanzati che ci permetteranno nei prossimi anni di svelare i misteri dell’Universo: lenti, specchi, laser, antenne… cosa ci aspetta nel futuro? Cosa stanno costruendo i ricercatori nei loro laboratori per aiutare l’umanità a rispondere alle domande ancora aperte sul cosmo?
Lorenzo Maragoni, poeta e performer e Chiara Di Benedetto, Studio Bleu, presentano lo spettacolo di restituzione di un progetto di poetry slam
Il progetto Poetry for the sky nasce con lo scopo di avvicinare tra loro la poesia e l’astronomia, fornendo un punto di vista originale sulla mostra Macchine del Tempo. Quello che osserveremo sul palco sarà il frutto di una tre giorni di immersione completa nelle sale e nei temi della mostra. Un gruppo di artisti sarà guidato in questa avventura dagli ideatori Chiara di Benedetto e Lorenzo Maragoni, con il sostegno di ricercatori e ricercatrici che lavorano ogni giorno per spingere un po’ più in là la nostra conoscenza in campo astrofisico. Un modo diverso di raccontare la scienza, che vedrà il pubblico partecipe nel decretare il vincitore di un vero e proprio contest a colpi di poesia.
domenica 24 marzo, ore 18.30 | Sala Auditorium
incontro con
Andrea de Pasquale, Direttore generale Istruzione e ricerca MIC e Paolo Galluzzi, Storico della scienza
L’unità del patrimonio scientifico e culturale italiano
Nella prospettiva dei patrimoni culturali e di quelli scientifici non c’è alcuna futile distinzione tra “le due culture”. La storia e la vita dei patrimoni narrano piuttosto un’unità di intenti, di attese e di motivazioni. L’idea è valorizzare l’identità dell’umanesimo e della scienza nella visione comune di un pensiero civile votato alla ricerca della verità.
Andrea de Pasquale, il maggiore esperto di patrimoni archivistici italiani, e Paolo Galluzzi, massimo esperto dell’opera galileiana, mettono al centro della conversazione l’unità dei patrimoni storici.
INFORMAZIONI
Palazzo Esposizioni Roma – Sala Auditorium e Cinema
scalinata di via Milano 9a, Roma
INGRESSO LIBERO FINO A ESAURIMENTO POSTI CON PRENOTAZIONE
Le prenotazioni si effettuano su www.palazzoesposizioni.it dalle ore 9,00 del lunedì precedente all’appuntamento fino a un’ora prima. Se non puoi venire ricorda di cancellare la prenotazione dalla tua area riservata sul sito, per permettere ad altri di partecipare. Sei pregato di arrivare 10 minuti prima dell’inizio, in caso contrario la prenotazione non sarà più valida e il posto verrà assegnato al pubblico in attesa all’ingresso.
Caffè delle Esposizioni – Garden Bistrot
via Nazionale 194 e via Milano 13, Roma
INGRESSO LIBERO FINO A ESAURIMENTO POSTI
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INCONTRI, VISITE E LABORATORI
In occasione della mostra Macchine del tempo. Il viaggio dell’universo inizia da te,il Laboratorio d’arte di Palazzo Esposizioni Roma offre un calendario ricco di eventi, attività e visite alla mostra.
SCUOLEE FAMIGLIE
Un’esperienza coinvolgente per scoprire i pianeti del Sistema Solare e la varietà del cosmo, lasciandosi alle spalle la Terra. Dal primo telescopio di Galileo Galilei alle più sofisticate e recenti tecnologie che permettono di andare indietro nel tempo e osservare, ascoltare e perfino toccare l’universo.
UNIVERSI PARALLELI
visita in mostra e laboratorio per le scuole dell’infanzia e primaria
dal martedì al venerdì ore 10.00 e 11.30
CIELI DI STELLE
visita in mostra e laboratorio per ragazzi e ragazze 7 > 11 anni
domenica 26 novembre, 17 dicembre, 18 febbraio e 3 marzo ore 11.00
ASTRI NASCENTI
letture e laboratorio per bambine e bambini 3> 6 anni
Costellazioni, galassie e corpi celesti in continua espansione e trasformazione raccontano storie e suggestioni che nascono sulla Terra e oltrepassano i confini dell’Universo. Un allestimento immersivo accompagna grandi e piccoli a spasso tra le stelle alla velocità della luce.
domenica 3 dicembre, 14 gennaio, 11 e 25 febbraio e 24 marzo ore 11.00
L’UNIVERSO A PORTATA DI MANO
visite in mostra e laboratori scientifici per ragazzi e ragazze dai 7 agli 11 anni
Un viaggio alla scoperta del mondo attraverso dei laboratori scientifici in cui poter sperimentare come si studia l’Universo e ricostruire quello che conosciamo dello spazio che ci circonda.
domenica 10 dicembre, 7 gennaio e 4 febbraio ore 11.00
PUBBLICO ADULTO
SPOT! 20 MINUTI UN’OPERA
Incontri di approfondimento per conoscere curiosità, stranezze e le ultime scoperte scientifiche che riguardano il nostro universo e non solo.
mercoledì 13 dicembre, 17 gennaio, 14 febbraio, 6 e 20 marzo ore 18.00
PUNTI DI VISTA – FESTIVAL ACCESSIBILTITÀ
Tre giorni per visitare il Palazzo Esposizioni Roma, osservare le mostre da punti di vista differenti attraverso molteplici linguaggi, dall’arte alla scienza, dalla danza alla musica, fino alla poesia visiva.
Dopo la prima edizione sulla “tattilità”, questa seconda è dedicata al segno e alla bellezza della LIS.
da venerdì 15 a domenica 17 marzo 2024
Per il programma completo www.palazzoesposizioni.it
IL LAMPO GAMMA COSÌ POTENTE DA PERTURBARE L’ALTA IONOSFERA
Rivelata per la prima volta una forte perturbazione della parte più alta della ionosfera terrestre generata da un lampo di raggi gamma, grazie ai dati del satellite INTEGRAL dell’Agenzia Spaziale Europea e del sino-italiano CSES-01. I risultati dello studio, guidato da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica in collaborazione con l’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, l’Agenzia Spaziale Italiana e diverse università italiane, sono pubblicati su Nature Communications.
Illustrazione del lampo di raggi gamma che ha colpito la Terra il 9 ottobre 2022, è stato rivelato dal satellite ESA INTEGRAL e ha prodotto una forte perturbazione della parte più alta della ionosfera terrestre, registrata dal satellite CSES (CNSA-ASI). Crediti: ESA/ATG Europe; CC BY-SA 3.0 IGO
Il 9 ottobre 2022, 15:21 ora italiana, molti satelliti in orbita attorno alla Terra e nello spazio interplanetario hanno registrato il più forte lampo di raggi gamma (in inglese gamma-ray burst, o GRB) mai osservato. Tra questi, anche il satellite INTEGRAL (INTErnational Gamma-Ray Astrophysics Laboratory) dell’Agenzia Spaziale Europea (ESA) ha rivelato un flusso di raggi gamma estremamente intenso e di lunga durata. Contemporaneamente, il satellite CSES-01 (China Seismo-Electromagnetic Satellite), una collaborazione tra l’Agenzia Spaziale Italiana (ASI) e quella cinese (CNSA), ha registrato una perturbazione macroscopica del campo elettrico nella parte superiore della ionosfera, lo strato più alto e tenue dell’atmosfera terrestre, dovuta a un’improvvisa, forte corrente. Un effetto del genere non era mai stato osservato in questo strato dell’atmosfera.
Simili perturbazioni nella ionosfera sono solitamente associate a eventi energetici legati all’attività del Sole, ma in questo caso la coincidenza con l’arrivo del lampo gamma indica che l’origine è da ricercarsi molto più lontano, nell’esplosione di una stella a quasi due miliardi di anni luce di distanza. I risultati dell’analisi, condotta da un team multidisciplinare a guida italiana che è riuscito a sintetizzare dati da due discipline molto diverse – l’astronomia a raggi gamma e la ricerca delle interazioni tra Sole, Terra e cosmo – sono pubblicati su Nature Communications.
“Siamo stati fortunati perché, al momento dell’arrivo del lampo, il satellite CSES si trovava dalla parte del pianeta colpita dall’enorme flusso di raggi gamma” dice Mirko Piersanti, ricercatore dell’Università dell’Aquila e associato all’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), primo autore dell’articolo, che ha lavorato alla ricerca insieme a Pietro Ubertini dell’INAF, principal investigator dello strumento IBIS a bordo di INTEGRAL. “È stato eccitante scoprire l’effetto registrato a bordo di CSES pochi istanti dopo l’arrivo del GRB registrato da INTEGRAL. Era la prova che la ionosfera terrestre era stata ionizzata in modo così intenso da raggi gamma di alta energia, da generare una variazione della conducibilità tale da produrre variazioni del campo elettrico ionosferico.”
Il lampo gamma del 9 ottobre 2022 è stato il più luminoso mai rivelato sinora: il secondo in ordine di intensità è dieci volte meno luminoso. Lo studio indica come eventi cosmici dovuti a raggi gamma di estrema intensità possano avere una forte influenza nell’equilibrio della composizione della ionosfera. Il lampo gamma, generato in una galassia lontana, una volta arrivato sulla Terra aveva ancora abbastanza energia da perturbare la nostra atmosfera in modo molto marcato, “spostando” sostanzialmente la ionosfera verso il basso per tutta la sua durata. Un effetto simile si registra durante brillamenti solari di forte intensità che provocano veri e propri black-out radio.
“È sorprendente come fenomeni che avvengono nello spazio profondo riescano a produrre conseguenze così significative sul nostro pianeta”, nota Piergiorgio Picozza dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN), responsabile della collaborazione CSES-Limadou.
Statisticamente, un lampo di raggi gamma così intenso colpisce la Terra ogni diecimila anni. Se fosse stato generato da un’esplosione simile nella nostra galassia, anziché – come in questo caso – in una galassia a quasi due miliardi di anni luce, avrebbe potuto avere conseguenze molto serie per il nostro pianeta, mettendo in pericolo la sopravvivenza della biosfera terrestre. Il dibattito scientifico sulle possibili conseguenze di un ipotetico GRB proveniente dalla Via Lattea, potenzialmente miliardi di volte più intenso di questo, prevede, nel peggiore dei casi, un’alterazione dello strato di ozono atmosferico che protegge la biosfera dalle radiazioni ultraviolette prodotte dal Sole. È stata anche avanzata l’ipotesi che un simile effetto possa aver causato alcune delle estinzioni di massa avvenute in passato sulla Terra.
L’interazione del GRB con la ionosfera è durata più di 800 secondi (quasi un quarto d’ora) ed è stata così intensa da attivare i rivelatori di fulmini in India. In Germania, strumenti a terra hanno registrato per ore disturbi della trasmissione radio ionosferica. Conoscendo bene gli effetti che lampi di luce solare provocano nella ionosfera, i ricercatori italiani della collaborazione CSES hanno subito capito che un GRB straordinariamente intenso come quello del 9 ottobre 2022 poteva avere avuto un impatto profondo sulla parte alta dell’atmosfera. In passato, tuttavia, solo alcuni GRB erano stati in grado di generare variazioni significative sulla ionosfera, ma solo a basse quote e di notte, quando il contributo legato all’illuminazione solare non è presente. Non era mai stato osservato l’effetto di un GRB all’altezza dell’alta atmosfera dove orbita CSES-01.
“Questo risultato avvalora la scelta dell’ASI di sostenere fin dal 2016 un team multidisciplinare per l’analisi dei dati CSES, che include astrofisici, geofisici, fisici delle particelle, fisici dell’atmosfera ed esperti di space weather”, racconta Simona Zoffoli dell’Unità Osservazione della Terra dell’Agenzia Spaziale Italiana. “La contaminazione tra diverse competenze è preziosa e ha permesso di utilizzare i dati di CSES per obiettivi nuovi inizialmente non previsti”.
La ionosfera, tra 50 e 950 km di altitudine, è uno strato fondamentale per la propagazione delle onde radio, senza la quale non si potrebbero effettuare trasmissioni radio di bassa frequenza attorno al pianeta. La sua densità è però così bassa che i satelliti riescono a orbitare al suo interno. Uno di questi satelliti è proprio CSES-01, che monitora l’alta ionosfera (oltre 350 km di altitudine) e la magnetosfera per rivelare perturbazioni collegabili a fenomeni naturali sia di origine terrestre, come terremoti, tsunami o eruzioni vulcaniche, sia di origine esterna come le perturbazioni dovute a tempeste solari.
Tra gli strumenti a bordo del satellite CSES-01, un rivelatore di particelle (High Energetic Particle Detector) è stato realizzato in collaborazione tra ASI e INFN, e un rivelatore di campo elettrico (Electric Field Detector) è stato sviluppato in collaborazione tra ASI, INAF e INFN. Completano l’equipaggiamento scientifico una serie di rivelatori, tra cui quelli di campo magnetico e delle proprietà del plasma, realizzati da ricercatori cinesi. I dati di tutti gli strumenti sono archiviati e messi a disposizione della comunità scientifica presso il centro ASI SSDC. È stata proprio la straordinaria sensibilità dello strumento di campo elettrico che ha permesso di osservare per la prima volta questo effetto. Dopo questa scoperta, il team della collaborazione CSES ha iniziato ad analizzare sistematicamente tutti i dati del rivelatore di campo elettrico registrati in coincidenza con i GRB a partire dal lancio del satellite, nel 2018.
Per ulteriori informazioni:
L’articolo “First Evidence of Earth’s top-side ionospheric electric field variation triggered by impulsive cosmic photons”, di Mirko Piersanti, Pietro Ubertini, Roberto Battiston, Angela Bazzano, Giulia D’Angelo, James G. Rodi, Piero Diego, Roberto Ammendola, Davide Badoni, Simona Bartocci, Stefania Beolè, Igor Bertello, William J. Burger, Donatella Campana, Antonio Cicone, Piero Cipollone, Silvia Coli, Livio Conti, Andrea Contin, Marco Cristoforetti, Fabrizio De Angelis, Cinzia De Donato, Cristian De Santis, Andrea Di Luca, Emiliano Fiorenza, Francesco M. Follega, Giuseppe Gebbia, Roberto Iuppa, Alessandro Lega, Marco Lolli, Bruno Martino, Matteo Martucci, Giuseppe Masciantonio, Matteo Mergè, Marco Mese, Alfredo Morbidini, Coralie Neubüser, Francesco Nozzoli, Fabrizio Nuccilli, Alberto Oliva, Giuseppe Osteria, Francesco Palma, Federico Palmonari, Beatrice Panico, Emanuele Papini, Alexandra Parmentier, Stefania Perciballi, Francesco Perfetto, Alessio Perinelli, Piergiorgio Picozza, Michele Pozzato, Gianmaria Rebustini, Dario Recchiuti, Ester Ricci, Marco Ricci, Sergio B. Ricciarini, Andrea Russi, Zuleika Sahnoun, Umberto Savino, Valentina Scotti, Alessandro Sotgiu, Roberta Sparvoli, Silvia Tofani, Nello Vertolli, Veronica Vilona, Vincenzo Vitale, Ugo Zannoni, Simona Zoffoli, e Paolo Zuccon, è stato pubblicato online sulla rivista Nature Communications.
Testo e immagine dagli Uffici Stampa INAF, ASI, INFN
GRB 230307A: JWST RIVELA ELEMENTI PESANTI NELL’ESPLOSIONE DI UNA KILONOVA
Il James Webb Space Telescope (JWST) ha svelato che il secondo lampo di raggi gamma più luminoso di sempre, osservato il 7 marzo 2023, ha avuto origine dalla fusione esplosiva di due stelle di neutroni. Il potente evento ha prodotto ed espulso nelle zone circostanti diversi elementi pesanti, tra cui il tellurio. Allo studio, pubblicato su Nature, hanno partecipato diversi ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e di altri istituti di ricerca e atenei italiani.
Un team internazionale di scienziati ha identificato l’origine di un potente lampo di raggi gamma (gamma-ray burst, o GRB) osservato lo scorso marzo: a generarlo è stata una kilonova, ovvero l’esplosione causata dalla fusione tra due stelle di neutroni. La ricerca è basata su osservazioni realizzate con il James Webb Space Telescope (JWST), che ha anche permesso di rilevare l’elemento chimico tellurio nel materiale espulso dalla potente esplosione. Il lampo, denominato GRB 230307A, è il secondo più luminoso mai scoperto in oltre 50 anni di osservazioni. È stato individuato il 7 marzo 2023 dal telescopio spaziale per raggi gamma Fermi, a cui ha fatto seguito il Neil Gehrels Swift Observatory, entrambi della NASA. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Nature.
“Il materiale in queste esplosioni è lanciato nello spazio a velocità molto elevate, causando una rapida evoluzione della luminosità e della temperatura del plasma in espansione”, afferma Om Sharan Salafia, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) a Milano, tra gli autori dello studio. “Con l’espansione, il materiale si raffredda e il picco della sua luce si sposta sempre più verso il rosso, per poi passare all’infrarosso su scale temporali che vanno da giorni a settimane”.
Le kilonove sono esplosioni estremamente rare, il che ne rende difficile l’osservazione. Per molto tempo, si è ritenuto che i GRB brevi, dalla durata inferiore a due secondi, derivassero da questi eventi, mentre i GRB più lunghi fossero associati alla morte esplosiva di una stella massiccia, o supernova. Il caso di GRB 230307A è peculiare: il lampo è durato 200 secondi, come i GRB di lunga durata, eppure le osservazioni di JWST indicano chiaramente che proviene dalla fusione di due stelle di neutroni. Oltre al tellurio, è probabile che nel materiale espulso nella kilonova siano presenti anche altri elementi pesanti, vicini ad esso sulla tavola periodica, come ad esempio lo iodio, necessario per gran parte della vita sulla Terra.
GRB 230307A è il secondo lampo di raggi gamma più luminoso di sempre, generato da una kilonova: elementi pesanti rilevati nell’esplosione. Immagine del lampo di raggi gamma GRB 230307A e la relativa kilonova (in alto a sinistra) realizzata con la fotocamera NIRCam a bordo del telescopio spaziale Webb. La galassia di colore bluastro in basso a destra è il luogo d’origine delle due stelle di neutroni che, dopo aver viaggiato per circa 120mila anni luce, hanno dato luogo all’esplosione. Credit: NASA, ESA, CSA, STScI, A. Levan (IMAPP, Warw), A. Pagan (STScI)
La collaborazione di molti telescopi, sia a terra che nello spazio, ha permesso al team di raccogliere una gran quantità di informazioni su questo evento subito dopo il primo rilevamento, aiutando loro a individuare la sorgente nel cielo e a monitorare la sua luminosità nel tempo. Le osservazioni nei raggi gamma, nei raggi X, nell’ottico, nell’infrarosso e in banda radio hanno mostrato che la controparte ottica/infrarossa era debole, evolvendosi rapidamente e passando dal blu al rosso: i tratti distintivi di una kilonova. In particolare, la sensibilità di JWST nell’infrarosso ha aiutato gli scienziati a identificare l’origine delle due stelle di neutroni che hanno prodotto la kilonova: una galassia a spirale a circa 120mila anni luce dal luogo della fusione. I progenitori del poderoso evento erano due stelle massicce che formavano un sistema binario in questa galassia: le esplosioni che le hanno trasformate in stelle di neutroni, tuttavia, hanno espulso il sistema binario dalla galassia. Prima di fondersi e dare luogo alla kilonova, diverse centinaia di milioni di anni più tardi, hanno percorso un tragitto pari al diametro della Via Lattea.
Alla campagna osservativa ha partecipato anche il VST (VLT Survey Telescope), telescopio dell’INAF presso l’Osservatorio di Paranal, in Cile.
“Quando il GRB fu scoperto, non si conosceva ancora la sua controparte ottica, in quanto Swift non lo aveva osservato e quindi non si aveva idea della posizione esatta con precisione di arcosecondi, in modo da attivare il follow-up classico”
spiega il co-autore Luca Izzo, ricercatore presso l’INAF a Napoli e presso il Dark Cosmology Center, Niels Bohr Institute, Università di Copenhagen, in Danimarca.
“Avendo del tempo di osservazione al VST per un mio programma sulle galassie vicine, decisi di pianificare delle osservazioni per la ricerca della controparte nella notte a me riservata, due giorni dopo la scoperta del GRB. Queste osservazioni hanno identificato correttamente la controparte ottica poche ore dopo la prima conferma, ottenuta dalla ULTRACAM sul New Technology Telescope. Questo dimostra il contributo del VST nell’identificazione ottica di sorgenti ad alta energia e nel successivo follow-up e caratterizzazione. Una cosa che faremo sicuramente nel futuro immediato”.
Per ulteriori informazioni:
L’articolo “Heavy element production in a compact object merger observed by JWST”, di Andrew Levan, Benjamin P. Gompertz, Om Sharan Salafia, Mattia Bulla, Eric Burns, Kenta Hotokezaka, Luca Izzo, Gavin P. Lamb, Daniele B. Malesani, Samantha R. Oates, Maria Edvige Ravasio, Alicia Rouco Escorial, Benjamin Schneider, Nikhil Sarin, Steve Schulze, Nial R. Tanvir, Kendall Ackley, Gemma Anderson, Gabriel B. Brammer, Lise Christensen, Vikram S. Dhillon, Phil A. Evans, Michael Fausnaugh, Wen-fai Fong, Andrew S. Fruchter, Chris Fryer, Johan P. U. Fynbo, Nicola Gaspari, Kasper E. Heintz, Jens Hjorth, Jamie A. Kennea, Mark R. Kennedy, Tanmoy Laskar, Giorgos Leloudas, Ilya Mandel, Antonio Martin-Carrillo, Brian D. Metzger, Matt Nicholl, Anya Nugent, Jesse T. Palmerio, Giovanna Pugliese, Jillian Rastinejad, Lauren Rhodes, Andrea Rossi, Andrea Saccardi, Stephen J. Smartt, Heloise F. Stevance, Aaron Tohuvavohu, Alexander van der Horst, Susanna D. Vergani, Darach Watson, Thomas Barclay, Kornpob Bhirombhakdi, Elm e Breedt, Alice A. Breeveld, Alexander J. Brown, Sergio Campana, Ashley A. Chrimes, Paolo D’Avanzo, Valerio D’Elia, Massimiliano De Pasquale, Martin J. Dyer, Duncan K. Galloway, James A. Garbutt, Matthew J. Green, Dieter H. Hartmann, Páll Jakobsson, Paul Kerry, Chryssa Kouveliotou, Danial Langeroodi, Emeric Le Floc’h, James K. Leung, Stuart P. Littlefair, James Munday, Paul O’Brien, Steven G. Parsons, Ingrid Pelisoli, David I. Sahman, Ruben Salvaterra, Boris Sbarufatti, Danny Steeghs, Gianpiero Tagliaferri, Christina C. Th one, Antonio de Ugarte Postigo, David Alexander Kann, è stato pubblicato online sulla rivista Nature.
Testo dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)
Celebrando le nuove stelle di Gaia: il nuovo catalogo del satellite Gaia rivela nuove e inaspettate scoperte nell’ammasso Omega Centauri e nel Sistema solare
A poco più di un anno dalla pubblicazione del suo ultimo catalogo contenente due miliardi di stelle, il satellite europeo Gaia torna a far parlare di sé con la pubblicazione di nuovi ed esaltanti risultati che vanno dalle misure di più di mezzo milione di stelle nascoste nell’ammasso Omega Centauri alladeterminazione della posizione di oltre 150.000 asteroidi all’interno del Sistema solare con una precisione mai ottenuta prima. Risultati che vedono in prima linea il Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Padova e l’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova. Per celebrare questo nuovo importante risultato venerdì 13 ottobre 2023, alle ore 18:30, la Specola di Padova aprirà le sue porte per brindare insieme e raccontare questo nuovo capitolo della ricerca astronomica.
rappresentazione artistica del satellite Gaia che osserva la Via Lattea
Da quasi dieci anni il satellite europeo Gaia scruta costantemente il firmamento, mappandolo con una precisione senza precedenti. Infatti, le osservazioni e le informazioni raccolte dall’astrometro più avanzato mai lanciato nello spazio, ci hanno consentito di fare passi da gigante nella nostra comprensione dell’ambiente galattico. Eppure i nuovi dati ci promettono di svelare dettagli ancor più straordinari andando ben oltre gli obiettivi iniziali di Gaia.
Oggi, a poco più di un anno dalla pubblicazione del suo ultimo catalogo, che contiene le posizioni e le caratteristiche di quasi due miliardi di stelle, il satellite dell’Agenzia Spaziale Europea è pronto ad aprire una nuova finestra sulla nostra galassia, la Via Lattea. Gaia, infatti, è riuscita a determinare le posizioni di oltre mezzo milione di astri tutti contenuti in un solo ammasso stellare, ovvero un’area di cielo particolarmente densa di stelle fino a oggi impossibile da osservare con il satellite europeo. Queste zone, tra le più antiche dell’Universo, sono dei veri e propri fossili cosmici e possono fornire preziose informazioni sull’origine della nostra galassia. Oltre a ciò, Gaia è riuscita a determinare le posizioni e le orbite di più di 150.000 asteroidi nel Sistema solare con un’accuratezza mai vista prima e ha scovato oltre 380 potenziali lenti gravitazionali, nelle quali oggetti massicci, come stelle o galassie, agiscono proprio come delle lenti di ingrandimento capaci di mostrarci scorci di universo lontanissimo. Oltre ciò Gaia ha prodotto il più vasto catalogo delle velocità con cui le stelle si avvicinano o si allontanano da noi, essenziale per ricostruire il movimento in 3D dei dintorni solari. In particolare, sono state studiare alcune stelle che variano la loro luminosità su un lungo lasso di tempo, il cui studio contribuirà a chiarire alcuni aspetti, poco noti ma fondamentali, della vita e dell’evoluzione stellare. Una nuova ricca mole di informazioni che “contribuirà a svelare alcuni aspetti misteriosi della vita della nostra Galassia, delle sue stelle e dell’Universo” commenta Michele Trabucchi, ricercatore dell’Università di Padova e primo autore di uno dei lavori pubblicati.
Per celebrare al meglio questo straordinario traguardo della missione Gaia, l’INAF – Osservatorio Astronomico di Padova e il Dipartimenti di Fisica e Astronomica dell’Università di Padova G. Galilei, che sono da sempre in prima linea nello studio del Cosmo, stanno organizzando per venerdì 13 ottobre 2023, un evento pubblico, dal titolo “Aperitivo con Gaia”, volto a svelare i dettagli nascosti dietro questi nuovissimi e preziosissimi dati. A partire dalle 18:30 la Specola aprirà le sue porte al pubblico offendo, a tutti i partecipanti, un aperitivo per celebrare insieme i successi della missione e, a seguire, un incontro con tre astronomi d’eccezione coinvolti direttamente nelle ultime scoperte: Antonella Vallenari, co-responsabile di tutto il consorzio Gaia, Michele Trabucchi, ricercatore presso l’università di Padova e leader di uno dei gruppi di ricerca, e Paola Sartoretti dell’Osservatorio di Parigi–Meudon, astronoma padovana facente parte di uno dei più rilevanti gruppi di lavoro nel consorzio Gaia. Infine, la serata si concluderà, per chi lo desidera, con una suggestiva visita alla Specola in una meravigliosa cornice serale.
Grazie alla missione Gaia stiamo mappando la nostra Galassia con un dettaglio straordinario, che ci consente di continuare a svelare i segreti più profondi del Cosmo. Con le sue ultime rivelazioni Gaia ci ha permesso di gettare uno sguardo più profondo nel nostro passato cosmico aprendo un futuro di scoperte ancora più sorprendenti. Con il suo impegno instancabile nella ricerca dell’ignoto, il satellite europeo ci ha ispirato a sognare in grande e a continuare a esplorare l’infinito. Alzando lo sguardo al cielo, sappiamo che non siamo soli nell’Universo, ma parte di una vasta e meravigliosa danza celeste.
Un gruppo di ricercatori guidati dallo Zhejiang Laboratory (Cina), a cui partecipa anche l’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) e l’Università di Bologna, ha recentemente scoperto che la vicina radiogalassia Messier 87 (M87), situata a 55 milioni di anni luce dalla Terra, presenta un getto oscillante. Questo getto ha origine da un buco nero 6,5 miliardi di volte più massiccio del Sole: esattamente quello la cui immagine è stata ottenuta nel 2019 con l’Event Horizon Telescope (EHT). Dai dati raccolti negli ultimi 23 anni con la tecnica Very Long Baseline Interferometry (VLBI), gli esperti hanno osservato che il getto oscilla con un’ampiezza di circa 10 gradi (il fenomeno è conosciuto con il nome di precessione). Come si legge nell’articolo pubblicato oggi su Nature, gli esperti hanno svelato un ciclo ricorrente di 11 anni nel movimento di precessione della base del getto, come previsto dalla teoria della relatività generale di Einstein nel caso di un buco nero rotante attorno al suo asse. Questo lavoro ha quindi collegato con successo la dinamica del getto con il buco nero supermassiccio centrale, offrendo la prova dell’esistenza della rotazione del buco nero di M87.
Scoperto il getto oscillante di M87: rappresentazione schematica del modello del disco di accrescimento inclinato. Si presume che l’asse di rotazione del buco nero sia allineato verticalmente. La direzione del getto è quasi perpendicolare al disco. Il disallineamento tra l’asse di rotazione del buco nero e l’asse di rotazione del disco innescherà la precessione del disco e del getto. Crediti: Yuzhu Cui et al. 2023, Intouchable Lab@Openverse e Zhejiang Lab
I buchi neri supermassicci al centro delle galassie attive sono gli oggetti celesti più potenti dell’universo, in quanto in grado di accumulare enormi quantità di materiali a causa della straordinaria forza gravitazionale e allo stesso tempo alimentare getti che si allontanano a velocità vicina a quella della luce. Il meccanismo di trasferimento di energia tra i buchi neri supermassicci, il disco tramite il quale la materia cade sul buco nero e i getti relativistici rimane però un enigma ancora irrisolto. Una teoria prevalente suggerisce che l’energia può essere estratta da un buco nero in rotazione, che grazie alla energia gravitazionale ottenuta dalla materia in caduta su di esso è in grado di espellere getti di plasma a velocità vicine a quella della luce. Tuttavia, la rotazione dei buchi neri supermassicci non è ancora stata provata con certezza.
Marcello Giroletti, ricercatore presso l’INAF di Bologna e tra gli autori dell’articolo, spiega:
“Questa scoperta è molto importante, perché prova che il buco nero supermassccio al centro di M87 è in rotazione su sé stesso con grandissima velocità. Questa possibilità era stata ipotizzata proprio sulla base delle immagini ottenute con EHT ma ora ne abbiamo una dimostrazione inequivocabile”
Infatti quale forza nell’universo può alterare la direzione di un getto così potente? La risposta potrebbe nascondersi nel comportamento del disco di accrescimento, la struttura a forma di disco nella quale il materiale spiraleggia gradualmente verso l’interno finché non viene fatalmente attratto dal buco nero. E se il buco nero è in rotazione su sé stesso, ne segue un impatto significativo sullo spazio-tempo circostante, causando il trascinamento degli oggetti vicini, ovvero il “frame-dragging” previsto dalla Relatività Generale di Einstein.
Pannello superiore: struttura del getto M87 a 43 GHz osservata nel periodo 2013-2018. Le frecce bianche indicano l’angolo di posizione del getto in ciascuna sottotrama. Pannello inferiore: risultati basati sull’immagine impilata annualmente dal 2000 al 2022. I punti verde e blu sono ottenuti da osservazioni rispettivamente a 22 GHz e 43 GHz. La linea rossa rappresenta la soluzione migliore secondo il modello di precessione. Crediti: Yuzhu Cui et al. 2023
Gabriele Giovannini, professore dell’Università di Bologna e tra gli autori dell’articolo, aggiunge:
“La galassia M87 (Virgo A) non cessa di stupirci. Dopo averci regalato la prima immagine del suo supermassiccio buco nero centrale, ora ci rivela che il potente getto emesso grazie alla trasformazione di massa in energia non è stabile ma fa registrare una regolare oscillazione. Questo risultato mostra un non perfetto allineamento tra la rotazione del buco nero centrale ed il disco di materia che lo circonda ed in caduta su di esso. L’oscillazione del getto influenza notevolmente la materia e lo spazio tempo circostante in accordo con le leggi relativistiche”.
Dall’analisi dei dati si evince che l’asse di rotazione del disco di accrescimento si disallinea con l’asse di rotazione del buco nero, portando alla precessione del getto. Il rilevamento di questa precessione rappresenta un supporto convincente per concludere inequivocabilmente che il buco nero supermassiccio all’interno di M87 stia ruotando, aprendo nuove dimensioni nella nostra comprensione della natura dei buchi neri supermassicci.
“La precessione – dice Giroletti – è la variazione della direzione del getto emesso dal buco nero al centro di M87. Per l’esattezza è una variazione regolare e ciclica per cui l’asse del getto nel corso degli anni descrive un cono attorno ad un asse immaginario. Guardando questa precessione proiettata nel piano del cielo noi vediamo il getto oscillare in modo regolare”.
Questo lavoro ha utilizzato un totale di 170 epoche di osservazioni ottenute dalla rete East Asian VLBI Network (EAVN), dal Very Long Baseline Array (VLBA), dal KVN e VERA (KaVA), e dalla rete East Asia to Italy Nearly Global VLBI (EATING). In totale, più di 20 telescopi in tutto il mondo hanno contribuito a questo studio, tra cui anche il Sardinia Radio Telescope (SRT) e la Stazione Radioastronomica di Medicina dell’INAF.
“Questo importante risultato nasce grazie a un’ampia collaborazione che ha coinvolto 79 ricercatori di 17 diversi osservatori, università ed enti ricerca sparsi in 10 Paesi”, dice ancora Giovannini. “”Di cruciale importanza, in particolare, è stata la sinergia tra studiosi italiani e dell’Asia Orientale (Cina, Giappone, Corea). La collaborazione è in continuo sviluppo, infatti nelle antenne italiane utilizzate per le osservazioni sono infatti stati installati alcuni ricevitori coreani che permetteranno di migliorare la collaborazione nelle osservazioni ad alta frequenza (alta energia) ed elevata risoluzione angolare”.
Giroletti aggiunge: “INAF ha fornito un contributo fondamentale tramite la partecipazione dei propri radiotelescopi che si trovano a grandissima distanza (circa 10 mila km) da quelli dell’Asia Orientale che costituivano il nucleo della rete osservativa. Poiché i dettagli delle immagini dipendono dall’estensione della rete, l’aggiunta delle antenne INAF ha migliorato di quasi 10 volte il dettaglio delle immagini. Questo ha facilitato grandemente la rivelazione delle oscillazioni del getto. Inoltre INAF ha contribuito anche con la partecipazione del proprio personale di ricerca per l’interpretazione dei risultati”.
E conclude: “La collaborazione fra Italia ed estremo oriente sta crescendo anno dopo anno sia in ambito scientifico che tecnologico e questo risultato ci dà grande fiducia per i lavori che stiamo portando avanti nei due continenti”.
GAS CALDO AI RAGGI X PER SPIEGARE LA MASSA BARIONICA MANCANTE NELLE GALASSIE
Un gruppo di ricercatrici e ricercatori guidati dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha sfruttato gli spettri ad alta risoluzione nei raggi X, ottenuti con il satellite ESA XMM-Newton e il Chandra X-ray Observatory della NASA, per rilevare, per la prima volta, la presenza di una grande quantità di gas caldo (un milione di gradi) negli aloni di tre galassie esterne simili alla Via Lattea, a distanze di circa 120 kiloparsec (ovvero 400 mila anni luce) dal centro delle galassie stesse. Questa scoperta è stata pubblicata sulla rivista The Astrophysical Journal Letters.
Fabrizio Nicastro, primo autore dell’articolo e ricercatore presso l’INAF di Roma, spiega che
“la presenza del gas in questo stato fisico è stata predetta dalla teoria ma non era mai stato direttamente osservato se non nella nostra Galassia, nella quale però non è possibile distinguere fra gas nel disco della galassia, nel suo alone, o addirittura nel mezzo esterno la galassia e permeante il Gruppo Locale di galassie”.
La scoperta è significativa perché la massa totale che si deriva per questo gas caldo, all’interno del raggio viriale delle galassie è tale da risolvere il problema della massa barionica mancante di queste galassie.
E aggiunge: “Il nostro risultato indica anche che il feedback stellare o nucleare delle galassie non è stato sufficiente a espellere la massa al di fuori dell’influenza gravitazionale delle galassie stesse (oltre il raggio del viriale), ma ha contribuito ad arricchire di metalli il mezzo primordiale che accrescendo forma la galassia stessa e costituisce il carburante per la formazione stellare all’interno di queste, fino ad un valore pari circa al 30% della metallicita’ osservata nel Sole. Questo ha importanti conseguenze per la nostra comprensione del continuo ciclo di barioni da e verso le galassie (quello che comunemente viene detto feedback) e quindi per affinare le predizioni teoriche sulla formazione delle strutture nell’Universo”.
Nicastro sottolinea che “il problema della massa barionica mancante nelle galassie è uno dei problemi astrofisici più importanti, ormai da diversi decenni. La rilevazione di questo gas caldo era stata molto difficile in precedenza, sia a causa di limitazioni strumentali, sia per la difficoltà di mettere in atto strategie osservative adeguate allo scopo. La nostra idea è stata quella di usare degli indicatori della presenza di tale gas caldo negli aloni di galassie esterne, e di utilizzare tutti i dati di archivio esistenti, sia XMM che Chandra, per ‘sommarli’ opportunamente (una procedura denominata stacking) con la speranza di tirare fuori un segnale, dove aspettato”.
E ci sono riusciti: “La strategia ha pagato, e per la prima volta abbiamo rilevato un segnale della presenza dello ione altamente ionizzato dell’ossigeno cui sono rimasti solo due elettroni (OVII) a una distanza di circa 120 kiloparsec dal centro di queste galassie”.
LA DANZA DELLE STELLE DA DUE MILIONI E MEZZO DI EURO: IL PROGETTO STARDANCE DELLA RICERCATRICE ELENA PANCINO SI AGGIUDICA L’ERC ADVANCED GRANT
Elena Pancino, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Astrofisica si aggiudica un finanziamento di 2,5 milioni di euro dal Consiglio Europeo delle Ricerche. Il progetto vincitore del grant Advanced si chiama StarDance e metterà alla prova delle osservazioni l’ipotesi innovativa secondo cui molte popolazioni esotiche – finora incomprese – negli ammassi stellari e nella Via Lattea, sono il risultato di scambio di massa e fusione tra coppie di stelle.
Elena Pancino. Crediti: INAF
Dal primo novembre prossimo e per i successivi cinque anni, Elena Pancino – ricercatrice INAF a Firenze – guiderà il progetto europeo StarDance che, con un budget di due milioni e mezzo di euro messo a disposizione dall’European Research Council (ERC), il Consiglio Europeo delle Ricerche, cercherà di dare risposta a una domanda fondamentale aperta da decenni: “Come si formano le stelle?”
StarDance studierà le proprietà fisiche e chimiche delle popolazioni stellari esotiche negli ammassi stellari e nella popolazione di campo della Via Lattea, per comprovare la nuova ipotesi proposta da Elena Pancino basata sullo studio di un tipo di stelle “non-canoniche”, risultato di interazioni tra stelle binarie che si fonderebbero dando origine a un’unica stella più massiccia. Queste popolazioni di stelle verranno studiate soprattutto negli ammassi stellari, sia aperti che globulari, ovvero le “culle” entro cui la maggior parte delle stelle si forma, rendendoli quindi ambienti molto attivi dal punto di vista chimico e dinamico. Proprio di questi ammassi, a oggi non è ancora del tutto chiaro quale sia il meccanismo di formazione, soprattutto per i più antichi (i globulari), né se la formazione stellare nell’universo primordiale fosse diversa da quella che è possibile osservare oggi.
Alcune di queste stelle esotiche attendono da decenni una interpretazione certa della loro origine. La definizione deriva da alcune loro caratteristiche peculiari: per esempio una composizione chimica anomala, il tipo di rotazione o la loro estrema ricchezza di litio, oppure la perdita di una parte importante della loro atmosfera.
Il titolo accattivante del progetto StarDance richiama la danza delle stelle, un concetto spesso usato per descrivere il percorso di oggetti che gravitano l’uno attorno all’altro.
“Nel mio progetto, metterò assieme la danza delle stelle che da sole ruotano molto velocemente sul loro asse, delle stelle binarie che ruotano l’una attorno all’altra, e degli ammassi stellari in cui migliaia o addirittura milioni di stelle seguono i loro percorsi non-deterministici, solitarie o in coppie e multipli, sotto l’azione del comune campo gravitazionale” spiega Elena Pancino, che continua: “Con StarDance avrò la possibilità di mettere alla prova una mia nuova ipotesi, secondo cui le interazioni tra stelle molto vicine tra loro, con scambio di massa e anche con la fusione delle due stelle, possono spiegare tutte le osservazioni in maniera naturale e organica. L’ambizione sta nel fatto che il progetto richiede una batteria di test ad ampio spettro, con osservazioni che vanno dalla banda dei raggi X fino all’infrarosso, ottenute per di più con tecniche diversissime, dalle più classiche fino all’intelligenza artificiale, e richiede anche competenze astrofisiche molto variegate. In sostanza, per la prima volta si guarderà il problema da diversi angoli in maniera organica e spaziando tra diversi campi di ricerca che tradizionalmente non comunicano molto tra loro”.
Questa ricerca si inserisce in un contesto scientifico già in grande fermento nel campo della formazione e dell’evoluzione stellare, grazie anche al contributo della missione astrometrica europea Gaia e altre missioni spaziali e grandi survey da Terra, che stanno producendo una enorme mole di dati di altissima qualità ancora lontana, però, dall’essere interpretata in modo soddisfacente. In questo contesto, gli ammassi stellari si confermano come potenti laboratori astrofisici da utilizzare per testare i modelli teorici.
“Io e il mio gruppo potremo contare su una enorme mole di lavoro fatta dalla comunità a cui apparteniamo. Tuttavia, l’ERC finanzia progetti alla cui base c’è un elemento di novità o di rottura con il passato, soprattutto dove ci sono grandi problemi aperti da lungo tempo, a cui le tecniche tradizionali non hanno saputo dare finora una risposta, proprio come nel nostro caso” conclude Pancino.
Elena Pancino. Crediti: INAF
Testo e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)
L’ESOPIANETA TOI-1853b, IL NETTUNIANO SUPER-MASSICIO, UNA SCOPERTA CHE PORTA PIÙ DOMANDE CHE RISPOSTE
Scoperto da un team di scienziati internazionale guidato dall’Università di Roma Tor Vergata e da INAF un esopianeta dalle caratteristiche straordinarie – individuato grazie al satellite TESS della NASA e caratterizzato con il Telescopio Nazionale Galileo – le cui proprietà fisiche mettono in crisi le teorie convenzionali di formazione ed evoluzione planetarie. La ricerca pubblicata oggi su Nature.
Roma, 30 agosto 2023 – Si chiama TOI-1853b ed è estremamente peculiare: ogni 30 ore compie un giro completo intorno alla sua stella (la Terra impiega un anno per compiere un giro completo intorno al Sole), ha un raggio comparabile con quello di Nettuno (3,5 raggi terrestri, da cui il nome) ma una massa di circa quattro volte più grande (73 masse terrestri). Ciò gli conferisce il primato della densità più elevata fra gli esopianeti nettuniani noti ad oggi (circa 10 g/cm3, il doppio della densità della Terra). Distante 545 anni luce da noi, TOI-1853b si trova nella costellazione di Boote e la sua scoperta, pubblicata oggi su Nature, è stata realizzata da un team internazionale di ricercatori, guidato da Luca Naponiello, 31 anni, dottorando in Astrofisica all’università di Roma Tor Vergata e primo autore del lavoro. Diversi ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) hanno dato un contributo di fondamentale importanza allo studio.
TOI-1853b si trova nel cosiddetto ‘deserto dei Nettuniani’, una regione vicina alle stelle in cui non si trovano pianeti delle dimensioni di Nettuno: ricevendo una forte irradiazione dalla stella, questi pianeti non possono trattenere le loro atmosfere gassose che evaporano, lasciando così esposto un nucleo solido di dimensioni molto inferiori a quelle di Nettuno.
“In base alle teorie di formazione ed evoluzione planetaria, non ci si aspettava che potesse esistere un pianeta simile e così vicino alla sua stella”, commenta Naponiello. “È un pianeta con densità troppo elevata per essere un classico pianeta di tipo nettuniano e, di conseguenza, deve essere estremamente ricco di elementi pesanti”. La sua presenza nel ‘deserto dei Nettuniani’ è, dunque, un ulteriore mistero da chiarire.
Non si conosce esattamente la sua composizione. Naponiello aggiunge:
“Ci aspettiamo che TOI-1853b sia prevalentemente roccioso e circondato da un piccolo inviluppo gassoso di idrogeno ed elio che costituisce al più l’1% della massa del pianeta. Oppure, un’altra ipotesi molto affascinante è che possa essere composto per metà da rocce e per metà da ghiaccio di acqua. Data l’elevata temperatura del pianeta (circa 1500 gradi Kelvin), in questo secondo caso TOI-1853b potrebbe avere un’atmosfera ricca di vapore acqueo”.
“Anche la sua origine è un mistero dal momento che nessuno dei modelli teorici di formazione planetaria prevede che possa esistere un pianeta con tali caratteristiche”, dice Luigi Mancini, professore presso il dipartimento di Fisica dell’università di Roma Tor Vergata e secondo autore del lavoro. “Tuttavia, simulazioni numeriche che abbiamo condotto in scenari estremi ci suggeriscono che la sua origine possa essere dovuta a scontri fra protopianeti massicci nel disco proto-stellare originario”. “Tali scontri”, continua Naponiello, “potrebbero aver rimosso quasi tutta l’atmosfera del pianeta, il che ne spiegherebbe le dimensioni ridotte e la grande densità, come se fosse rimasto solo il nucleo nudo del pianeta”.
In alternativa allo scenario delle collisioni planetarie, secondo i ricercatori il pianeta potrebbe essere stato inizialmente un gigante gassoso come Giove o più massiccio, e avrebbe assunto un’orbita molto ellittica in seguito a instabilità dinamiche dovute ad interazioni gravitazionali con altri pianeti. Questo lo avrebbe portato a compiere dei passaggi molto ravvicinati alla sua stella, che gli avrebbero fatto perdere i suoi strati atmosferici esterni e avrebbero, allo stesso tempo, circolarizzato e stabilizzato la sua orbita alla distanza attuale dalla sua stella.
“Al momento, non riusciamo a distinguere quale dei due scenari di formazione sia quello più plausibile, ma continueremo ad osservare questo pianeta per capirlo. Non possiamo neanche escludere che studi teorici successivi, a partire da questa eccezionale scoperta, possano portare a nuovi modelli di formazione per i pianeti nettuniani molto massicci”, commenta Aldo Bonomo, ricercatore presso l’INAF Torino e co-autore dell’articolo.
TOI-1853b è stato inizialmente identificato nel 2020 come candidato planetario dal satellite della NASA TESS (Transiting Exoplanet Survey Satellite) con il metodo dei transiti, ovvero osservando le diminuzioni di luce periodiche della sua stella prodotte dal passaggio del pianeta davanti ad essa. La conferma della natura planetaria di TOI-1853b e la misura della sua massa e densità sono state possibili grazie ad osservazioni spettroscopiche di velocità radiale ottenute dal team con lo spettrografo HARPS-N (High Accuracy Radial Velocity Planet Searcher for the Northern hemisphere) al Telescopio Nazionale Galileo (TNG), che si trova sull’isola di La Palma nelle Canarie. Tali osservazioni hanno permesso di rivelare e caratterizzare con elevata precisione il segnale gravitazionale del pianeta sul moto della sua stella.
“HARPS-N è ormai operativo al TNG da più di 10 anni (ha ottenuto la prima luce a marzo del 2012). È uno dei pochi strumenti di punta a disposizione della comunità astronomica per misurare con alta precisione le masse e le densità dei pianeti extrasolari, in certi casi anche con dimensioni della Terra”, conclude Alessandro Sozzetti, primo ricercatore presso l’INAF Torino e co-autore dell’articolo. “Come in questo caso, nuove scoperte e misure portano spesso più domande che risposte”.
Per ulteriori informazioni:
L’articolo “A super-massive Neptune-sized planet”, di Luca Naponiello, Luigi Mancini, Alessandro Sozzetti, Aldo S. Bonomo, Alessandro Morbidelli, Jingyao Dou, Li Zeng, Zoe M. Leinhardt, Katia Biazzo, Patricio E. Cubillos, Matteo Pinamonti, Daniele Locci, Antonio Maggio, Mario Damasso, Antonino F. Lanza, Jack J. Lissauer, Karen A. Collins, Philip J. Carter, Eric L. N. Jensen, Andrea Bignamini, Walter Boschin, Luke G. Bouma, David R. Ciardi, Rosario Cosentino, Silvano Desidera, Xavier Dumusque, Aldo F. M. Fiorenzano, Akihiko Fukui, Paolo Giacobbe, Crystal L. Gnilka, Adriano Ghedina, Gloria Guilluy, Avet Harutyunyan, Steve B. Howell, Jon M. Jenkins, Michael B. Lund, John F. Kielkopf, Katie V. Lester, Luca Malavolta, Andrew W. Mann, Rachel A. Matson, Elisabeth C. Matthews, Domenico Nardiello, Norio Narita, Emanuele Pace, Isabella Pagano, Enric Palle, Marco Pedani, Sara Seager, Joshua E. Schlieder, Richard P. Schwarz, Avi Shporer, Joseph D. Twicken, Joshua N. Winn, Carl Ziegler e Tiziano Zingales, è stato pubblicato sulla rivista Nature.
Testo e immagini dall’Ufficio Stampa di Ateneo Università di Roma Tor Vergata e dall’Ufficio Stampa – Struttura per la Comunicazione Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)
Rilevato gas molecolare freddo, sotto forma di monossido di carbonio, nel mezzo interstellare della galassia che ospita il quasar Pōniuā‘ena
Osservato per la prima volta gas molecolare freddo, sotto forma di monossido di carbonio, nella galassia che ospita un buco nero supermassiccio in un’epoca remota della storia del cosmo, quando l’Universo aveva solo settecento milioni di anni. La scoperta, realizzata da un team internazionale guidato da ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), è stata possibile grazie all’osservatorio NOEMA sulle Alpi francesi.
Le 12 antenne dell’osservatorio NOEMA, sulle Alpi francesi. Crediti: IRAM, J.Boissier
Come si influenzano a vicenda la crescita di un buco nero supermassiccio e quella della galassia che lo ospita? Che impatto hanno questi buchi neri sulle primissime fasi evolutive delle galassie? Un team internazionale guidato da ricercatrici e ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) si è posto questi quesiti, tra i più spinosi dell’astrofisica contemporanea, e per affrontarli ha osservato uno dei tre quasar luminosi più distanti noti, la cui luce è partita circa tredici miliardi di anni fa, quando l’universo aveva un’età di appena settecento milioni di anni.
Illustrazione del quasar Pōniuāʻena. Crediti: International Gemini Observatory/NOIRLab/NSF/AURA/P. Marenfeld
I quasar sono nuclei estremamente brillanti di galassie attive, la cui enorme luminosità deriva dall’intensa attività del buco nero supermassiccio nascosto nel cuore della galassia. Il quasar scelto dal team si chiama Pōniuā‘ena, che in lingua hawaiana “evoca l’invisibile fonte rotante della creazione, circondata da brillantezza”, ed è alimentato da un buco nero la cui massa è pari a un miliardo e mezzo di volte quella del Sole. La galassia che lo ospita si trova nel mezzo dell’epoca della reionizzazione, quel periodo della storia cosmica, verificatosi alcune centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang, durante il quale l’Universo è diventato trasparente alla radiazione emessa da stelle e galassie, così che la loro luce può raggiungerci oggi. Quasar come questo si sono formati molto presto nella sequenza temporale del cosmo, trovandosi in ambienti estremi caratterizzati dall’accumulo di enormi quantità di gas e polvere, ma le ragioni di una comparsa così rapida sono ancora uno dei misteri più grandi nell’astrofisica extragalattica.
Mappa dell’emissione di gas molecolare (monossido di carbonio) da parte del quasar Poniua‘ena, realizzata dall’osservatorio NOEMA. Crediti: IRAM/NOEMA/C. Feruglio (INAF)
Osservando il quasar Pōniuā‘ena con il Northern Extended Millimeter Array (NOEMA), il più potente radiotelescopio del suo genere nell’emisfero nord, il team ha rilevato gas molecolare freddo, sotto forma di monossido di carbonio, nel mezzo interstellare della galassia che ospita il quasar. Si tratta di un rilevamento da record: non era mai stato osservato gas molecolare freddo a epoche così antiche nella storia dell’Universo. I risultati sono stati pubblicati su The Astrophysical Journal Letters.
Mappa dell’emissione di gas molecolare (monossido di carbonio) da parte del quasar Poniua‘ena, realizzata dall’osservatorio NOEMA. Crediti: IRAM/NOEMA/C. Feruglio (INAF)
Si ritiene che il gas molecolare freddo sia uno degli ingredienti chiave per una efficiente formazione stellare. Per questo, gli astronomi ritengono che il gas molecolare fosse presente già nell’Universo primordiale, anche prima che le stelle si formassero in grandi quantità. Di conseguenza, la scoperta del monossido di carbonio nel quasar Pōniuā’ena rappresenta una nuova pietra miliare per comprendere la formazione delle primissime molecole nell’Universo.
“È la prima volta che misuriamo la riserva di gas molecolare freddo e polvere nell’Universo primordiale, appena qualche centinaia di milioni di anni dopo il Big Bang”, spiega Chiara Feruglio, ricercatrice INAF a Trieste e prima autrice dello studio. “Troviamo che le galassie ospiti di quasar nell’Universo antico hanno già la capacità di accumulare una massa di gas e polvere molto elevata: circa venti miliardi di masse solari, comparabile con quanto osservato in epoche cosmiche successive. È interessante notare che, nonostante il breve tempo cosmico intercorso dal Big Bang all’epoca in cui osserviamo il quasar Pōniuā‘ena, le quantità relative di gas freddo e polvere fredda è già molto simile al valore misurato nella nostra galassia, la Via Lattea, e altre galassie che popolano l’Universo odierno”.
“Sappiamo che questo quasar ospita un buco nero molto massiccio, che deve essersi formato o da una marcata concentrazione primordiale di massa oppure tramite accrescimento di gas a un tasso molto elevato su concentrazioni di massa più piccole” nota la co-autrice Francesca Civano, Chief Scientist presso il Physics of the Cosmos Program Office del NASA Goddard Space Flight Center a Greenland nel Maryland, Stati Uniti. “Le osservazioni erano state programmate per studiare solamente la componente della polvere, non ci aspettavamo di rilevare anche una grande riserva di gas freddo, anche perché, per gli altri due quasar noti a distanze così elevate, il gas freddo non è stato ancora individuato. Invece con sorpresa abbiamo trovato due righe molto forti, che indicano una massiccia riserva di gas freddo e denso”.
“Solo la notevole sensibilità recentemente raggiunta da NOEMA, unita alla sua ampia larghezza di banda di frequenza, ha consentito la scoperta del monossido di carbonio a Pōniuā’ena” aggiunge Jan Martin Winters, astronomo dell’Institut de radioastronomie millimétrique (IRAM) in Francia e co-autore dello studio. “La potenza recentemente acquisita da NOEMA mantiene ora la promessa di rilevare il gas molecolare freddo in molte più sorgenti che ospitano quasar in queste epoche cosmiche primordiali. Tali rilevazioni permetterebbero di far luce anche sulla produzione di elementi pesanti nelle primissime fasi dell’Universo”.
L’idrogeno molecolare è di fondamentale importanza in quanto è il costituente base da cui nascono le stelle, e spesso viene invocato come il “serbatoio” della formazione stellare. Sfortunatamente, l’idrogeno molecolare non può essere osservato di per sé, ma si può utilizzare una relazione empirica tra la massa del monossido di carbonio e la massa dell’idrogeno molecolare per ricavare la quantità di idrogeno molecolare dalla quantità misurata di monossido di carbonio. L’osservazione del monossido di carbonio nel quasar Pōniuā’ena ha quindi permesso al team di ottenere una prima stima della densità cosmica di idrogeno molecolare. La stima di questo parametro fornisce importanti informazioni sulla chimica primordiale, svelando nuovi dettagli su come si sono formate le prime e più semplici molecole dell’Universo. Queste stime erano finora limitate a epoche cosmiche molto successive, a partire da circa un miliardo di anni dopo il Big Bang. “La densità cosmica di idrogeno molecolare stimata grazie alle osservazioni del quasar Pōniuā‘ena concorda con quanto predetto dai più recenti modelli di formazione ed evoluzione di gas freddo nelle prime fasi dell’Universo e dalle simulazioni cosmologiche”, ricorda il ricercatore INAF Umberto Maio, co-autore dello studio. Questo risultato indica che i modelli teorici sono sulla buona strada per spiegare le proprietà fondamentali dell’Universo primordiale.
Conclude Luca Zappacosta dell’INAF, co-autore della ricerca e a capo della collaborazione scientifica HYPERION: “Pōniuā‘ena fa parte di HYPERION, un campione dei quasar primordiali luminosi, specificamente selezionati per le ‘abitudini alimentari’ estreme dei loro buchi neri massicci. Studiando i quasar di HYPERION miriamo a comprendere la natura della comparsa così precoce di questi oggetti sorprendenti e a caratterizzare l’evoluzione simultanea di un buco nero e della sua galassia ospite. In questo contesto, questo rilevamento da record è cruciale in quanto pone le basi per scoprire il ruolo del gas molecolare freddo accumulato nei primi quasar in formazione e le avide abitudini alimentari dei buchi neri”.
Per ulteriori informazioni:
L’articolo “HYPERION: First constraints on dense molecular gas at z=7.5149 from the quasar Pōniuā‘ena”, di Chiara Feruglio, Umberto Maio, Roberta Tripodi, Jan Martin Winters, Luca Zappacosta, Manuela Bischetti, Francesca Civano, Stefano Carniani, Valentina D’Odorico, Fabrizio Fiore, Simona Gallerani, Michele Ginolfi, Roberto Maiolino, Enrico Piconcelli, Rosa Valiante, Maria Vittoria Zanchettin, è stato pubblicato online sulla rivista Astrophysical Journal Letters.
Testo e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)