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ALLA SCOPERTA DELL’UNIVERSO PRIMORDIALE: AL VIA LE ANALISI DEI FRAMMENTI DELL’ASTEROIDE RYUGU

Un team tutto italiano composto da ricercatori e ricercatrici dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF), dell’Università degli Studi di Firenze (UNIFI) e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN) avvia le analisi dei due preziosissimi campioni dell’asteroide Ryugu ricevuti a maggio del 2023 nell’ambito di un bando internazionale per l’analisi dei materiali cosmici riportati a Terra dalla missione Hayabusa-2 dell’Agenzia Spaziale giapponese JAXA.

I due grani a disposizione del gruppo di ricerca sono denominati C0242 (del peso di 0,7 milligrammi e lunghezza di 1,712 millimetri) e A0226 (pesante 1,9 milligrammi e lunghezza di 2,288 millimetri). Ciascun grano è posto all’interno di un particolare recipiente di acciaio riempito di azoto, il cui scopo è sia di preservare il grano evitando contaminazioni dovute alle polveri e al vapore d’acqua presenti nell’ambiente, sia di permettere un trasporto sicuro. Per rendere onore alla cultura giapponese, il team italiano ha deciso di assegnare un nome ai due grani attingendo alla tradizione degli anime, in particolare le opere dello studio Ghibli con il suo creatore Hayao Miyazaki. I nomi sono stati scelti guardando sia alla forma (A0226-Totoro) dal film Il mio vicino Totoro, sia al compito di Hayabusa2 di spedire a Terra campioni extraterrestri (C0242-Kiki) dal film Kiki – Consegne a domicilio.

analisi frammenti asteroide Ryugu Foto grani
Al via le analisi dei frammenti dell’asteroide Ryugu. Foto dei grani. Crediti INFN – LNF

Le prime indagini di spettroscopia nell’infrarosso prendono il via presso il laboratorio di luce di sincrotrone Dafne Luce dei Laboratori Nazionali di Frascati dell’INFN, sfruttando così la luce prodotta dall’acceleratore di particelle dei laboratori, Dafne. E, per preservare al meglio i due frammenti di asteroide, i ricercatori hanno ideato e realizzato delle attrezzature speciali:

“per la prima volta apriremo i contenitori dove sono contenuti in atmosfera protetta per poter fare le prime analisi spettroscopiche nell’infrarosso. In questi mesi abbiamo messo a punto dei portacampioni “universali” in grado di poter tener fermo ciascuno dei due frammenti per tutta la durata delle analisi, che durerà alcuni mesi”

spiega Ernesto Palomba, ricercatore INAF e professore presso l’Università “Federico II” di Napoli, che coordina le operazioni di analisi.

“Le tecniche e gli strumenti che abbiamo progettato e realizzato permetteranno di analizzare i campioni preservandoli dalla contaminazione dell’atmosfera terrestre che li danneggerebbe irreversibilmente, cancellando informazioni preziose per capire i meccanismi di formazione ed evoluzione del nostro Sistema solare e dei corpi che lo abitano, compresa la nostra Terra”.

Con le prime analisi il gruppo di ricerca si focalizzerà sullo studio della mineralogia, della materia organica e dell’acqua presente in questi campioni per ottenere le prime informazioni da questi veri e propri fossili del Sistema solare, che risalirebbero proprio alle primissime fasi di formazione del nostro sistema planetario, ovvero circa quattro miliardi di anni fa.

“La luce di sincrotrone di Dafne consentirà di analizzare in modo totalmente non distruttivo i micro-frammenti dei minerali contenuti nei grani dell’asteroide Ryugu.  Le analisi verranno svolte utilizzando un rivelatore per imaging nel medio infrarosso e consentiranno di evidenziare una eventuale presenza di tracce di materiale organico, fornendo importanti informazioni sulle interazioni fisico-chimiche tra molecole organiche e minerali che potrebbero aver avuto un ruolo nell’origine della vita sulla Terra o in altri corpi del Sistema Solare,”

spiega Mariangela Cestelli Guidi, ricercatrice INFN, responsabile della linea di luce di sincrotrone nell’infrarosso del Laboratorio Dafne Luce.

Le analisi dei campioni a Frascati si protrarranno per circa due settimane. Poi i grani di Ryugu verranno trasportati all’Università di Firenze per ulteriori indagini volte ad ottenere maggiori informazioni sulla storia di questi campioni.

“I grani di Ryugu arriveranno a Firenze entro un mese e vi rimarranno per circa sei settimane”

sottolinea Giovanni Pratesi, docente di Mineralogia Planetaria presso l’Università di Firenze e leader del gruppo di ricerca UNIFI.

“L’obiettivo di queste ulteriori indagini è quello di caratterizzare la morfologia e la composizione chimica della superficie dei frammenti, cosa che ci permetterà di avere informazioni preziose per aiutarci a ricostruire la storia di questo asteroide ma anche del nostro Sistema solare”.

Testo, video e immagini dagli Uffici Stampa INAF e INFN.

KIKI E TOTORO: “CONSEGNA A DOMICILIO” NEI LABORATORI INAF PER DUE FRAMMENTI DELL’ASTEROIDE RYUGU, CHE SARANNO UTILI COME ISTANTANEA SUL MATERIALE CHE HA DATO ORIGINE AL SISTEMA SOLARE PRIMORDIALE

 Un viaggio lunghissimo nel Sistema solare li ha portati dall’asteroide Ryugu alla Terra, all’interno della capsula di raccolta della sonda Hayabusa2 che li ha prelevati dalla superficie del corpo celeste nel 2019. Due piccoli grani dell’asteroide, lunghi meno di due millimetri e pesanti in totale tre milligrammi, parte del preziosissimo carico di Hayabusa2, sono giunti dal Campus Sagamihara della JAXA in Giappone ai laboratori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica a Roma, dove un team di ricerca li analizzerà con l’ambizioso obiettivo di ricostruire la storia dell’evoluzione di Ryugu nei suoi quattro miliardi di anni di vita. In omaggio alla cultura giapponese, i ricercatori INAF hanno ribattezzato i due grani Kiki e Totoro, come i personaggi di altrettanti film di animazione del maestro Hayao Miyazaki.

La missione Hayabusa2 dell’Agenzia spaziale giapponese JAXA ha esplorato l’asteroide Ryugu, grande un chilometro, ottenendo immagini dettagliate della superficie. Hayabusa2 ha scagliato un piccolo proiettile sull’asteroide allo scopo di scavare una piccola porzione del suo strato esterno e mettere a nudo il materiale al di sotto, rimasto preservato per miliardi di anni. Il veicolo spaziale ha poi raccolto frammenti della superficie in due siti differenti di Ryugu, uno di questi nelle vicinanze del cratere. In due camere di raccolta – denominate A e C – sono stati quindi recuperati sia frammenti superficiali che sotto-superficiali, questi ultimi protetti dal vuoto profondo dello spazio fino al momento dell’impatto. La capsula di rientro con il materiale raccolto è stata recuperata a Woomera, in Australia, il 6 dicembre 2020. Si tratta del primo campione raccolto appartenente a una classe di asteroidi molto primitivi, la cui composizione ci fornisce un’istantanea del materiale che ha dato origine al Sistema solare primordiale e alla Terra.

Frammenti dall’asteroide Ryugu, Totoro e Kiki, per conoscere il Sistema solare primordiale. Gallery

La quantità di materiale che è stato raccolto in totale è di circa 5 grammi. Dopo aver completato una prima ispezione, le particelle di Ryugu sono state prelevate singolarmente dai piccoli contenitori di vetro zaffiro con una pinzetta a vuoto e su questi grani è stata eseguita un’analisi al microscopio.

“Grazie al mio contributo nella caratterizzazione dell’asteroide Ryugu, come Co-Investigator della missione Hayabusa 2, sono stato chiamato a far parte del ristretto Team Internazionale che prima  dell’apertura dei bandi pubblici, si è occupato per un anno delle prime analisi in esclusiva” ricorda Ernesto Palomba, ricercatore INAF a Roma.

Nell’ambito del secondo bando internazionale pubblico per l’analisi dei campioni di Ryugu, la JAXA, ha assegnato al gruppo di ricerca INAF coordinato da Ernesto Palomba due grani denominati C0242 (del peso di 0,7 milligrammi e lunghezza di 1,712millimetri) e A0226 ( pesante 1,9 milligrammi e lunghezza di2.288millimetri). Ciascun grano è posto all’interno di un particolare recipiente di acciaio riempito di azoto, il cui scopo è sia di preservare il grano evitando contaminazioni dovute alle polveri e al vapor d’acqua presenti nell’ambiente, sia di permettere un trasporto sicuro. Per rendere onore alla cultura giapponese, il team italiano ha deciso di assegnare un nome ai due grani attingendo alla tradizione degli Anime, in particolare le opere dello studio Ghibli con il suo creatore Hayao Miyazaki. I nomi sono stati scelti guardando sia alla forma (A0226-Totoro) dal film “Il mio vicino Totoro”, sia al compito di Hayabusa 2 di spedire a Terra campioni extraterrestri (C0242-Kiki) dal film “Kiki – Consegne a domicilio”.

“Tra tutte le 38 proposte di analisi accettate dalla JAXA per il secondo bando internazionale, la nostra è l’unica italiana” commenta Palomba e prosegue: “ Il team è composto da una dozzina di persone delle sedi INAF di Roma, Napoli, Catania e dall’Università di Firenze, di cui quasi la metà sono borsisti, studenti di dottorato e postdoc. Per preparaci all’analisi e alla manipolazione di grani millimetrici, abbiamo cominciato a fare palestra con dei frammenti di una meteorite carbonacea,  la Tagish Lake, che si può considerare molto simile ai frammenti di Ryugu. Abbiamo ideato e prodotto dei portacampioni in grado di mantenere fermi i grani durante il trasporto e le analisi. E ora una decina di giorni fa la JAXA ci ha contattato chiedendoci l’indirizzo per spedire i campioni. In realtà in meno di una settimana, con nostra grande emozione, Kiki e Totoro sono arrivati”.

“Per questo progetto, abbiamo avuto anche a supporto un Large Grant dell’INAF” sottolinea Palomba. “Il nostro obiettivo sarà comprendere come questo asteroide si sia evoluto durante i 4 miliardi di anni della sua vita. In particolare, andremo a studiare le trasformazioni causate dall’interazione con l’ambiente spaziale, che a differenza di quanto si potrebbe credere è lungi dall’essere completamente inerte. Una pioggia continua di micrometeoriti, particelle galattiche e cosmiche, nonché il flusso costante del vento solare – il cosiddetto space weathering –  bombarda le superfici dei corpi planetari incessantemente per miliardi di anni, provocando anche sostanziali trasformazioni. Per capire meglio queste trasformazioni, nel nostro progetto abbiamo richiesto due grani, uno proveniente dalla camera A e un altro dalla camera C, cosicché sarà possibile comprendere quanto lo space weathering abbia modificato la superficie dell’asteroide” conclude Palomba.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)

BENNU, UN ASTEROIDE DA MANEGGIARE CON CURA

Sulla superficie di Bennu si sprofonda, i massi che la compongono sono completamente slegati e il materiale che lo costituisce è molto simile a quello delle meteoriti carbonacee alterate dall’acqua. Sono questi alcuni dei principali risultati presentati in due articoli sulle riviste Science e Science Advances realizzati con tutti i dati raccolti durante il campionamento della sonda OSIRIS-REx sull’asteroide, avvenuto nel 2020. Nel team che ha condotto le analisi pubblicate su Science partecipa anche Maurizio Pajola, ricercatore dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF).

OSIRIS-REx è la missione della NASA che il 20 ottobre 2020 si è posata sulla superficie dell’asteroide Bennu e ne ha prelevato un consistente campione di rocce e polvere, il più grande per massa raccolta dopo le missioni Apollo. Oggi, tutti i risultati ottenuti da questo campionamento sono stati pubblicati in due articoli sulle riviste Science e Science Advances.

Bennu asteroide

Un asteroide di sorprese

Sin dal primo avvicinamento della sonda OSIRIS-REx, nel dicembre 2018, l’asteroide Bennu si è mostrato diverso da quello che gli scienziati del team si aspettavano. La superficie dell’asteroide, infatti, che secondo le previsioni doveva essere liscia e coperta di materiale fine come una distesa di sabbia, era invece disseminata di massi, ed era attiva: Bennu stava lanciando granelli di roccia nello spazio.

La seconda sorpresa, poi, c’è stata non appena la sonda ha trasmesso a Terra le immagini ravvicinate della superficie dell’asteroide scattate durante il campionamento, che mostravano una ampia e densa nube di detriti sollevati dal sito di raccolta. Vista la delicatezza con cui la sonda ha toccato la superficie, gli scienziati sono rimasti spiazzati dall’abbondanza di sassolini sparsi. Non solo: secondo i risultati pubblicati oggi, il processo di raccolta ha creato un cratere di forma ellittica con un semiasse maggiore largo 9 metri.

Cosa è successo durante il campionamento

“La superficie di Bennu ha risposto al contatto con il TAGSAM – ovvero il modulo all’estremità del braccio robotico deputato al campionamento –  come un fluido viscoso, ma con resistenza minima, come se le particelle presenti sulla superficie dell’asteroide avessero coesione tra di loro pari a zero” spiega Maurizio Pajola, ricercatore dell’INAF di Padova e membro italiano del team di OSIRIS-Rex, tra i coautori dell’articolo pubblicato oggi su Science a prima firma di Dante Lauretta, responsabile scientifico della missione.

L’operazione di raccolta del materiale sulla superficie di Bennu è durata 5 secondi e il TAGSAM era largo appena 30 cm. L’enorme cratere generato ha esposto, in parte, gli strati meno superficiali della superficie, che si sono mostrati più scuri, più arrossati e caratterizzati da particolato molto più fine rispetto a quello che si trova in superficie. Infine, gli scienziati hanno notato che l’impatto con il braccio robotico ha causato lo spostamento di un masso del diametro di 1,25 metri di circa 12 metri.

“Le difficoltà per arrivare a questo campionamento sono state estreme. La superficie è solo composta di massi. Ci si aspettava di trovare una zona di almeno 25-50 metri quadrati della superficie dell’asteroide ricche di polvere e prive di rischio. In realtà, di zone con quelle caratteristiche non ce ne sono proprio su Bennu. Ciononostante, sono stati raccolti ben oltre i 60 grammi minimi richiesti dalla NASA”, commenta Pajola. “Il veicolo spaziale ha recuperato circa 250 grammi di materiale. Molto molto di più se pensiamo ai 5 grammi raccolti su Ryugu dalla sonda Hayabusa 2”.

 

Di cos’è fatto Bennu

Dalle analisi effettuate, poi, il materiale che si è alzato dalla superficie e che in parte si è depositato sulla strumentazione di bordo assomiglia al materiale che ritroviamo dentro alle meteoriti carbonacee alterate dall’acqua.

“Bennu è un Near Earth Object di tipo B, e quindi ci aspettavamo che la sua superficie fosse caratterizzata dalla presenza di minerali idrati. Però è anche un oggetto particolarmente scuro, e quindi ricco di composti del carbonio” sottolinea Pajola. “Quel che non ci aspettavamo era che si depositasse abbondante polvere su alcune delle ottiche, e questo ha diminuito un po’ il segnale acquisito dalla strumentazione di bordo. I dati che abbiamo preso quando OSIRIS-REx si è avvicinato e poi allontanato dalla superficie comunque confermano quanto atteso: il materiale era ricco composti organici e minerali idrati. La prova definitiva di questo ce l’avremo quando potremo analizzare i campioni a Terra, anzi: come successo per Hayabusa-2, siamo sicuri che dentro ai grani ci sia molto di più di quel che abbiamo potuto vedere finora”.

Se Osiris-Rex si fosse posato sulla superficie

Il fatto che si sia creato un cratere così grande in seguito al campionamento sull’asteroide è la prima dimostrazione che le particelle che compongono l’esterno di Bennu sono così poco impacchettate e legate tra loro da opporre una resistenza minima alla pressione. Per fare un esempio, se una persona dovesse camminare su Bennu si troverebbe come se calpestasse una distesa di palline di plastica come quelle che si trovano nelle aree di gioco per bambini. Se quindi la sonda non avesse azionato i suoi propulsori per indietreggiare subito dopo aver afferrato polvere e roccia dalla superficie dell’asteroide, sarebbe sprofondata al suo interno.

È possibile che asteroidi come Bennu – solo debolmente tenuti insieme dalla gravità o dalla forza elettrostatica – possano disgregarsi in caso di ingresso nell’atmosfera terrestre e quindi rappresentare un tipo di pericolo diverso rispetto agli asteroidi solidi. La ricerca su questi corpi, comunque, è ancora all’inizio e le domande aperte sono ancora molte. Quel che è certo è che le informazioni precise ricavate dagli scienziati sulla superficie di Bennu possono aiutare gli scienziati a interpretare meglio le osservazioni a distanza di altri asteroidi, il che potrebbe essere utile per progettare future missioni e per sviluppare metodi per proteggere la Terra dalle collisioni con gli asteroidi.

I risultati sono stati pubblicati oggi negli articoli:

Spacecraft sample collection and subsurface excavation of asteroid (101955) Bennu di D.S. Lauretta, C. D. Adam, A. .J. Allen, R.-L. Ballouz, O. S. Barnouin, K. .J.Becker, T. Becker, C.A.Bennett, E. B.Bierhaus, B. .J. Bos, R. D. Burns, H. Campins, Y. Cho, P.R. Christensen, E. C. A. Church, B. E. Clark, H. C.Connolly .Jr.,M. G. Daly, D. N. DellaGiustina, C. Y. Drouetd’Aubigny, J.P. Emery, H. L. Enos, S.FreundKasper, J.B. Garvin, K. Getzandanner,D.R. Golish, V. E. Hamilton, C.W. Hergenrotber, H. H. Kaplan, L. P. Keller, E. .J. Lessac-Chenen, A. .J. Liounis, H. Ma, L. K.McCartby, B. D. Miller, M. C. Moreau, T. Morota, D.S. Nelson, J. O. Nolau, R. Olds, M. Pajola, J. Y. Pelgrift, A. T. Polit, M.A. Ravine, D. C. Reuter, B. Rizk, B. Rozitis, A. .J. Ryan, E. M. Sahr, N.Sakatani, J. A. Seabrook, S. H. Selznick,M.A. Skeen, A. A. Simon, S. Sugita, K. .J.Walsh, M. M.Westermann, C.W. V. Wolner e K.Yumoto (Science)

Near-zero cohesion and loose packing of Bennu’s near subsurface revealed by spacecraft contact di Kevin J. Walsh, Ronald-Louis Ballouz et al. (Science Advances)

 

Testo e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF