News
Ad
Ad
Ad
Tag

farmaco

Browsing

Repistat: individuata una nuova molecola capace di rallentare la progressione della retinite pigmentosa

L’Università di Pisa partner dello studio che ha guadagnato la copertina del Journal of Medicinal Chemistry.

Si chiama REPISTAT, è una nuova molecola capace di rallentare la progressione della retinite pigmentosa, una rara patologia genetica che può portare negli anni alla totale cecità. La scoperta arriva da uno studio, che si è guadagnato la copertina del Journal of Medicinal Chemistry. A progettare e sintetizzare la molecola è stato un gruppo di ricerca di chimica farmaceutica dell’Ateneo di Siena in collaborazione, per le prove biologiche, con il Dipartimento di Farmacia dell’Ateneo pisano, e con l’Istituto di Neuroscienze del CNR – Pisa, la University College London e l’Università di Ferrara.

La sperimentazione è stata condotta in vitro e su modelli animali e la speranza è che in futuro REPISTAT possa essere alla base della formulazione di un nuovo farmaco, magari un collirio, capace di ritardare l’evoluzione della malattia.

“La retinite pigmentosa è una rara malattia genetica tuttora priva di una cura risolutiva, a causarla sono circa 200 mutazioni su una sessantina di geni, la cura più efficace è la terapia genica, con costi altissimi però, tanto che sono state attualmente sviluppate delle terapie solo per due mutazioni – spiega la professoressa Ilaria Piano del Dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa – ci sono tuttavia degli elementi che accomunano tutte le forme di retinite pigmentosa, come ad esempio i processi infiammatori, ossidativi o l’apoptosi, cioè il meccanismo che regola la morte programmata delle cellule. La molecola che abbiamo sviluppato è in grado di agire come modulatore epigenetico e attraverso questo meccanismo interviene proprio su questi processi aprendo un’opportunità per trattare su larga scala i pazienti, indipendentemente dalla mutazione genica”.

La ricerca è frutto di RePiSTOP, un progetto di ricerca di interesse nazionale del 2022 finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca.

Link articolo scientifico “Targeting Relevant HDACs to Support the Survival of Cone Photoreceptors in Inherited Retinal Diseases: Identification of a Potent Pharmacological Tool with In Vitro and In Vivo Efficacy”, Journal of Medicinal Chemistry, DOI10.1021/acs.jmedchem.4c00477

J. Med. Chem. 2024, 67, 17, 14946–14973, Link:https://doi.org/10.1021/acs.jmedchem.4c00477
Pubblicato il 4 Luglio 2024
Copyright © 2024 American Chemical Society
J. Med. Chem. 2024, 67, 17, 14946–14973, Link:
https://doi.org/10.1021/acs.jmedchem.4c00477
Pubblicato il 4 Luglio 2024
Copyright © 2024 American Chemical Society

Testo e immagine dall’Ufficio Stampa dell’Università di Pisa

Progetto CO-TRANS-NET: farmaci sintetici personalizzati a base di RNA, giovane ricercatrice vince l’ERC Starting Grant

Sempre più vicina la possibilità di creare farmaci su misura del paziente oncologico e della sua malattia e garantire diagnosi ad personam, anche via smartphone

Progetto CO-TRANS-NET farmaci molecola RNA funzionale - crediti per l'immagine: Marco Tripodi, Università Roma Tor Vergata
molecola RNA funzionale – crediti per l’immagine: Marco Tripodi, Università Roma Tor Vergata

Roma, 5 settembre 2024 – Simona Ranallo, 37 anni, romana, attualmente ricercatrice presso il dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche dell’Università di Roma Tor Vergata, si aggiudica – unica vincitrice Starting Grant nell’Ateneo – l’ERC Starting Grant 2024, il finanziamento di 1.5 milioni di euro che l’Europa elargisce alle migliori linee di ricerca ogni anno, per il progetto CO-TRANS-NET “Synthetic nucleic acid co-transcriptional networks as diagnostic and therapeutic tools”.

I suoi studi per la ricerca sul cancro l’hanno portata a interessarsi delle interazioni molecolari che avvengono all’interno della cellula e nel corpo umano.

“Ciò che maggiormente ha stimolato la mia curiosità – spiega Simona Ranallo – è sempre stato cercare di migliorare la diagnosi e il trattamento di diverse malattie, incluso il cancro, partendo dallo studio di come funziona la vita. Attraverso processi altamente controllati la cellula è in grado di leggere l’informazione contenuta nel nostro DNA e tradurla in molecole funzionali, quali RNA e proteine, che giocano ruoli chiave nella regolazione delle funzioni vitali e della salute”.

“Ed è proprio da questo concetto – sottolinea la ricercatrice – che nasce l’idea di CO-TRANS-NET (acronimo di Cotranscriptional networks): sviluppare sistemi basati su geni sintetici che, in risposta a specifici biomarcatori tumorali, sono in grado di produrre molecole di RNA funzionali che possono generare un segnale diagnostico o avere funzioni terapeutiche. In questo modo CO-TRANS-NET si pone l’obiettivo di generare una nuova classe di strumenti teranostici, che attraverso l’utilizzo delle nanotecnologie, integrano la diagnosi e la terapia in modo tale che possano essere ottenute simultaneamente”.

L’innovazione del progetto CO-TRANS-NET risiede quindi in una importante scoperta.

“La possibilità di produrre un farmaco a base di RNA in risposta alla presenza di specifici biomarcatori tumorali rappresenta la vera innovazione di CO-TRANS-NET. In questo modo si potrebbe pensare di produrre un farmaco “on demand” quando il livello di un biomarcatore supera il suo specifico range fisiologico, diventando quindi una sorta di allarme e rappresentando una possibilità di trattamento precoce. Si riuscirebbe così ad amministrare la dose di farmaco da somministrare in base alla necessità specifica di ogni singolo paziente, correlata allo stadio della sua malattia”.

La dottoressa Ranallo sottolinea anche le caratteristiche peculiari e la versatilità del progetto:

“CO-TRANS-NET oltre a garantire un monitoraggio costante e un trattamento terapeutico personalizzato rappresenta un innovativo strumento diagnostico in cui in tempi rapidi e senza necessità di apparecchiature di laboratorio ma utilizzando solamente uno smartphone si potrà misurare il livello di biomarcatori tumorali nel sangue dei pazienti con elevata precisione, proprio come il glucometro utilizzato dai pazienti diabetici. Le innovazioni proposte da CO-TRANS-NET in campo diagnostico e terapeutico rappresentano importanti progressi verso la medicina personalizzata e di precisione”.

Il progetto CO-TRANS-NET ha una durata di cinque anni e rientra nel 44% di Starting Grant 2024 vinti da ricercatrici, percentuale in costante aumento negli ultimi anni secondo quanto rivela lo European Research Council. Lo ERC Starting Grant, che per l’anno in corso ha potuto contare su un finanziamento di circa 780 milioni di euro complessivi, supporta giovani ricercatori e ricercatrici all’inizio della loro carriera nelle loro ricerche all’avanguardia.

Simona Ranallo
Simona Ranallo

Biografia

Simona Ranallo si laurea in chimica all’università di Roma Tor Vergata e qui ottiene il dottorato in Scienze chimiche portando avanti la sua ricerca nel Laboratorio di Chimica analitica del dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche. Durante il PhD è stata Visiting Researcher presso la University of California Santa Barbara e l’Université de Montréal.

Ha ottenuto finanziamenti post doc dalla Fondazione Umberto Veronesi per continuare la sua ricerca sul cancro e nel 2018 è risultata vincitrice di una Marie Skłodowska-Curie Post Doctoral Global Fellowship, finanziata dalla Comunità Europea. Grazie a questo finanziamento ha svolto due anni di ricerca presso la University of California Santa Barbara per poi tornare nell’ultimo anno di ricerca del finanziamento presso il dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche di Roma Tor Vergata, dove attualmente lavora come ricercatrice nel gruppo di ricerca coordinato dal professor Francesco Ricci.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa Università di Roma Tor Vergata

I CARABINIERI TUTELA PATRIMONIO CULTURALE RESTITUISCONO AL NOBILE COLLEGIO CHIMICO FARMACEUTICO DI ROMA UN TESTO RARO DEL XVII SECOLO, UNIVERSALE THEATRO FARMACEUTICO DI ANTONIO DE SGOBBIS

Un importante testo raro del 1682 “Universale Theatro Farmaceutico” dell’autore Antonio De Sgobbis, farmacista veneziano, è stato recuperato dal Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Monza. Il bene era stato sottratto nell’anno 1985 dal Nobile Collegio Chimico Farmaceutico di Roma e da allora se ne erano perse le tracce, fino alla sua recente comparsa nel mercato antiquario.

La ricomparsa dell’opera non è passata inosservata al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, che quotidianamente svolge attività preventiva di controllo e monitoraggio del settore, avvalendosi del supporto tecnologico della Banca Dati dei Beni Culturali Illecitamente Sottratti.

Il riscontro positivo scaturito dalla verifica e la successiva attività d’indagine condotta dal Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Monza, coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Como, hanno permesso il recupero dell’opera e la restituzione all’ente di provenienza.

L’Autore, Antonio De Sgobbis, nato e cresciuto a Montagnana intorno al 1600, è stato un importante speziale della Serenissima, diventato famoso farmacista a Venezia dove possedeva una spezieria all’insegna dello struzzo situata nella centralissima zona delle Mercerie.

La sua farmacia divenne un centro di sperimentazione della chimica farmaceutica veneziana che, grazie alla sua passione e curiosità, diede origine alla pubblicazione di diversi testi, fra i quali anche l’Universale Theatro Farmaceutico.

Il volume, che rese l’autore famoso in tutta Europa e di cui si conoscono pochissime copie, rappresenta un’opera strutturata e dettagliata molto rara per l’epoca, una specie di prototipo enciclopedico piuttosto che un manuale di uso pratico da riporre e consultare in farmacia.

Il testo, in folio, ricchissimo di riferimenti bibliografici che per la loro ampiezza e ponderatezza aiutano a comprendere l’arte farmaceutica seicentesca, si compone di più di 800 pagine, corredate da tavole e tabelle di considerevole valore e dal ritratto dell’autore insieme a quello dei colleghi Giorgio Melichio e Alberto Stecchini.

Inoltre, a rendere particolarmente pregevole tale opera fu anche la scelta dell’editore, la Stamperia Baglioni di Venezia divenuta molto famosa già nel 1607 per essere stata scelta da Galileo Galilei per la sua Difesa contro le accuse di Baldassare Capra e il Sidereus Nuncius. Un’opera, quindi, che nella sua monumentalità resta una testimonianza unica e originale dell’appassionato esercizio della farmacopea privata a Venezia che, dopo ben 39 anni e grazie all’attività del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Monza, è potuta tornare al Nobile Collegio Chimico Farmaceutico di Roma.

Testo e immagini  dall’Ufficio Stampa Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale sull’Operazione Pandora VIII

La proteina SALL4, un nuovo bersaglio nella battaglia contro il medulloblastoma
Il gruppo coordinato da Lucia Di Marcotullio, del Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza Università di Roma, ha realizzato uno studio pionieristico sul ruolo della proteina SALL4 e della sua inibizione nel trattamento del medulloblastoma, un tumore cerebrale pediatrico. I risultati, ottenuti grazie al sostegno di AIRC, sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Cell Death & Differentiation e premiati al 35° Meeting internazionale dell’Associazione italiana colture cellulari.

Da anni il gruppo guidato da Lucia Di Marcotullio svolge ricerche in campo oncologico nei laboratori della Sapienza di Roma per comprendere i meccanismi molecolari e identificare vie terapeutiche innovative. Di recente il gruppo ha aggiunto un nuovo tassello per chiarire e curare meglio il medulloblastoma, uno dei tumori cerebrali pediatrici più aggressivi.

Lo studio ha permesso di identificare per la prima volta la proteina SALL4 quale importante regolatore della via di segnalazione di Hedgehog, essenziale per lo sviluppo embrionale.  Di Marcotullio e colleghe hanno inoltre chiarito che l’anomalo accumulo della proteina interferisce con questa via di segnalazione, provocandone l’attivazione e la conseguente crescita tumorale.

Uno degli aspetti più promettenti dei risultati ottenuti riguarda alcuni dati che suggeriscono l’uso della talidomide quale strategia terapeutica per indurre la degradazione di SALL4 nei tumori che la esprimono in eccesso. L’inibizione di SALL4 si è rilevata infatti efficace sia nel bloccare la crescita delle cellule tumorali, sia nel contrastare la controparte staminale del tumore, responsabile di recidive e del fallimento delle attuali terapie.

La talidomide, nota per il suo ruolo nella storia come farmaco con effetti altamente tossici per il feto, ha però mostrato un nuovo volto nel campo delle terapie anti-tumorali. Attualmente è utilizzata nel trattamento del mieloma multiplo. In studi clinici in corso si sta valutando la sua possibile efficacia per la cura dei tumori cerebrali, incluso il medulloblastoma, offrendo una prospettiva promettente e innovativa.

“Per fornire dati a sostegno dell’uso di farmaci che inducono la degradazione di SALL4 nel trattamento di questo tumore pediatrico, abbiamo impiegato un approccio multidisciplinare, combinando tecniche di biologia molecolare, analisi di espressione genica, studi di interazione proteina-proteina ed esperimenti preclinici con topi di laboratorio con medulloblastoma”.

Le parole sono di Lucia Di Marcotullio insieme alle ricercatrici che hanno condotto lo studio: Ludovica Lospinoso Severini, che ha ricevuto una borsa di studio AIRC, e le colleghe Elena Loricchio e Shirin Navacci. La ricerca si è svolta prevalentemente presso il Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza, in collaborazione con l’Istituto Curie d’Orsay, in Francia, e dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cell Death & Differentiation.

“Il passaggio dai risultati della ricerca scientifica alla possibile applicazione nei pazienti – spiega Di Marcotullio – si potrebbe tradurre in un beneficio pubblico, obiettivo ultimo di un lavoro tenace svolto tra banconi di laboratorio, pazienti da seguire, cellule e topolini da accudire, idee da perseverare, ipotesi da dimostrare e, soprattutto, dedizione e costanza”. Le ricercatrici ringraziano Fondazione AIRC per sostenere da decenni la ricerca contro il cancro in Italia con preziosi finanziamenti, e in particolare per avere reso possibile il progetto e assegnato una borsa di studio a Ludovica Lospinoso Severini, prima autrice dell’articolo.

Medulloblastoma
Foto di 藤澤孝志, CC BY-SA 4.0

Riferimenti bibliografici:

SALL4 is a CRL3REN/KCTD11 substrate that drives Sonic Hedgehog-dependent medulloblastoma – Ludovica Lospinoso Severini, Elena Loricchio, Shirin Navacci, Irene Basili, Romina Alfonsi, Flavia Bernardi, Marta Moretti, Marilisa Conenna, Antonino Cucinotta, Sonia Coni, Marialaura Petroni, Enrico De Smaele, Giuseppe Giannini, Marella Maroder, Gianluca Canettieri, Angela Mastronuzzi, Daniele Guardavaccaro, Olivier Ayrault, Paola Infante, Francesca Bufalieri & Lucia Di Marcotullio – Cell Death & Differentiation – Doi: https://doi.org/10.1038/s41418-023-01246-6

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Dalla guerra alla speranza

Le immagini provenienti dall’Ucraina mostrano, purtroppo da mesi, sofferenza e distruzione. Una situazione ancora più gravosa se si è malati. A volte, però, vi è speranza. Nel marzo scorso, quando la guerra imperversava su più fronti del territorio ucraino, due sorelle trentenni, affette da epidermolisi bollosa, sono riuscite a fuggire e a salvarsi, grazie all’associazione “Le Ali di Camilla”. Sono giunte a Modena, per essere assistite nelle cure di cui hanno bisogno presso il Policlinico cittadino, un’eccellenza internazionale per questa malattia rara. L’associazione, dal luglio 2019, aiuta i pazienti che si recano a Modena per le cure, supporta la ricerca scientifica sulla patologia e fa parte dell’Alleanza Malattie Rare (AMR). Inoltre, è impegnata nell’invio di farmaci e medicazioni all’estero, su richiesta delle associazioni locali coordinate da Debra International (l’associazione internazionale di raccordo tra tutte le associazioni locali che nei vari Stati supportano le famiglie dei pazienti), e nel trasferimento e accoglienza delle famiglie che hanno lasciato l’Ucraina per venire in Italia. Il supporto non è stato solo sanitario: in poco tempo, diverse associazioni locali e comuni cittadini si sono attivati per accogliere.

Immagine di Elena Mozhvilo

Epidermolisi bollosa

L’epidermolisi bollosa (EB) è una malattia genetica ereditaria, rara e invalidante, che provoca eruzione cutanea grave con vescicole e cicatrizzazione, e lesioni delle mucose interne (comprese quelle della bocca, della gola, degli occhi e dell’ano). Queste si verificano spontaneamente o a causa di una lieve frizione. La patologia è più nota come “sindrome dei bambini farfalla” perché i pazienti sono molto fragili come le ali di una farfalla.

L’epidermolisi bollosa può trasmettersi secondo due modalità: la prima è autosomica dominante, cioè un genitore malato ha il 50% di probabilità di trasmettere la patologia alla progenie; la seconda è autosomica recessiva, ossia genitori portatori sani della malattia avranno il 25% di probabilità di avere un figlio malato (è possibile la diagnosi prenatale in gravidanza). A livello mondiale, la prevalenza è 1:17.000 nati, mentre in Italia 1:82.000. La più recente classificazione distingue quattro tipologie principali della malattia, a seconda del gene mutato: simplex, distrofica, giunzionale e Kindler. La forma meno grave, responsabile di più del 50% dei casi, è la variante simplex, perché le bolle si formano più spesso solo a livello delle mani e dei piedi. Invece, la forma distrofica è causata dal danneggiamento o dall’assenza di placche di ancoraggio, costituite da una proteina chiamata collagene di tipo VII, presenti nelle giunzioni tra epidermide e derma, e che mantengono adese le cellule fra loro. In tal caso la formazione di bolle è generalizzata, costante e lascia cicatrici. La forma giunzionale può essere letale fin dalla prima infanzia, poiché le lesioni lasciano la persona esposta agli agenti esterni e, quindi, particolarmente suscettibile di infezioni. Infine, nella EB di Kindler le lesioni, indotte da azione meccanica, si possono formare in diversi strati della pelle. 

La diagnosi consiste nell’’osservazione clinica, seguita dalla biopsia della pelle, e dai test genetici di conferma.

Epidermolisi bollosa
Immagine di Alfred Schrock

Il primo farmaco specifico per la EB

Il primo trattamento autorizzato per la EB e Filsuvez della Amryt Pharmaceuticals DAC. È un gel per uso topico, cioè l’azione farmacologica si esplica direttamente sulla cute o la mucosa dove è applicata, per il trattamento di ferite che interessano gli strati superiori della pelle. Tale farmaco, qualificato come “medicinale orfano” (cioè utilizzato nelle malattie rare) è indicato per pazienti con malattia in forma giunzionale o distrofica. Filsuvez contiene un estratto secco di due specie di corteccia di betulla costituita da sostanze presenti in natura denominate triterpeni.

Il più ampio studio globale mai condotto su pazienti affetti da EB è lo quello di Fase III EASE, condotto su 223 pazienti. Il 41% dei soggetti trattati con Filsuvez e con la medicazione ha mostrato un recupero completo della ferita entro 45 giorni, rispetto a coloro che che hanno ricevuto un trattamento fittizio e la medicazione (29%). Dopo 90 giorni non è stata osservata alcuna differenza rispetto al gel di controllo. Pur essendo modesti, gli effetti sono stati considerati clinicamente significativi per i pazienti con forma distrofica e giunzionale. Inoltre, il medicinale ha evidenziato un profilo di sicurezza accettabile, con effetti indesiderati localizzati e gestibili. Pertanto l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha deciso che i benefici di Filsuvez sono superiori ai rischi e che il suo uso può essere autorizzato nell’UE.

Immagine di Diana Polekhina

La terapia genica per l’epidermolisi bollosa giunzionale

Negli ultimi anni le prospettive di cura non hanno riguardato solo lo sviluppo di nuovo farmaci: la terapia genica ha mostrato che i bambini farfalla possono essere curati. Gli studi del professor Michele De Luca e della professoressa Graziella Pellegrini del Centro di Medicina rigenerativa “Stefano Ferrari” hanno aperto la strada ad un campo di ricerca in continua crescita. La ricerca italiana di Holostem e di altre realtà accademiche e cliniche europee ha permesso di mettere a punto una terapia genica utile per l’EB giunzionale. È ormai entrato nella storia della medicina il caso del piccolo rifugiato siriano Hassan, accolto in Germania insieme alla sua famiglia nel 2015. Il paziente mostrava gravi danni alla pelle, esponendolo ad un elevato rischio di morte. I ricercatori italiani prelevarono parte delle sue cellule staminali e le coltivarono in laboratorio con l’intento di correggere il difetto genetico e ottenere una nuova pelle. Tale approccio è detto terapia genica ex-vivo, ossia prevede l’allestimento di colture autologhe – ovvero dello stesso paziente – di epidermide geneticamente corretta. Obiettivo raggiunto e terapia di successo: la nuova pelle fu reimpiantata con 3 operazioni allo University Children’s Hospital di Bochum e consentì di ricostruire diverse aree del corpo. Dal 2015 ad oggi, il bambino è stato seguito dal punto di vista clinico e, nel 2021, i risultati del follow-up biologico-molecolare sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine. Sono stati eseguiti test clinici, cellulari e molecolari, dimostrando, tra i numerosi parametri considerati, la ricostruzione del sistema immunitario della pelle e un adeguato livello di idratazione delle stesse aree con la presenza di ghiandole sebacee e sudoripare. Inoltre, il trattamento si è dimostrato sicuro, confermando i risultati ottenuti in vitro in oltre 30 anni di ricerca di base.

Immagine di Rossoporpora, CC BY-SA 3.0

La terapia genica per l’epidermolisi bollosa distrofica

Il gene COL7A1, responsabile della produzione della proteina collagene di tipo VII, è mutato nei pazienti affetti da EB distrofica. I ricercatori della Stanford University School of Medicine hanno sviluppato una terapia genica “in vivo” per correggere il difetto. Beremagene geperpavec è una terapia genica non invasiva, applicata come un “gel” ad uso topico. Alla base del trattamento vi è virus modificato (Herpes simplex virus) che contiene il gene corretto per fornire alle cellule della pelle del paziente “uno stampo” da cui produrre la proteina. Al termine degli studi di fase I e II, la terapia genica si è dimostrata sicura ed efficace nel promuovere la guarigione delle lesioni. I risultati positivi hanno dato il via allo studio di fase III prima dell’eventuale commercializzazione.

Sebbene la strada verso la completa guarigione dei diversi e numerosi casi di epidermolisi bollosa sia lunga, la ricerca di base si conferma un tassello fondamentale per la medicina translazionale. Modena è sempre più un punto di riferimento nazionale e internazionale per la medicina rigenerativa avanzata basata su colture di cellule staminali epiteliali per terapia cellulare e genica per pazienti privi di alternative terapeutiche.

Immagine di Braňo

Fonti:

 

epidermolisi bollosa
Immagine di Thomas Kinto

ATTUALI FARMACI E NUOVE MUTAZIONI DEL SARS-COV-2 

LO STUDIO COMPUTAZIONALE DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA

Tutti i mutanti che hanno sperimentalmente dimostrato una riduzione di attività nei confronti dei farmaci antivirali analizzati sono stati correttamente “predetti” dalla ricerca computazionale della Sezione di Modellistica Molecolare del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università di Padova

Una delle domande più insidiose nell’ambito del trattamento terapeutico antivirale di SARS-CoV-2 è relativa a quanto gli attuali farmaci in uso possano essere efficaci sulle nuove mutazioni che la “macchina virale” potrebbe mettere in campo nel corso del tempo.

Per rispondere al quesito il gruppo di ricerca internazionale coordinato dalla prof.ssa Dorothee von Laer della Divisione di Virologia della Innsbruck Medical University ha pensato di precorrere i tempi andando a costruire in laboratorio tutte le possibili variazioni (mutazioni) di una delle proteine bersaglio di una importante famiglia di farmaci antivirali contro la proteasi principale del virus, denominata 3CLpro.

Attuali farmaci e nuove mutazioni del SARS-CoV-2; lo studio computazionale dell'Università degli Studi di Padova
Immagine di Gerd Altmann

L’efficacia dei farmaci in uso, come nirmatrelvir o ensitrelvir, è stata quindi determinata sperimentalmente per anticipare quali, tra le possibili nuove mutazioni, potrebbe ridurre o eliminare la loro efficacia terapeutica. Alla ricerca dal titolo “SARS-CoV-2 3CLpro mutations selected in a VSV-based system confer resistance to nirmatrelvir, ensitrelvir, and GC376” pubblicata su «Science Translational Medicine» ha partecipato la Sezione di Modellistica Molecolare del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università di Padova, coordinata dal Professor Stefano Moro,  che ha come missione lo sviluppo e l’applicazione di metodologie informatico-computazionali con l’obiettivo principale di supportare la progettazione, identificazione e ottimizzazione di nuovi candidati farmaci.

Parallelamente al lavoro sperimentale svolto dai colleghi austriaci, il gruppo di ricerca padovano ha effettuato lo stesso studio utilizzando delle tecniche computazionali: sia tutti i mutanti della proteina 3CLpro che le loro interazioni con i farmaci antivirali sono stati simulati con l’obiettivo di avere un riscontro sulla capacità predittiva di questi metodi che consentirebbero, qualora si dimostrassero accurati, una importante riduzione dei tempi di accesso a queste informazioni ed una conseguente riduzione dei costi della ricerca.

Un importante risultato ottenuto da questo studio è che tutti i mutanti che hanno sperimentalmente dimostrato una riduzione di attività nei confronti dei farmaci antivirali analizzati sono stati correttamente predetti dallo studio computazionale padovano, consentendo inoltre di interpretarne a livello molecolare le motivazioni analizzando le singole interazioni tra farmaco e proteina che venivano a modificarsi nei vari mutanti.

«La buona capacità predittiva dei metodi computazionali utilizzati in questo studio – dicono gli autori del team del Dipartimento di Scienze del Farmaco Matteo Pavan, Davide Bassani e Stefano Moro – apre alla possibilità del loro utilizzo anche per altri bersagli molecolari di interesse terapeutico, per i quali l’aspetto della resistenza rappresenta un problema clinico rilevante, fornendo un supporto alle tecniche sperimentali di biologia molecolare e biochimica utilizzate di routine nella identificazione di nuovi candidati farmaci».

La Sezione di Modellistica Molecolare del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università di Padova che ha come missione lo sviluppo e l’applicazione di metodologie informatico-computazionali con l’obiettivo principale di supportare la progettazione, identificazione e ottimizzazione di nuovi candidati farmaci. Esso costituisce l’interfaccia tra i laboratori biologici/farmacologici e chimici del Dipartimento aggiungendo le proprie competenze computazionali in base alle necessità di sintesi organica, fitochimica, biochimica, biologia molecolare e farmacologia. L’obiettivo è quello di affrontare i problemi della chimica medicinale e della medicina in collaborazione con gli esperti del settore sviluppando nuove strategie per la progettazione e la scoperta di farmaci integrando informatica, chimica, biologia e medicina. Attualmente MMS utilizza strategie chimiche e strutturali per comprendere i meccanismi di base delle malattie umane e scoprire una nuova generazione di farmaci.

Link alla ricerca: https://www.science.org/doi/10.1126/scitranslmed.abq7360

Titolo: “SARS-CoV-2 3CLpro mutations selected in a VSV-based system confer resistance to nirmatrelvir, ensitrelvir, and GC376” – «Science Translational Medicine» 2022

Autori: Emmanuel Heilmann, Francesco Costacurta, Arad Moghadasi, Chengjin Ye, Matteo Pavan, Davide Bassani, Andre Volland, Claudia Ascher, Alexander Kurt, Hermann Weiss, David Bante, Reuben S. Harris, Stefano Moro, Bernhard Rupp, Luis Martinez-Sobrido and Dorothee von Laer.

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova

UN GEL LUBRIFICANTE A BASE DI MUCO ANIMALE EFFICACE CONTRO LE INFEZIONI VIRALI

La scoperta del KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma, in collaborazione con l’Università di Torino, potrebbe essere la risposta alle malattie sessualmente trasmissibili come Herpes e HIV

Una ricerca del KTH Royal Institute of Technology di Stoccolma, condotta in collaborazione con Sonia Visentin e Cosmin Stefan Butnarasu del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino, ha sviluppato un gel sintetico a base di muco bovino in grado di ridurre in vitro del 70% la virulenza del virus HIV-1 e dell’80% quella dell’HSV-2.

Una mucca - Un gel lubrificante a base di muco animale efficace contro infezioni virali come HIV-1 e HSV-2, lo studio pubblicato su Advanced Science
Un gel lubrificante a base di muco animale efficace contro infezioni virali come HIV-1 e HSV-2, lo studio pubblicato su Advanced Science. Foto di Ulrike Leone

I risultati sono stati pubblicati il 14 settembre su Advanced Science. Oltre a KTH e UniTo, al progetto hanno contribuito anche ricercatori del Technical University of Munich (TUM) e del Karolinska Institutet (KI). Il gel sviluppato dai ricercatori deriva dalla mucina, la principale glicoproteina del muco che riveste tutte le superfici umide del nostro organismo. Le molecole di mucina possono legarsi e formare un gel tridimensionale in grado di intrappolare le particelle virali, eliminandole successivamente attraverso il naturale ricambio del muco.

“Il gel sviluppato – dichiara Hongji Yan, ricercatore del KTH e leader del progetto – replica la funzione di autorigenerazione, proprietà fondamentale del materiale che consente la lubrificazione e la profilassi del muco contro le infezioni. La ragione per cui il gel sintetico è così efficace nel ridurre la virulenza di HIV e HSV, senza il rischio di effetti collaterali o sviluppo di resistenza come con altri composti antivirali, deriva dalla naturale complessità delle mucine. Tali proprietà sarebbero difficili da ottenere con un tipo di polimero diverso dalle mucine. Inoltre, le mucine utilizzate per sintetizzare il gel riducono anche l’attivazione delle cellule immunitarie, le quali, quando attivate, facilitano la replicazione e la diffusione dell’HIV”.

“Da tempo nei nostri laboratori UniTo ci occupiamo di mucine in ambito farmaceutico. Lo studio, condotto in collaborazione con i ricercatori del KTH, è un’ulteriore prova delle potenzialità che le mucine possono avere in ambito biomedico – aggiunge Sonia Visentin, docente del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute UniTo. Oltre all’applicazione in ambito antivirale, il nostro laboratorio studia anche l’impatto che la mucina esercita sull’attività dei farmaci, ma anche il suo utilizzo come veicolo per principi attivi. Negli ultimi decenni la ricerca globale ha permesso di comprendere meglio la struttura e le funzioni di questa proteina. Solo recentemente però si è capito l’enorme versatilità che la mucina ha in ambito farmaceutico e biotecnologico”.

Dal punto di vista applicativo il gel potrebbe aiutare molte persone a gestire un maggiore controllo sulla propria attività sessuale, salvaguardando la salute ed esponendo a minori rischi. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)ogni giorno più di 1 milione di malattie sessualmente trasmissibili vengono acquisite in tutto il mondo e la maggior parte di esse sono asintomatiche. L’AIDS, la malattia causata dall’HIV, rimane ad oggi un’epidemia globale contando più di 1.5 milioni di casi nel solo 2021.

 

Testo dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino

Terapia innovativa contro il cancro alla prostata. Via libera dell’Aifa

Il progetto TITAN, in cui la Sapienza è stata centro coordinatore per l’Italia, ha individuato un nuovo trattamento per il tumore alla prostata metastatico. Dopo gli enti regolatori europeo e americano, anche l’Aifa ne ha approvato la prescrivibilità e la rimborsabilità.

 

Il carcinoma della prostata è il tumore più frequente nell’uomo ed è difficile da diagnosticare soprattutto nelle fasi iniziali. Infatti, non è individuabile con una semplice ecografia, ma occorrono visite urologiche approfondite e il monitoraggio periodico dell’antigene prostatico specifico (PSA), un enzima che ha la funzione di mantenere la fluidità del liquido seminale e la cui quantità aumenta in caso di tumore alla prostata.

Il progetto TITAN, coordinato in Sapienza e per l’Italia da Alessandro Sciarra del Dipartimento Materno Infantile e Scienze Urologiche, ha dimostrato i vantaggi di una nuova terapia sistemica con apalutamide per il trattamento del carcinoma alla prostata metastatico. Questa ricerca multicentrica e internazionale è stata oggetto di diverse pubblicazioni sulla prestigiosa rivista New England Journal of Medicine.

Ora anche l’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha approvato la nuova terapia, dopo la validazione dell’ente statunitense Food and Drug Administration (FDA) e dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema) prevedendo l’uso dell’apalutamide, un composto in grado di inibire gli effetti biologici degli androgeni.

“Circa il 15 % dei tumori della prostata – spiega Alessandro Sciarra, – si presenta alla prima diagnosi già in fase metastatica e il 20% progredisce più o meno lentamente con lo sviluppo di metastasi dopo i trattamenti primari. Lo studio TITAN ha introdotto una modalità di trattamento di questo carcinoma alternativa alla classica terapia con la sola castrazione farmacologica. Ciò ha prodotto un significativo vantaggio per i pazienti sia in termini di sopravvivenza globale, che riguardo alla qualità di vita”.

Oltre a rallentare la progressione del tumore, prolungando la sopravvivenza dei pazienti, questo nuovo schema terapeutico ha un’ottima tollerabilità e una gestione del clinico relativamente semplice.

“Con la recente approvazione da parte degli enti regolatori Ema ed Aifa, questo nuovo trattamento – continua Alessandro Sciarra – può essere oggi prescritto e rimborsato, accedendo alle farmacie ospedaliere degli enti che hanno in carico i pazienti”.

“I risultati ottenuti con questo progetto permettono – conclude Alessandro Sciarra – di implementare le possibilità terapeutiche del paziente con carcinoma alla prostata metastatico e ormone-sensibile, sia alla prima diagnosi che progressivo, e rappresentano quindi un’alternativa vantaggiosa alle attuali terapie”.

 

ospedale terapia cancro alla prostata
Terapia innovativa contro il cancro alla prostata. Foto di tahabaz

 

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma sul via libera dell’AIFA, l’Agenzia italiana del farmaco, che ha approvato la nuova terapia che prevede l’uso di apalutamide per il trattamento del cancro alla prostata, dopo la validazione dell’ente statunitense Food and Drug Administration (FDA) e dell’Agenzia europea per i medicinali (Ema).

TUMORE AL PANCREAS, SCIENZIATI DI UNITO IDENTIFICANO UN NUOVO MARCATORE PER INDIRIZZARE MEGLIO LE TERAPIE

Lo studio pre-clinico pubblicato dalla prestigiosa rivista internazionale Gut dimostra come PI3K-C2γ giochi un ruolo chiave nello sviluppo di uno dei tumori attualmente più aggressivi

 

Un nuovo studio preclinico, svolto al Centro di Biotecnologie Molecolari “Guido Tarone” dell’Università di Torino, ha reso possibile la scoperta di una nuova terapia focalizzata per un sottogruppo di pazienti affetti da neoplasia maligna del pancreas. Il gruppo di ricerca guidato dalla Prof.ssa Miriam Martini e dal Prof. Emilio Hirsch ha dimostrato che la proteina PI3K-C2γ gioca un ruolo chiave nello sviluppo del tumore al pancreas. L’indagine scientifica ha permesso di far luce sui meccanismi di sviluppo di questo tumore e potrebbe consentire, in futuro, di massimizzare l’efficacia delle attuali opzioni terapeutiche di uno dei tumori attualmente più aggressivi.

Emilio Hirsch cause invecchiamento
Emilio Hirsch

In Italia, ogni anno vengono diagnosticati circa 13.000 nuovi casi di tumore al pancreas e la percentuale di sopravvivenza a 5 anni è meno del 10%. Si prevede che, entro il 2030, il tumore al pancreas diventi la seconda causa di morte oncologica. La gravità e la mancanza di trattamenti efficaci rendono necessari studi per la ricerca di nuove terapie e marcatori che possano aiutare a scegliere il farmaco più efficace. Per poter crescere, le cellule tumorali hanno bisogno di nutrienti e fonti d’energia.

proteina tumore del pancreas
Tumore al pancreas, un nuovo marcatore per indirizzare meglio le terapie. Anatomia del pancreas. Immagine BruceBlaus, Blausen.com staff. “Blausen gallery 2014”. Wikiversity Journal of Medicine. DOI:10.15347/wjm/2014.010. ISSN 20018762. – CC BY-SA 3.0

L’aggressività del tumore al pancreas è dovuta alla capacità di adattarsi in condizioni avverse, come ad esempio la scarsità di nutrienti e fonti energetiche, che vengono sfruttate dalle cellule per sopravvivere. Recentemente, sono stati sviluppati dei farmaci che impediscono l’utilizzo di tali nutrienti, come ad esempio la glutammina.

PI3K-C2γ controlla la via di segnalazione intracellulare di mTOR, che regola il metabolismo e la crescita della cellula, e influisce sull’utilizzo della glutammina per favorire la progressione tumorale. Nel tumore al pancreas, la proteina PI3K-C2γ non è presente in circa il 30% dei pazienti, i quali sviluppano una forma maggiormente aggressiva della malattia

La Dott.ssa Maria Chiara De Santis, primo autore dello studio pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale Gut, ha dimostrato che la perdita di PI3K-C2γ accelera lo sviluppo del tumore, ma allo stesso tempo rende più sensibili a farmaci che colpiscono mTOR e all’utilizzo della glutammina.

Lo studio guidato dagli scienziati di UniTo è stato frutto di un intenso lavoro di collaborazione con gruppi nel territorio italiano ed internazionale, tra cui quelli del Prof. Francesco Novelli, Prof.ssa Paola Cappello e Prof. Paolo Ettore Porporato (Università di Torino), Prof. Andrea Morandi (Università di Firenze), Prof. Vincenzo Corbo e Prof. Aldo Scarpa (Università di Verona), Prof. Gianluca Sala e Prof. Rossano Lattanzio (Università di Chieti) e Prof.ssa Elisa Giovannetti (Università di Amsterdam e Fondazione Pisana per la Scienza).

 

Testo dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino

Una nuova opzione terapeutica combatte efficacemente le complicanze cardiache e renali del diabete: gli effetti benefici sono diversi in base al sesso

Per la prima volta uno studio clinico coordinato dalla Sapienza rivela che l’uso quotidiano di tadalafil – un farmaco attualmente utilizzato per la disfuzione erettile – migliora la situazione cardiaca di pazienti diabetici solo di sesso maschile, mentre favorisce la funzione immunitaria e renale sia negli uomini che nelle donne. I risultati di questa ricerca sono pubblicati sulla rivista Science Translational Medicine.

Uomini e donne non rispondono allo stesso modo ai farmaci. Nonostante, siano ben riconosciute le differenze fra i due sessi in diverse patologie, ad esempio in quelle cardiovascolari, per anni gli studi clinici hanno trascurato questo aspetto anche in termini di progettazione degli studi stessi, coinvolgendo prevalentemente pazienti di sesso maschile.

opzione terapeutica complicanze cardiache e renali diabete
Una nuova opzione terapeutica combatte efficacemente le complicanze cardiache e renali del diabete: gli effetti benefici sono diversi in base al sesso. Credits: Andrea Isidori

Per la prima volta uno studio randomizzato, placebo controllato, è stato espressamente disegnato per studiare le differenze di sesso in pazienti diabetici, maschi e femmine, con cardiomiopatia diabetica, nella risposta al tadalafil, un farmaco testato inizialmente come vasodilatatori per combattere alcune patologie cardiovascolari e attualmente utilizzato per combattere la disfunzione erettile.

Accade spesso nella ricerca scientifica che un farmaco testato contro una malattia si dimostri efficace anche contro altre. È stato il caso degli inibitori della fosfodiesterasi di tipo 5 (PDE5i), come Viagra e Cialis. Per questo motivo, l’indicazione dei PDE5i virò al campo andrologico, determinando la fine dell’interesse “commerciale” per la ricerca in ambito cardiovascolare.

Tuttavia il gruppo di ricerca, coordinato da Andrea Isidori del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza, ha evidenziato i potenziali benefici dei PDE5i anche nel trattamento delle complicanze del diabete, identificando coloro che potrebbero trarre giovamento da questa classe di farmaci: gli uomini affetti da problemi microvascolari correlati alla patologia (disfunzione erettile, cardiomiopatia, malattia renale) e le donne in menopausa a rischio per malattia renale, aprendo scenari interessanti sul ruolo degli estrogeni nel mediare gli effetti dei farmaci a livello cardiaco.

“L’efficacia in campo andrologico dei PDE5i – continua Andrea Isidori – ha attirato l’attenzione della comunità medica a tal punto da far ignorare il loro possibile utilizzo nelle donne. Abbiamo quindi insistito nel voler indagare altri target di questi farmaci. Dopo aver dimostrato l’efficacia dei PDE5i sul rimodellamento cardiaco in uomini diabetici, abbiamo messo insieme, attraverso una metanalisi, tutte le evidenze scientifiche, riscontrando differenze legate al sesso nelle popolazioni di studio. Successivamente abbiamo scoperto che anche i reni possono essere target dei PDE5i. Oggi, con questo nuovo lavoro, abbiamo infine dimostrato come gli effetti dei PDE5i siano sesso e tessuto specifici, rivelando il notevole potenziale di questi farmaci, specialmente nell’ambito della medicina di precisione”.

Lo studio, nato dalla collaborazione tra i dipartimenti di Medicina sperimentale, di Scienze cliniche internistiche, anestesiologiche e cardiovascolari, di Medicina traslazionale e di precisione, di Scienze radiologiche, oncologiche e anatomo-patologiche della Sapienza e l’IRCCS Neuromed di Pozzilli, l’Università Campus bio-medico di Roma, l’Ospedale Fatebenefratelli e l’Università di Cagliari, è stato pubblicato sulla rivista Science Translational Medicine.

Tramite un approccio multidimensionale, che ha sfruttato la risonanza magnetica cardiaca, l’imaging renale vascolare, il profilo immunitario e i vari pattern molecolari analizzati tramite digital-PCR, gli autori hanno studiato ogni componente tra i tanti possibili target della PDE5.

“Siamo sicuri – aggiunge Andrea Isidori – che sia la mancanza di estrogeni il motivo per cui le donne non sono riuscite a raggiungere il miglioramento cardiaco osservato negli uomini. Le aziende farmaceutiche dovrebbero considerare che le donne in pre-menopausa e quelle in post-menopausa possono rispondere in modo diverso ai farmaci e, quindi, dovrebbero essere adeguatamente rappresentate negli studi clinici”.

È importante sottolineare che questi risultati sono stati raggiunti a fronte di effetti collaterali trascurabili, con un farmaco molto economico e fuori brevetto. In ogni caso, è sempre necessaria una prescrizione da parte del personale medico che possa monitorare i potenziali effetti avversi di questa classe di farmaci e soprattutto l’interazione con altri farmaci assunti.

 “La prescrizione di una terapia farmacologica deve tener conto – spiegano i primi autori Riccardo Pofi ed Elisa Giannetta del Dipartimento di Medicina sperimentale della Sapienza – del sesso, della menopausa, dello stadio della malattia, delle terapie farmacologiche concomitanti e, perché no, anche del costo della terapia. Questa ricerca dimostra che i PDE5i sono una classe di farmaci sicura e ben tollerata, di cui non dobbiamo aver paura, oltre a essere economica e con effetti benefici ad oggi ancora sottostimati”.

Riferimenti:

Sex-specific effects of daily tadalafil on diabetic heart kinetics in RECOGITO, a randomized, double-blind, placebo-controlled trial – Riccardo Pofi, Elisa Giannetta, Tiziana Feola, Nicola Galea, Federica Barbagallo, Federica Campolo, Roberto Badagliacca, Biagio Barbano, Federica Ciolina, Giuseppe Defeudis, Tiziana Filardi, Franz Sesti, Marianna Minnetti, Carmine D. Vizza, Patrizio Pasqualetti, Pierluigi Caboni, Iacopo Carbone, Marco Francone, Carlo Catalano, Paolo Pozzilli, Andrea Lenzi, Mary Anna Venneri, Daniele Gianfrilli, Andrea M. Isidori – Science Translational Medicine (2022) http://dx.doi.org/10.2139/ssrn.3745196


Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma sulla nuova opzione terapeutica per combattere le complicanze cardiache e renali del diabete