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436.000 PERSONE IN CONDIZIONI DI POVERTÀ SANITARIA nel 2024
+8.43% RISPETTO AL 2023
102.000 SONO MINORI

27/11/2024. Nell’anno in corso, 463.176 persone (7 residenti su 1.000) si sono trovate in condizioni di povertà sanitaria. Significa che hanno dovuto chiedere aiuto a una delle 2.011 realtà assistenziali convenzionate con Banco Farmaceutico per ricevere gratuitamente farmaci e cure che, altrimenti, non avrebbero potuto permettersi. Rispetto alle 427.177 del 2023, c’è stato un aumento del 8,43%.

LA SPESA FARMACEUTICA DELLE FAMIGLIE
Nel frattempo, per il settimo anno consecutivo, la spesa farmaceutica sostenuta dalle famiglie aumenta, ma la quota a carico del Servizio Sanitario Nazionale (SSN) diminuisce. Nel 2023 (ultimi dati AIFA disponibili) la spesa complessiva delle famiglie è pari a 23,64 miliardi di euro, 1,11 miliardi in più (+3%) rispetto al 2022 (quando la spesa era di 22,535 miliardi). Tuttavia, solo 12,99 miliardi di euro (il 55%) sono a carico del SSN (erano 12,61 nel 2022, pari al 56%). Restano 10,650 miliardi (45%) pagati interamente dalle famiglie (erano 9,91 nel 2022, pari al 44%).

Vuol dire che, rispetto all’anno precedente, le famiglie hanno pagato di tasca propria 731 milioni di euro in più (+7,4%). In 7 anni (2017-2023), la spesa farmaceutica a carico delle famiglie è cresciuta di 2,576 miliardi di euro (+31,9%). La quota a proprio carico riguarda tutte le famiglieanche quelle povere, che devono pagare interamente il costo dei farmaci da banco a cui si aggiunge (salvo esenzioni) il costo dei ticket.

IL LIBRO SULLA POVERTÀ SANITARIA
È quanto emerge dai nuovi dati sulla povertà sanitaria diffusi mercoledì 27 novembre da Banco Farmaceutico in occasione della presentazione, alla Camera dei Deputati, del libro Tra le crepe dell’universalismo – Disuguaglianze di salute, povertà sanitaria e Terzo settore in Italia (ed. il Mulino). Il volume, curato dall’Osservatorio sulla Povertà Sanitaria (organo scientifico del Banco, che ha sviluppato i nuovi dati sulla povertà sanitaria) è stato realizzato grazie al contributo incondizionato di ABOCA, IBSA Italy e DOC Generici.

IL PROFILO DEI POVERI SANITARI
Le persone in condizioni di povertà sanitaria sono prevalentemente uomini (pari al 54% del campione, contro il 46% delle donne) e persone in età adulta (18-64 anni, pari al 58%). Resta significativa la quota di minori, che sono 102.000 (pari al 22%), più degli anziani che corrispondono al 19% (88.000 unità). Sostanzialmente identica è la quota dei cittadini italiani (49%, pari a 225.594 unità) e di quelli stranieri (51%, pari a 237.583 unità). Considerando le condizioni di salute, i malati acuti (65%) superano in misura consistente i malati cronici (35%).

ANCHE LE FAMIGLIE NON POVERE RINUNCIANO ALLE CURE
Le difficoltà riguardano anche le famiglie non povere. I dati più recenti di Istat rilevano che, complessivamente, 4 milioni 422 mila famiglie (16,8% del totale, pari a circa 9 milioni 835 mila persone) hanno cercato di limitare la spesa per visite mediche e accertamenti periodici di carattere preventivo. Tra queste, 678 mila famiglie sono in condizioni di povertà assoluta (31% del totale, composte da circa 1 milione 765 mila persone), mentre 3 milioni 744 mila sono famiglie non povere.

Il contenimento della spesa sanitaria si persegue limitando il numero di visite e accertamenti, oppure rinviando e rinunciando a una parte delle cure necessarie. La strada della rinuncia è seguita, complessivamente, da ben 3 milioni 369 mila famiglie. Ha rinunciato almeno una volta il 24,5% delle famiglie povere, contro il 12,8% di quelle non povere. Significa che 536 mila famiglie indigenti sono particolarmente esposte al rischio di compromettere o peggiorare la propria salute.

«Contrastare la povertà sanitaria significa praticare gesti di gratuità in grado di aiutare, concretamente, le persone che hanno bisogno; ma anche approfondire il fenomeno attraverso un lavoro culturale che contribuisca a far prendere sempre più coscienza dell’entità del fenomeno, e dell’importanza di quel sistema di realtà del Terzo settore che, insieme alla sanità pubblica e privata, sta garantendo la sostenibilità di un Servizio Sanitario Nazionale il cui universalismo è sempre più a rischio. I dati e le analisi del nostro Osservatorio sulla Povertà Sanitaria raccontano di un Paese in cui le persone fragili faticano a prendersi cura della propria salute, ma indicano anche nella collaborazione ampia e consapevole tra tanti soggetti (realtà non profit, farmacisti, medici, aziende, cittadini e istituzioni) il metodo per rispondere alla loro esigenza di benessere integrale, fatto di esigenze fisiche, ma anche spirituali, di cure mediche e farmacologiche, ma anche di accoglienza e comprensione», ha dichiarato Sergio Daniotti, presidente della Fondazione Banco Farmaceutico ETS.

Banco Farmaceutico povertà sanitaria
Povertà sanitaria 2024: i numeri di Banco Farmaceutico

Testo e foto da Fondazione Banco Farmaceutico ETS.

Repistat: individuata una nuova molecola capace di rallentare la progressione della retinite pigmentosa

L’Università di Pisa partner dello studio che ha guadagnato la copertina del Journal of Medicinal Chemistry.

Si chiama REPISTAT, è una nuova molecola capace di rallentare la progressione della retinite pigmentosa, una rara patologia genetica che può portare negli anni alla totale cecità. La scoperta arriva da uno studio, che si è guadagnato la copertina del Journal of Medicinal Chemistry. A progettare e sintetizzare la molecola è stato un gruppo di ricerca di chimica farmaceutica dell’Ateneo di Siena in collaborazione, per le prove biologiche, con il Dipartimento di Farmacia dell’Ateneo pisano, e con l’Istituto di Neuroscienze del CNR – Pisa, la University College London e l’Università di Ferrara.

La sperimentazione è stata condotta in vitro e su modelli animali e la speranza è che in futuro REPISTAT possa essere alla base della formulazione di un nuovo farmaco, magari un collirio, capace di ritardare l’evoluzione della malattia.

“La retinite pigmentosa è una rara malattia genetica tuttora priva di una cura risolutiva, a causarla sono circa 200 mutazioni su una sessantina di geni, la cura più efficace è la terapia genica, con costi altissimi però, tanto che sono state attualmente sviluppate delle terapie solo per due mutazioni – spiega la professoressa Ilaria Piano del Dipartimento di Farmacia dell’Università di Pisa – ci sono tuttavia degli elementi che accomunano tutte le forme di retinite pigmentosa, come ad esempio i processi infiammatori, ossidativi o l’apoptosi, cioè il meccanismo che regola la morte programmata delle cellule. La molecola che abbiamo sviluppato è in grado di agire come modulatore epigenetico e attraverso questo meccanismo interviene proprio su questi processi aprendo un’opportunità per trattare su larga scala i pazienti, indipendentemente dalla mutazione genica”.

La ricerca è frutto di RePiSTOP, un progetto di ricerca di interesse nazionale del 2022 finanziato dal Ministero dell’Università e della Ricerca.

Link articolo scientifico “Targeting Relevant HDACs to Support the Survival of Cone Photoreceptors in Inherited Retinal Diseases: Identification of a Potent Pharmacological Tool with In Vitro and In Vivo Efficacy”, Journal of Medicinal Chemistry, DOI10.1021/acs.jmedchem.4c00477

J. Med. Chem. 2024, 67, 17, 14946–14973, Link:https://doi.org/10.1021/acs.jmedchem.4c00477
Pubblicato il 4 Luglio 2024
Copyright © 2024 American Chemical Society
J. Med. Chem. 2024, 67, 17, 14946–14973, Link:
https://doi.org/10.1021/acs.jmedchem.4c00477
Pubblicato il 4 Luglio 2024
Copyright © 2024 American Chemical Society

Testo e immagine dall’Ufficio Stampa dell’Università di Pisa

Progetto CO-TRANS-NET: farmaci sintetici personalizzati a base di RNA, giovane ricercatrice vince l’ERC Starting Grant

Sempre più vicina la possibilità di creare farmaci su misura del paziente oncologico e della sua malattia e garantire diagnosi ad personam, anche via smartphone

Progetto CO-TRANS-NET farmaci molecola RNA funzionale - crediti per l'immagine: Marco Tripodi, Università Roma Tor Vergata
molecola RNA funzionale – crediti per l’immagine: Marco Tripodi, Università Roma Tor Vergata

Roma, 5 settembre 2024 – Simona Ranallo, 37 anni, romana, attualmente ricercatrice presso il dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche dell’Università di Roma Tor Vergata, si aggiudica – unica vincitrice Starting Grant nell’Ateneo – l’ERC Starting Grant 2024, il finanziamento di 1.5 milioni di euro che l’Europa elargisce alle migliori linee di ricerca ogni anno, per il progetto CO-TRANS-NET “Synthetic nucleic acid co-transcriptional networks as diagnostic and therapeutic tools”.

I suoi studi per la ricerca sul cancro l’hanno portata a interessarsi delle interazioni molecolari che avvengono all’interno della cellula e nel corpo umano.

“Ciò che maggiormente ha stimolato la mia curiosità – spiega Simona Ranallo – è sempre stato cercare di migliorare la diagnosi e il trattamento di diverse malattie, incluso il cancro, partendo dallo studio di come funziona la vita. Attraverso processi altamente controllati la cellula è in grado di leggere l’informazione contenuta nel nostro DNA e tradurla in molecole funzionali, quali RNA e proteine, che giocano ruoli chiave nella regolazione delle funzioni vitali e della salute”.

“Ed è proprio da questo concetto – sottolinea la ricercatrice – che nasce l’idea di CO-TRANS-NET (acronimo di Cotranscriptional networks): sviluppare sistemi basati su geni sintetici che, in risposta a specifici biomarcatori tumorali, sono in grado di produrre molecole di RNA funzionali che possono generare un segnale diagnostico o avere funzioni terapeutiche. In questo modo CO-TRANS-NET si pone l’obiettivo di generare una nuova classe di strumenti teranostici, che attraverso l’utilizzo delle nanotecnologie, integrano la diagnosi e la terapia in modo tale che possano essere ottenute simultaneamente”.

L’innovazione del progetto CO-TRANS-NET risiede quindi in una importante scoperta.

“La possibilità di produrre un farmaco a base di RNA in risposta alla presenza di specifici biomarcatori tumorali rappresenta la vera innovazione di CO-TRANS-NET. In questo modo si potrebbe pensare di produrre un farmaco “on demand” quando il livello di un biomarcatore supera il suo specifico range fisiologico, diventando quindi una sorta di allarme e rappresentando una possibilità di trattamento precoce. Si riuscirebbe così ad amministrare la dose di farmaco da somministrare in base alla necessità specifica di ogni singolo paziente, correlata allo stadio della sua malattia”.

La dottoressa Ranallo sottolinea anche le caratteristiche peculiari e la versatilità del progetto:

“CO-TRANS-NET oltre a garantire un monitoraggio costante e un trattamento terapeutico personalizzato rappresenta un innovativo strumento diagnostico in cui in tempi rapidi e senza necessità di apparecchiature di laboratorio ma utilizzando solamente uno smartphone si potrà misurare il livello di biomarcatori tumorali nel sangue dei pazienti con elevata precisione, proprio come il glucometro utilizzato dai pazienti diabetici. Le innovazioni proposte da CO-TRANS-NET in campo diagnostico e terapeutico rappresentano importanti progressi verso la medicina personalizzata e di precisione”.

Il progetto CO-TRANS-NET ha una durata di cinque anni e rientra nel 44% di Starting Grant 2024 vinti da ricercatrici, percentuale in costante aumento negli ultimi anni secondo quanto rivela lo European Research Council. Lo ERC Starting Grant, che per l’anno in corso ha potuto contare su un finanziamento di circa 780 milioni di euro complessivi, supporta giovani ricercatori e ricercatrici all’inizio della loro carriera nelle loro ricerche all’avanguardia.

Simona Ranallo
Simona Ranallo

Biografia

Simona Ranallo si laurea in chimica all’università di Roma Tor Vergata e qui ottiene il dottorato in Scienze chimiche portando avanti la sua ricerca nel Laboratorio di Chimica analitica del dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche. Durante il PhD è stata Visiting Researcher presso la University of California Santa Barbara e l’Université de Montréal.

Ha ottenuto finanziamenti post doc dalla Fondazione Umberto Veronesi per continuare la sua ricerca sul cancro e nel 2018 è risultata vincitrice di una Marie Skłodowska-Curie Post Doctoral Global Fellowship, finanziata dalla Comunità Europea. Grazie a questo finanziamento ha svolto due anni di ricerca presso la University of California Santa Barbara per poi tornare nell’ultimo anno di ricerca del finanziamento presso il dipartimento di Scienze e tecnologie chimiche di Roma Tor Vergata, dove attualmente lavora come ricercatrice nel gruppo di ricerca coordinato dal professor Francesco Ricci.

Testo e immagini dall’Ufficio stampa Università di Roma Tor Vergata

I CARABINIERI TUTELA PATRIMONIO CULTURALE RESTITUISCONO AL NOBILE COLLEGIO CHIMICO FARMACEUTICO DI ROMA UN TESTO RARO DEL XVII SECOLO, UNIVERSALE THEATRO FARMACEUTICO DI ANTONIO DE SGOBBIS

Un importante testo raro del 1682 “Universale Theatro Farmaceutico” dell’autore Antonio De Sgobbis, farmacista veneziano, è stato recuperato dal Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Monza. Il bene era stato sottratto nell’anno 1985 dal Nobile Collegio Chimico Farmaceutico di Roma e da allora se ne erano perse le tracce, fino alla sua recente comparsa nel mercato antiquario.

La ricomparsa dell’opera non è passata inosservata al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale, che quotidianamente svolge attività preventiva di controllo e monitoraggio del settore, avvalendosi del supporto tecnologico della Banca Dati dei Beni Culturali Illecitamente Sottratti.

Il riscontro positivo scaturito dalla verifica e la successiva attività d’indagine condotta dal Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Monza, coordinata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Como, hanno permesso il recupero dell’opera e la restituzione all’ente di provenienza.

L’Autore, Antonio De Sgobbis, nato e cresciuto a Montagnana intorno al 1600, è stato un importante speziale della Serenissima, diventato famoso farmacista a Venezia dove possedeva una spezieria all’insegna dello struzzo situata nella centralissima zona delle Mercerie.

La sua farmacia divenne un centro di sperimentazione della chimica farmaceutica veneziana che, grazie alla sua passione e curiosità, diede origine alla pubblicazione di diversi testi, fra i quali anche l’Universale Theatro Farmaceutico.

Il volume, che rese l’autore famoso in tutta Europa e di cui si conoscono pochissime copie, rappresenta un’opera strutturata e dettagliata molto rara per l’epoca, una specie di prototipo enciclopedico piuttosto che un manuale di uso pratico da riporre e consultare in farmacia.

Il testo, in folio, ricchissimo di riferimenti bibliografici che per la loro ampiezza e ponderatezza aiutano a comprendere l’arte farmaceutica seicentesca, si compone di più di 800 pagine, corredate da tavole e tabelle di considerevole valore e dal ritratto dell’autore insieme a quello dei colleghi Giorgio Melichio e Alberto Stecchini.

Inoltre, a rendere particolarmente pregevole tale opera fu anche la scelta dell’editore, la Stamperia Baglioni di Venezia divenuta molto famosa già nel 1607 per essere stata scelta da Galileo Galilei per la sua Difesa contro le accuse di Baldassare Capra e il Sidereus Nuncius. Un’opera, quindi, che nella sua monumentalità resta una testimonianza unica e originale dell’appassionato esercizio della farmacopea privata a Venezia che, dopo ben 39 anni e grazie all’attività del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Monza, è potuta tornare al Nobile Collegio Chimico Farmaceutico di Roma.

Testo e immagini  dall’Ufficio Stampa Comando Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale sull’Operazione Pandora VIII

UNA NUOVA SPERANZA PER LA CURA DEL NEUROBLASTOMA INFANTILE: I RISULTATI DELLO STUDIO DELL’UNIVERSITÀ DI TORINO ASSIEME AD HARVARD

I dati della ricerca sostenuta dalla Fondazione AIRC, pubblicati sulla prestigiosa rivista “Cancer Cell”, promettono nuovi sviluppi nella lotta contro il neuroblastoma, un tumore pediatrico ancora difficile da curare.

 

Il neuroblastoma rappresenta una sfida complessa per la pediatria oncologica, il tasso di sopravvivenza a cinque anni per questo tumore si aggira intorno al 50% per i bambini con forme ad alto rischio. Tuttavia, i risultati di uno studio, condotto dal gruppo di ricerca guidato dal Prof. Roberto Chiarle del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università di Torino, e professore presso il Boston Children’s Hospital e la Harvard Medical School, ha delineato una nuova strategia terapeutica che potrebbe migliorare l’efficacia delle cure per questo tipo di tumore.

I ricercatori hanno in particolare dimostrato che l’utilizzo di cellule CAR T contro il recettore ALK, in combinazione con inibitori di ALK stesso, può portare a risultati promettenti nella cura del neuroblastoma. Le cellule CAR T sono cellule del paziente stesso, modificate in laboratorio in modo che in superficie abbiano un recettore chimerico in grado di riconoscere, in questo caso, il recettore ALK.

I risultati dello studio, sostenuto da Fondazione AIRC per la ricerca sul cancro, sono stati pubblicati sulla rivista Cancer Cell (https://pubmed.ncbi.nlm.nih.gov/38039964/).

La terapia con cellule CAR T è una potente arma emergente contro il cancro, che modifica le cellule T dei pazienti in modo che possano riconoscere e attaccare le cellule tumorali in modo più preciso e mirato. Ma le attuali terapie a base di CAR T sono solo parzialmente efficaci contro la maggior parte di tumori solidi, compreso il neuroblastoma, un tumore che in genere inizia nel tessuto nervoso dei bambini e può dare origine a metastasi in diverse aree del corpo.

Roberto Chiarle e colleghi hanno creato in laboratorio una nuova terapia cellulare di tipo CAR T per il neuroblastoma e sperano di iniziare presto a sperimentarla clinicamente nei bambini ad alto rischio. Queste CAR T mirano specificamente al recettore ALK, il cui gene è un noto oncogene implicato in molti altri tipi di tumore. Tuttavia, non tutti i pazienti affetti da neuroblastoma presentano livelli sufficientemente elevati di recettori ALK sulle cellule tumorali per attirare un forte attacco da parte delle cellule CAR T.

Guidato dalla ricercatrice Elisa Bergaggio, il gruppo di Chiarle ha provato ad aggiungere al trattamento con cellule CAR T un farmaco inibitore di ALK. Si è scoperto che l’inibitore non solo silenzia la segnalazione oncogenica da parte dei recettori ALK, ma aumenta anche il numero di questi recettori sulla superficie cellulare, offrendo più bersagli per le cellule CAR T nei pazienti con bassa espressione di ALK.

I risultati preclinici, pubblicati su Cancer Cell, hanno dimostrato l’efficacia di questa combinazione terapeutica in animali con neuroblastoma metastatico, con una significativa riduzione della crescita tumorale e un miglioramento nella sopravvivenza nei topi trattati.

A seguito di queste scoperte, il Dana-Farber/Boston Children’s Hospital sta preparando la richiesta di autorizzazione alla Food and Drug Administration (FDA) americana per avviare uno studio clinico su questa terapia combinata nei bambini affetti da neuroblastoma refrattario alle cure o da una recidiva della malattia. Tale studio clinico si svilupperà a Boston e sarà in parte sostenuto anche dal contributo di filantropi torinesi e piemontesi guidati da Lucio Zanon di Valgiurata.

tumori infantili RNA
Una ricerca per la cura del neuroblastoma infantile aggiunge al trattamento con cellule CAR T un farmaco inibitore di ALK. Foto di RyanMcGuire

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

La proteina SALL4, un nuovo bersaglio nella battaglia contro il medulloblastoma
Il gruppo coordinato da Lucia Di Marcotullio, del Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza Università di Roma, ha realizzato uno studio pionieristico sul ruolo della proteina SALL4 e della sua inibizione nel trattamento del medulloblastoma, un tumore cerebrale pediatrico. I risultati, ottenuti grazie al sostegno di AIRC, sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Cell Death & Differentiation e premiati al 35° Meeting internazionale dell’Associazione italiana colture cellulari.

Da anni il gruppo guidato da Lucia Di Marcotullio svolge ricerche in campo oncologico nei laboratori della Sapienza di Roma per comprendere i meccanismi molecolari e identificare vie terapeutiche innovative. Di recente il gruppo ha aggiunto un nuovo tassello per chiarire e curare meglio il medulloblastoma, uno dei tumori cerebrali pediatrici più aggressivi.

Lo studio ha permesso di identificare per la prima volta la proteina SALL4 quale importante regolatore della via di segnalazione di Hedgehog, essenziale per lo sviluppo embrionale.  Di Marcotullio e colleghe hanno inoltre chiarito che l’anomalo accumulo della proteina interferisce con questa via di segnalazione, provocandone l’attivazione e la conseguente crescita tumorale.

Uno degli aspetti più promettenti dei risultati ottenuti riguarda alcuni dati che suggeriscono l’uso della talidomide quale strategia terapeutica per indurre la degradazione di SALL4 nei tumori che la esprimono in eccesso. L’inibizione di SALL4 si è rilevata infatti efficace sia nel bloccare la crescita delle cellule tumorali, sia nel contrastare la controparte staminale del tumore, responsabile di recidive e del fallimento delle attuali terapie.

La talidomide, nota per il suo ruolo nella storia come farmaco con effetti altamente tossici per il feto, ha però mostrato un nuovo volto nel campo delle terapie anti-tumorali. Attualmente è utilizzata nel trattamento del mieloma multiplo. In studi clinici in corso si sta valutando la sua possibile efficacia per la cura dei tumori cerebrali, incluso il medulloblastoma, offrendo una prospettiva promettente e innovativa.

“Per fornire dati a sostegno dell’uso di farmaci che inducono la degradazione di SALL4 nel trattamento di questo tumore pediatrico, abbiamo impiegato un approccio multidisciplinare, combinando tecniche di biologia molecolare, analisi di espressione genica, studi di interazione proteina-proteina ed esperimenti preclinici con topi di laboratorio con medulloblastoma”.

Le parole sono di Lucia Di Marcotullio insieme alle ricercatrici che hanno condotto lo studio: Ludovica Lospinoso Severini, che ha ricevuto una borsa di studio AIRC, e le colleghe Elena Loricchio e Shirin Navacci. La ricerca si è svolta prevalentemente presso il Dipartimento di Medicina molecolare della Sapienza, in collaborazione con l’Istituto Curie d’Orsay, in Francia, e dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. I risultati sono stati pubblicati sulla rivista Cell Death & Differentiation.

“Il passaggio dai risultati della ricerca scientifica alla possibile applicazione nei pazienti – spiega Di Marcotullio – si potrebbe tradurre in un beneficio pubblico, obiettivo ultimo di un lavoro tenace svolto tra banconi di laboratorio, pazienti da seguire, cellule e topolini da accudire, idee da perseverare, ipotesi da dimostrare e, soprattutto, dedizione e costanza”. Le ricercatrici ringraziano Fondazione AIRC per sostenere da decenni la ricerca contro il cancro in Italia con preziosi finanziamenti, e in particolare per avere reso possibile il progetto e assegnato una borsa di studio a Ludovica Lospinoso Severini, prima autrice dell’articolo.

Medulloblastoma
Foto di 藤澤孝志, CC BY-SA 4.0

Riferimenti bibliografici:

SALL4 is a CRL3REN/KCTD11 substrate that drives Sonic Hedgehog-dependent medulloblastoma – Ludovica Lospinoso Severini, Elena Loricchio, Shirin Navacci, Irene Basili, Romina Alfonsi, Flavia Bernardi, Marta Moretti, Marilisa Conenna, Antonino Cucinotta, Sonia Coni, Marialaura Petroni, Enrico De Smaele, Giuseppe Giannini, Marella Maroder, Gianluca Canettieri, Angela Mastronuzzi, Daniele Guardavaccaro, Olivier Ayrault, Paola Infante, Francesca Bufalieri & Lucia Di Marcotullio – Cell Death & Differentiation – Doi: https://doi.org/10.1038/s41418-023-01246-6

Testo dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma

Long COVID: una possibilità di cura dai farmaci antistaminici e antiulcera

Uno studio multicentrico, coordinato dal professor Carmine Gazzaruso, ha analizzato il ruolo dell’istamina nella malattia, conseguenza dell’infezione da SARS-Cov-2

Vigevano, 7 settembre 2023 – Una combinazione di vecchi farmaci antistaminici e antiulcera accende la speranza in coloro che soffrono della sindrome del Long COVID, una malattia multisistemica conseguenza dell’infezione da SARS-Cov-2. A dimostrarlo è uno studio multicentrico coordinato dal professor Carmine Gazzaruso – responsabile Centro di Ricerca Clinico (Ce.R.C.A.) dell’Istituto Clinico Beato Matteo di Vigevano (Gruppo San Donato) e professore di Endocrinologia dell’Università Statale di Milano – che indaga il ruolo dei mastociti, cellule del sangue, nella fisiopatologia del Long COVID e l’efficacia del trattamento con bloccanti dei recettori dell’istamina, che è una delle sostanze rilasciate dai mastociti.

Il Long COVID è una patologia, talvolta invalidante, che ad oggi non ha una terapia standard ed efficace e può presentare una grande varietà di sintomi: cardiovascolari, psicologici, neurologici, respiratori, gastrointestinali, dermatologici e muscoloscheletrici. Tra queste manifestazioni le più comuni sono tachicardia, palpitazioni, ipotensione posturale, affaticamento, deterioramento cognitivo, mancanza di respiro e tosse.

Il team dei ricercatori guidati dal professor Carmine Gazzaruso ha preso in esame quattro gruppi di sintomi caratteristici nel Long COVID: stanchezza e astenia, alterazione cardiaca, nebbia mentale e alterazione della memoria, disturbi gastrointestinali (dolore, meteorismo, gonfiore). È stato quindi selezionato un campione di 27 soggetti affetti da questa condizione, che presentavano però caratteristiche comuni: soffrire di Long Covid da oltre 6 mesi, essersi sottoposti a diversi trattamenti – come ad esempio aver assunto multivitaminici, betabloccanti e aver affrontato percorsi riabilitativi – con risultati fallimentari.

“Inoltre i pazienti arruolati per il nostro trial non erano vaccinati contro il Sars-Cov-2, perché il vaccino potrebbe modificare i sintomi del Long COVID, non erano soggetti allergici e non avevano mai sofferto, prima della infezione da SARS-Cov-2, di uno dei sintomi presi in considerazione nello studio” afferma il professor Gazzaruso, principal investigator del lavoro, pubblicato sulla rivista Frontiers in cardiovascular medicine. “La stanchezza, che accomunava tutto il campione preso in esame, doveva essere accompagnata, per la validità dello studio, da almeno uno degli altri sintomi. Nella media dei pazienti esaminati il dato è stato confermato, registrando, anzi, la presenza di tre sintomi, se non addirittura dell’intera sintomatologia”.

prof Carmine Gazzaruso Long COVID
il professor Carmine Gazzaruso

Studi precedenti, condotti a livello nazionale e internazionale, avevano evidenziato come nei pazienti con Long COVID vi fosse una maggiore attivazione dei mastociti, rispetto al normale, reazione simile a quanto avviene nei soggetti allergici con i quali vi è, effettivamente, anche un’assonanza di sintomi. Nel paziente allergico si verifica una grande produzione di istamina e prostaglandine, sostanze liberate in eccesso dai mastociti, esattamente come rilevato anche nel campione dello studio. Si evince quindi che nei pazienti con Long COVID si scateni una reazione cronica infiammatoria sostenuta con un meccanismo tipico dell’allergia.Questa evidenza ha generato nei ricercatori l’idea di inibire la reazione prodotta, bloccando due dei quattro recettori dell’istamina, detti H1 e H2, mediante l’impiego di due farmaci datati, ormai poco utilizzati nella pratica clinica quotidiana: un antistaminico (la fexofenadina) e un antiulcera (la famotidina), molto usato prima dell’avvento dell’omeprazolo. Nello specifico, l’antistaminico bloccava il recettore H1 dell’istamina, mentre il secondo inibiva il recettore H2.

Il campione è stato poi suddiviso in due gruppi: il primo, formato da 14 persone, ha ricevuto la terapia farmacologica combinata, mentre al secondo, il gruppo di controllo formato da 13 persone, non è stato somministrato nulla.

I risultati sono stati promettenti: i sintomi del Long COVID sono scomparsi completamente nel 29% dei pazienti del primo gruppo, dopo soli 20 giorni di trattamento. In tutti gli altri pazienti trattati si è comunque rilevato un miglioramento significativo di ciascuno dei sintomi considerati. Nel gruppo di controllo, invece, non si sono registrate variazioni in merito allo stato di salute.

Lo studio è stato condotto grazie al contributo dell’Istituto Clinico Beato Matteo di Vigevano (Pavia), dell’Università Statale di Milano, dell’IRCCS MultiMedica di Sesto San Giovanni (Milano) e del Centro Medico Ticinello di Pavia.

“Questa scoperta permetterà alle persone affette da Long COVID, che presentano questo disturbo legato ai mastociti, di guarire o migliorare la propria condizione di salute, attraverso una terapia molto semplice e anche facilmente reperibile” afferma il professor Gazzaruso. “La nostra intuizione è frutto anche del lavoro di tanti colleghi sparsi per il mondo che stanno cercando delle risposte e delle cure per tutti coloro che, a distanza di anni, vivono ancora le conseguenze, talvolta molto gravi e invalidanti, dell’infezione da COVID-19”.

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano sullo studio multicentrico sul Long COVID che indaga il ruolo dell’istamina, rivelando una possibilità di cura dai farmaci antistaminici e antiulcera.

Dalla guerra alla speranza

Le immagini provenienti dall’Ucraina mostrano, purtroppo da mesi, sofferenza e distruzione. Una situazione ancora più gravosa se si è malati. A volte, però, vi è speranza. Nel marzo scorso, quando la guerra imperversava su più fronti del territorio ucraino, due sorelle trentenni, affette da epidermolisi bollosa, sono riuscite a fuggire e a salvarsi, grazie all’associazione “Le Ali di Camilla”. Sono giunte a Modena, per essere assistite nelle cure di cui hanno bisogno presso il Policlinico cittadino, un’eccellenza internazionale per questa malattia rara. L’associazione, dal luglio 2019, aiuta i pazienti che si recano a Modena per le cure, supporta la ricerca scientifica sulla patologia e fa parte dell’Alleanza Malattie Rare (AMR). Inoltre, è impegnata nell’invio di farmaci e medicazioni all’estero, su richiesta delle associazioni locali coordinate da Debra International (l’associazione internazionale di raccordo tra tutte le associazioni locali che nei vari Stati supportano le famiglie dei pazienti), e nel trasferimento e accoglienza delle famiglie che hanno lasciato l’Ucraina per venire in Italia. Il supporto non è stato solo sanitario: in poco tempo, diverse associazioni locali e comuni cittadini si sono attivati per accogliere.

Immagine di Elena Mozhvilo

Epidermolisi bollosa

L’epidermolisi bollosa (EB) è una malattia genetica ereditaria, rara e invalidante, che provoca eruzione cutanea grave con vescicole e cicatrizzazione, e lesioni delle mucose interne (comprese quelle della bocca, della gola, degli occhi e dell’ano). Queste si verificano spontaneamente o a causa di una lieve frizione. La patologia è più nota come “sindrome dei bambini farfalla” perché i pazienti sono molto fragili come le ali di una farfalla.

L’epidermolisi bollosa può trasmettersi secondo due modalità: la prima è autosomica dominante, cioè un genitore malato ha il 50% di probabilità di trasmettere la patologia alla progenie; la seconda è autosomica recessiva, ossia genitori portatori sani della malattia avranno il 25% di probabilità di avere un figlio malato (è possibile la diagnosi prenatale in gravidanza). A livello mondiale, la prevalenza è 1:17.000 nati, mentre in Italia 1:82.000. La più recente classificazione distingue quattro tipologie principali della malattia, a seconda del gene mutato: simplex, distrofica, giunzionale e Kindler. La forma meno grave, responsabile di più del 50% dei casi, è la variante simplex, perché le bolle si formano più spesso solo a livello delle mani e dei piedi. Invece, la forma distrofica è causata dal danneggiamento o dall’assenza di placche di ancoraggio, costituite da una proteina chiamata collagene di tipo VII, presenti nelle giunzioni tra epidermide e derma, e che mantengono adese le cellule fra loro. In tal caso la formazione di bolle è generalizzata, costante e lascia cicatrici. La forma giunzionale può essere letale fin dalla prima infanzia, poiché le lesioni lasciano la persona esposta agli agenti esterni e, quindi, particolarmente suscettibile di infezioni. Infine, nella EB di Kindler le lesioni, indotte da azione meccanica, si possono formare in diversi strati della pelle. 

La diagnosi consiste nell’’osservazione clinica, seguita dalla biopsia della pelle, e dai test genetici di conferma.

Epidermolisi bollosa
Immagine di Alfred Schrock

Il primo farmaco specifico per la EB

Il primo trattamento autorizzato per la EB e Filsuvez della Amryt Pharmaceuticals DAC. È un gel per uso topico, cioè l’azione farmacologica si esplica direttamente sulla cute o la mucosa dove è applicata, per il trattamento di ferite che interessano gli strati superiori della pelle. Tale farmaco, qualificato come “medicinale orfano” (cioè utilizzato nelle malattie rare) è indicato per pazienti con malattia in forma giunzionale o distrofica. Filsuvez contiene un estratto secco di due specie di corteccia di betulla costituita da sostanze presenti in natura denominate triterpeni.

Il più ampio studio globale mai condotto su pazienti affetti da EB è lo quello di Fase III EASE, condotto su 223 pazienti. Il 41% dei soggetti trattati con Filsuvez e con la medicazione ha mostrato un recupero completo della ferita entro 45 giorni, rispetto a coloro che che hanno ricevuto un trattamento fittizio e la medicazione (29%). Dopo 90 giorni non è stata osservata alcuna differenza rispetto al gel di controllo. Pur essendo modesti, gli effetti sono stati considerati clinicamente significativi per i pazienti con forma distrofica e giunzionale. Inoltre, il medicinale ha evidenziato un profilo di sicurezza accettabile, con effetti indesiderati localizzati e gestibili. Pertanto l’Agenzia europea per i medicinali (EMA) ha deciso che i benefici di Filsuvez sono superiori ai rischi e che il suo uso può essere autorizzato nell’UE.

Immagine di Diana Polekhina

La terapia genica per l’epidermolisi bollosa giunzionale

Negli ultimi anni le prospettive di cura non hanno riguardato solo lo sviluppo di nuovo farmaci: la terapia genica ha mostrato che i bambini farfalla possono essere curati. Gli studi del professor Michele De Luca e della professoressa Graziella Pellegrini del Centro di Medicina rigenerativa “Stefano Ferrari” hanno aperto la strada ad un campo di ricerca in continua crescita. La ricerca italiana di Holostem e di altre realtà accademiche e cliniche europee ha permesso di mettere a punto una terapia genica utile per l’EB giunzionale. È ormai entrato nella storia della medicina il caso del piccolo rifugiato siriano Hassan, accolto in Germania insieme alla sua famiglia nel 2015. Il paziente mostrava gravi danni alla pelle, esponendolo ad un elevato rischio di morte. I ricercatori italiani prelevarono parte delle sue cellule staminali e le coltivarono in laboratorio con l’intento di correggere il difetto genetico e ottenere una nuova pelle. Tale approccio è detto terapia genica ex-vivo, ossia prevede l’allestimento di colture autologhe – ovvero dello stesso paziente – di epidermide geneticamente corretta. Obiettivo raggiunto e terapia di successo: la nuova pelle fu reimpiantata con 3 operazioni allo University Children’s Hospital di Bochum e consentì di ricostruire diverse aree del corpo. Dal 2015 ad oggi, il bambino è stato seguito dal punto di vista clinico e, nel 2021, i risultati del follow-up biologico-molecolare sono stati pubblicati sul New England Journal of Medicine. Sono stati eseguiti test clinici, cellulari e molecolari, dimostrando, tra i numerosi parametri considerati, la ricostruzione del sistema immunitario della pelle e un adeguato livello di idratazione delle stesse aree con la presenza di ghiandole sebacee e sudoripare. Inoltre, il trattamento si è dimostrato sicuro, confermando i risultati ottenuti in vitro in oltre 30 anni di ricerca di base.

Immagine di Rossoporpora, CC BY-SA 3.0

La terapia genica per l’epidermolisi bollosa distrofica

Il gene COL7A1, responsabile della produzione della proteina collagene di tipo VII, è mutato nei pazienti affetti da EB distrofica. I ricercatori della Stanford University School of Medicine hanno sviluppato una terapia genica “in vivo” per correggere il difetto. Beremagene geperpavec è una terapia genica non invasiva, applicata come un “gel” ad uso topico. Alla base del trattamento vi è virus modificato (Herpes simplex virus) che contiene il gene corretto per fornire alle cellule della pelle del paziente “uno stampo” da cui produrre la proteina. Al termine degli studi di fase I e II, la terapia genica si è dimostrata sicura ed efficace nel promuovere la guarigione delle lesioni. I risultati positivi hanno dato il via allo studio di fase III prima dell’eventuale commercializzazione.

Sebbene la strada verso la completa guarigione dei diversi e numerosi casi di epidermolisi bollosa sia lunga, la ricerca di base si conferma un tassello fondamentale per la medicina translazionale. Modena è sempre più un punto di riferimento nazionale e internazionale per la medicina rigenerativa avanzata basata su colture di cellule staminali epiteliali per terapia cellulare e genica per pazienti privi di alternative terapeutiche.

Immagine di Braňo

Fonti:

 

epidermolisi bollosa
Immagine di Thomas Kinto

LO SPIN OFF DI UNITO DDC FINANZIATO CON 1,5 MLN DI EURO PER LO SVILUPPO DI TERAPIE MOLECOLARMENTE MIRATE RIVOLTE ALLA CURA DI LEUCEMIA E TUMORE AL SENO

Grazie all’investimento di Utopia SIS, la startup Drug Discovery and Clinic – nata all’interno dell’Incubatore 2i3T – fa un passo avanti per portare alla sperimentazione umana il proprio candidato farmaco per la Leucemia Mieloide Acuta.

La Drug Discovery and Clinic srl (DDC) – startup Spin-Off accademico dell’Università di Torino – ha ricevuto un finanziamento di 1,5 milioni di euro da parte di Utopia SIS (società di investimento specializzata in healthcare e biomedicale) per la messa a punto di terapie oncologiche per la cura di leucemie e di carcinomi della mammella.

Drug Discovery and Clinic srl DDC
foto del team di DDC con Utopia SIS

La DDC, nata all’interno dell’Incubatore d’imprese dell’Ateneo torinese 2i3T dall’unione di eccellenze di ricerca in ambito chimico farmaceutico (Dipartimento di Scienza e Tecnologia del Farmaco di UniTo) e clinico (Ospedale Mauriziano e Istituto Scientifico Romagnolo per lo Studio e la cura dei Tumori), ha come missione lo sviluppo di una piattaforma per lo sviluppo di terapie molecolarmente mirate basate su inibitori innovativi di un enzima denominato Diidroorotato Deidrogenasi umana (hDHODH).

Le terapie molecolarmente mirate, volte a colpire direttamente le cellule neoplastiche che determinano l’insorgenza dei tumori, rappresentano i pilastri fondamentali delle più moderne ed efficaci terapie antitumorali, spesso in grado di sostituire completamente la più tradizionale e tossica chemioterapia. L’attività di DDC è focalizzata a sviluppare nuovi farmaci di questo tipo e di valutarne l’efficacia non solo in ambito oncologico, ma anche in altri settori della medicina come malattie immunologiche o causate da virus”, spiega il Prof. Giuseppe Saglio, Presidente del CdA e Clinical Scientific Officer di DDC.

Con il finanziamento di Utopia SIS, società promossa e partecipata dalla Fondazione Golinelli, dalla Fondazione Sardegna e dal Vice Presidente Esecutivo Antonio Falcone, DDC entra in una nuova fase della sua vita iniziando gli studi certificati necessari per portare alla sperimentazione umana per la Leucemia Mieloide Acuta il proprio candidato farmaco, una molecola risultata essere molto efficace nel ridurre l’incidenza della malattia su modelli animali.

“Questo investimento di Utopia è per noi molto strategico ed è di grande soddisfazione perché stiamo contribuendo al sostegno e allo sviluppo di una importante ricerca polifunzionale estremamente interessante e di grandissimo impatto scientifico. Il nostro Paese è ricco di eccellenze cliniche e di poli di ricerca che hanno bisogno di essere finanziati per terminare il percorso di sviluppo e l’importante impegno del Mediocredito Centrale, che rilascerà una garanzia sull’investimento per l’80%, anche in questa occasione rappresenta una testimonianza strategica per il settore”, commenta Antonio Falcone, Vice Presidente Esecutivo di Utopia SIS.

“Abbiamo compiuto un passo fondamentale per DDC, ne siamo molto soddisfatti e orgogliosi. L’ingresso di un partner come Utopia, un investitore di ampia e specifica esperienza in ambito healthcare, non porta solamente l’accesso ai fondi necessari per lo sviluppo strategico dell’azienda ma rappresenta un valore aggiunto di credibilità e una fonte di future opportunità”, conclude il Prof. Marco L. Lolli, CEO di DDC, che insieme al core team Donatella Boschi, Stefano Sainas, Marta Giorgis, Giuseppe Saglio, Paola Circosta e Agnese Chiara Pippione ha raggiunto l’accordo.

DDC è stata assistita in tutte le fasi dell’operazione dallo studio Leading Law e nello specifico da i partner Mario Donadio e Stefano Balzola, coadiuvati dal junior associate Stefano Flammini.

Testo e foto dall’Area Relazioni Esterne e con i Media dell’Università degli Studi di Torino

ATTUALI FARMACI E NUOVE MUTAZIONI DEL SARS-COV-2 

LO STUDIO COMPUTAZIONALE DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA

Tutti i mutanti che hanno sperimentalmente dimostrato una riduzione di attività nei confronti dei farmaci antivirali analizzati sono stati correttamente “predetti” dalla ricerca computazionale della Sezione di Modellistica Molecolare del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università di Padova

Una delle domande più insidiose nell’ambito del trattamento terapeutico antivirale di SARS-CoV-2 è relativa a quanto gli attuali farmaci in uso possano essere efficaci sulle nuove mutazioni che la “macchina virale” potrebbe mettere in campo nel corso del tempo.

Per rispondere al quesito il gruppo di ricerca internazionale coordinato dalla prof.ssa Dorothee von Laer della Divisione di Virologia della Innsbruck Medical University ha pensato di precorrere i tempi andando a costruire in laboratorio tutte le possibili variazioni (mutazioni) di una delle proteine bersaglio di una importante famiglia di farmaci antivirali contro la proteasi principale del virus, denominata 3CLpro.

Attuali farmaci e nuove mutazioni del SARS-CoV-2; lo studio computazionale dell'Università degli Studi di Padova
Immagine di Gerd Altmann

L’efficacia dei farmaci in uso, come nirmatrelvir o ensitrelvir, è stata quindi determinata sperimentalmente per anticipare quali, tra le possibili nuove mutazioni, potrebbe ridurre o eliminare la loro efficacia terapeutica. Alla ricerca dal titolo “SARS-CoV-2 3CLpro mutations selected in a VSV-based system confer resistance to nirmatrelvir, ensitrelvir, and GC376” pubblicata su «Science Translational Medicine» ha partecipato la Sezione di Modellistica Molecolare del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università di Padova, coordinata dal Professor Stefano Moro,  che ha come missione lo sviluppo e l’applicazione di metodologie informatico-computazionali con l’obiettivo principale di supportare la progettazione, identificazione e ottimizzazione di nuovi candidati farmaci.

Parallelamente al lavoro sperimentale svolto dai colleghi austriaci, il gruppo di ricerca padovano ha effettuato lo stesso studio utilizzando delle tecniche computazionali: sia tutti i mutanti della proteina 3CLpro che le loro interazioni con i farmaci antivirali sono stati simulati con l’obiettivo di avere un riscontro sulla capacità predittiva di questi metodi che consentirebbero, qualora si dimostrassero accurati, una importante riduzione dei tempi di accesso a queste informazioni ed una conseguente riduzione dei costi della ricerca.

Un importante risultato ottenuto da questo studio è che tutti i mutanti che hanno sperimentalmente dimostrato una riduzione di attività nei confronti dei farmaci antivirali analizzati sono stati correttamente predetti dallo studio computazionale padovano, consentendo inoltre di interpretarne a livello molecolare le motivazioni analizzando le singole interazioni tra farmaco e proteina che venivano a modificarsi nei vari mutanti.

«La buona capacità predittiva dei metodi computazionali utilizzati in questo studio – dicono gli autori del team del Dipartimento di Scienze del Farmaco Matteo Pavan, Davide Bassani e Stefano Moro – apre alla possibilità del loro utilizzo anche per altri bersagli molecolari di interesse terapeutico, per i quali l’aspetto della resistenza rappresenta un problema clinico rilevante, fornendo un supporto alle tecniche sperimentali di biologia molecolare e biochimica utilizzate di routine nella identificazione di nuovi candidati farmaci».

La Sezione di Modellistica Molecolare del Dipartimento di Scienze del Farmaco dell’Università di Padova che ha come missione lo sviluppo e l’applicazione di metodologie informatico-computazionali con l’obiettivo principale di supportare la progettazione, identificazione e ottimizzazione di nuovi candidati farmaci. Esso costituisce l’interfaccia tra i laboratori biologici/farmacologici e chimici del Dipartimento aggiungendo le proprie competenze computazionali in base alle necessità di sintesi organica, fitochimica, biochimica, biologia molecolare e farmacologia. L’obiettivo è quello di affrontare i problemi della chimica medicinale e della medicina in collaborazione con gli esperti del settore sviluppando nuove strategie per la progettazione e la scoperta di farmaci integrando informatica, chimica, biologia e medicina. Attualmente MMS utilizza strategie chimiche e strutturali per comprendere i meccanismi di base delle malattie umane e scoprire una nuova generazione di farmaci.

Link alla ricerca: https://www.science.org/doi/10.1126/scitranslmed.abq7360

Titolo: “SARS-CoV-2 3CLpro mutations selected in a VSV-based system confer resistance to nirmatrelvir, ensitrelvir, and GC376” – «Science Translational Medicine» 2022

Autori: Emmanuel Heilmann, Francesco Costacurta, Arad Moghadasi, Chengjin Ye, Matteo Pavan, Davide Bassani, Andre Volland, Claudia Ascher, Alexander Kurt, Hermann Weiss, David Bante, Reuben S. Harris, Stefano Moro, Bernhard Rupp, Luis Martinez-Sobrido and Dorothee von Laer.

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova