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L’ATTIVITÀ CEREBRALE A RIPOSO DEI BAMBINI CAMBIA IN BASE AL SESSO

Ricerca dell’Università di Padova, in collaborazione con IRCCS “E. Medea” di Conegliano e Università di Cambridge, scopre relazione tra il funzionamento neurale in condizioni di riposo e il funzionamento cognitivo quotidiano in bambini di età prescolare

L’attività cerebrale dei bambini a riposo cambia in base al sesso biologico e all’età? È possibile prevedere eventuali problemi comportamentali, emotivi o legati alle funzioni esecutive attraverso questa attività?

La risposta arriva dalla ricerca dal titolo Dynamic transient brain states in preschoolers mirror parental report of behavior and emotion regulation, pubblicata sulla rivista «Human Brain Mapping», guidata da Lisa Toffoli e Giovanni Mento del Dipartimento di Psicologia Generale dall’Università di Padova in collaborazione con Gian Marco Duma dell’IRCCS “E. Medea” di Conegliano e Duncan Astle dell’Università di Cambridge.

La ricerca dimostra che esiste una relazione tra il funzionamento neurale in condizioni di riposo (chiamato resting state, stato in cui il cervello non è impegnato in attività cognitive attive o compiti specifici) e il funzionamento cognitivo quotidiano in bambini di età prescolare (4-6 anni). I ricercatori hanno evidenziato che la stabilità, la durata e la direzione delle comunicazioni cerebrali – il modo in cui le informazioni vengono trasmesse ed elaborate all’interno di una singola area o tra diverse aree del cervello – in assenza di richieste cognitive non cambiano all’interno della fascia di età considerata ma differiscono in base al sesso biologico.

Le richieste cognitive si riferiscono alle sollecitazioni e alle sfide che il nostro cervello deve affrontare per elaborare informazioni, risolvere problemi, prendere decisioni e svolgere attività che richiedono attenzione e concentrazione; possono variare in intensità e complessità e sono fondamentali nello sviluppo delle abilità cognitive, specialmente nei bambini.

In particolare, i maschi mostrano un’attività cerebrale più variabile e meno prevedibile, caratterizzata inoltre da una maggiore attivazione del Default-Mode Network, il circuito associato alla “testa tra le nuvole” (mind wandering). Al contrario, le femmine attivano più spesso le aree prefrontali, maggiormente associate alla capacità di concentrazione e attivazione cognitiva.

I ricercatori hanno inoltre osservato, sulla base dei questionari compilati dai genitori, che i bambini e le bambine che attivano di più le aree prefrontali mostrano una migliore regolazione comportamentale ed emotiva, mentre chi attiva più spesso il Default-Mode Network riporta maggiori difficoltà.

«Questo studio aveva due obiettivi principali: il primo era capire se e come l’attività cerebrale a riposo dei bambini differisce in base al sesso biologico e all’età. Il secondo era esaminare se questa attività fosse in grado di prevedere eventuali problemi comportamentali, emotivi o legati alle funzioni esecutive, cioè quelle abilità mentali che ci aiutano a pianificare e portare a termine azioni» afferma Lisa Toffoli, prima autrice dello studio e ricercatrice dell’Università di Padova.

«Per la prima volta in questa fascia d’età è stata utilizzata una tecnica innovativa di machine learning chiamata “Hidden Markov Models” (HMM) applicata a dati di elettroencefalografia ad alta risoluzione spaziale, che ha permesso di identificare quali aree del cervello comunicano tra loro e come queste comunicazioni cambiano in tempi rapidissimi, nell’ordine di millisecondi» spiega Gian Marco Duma, che ha supervisionato la collaborazione con l’IRCCS E. Medea.

«Questi risultati potrebbero avere significative implicazioni per popolazioni cliniche, in particolare per i disturbi del neurosviluppo come autismo e ADHD, identificando potenziali target neurali nei processi riabilitativi. Questo potrebbe facilitare approcci terapeutici personalizzati soprattutto in età prescolare, una fase cruciale per lo sviluppo cognitivo» conclude Giovanni Mento, corresponding author dello studio e docente al Dipartimento di Psicologia Generale dall’Ateneo patavino.

Link alla ricerca: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/hbm.70011

Titolo: Dynamic transient brain states in preschoolers mirror parental report of behavior and emotion regulation – «Human Brain Mapping» – 2024

Autori: Lisa Toffoli, Natalia Zdorovtsova, Gabriela Epihova, Gian Marco Duma, Fiorella Del Popolo Cristaldi, Massimiliano Pastore, Duncan E. Astle, Giovanni Mento

Da sinistra: Giovanni Mento, Lisa Toffoli, Gian Marco Duma
Da sinistra: Giovanni Mento, Lisa Toffoli, Gian Marco Duma

Testo e foto dagli Ufficio Stampa dell’Università di Padova e dell’Associazione La Nostra Famiglia – IRCCS E. Medea

Le valanghe neurali e l’epilessia: una pista per la diagnosi
Anche quando non sono in corso crisi epilettiche, il cervello di un paziente con epilessia presenta alcune alterazioni. Lo studio dell’IRCCS Medea, dell’Institut de Neurosciences des Systèmes di Marsiglia e dell’Università di Padova apre la strada ad una diagnosi meno invasiva.

diagnosi epilessia stato di riposo
Foto di Samuel Scalzo

La diagnosi dell’epilessia può essere problematica per i pazienti, che a volte devono indossare caschi ed elettrodi per periodi di tempo prolungati in attesa che si verifichi un episodio critico, in modo che i medici possano documentarlo con l’EEG. In alternativa, la crisi può essere indotta artificialmente, causando disagio.

Una nuova ricerca dello Human Brain Project, progetto europeo che sta per terminare dopo 10 anni di lavori, ha scoperto che nel cervello dei pazienti affetti da epilessia è possibile rilevare cambiamenti nelle attivazioni neuronali su larga scala in stato di riposo, anche quando non sono in corso crisi epilettiche, e apre quindi la strada ad una diagnosi meno invasiva.

Il lavoro nasce da una collaborazione tra l’IRCCS Medea – La Nostra Famiglia (Conegliano), l’Institut de Neurosciences des Systèmes di Marsiglia e il Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova. Pubblicato sulla rivista Epilepsia, lo studio ha confrontato l’elettroencefalogramma (EEG) ad alta densità di 37 pazienti con epilessia del lobo temporale con controlli sani.

Mentre il cervello è a riposo, si generano costantemente onde spontanee di attivazione neuronale. La loro funzione non è del tutto chiara, ma sembra che svolgano un ruolo importante nella funzionalità del cervello. I ricercatori hanno dimostrato che anche durante lo stato di riposo è possibile rilevare un’alterazione dei modelli di propagazione delle cosiddette “valanghe neuronali” su larga scala, suggerendo una potenziale applicazione diagnostica nell’epilessia. Queste valanghe neuronali sono innescate dall’attivazione spontanea di un gruppo di neuroni che poi si diffonde in vaste aree del cervello, con un effetto a cascata.


Questo nuovo metodo è in grado di rilevare le caratteristiche rilevanti dell’epilessia semplicemente tenendo conto dell’organizzazione funzionale basale del cervello” spiegano Gian Marco Duma e Pierpaolo Sorrentino, ricercatori rispettivamente presso IRCCS Medea e l’Institut de Neurosciences des Systèmes di Marsiglia, che hanno collaborato a questo studio. “Anche quando non si verificano crisi epilettiche, il cervello di un paziente con epilessia presenta alcune alterazioni nelle dinamiche di rete su scala cerebrale. Abbiamo quindi pensato che sarebbe stato possibile esaminare le dinamiche cerebrali aperiodiche osservando la diffusione delle valanghe neuronali spontanee”.

“Abbiamo scoperto che l’alterazione della diffusione delle valanghe neuronali nell’epilessia del lobo temporale si raggruppa intorno a quelle aree cerebrali che sono fondamentali per l’innesco e la diffusione delle crisi”, affermano Duma e Sorrentino. “Questo apre la possibilità di un nuovo metodo diagnostico preliminare, particolarmente importante per i casi difficili in cui l’EEG del cuoio capelluto non riesce a rilevare le crisi e sono necessarie ulteriori indagini “.


I risultati hanno anche rilevato un legame tra l’alterazione della diffusione della valanga neuronale e la memoria, che è spesso compromessa nei pazienti con epilessia. Il lobo temporale è specificamente associato alla memorizzazione e modelli specifici di propagazione dell’attività neuronale allo stato di riposo potrebbero essere alterati dall’epilessia alterandone il funzionamento.

“Questa scoperta ci offre ulteriori prove della rilevanza neurofisiologica e neuropsicologica delle valanghe neuronali, mettendo il relazione le dinamiche neurali con il funzionamento cognitivo”, suggeriscono i ricercatori.


Gian Marco Duma, Alberto Danieli, Giovanni Mento, Valerio Vitale, Raffaella Scotto Opipari, Viktor Jirsa, Paolo Bonanni, Pierpaolo Sorrentino
Altered spreading of neuronal avalanches in temporal lobe epilepsy relates to cognitive performance: a resting-state hdEEG study, Epilepsia
https://doi.org/10.1111/epi.17551

 

Testo dall’Ufficio Stampa IRCCS E. Medea – Ass. La Nostra Famiglia

QUANDO IL CERVELLO È TROPPO “CONNESSO” – Alterazione della comunicazione neurale nell’epilessia temporale

Pubblicato su «Cortex» lo studio – nato dalla pluriennale collaborazione tra l’unità di Epilessia e Neurofisiologia clinica dell’IRCCS Eugenio Medea (sede di Conegliano) e il Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova – nel quale è stato dimostrato come la comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo possa spiegare le prestazioni cognitive dei pazienti con epilessia del lobo temporale

comunicazione neurale epilessia temporale
Alterazione della comunicazione neurale nell’epilessia temporale. Immagine di Gerd Altmann

Per molti anni i neuroscienziati hanno creduto che l’attività spontanea cerebrale, ovvero il comportamento dei neuroni quando non direttamente impegnati in attività specifiche quali produrre pensieri o interagire col mondo esterno, fosse per lo più caotica e priva di significato funzionale.

Eppure, da almeno due decenni sappiamo che, seppur apparentemente scollegata dal pensiero e dall’azione, l’attività “a riposo” (dall’inglese resting state) del nostro cervello presenta un livello sorprendente di organizzazione spaziale e temporale.

Se proviamo a pensare alle onde cerebrali misurate tramite l’elettroencefalogramma come al linguaggio che neuroni anche molto lontani tra di loro possono usare per parlarsi, vediamo che il funzionamento di un cervello sano è caratterizzato da una sorta di ordine intrinseco, fatto di oscillazioni armoniose che viaggiano a frequenze diverse in grado di trasportare messaggi fondamentali per la nostra sopravvivenza. Questo è vero tanto per le azioni più semplici quanto per le elucubrazioni mentali più ardite

Recentemente si è anche scoperto che la capacità di comunicazione neuronale costituisce una sorta di “impronta digitale” del nostro cervello che caratterizza gli individui e li differenzia gli uni dagli altri.

Questo implica che possibili funzionamenti alterati della comunicazione elettrica tra neuroni possono dare luogo a patologie cliniche. Una delle patologie neurologiche maggiormente diffuse nel mondo è l’epilessia, con una prevalenza di circa una persona ogni 100 nei paesi industrializzati. Tra le varie forme di epilessia, l’epilessia del lobo temporale è la più comune.

La concezione dell’epilessia è cambiata nel tempo, passando dall’essere considerata un’alterazione specifica di una porzione del cervello a un disturbo più sistemico che può coinvolgere uno o più network cerebrali. Prendendo in prestito dei concetti matematici, i neuroscienziati hanno ampiamente compreso che una comunicazione efficiente all’interno di una rete, fosse questa una comunità di persone (es., facebook) o un complesso sistema cellulare quale è il cervello, avviene quando le informazioni che i nodi di questa rete si scambiano vengo elaborate, ovvero integrate, dai singoli elementi. Ma questo non basta, per funzionare bene un network deve anche essere in grado di differenziare la comunicazione tra gli elementi interni ad esso e quelli esterni, un principio noto come “segregazione”. Il cervello, proprio come ogni sistema complesso, per funzionare ottimamente ha bisogno di un equilibrio tra integrazione e segregazione. In poche parole, i differenti circuiti cerebrali che lo costituiscono devono essere ben organizzati al proprio interno e ben differenziati gli uni dagli altri, come l’impianto elettrico di un grattacielo, ma infinitamente più complesso.

Il team di ricercatori dell’IRCCS MEDEA-La Nostra Famiglia nella sede di Conegliano e dell’Università di Padova, Dipartimento di Psicologia Generale, hanno dedicato i loro sforzi a studiare il delicato equilibrio tra integrazione e segregazione nell’epilessia del lobo temporale. I risultati sono stati pubblicati nello studio dal titolo “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” pubblicato sulla rivista «Cortex»

Dalla ricerca, parte di un progetto sull’epilessia finanziato dal Ministero della Salute con il contributo del “5xMILLE”, è emerso che proprio questi due meccanismi risultano alterati nei pazienti con epilessia del lobo temporale.

Gian Marco Duma
Gian Marco Duma

«Nel cervello caratterizzato da epilessia abbiamo riscontrato uno sbilanciamento a favore di una iper-comunicazione tra diverse aree cerebrali, perfino quando il cervello non è impegnato in nessun compito»  – dice il Dottor Gian Marco Duma, ricercatore dell’IRCCS E. Medea di Conegliano e primo autore dello studio – «Questa iper-comunicazione tra zone cerebrali distinte potrebbe rappresentare il meccanismo fisiologico che giustifica come un’alterazione probabilmente locale, possa impattare sul funzionamento dell’intero sistema cerebrale, producendo alterazioni patologiche a più livelli»

Giovanni Mento
Giovanni Mento

«Uno dei risultati più importanti di questo studio è che maggiori livelli di integrazione tra i network cerebrali correlano con prestazioni peggiori del funzionamento cognitivo nei pazienti con epilessia, e in particolare nei test di memoria e attenzione. Questa è una dimostrazione che – sottolinea il prof. Giovanni Mento, docente di Neuropsicologia dello Sviluppo del dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova che ha coordinato lo studio– la flessibilità ed integrazione dei network cerebrali sono in un delicato equilibrio, ed una loro alterazione può impattare le nostre funzioni cognitive. D’altronde l’omeostasi tra la differenziazione e l’integrazione tra gli elementi costituenti è un pattern tipico di molti sistemi complessi non solo biologici, basti pensare ai rapporti all’interno di gruppi sociali».

Come evidenziato dal Dott. Paolo Bonanni, direttore dell’unità di epilessia e neurofisiologia clinica del IRCCS Eugenio MEDEA di Conegliano e Pieve di Soligo «Molti pazienti reclutati nello studio a causa della gravità dell’epilessia hanno subito successivamente un intervento di chirurgia e sono guariti con recupero anche di funzioni neuropsicologiche come la memoria. Sarà interessante ripetere lo studio della comunicazione spontanea dei network cerebrali a riposo per vedere se nei pazienti guariti dall’epilessia vi è, come sarebbe logico aspettarsi, un ritorno alla normalità dei circuiti cerebrali»

«I nostri risultati – conclude il Dott. Alberto Danielimedico e ricercatore che ha seguito direttamente lo svolgimento dello studio –  andranno confermati in popolazioni cliniche più ampie anche in modo prospettico e attraverso metodiche complementari, e ci auguriamo possano contribuire a migliorare la gestione clinica e la qualità di vita della persona con epilessia sin dall’esordio del disturbo».

Link alla ricerca:

https://www.sciencedirect.com/science/article/pii/S001094522200260X?via%3Dihub

Titolo: “Resting state network dynamic reconfiguration and neuropsychological functioning in temporal lobe epilepsy: an HD-EEG investigation” – «Cortex» – 2022

Autori: Gian Marco Duma, Alberto Danieli, Marcelo Mattar, Airis Vettorel, Martina Baggio, Paolo Bonanni & Giovanni Mento.

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova

I BAMBINI ASCOLTANO E “PREVEDONO” COSA GLI RISERVA IL FUTURO 

Pubblicato su «Scientific Reports» lo studio coordinato dall’Università di Padova in cui si spiega la capacità che hanno i bambini di soli 4 mesi nell’anticipare un evento a seconda del suono sentito. Una voce è in grado di pre-attivare i circuiti neurali coinvolti nella percezione visiva dei volti circa un secondo prima di vederli comparire. È la prima dimostrazione scientifica che i bambini molto piccoli possono prepararsi all’incontro di stimoli socialmente rilevanti.

I BAMBINI ASCOLTANO E “PREVEDONO” COSA GLI RISERVA IL FUTURO
I bambini ascoltano e “prevedono” cosa gli riserva il futuro. Foto di RitaE

Quando percepiamo suoni o individuiamo immagini l’attività del cervello non è tutta utilizzata per elaborare le caratteristiche fisiche e i significati che ne scaturiscono. Al contrario solo una piccola parte della nostra attività cerebrale (dall’1 al 5 % circa) si “mobilita” in risposta ad eventi esterni, nel restante 95% il cervello è continuamente coinvolto nel formulare predizioni probabilistiche sugli eventi che si potrebbero verificare nell’ambiente.

Queste ipotesi vengono poi sistematicamente, e spesso inconsapevolmente, confrontate con la realtà in maniera da arrivare a una corretta interpretazione di ciò che si è sentito o veduto. Ma da che età siamo in grado di predire ciò che accadrà nell’ambiente a seconda di ciò che percepiamo?

Il team di ricercatori dell’Università di Padova nello studio dal titolo “Face specific neural anticipatory activity in infants 4 and 9 months old pubblicato sulla rivista «Scientific Reports» ha per la prima volta risposto a questa domanda.

Supponiamo che qualcuno bussi alla nostra porta. Prima ancora di conoscere chi entrerà sappiamo che si tratta di una persona e non, ad esempio, di un cane. Successivamente, una volta che il soggetto ha varcato la soglia, il nostro cervello si organizzerà in modo da focalizzarsi su alcuni elementi cruciali per l’interazione sociale come l’espressione del viso, la postura del corpo e l’intonazione della voce per capire, in un batter d’occhio, se l’interlocutore è una persona amichevole o no. Il cervello funziona quindi in maniera predittiva, ma, cosa più importante, è in grado di pre-attivarsi innescando network neurali specifici sulla base della natura dello stimolo atteso.

Ipotizzare cosa riserva il futuro ci permette di ottimizzare le nostre risorse mentali e fisiche per reagire meglio e più velocemente agli eventi, aumentando le nostre probabilità di sopravvivenza. Ovviamente non si tratta di premonizione, ma di processi che si basano su eventi fisici naturali come, ad esempio, la regolarità sensoriale di alcuni stimoli ambientali (un ritmo musicale o un movimento ripetitivo) o l’apprendimento associativo tra situazioni che tendono a presentarsi insieme (il “toc toc” alla porta e la successiva comparsa di un viso).

Giovanni Mento
Giovanni Mento

«Questo ciclo continuo di predizione-verifica-aggiornamento è noto in letteratura come predictive brain e definisce il sottile equilibrio che regola l’interfaccia tra il nostro mondo interiore e tutto ciò che è esterno a noi. Nonostante la significativa importanza del nostro cervello predittivo – dice il Professore Giovanni Mento del Dipartimento di Psicologia dell’Università degli studi di Padova e primo autore dello studio – nessuno studio finora aveva investigato il suo sviluppo nei primissimi mesi di vita. In questa ricerca è stata ricostruita l’attività cerebrale in tre classi di soggetti – adulti, bambini di 9 mesi e piccoli di 4 mesi – a partire dalla loro attività elettrica corticale (EEG) durante la presentazione di volti o di oggetti rispettivamente preceduti da una voce umana o da suoni non umani. I risultati suggeriscono che anche nel gruppo dei bambini di 4 mesi si rileva un’attivazione neurale che rispecchia la capacità di anticipare l’evento a seconda del suono sentito. In altre parole, il semplice suono di una voce umana è in grado di pre-attivare i circuiti neurali coinvolti nella percezione visiva dei volti circa un secondo prima di vederli comparire su uno schermo».

Teresa Farroni
Teresa Farroni

«È la prima dimostrazione scientifica che i bambini molto piccoli possono prepararsi all’incontro di stimoli socialmente rilevanti come nel caso dei volti attivando i meccanismi neurali sottostanti che serviranno ad elaborare i volti ancora prima della loro effettiva presentazione – sottolinea la Professoressa Teresa Farroni, Dipartimento di Psicologia dello Sviluppo e della Socialiazzazione dell’Università di Padova che ha supervisionato il progetto di ricerca –. Questa competenza precoce costituisce un prerequisito fondamentale nello sviluppo dell’essere umano al fine di garantire fin da subito la possibilità di comunicare con altri consimili».

Link alla ricerca: https://www.nature.com/articles/s41598-022-17273-1

Titolo: “Face specific neural anticipatory activity in infants 4 and 9 months old” – «Scientific Reports» – 2022

Autori: Giovanni Mento, Gian Marco Duma, Eloisa Valenza & Teresa Farroni

Testo e foto dall’Università degli Studi di Padova