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LA QUERCIA E I SUOI ABITANTI

di Laurent Charbonnier e Michel Seydoux

(Francia, 2022 – 80’)

La quercia e i suoi abitanti
il poster del film

DAL 25 GENNAIO 2024 AL CINEMA

Al link le sale che programmano il film https://iwonderpictures.it/laquerciaeisuoiabitanti/

 

La quercia e i suoi abitanti – Opzioni per lo streaming

 

La natura che si esprime in tutto il suo splendore in un appassionante racconto per tutta la famiglia. A partire dal 25 gennaio arriva nelle sale italiane per I Wonder Pictures e Unipol Biografilm Collection LA QUERCIA E I SUOI ABITANTI, diretto dal maestro dei documentari naturalistici Laurent Charbonnier e dal celebre produttore Michel Seydoux, qui al suo esordio alla regia di un lungometraggio.

Candidato come Miglior Documentario ai César 2023, LA QUERCIA E I SUOI ABITANTI ritrae la magnificenza della natura e descrive la magia della vita che nasce e si sviluppa intorno a una quercia centenaria. Tra gli alberi più alti e maestosi dell’emisfero settentrionale, la quercia è da tempo simbolo di forza e longevità, e per molti è anche sinonimo di speranza nella vita per le generazioni future.

Senza parole, ma con uno straordinario uso dei suoni della natura, il film è il frutto di mesi e mesi di pazienti riprese nella verdeggiante regione francese della Sologne, alla scoperta di ogni singolo elemento dell’ecosistema nato intorno alla quercia: dagli uccelli, gli scoiattoli e gli insetti tra i suoi rami, ai topolini che vivono tra sue radici e ai funghi sottoterra, fino ai cervi, alle nutrie e ai cinghiali che trovano riparo all’ombra delle sue fronde. Un meraviglioso piccolo mondo, vibrante e ronzante, che lega il suo destino al maestoso albero che accoglie, nutre e protegge – dalle radici alla cima – i suoi piccoli abitanti.

LA QUERCIA E I SUOI ABITANTI di Laurent Charbonnier e Michel Seydoux sarà nei cinema italiani dal 25 gennaio 2024 distribuito da I Wonder Pictures in collaborazione con Unipol Biografilm Collection.

SINOSSI: C’era una volta e c’è tuttora… una grande quercia, vecchia ben 210 anni, diventata pilastro e punto di riferimento per un intero microuniverso di piccoli abitanti. Qui, lo scoiattolo raccoglie le sue provviste, le formiche edificano i loro regni e il topo selvatico trova riparo dal famelico rapace. Loro e molti altri sono i teneri protagonisti di una vibrante avventura per tutta la famiglia, una emozionante ode alla vita in cui la natura racconta se stessa: la propria bellezza, le proprie sfide e le splendide giornate di sole che sempre seguono i più violenti acquazzoni.

Età consigliata: a partire dai 6 anni

NOTA DI PRODUZIONE

di BARTHELEMY FOUGEA

Oggi non osserviamo più gli esseri viventi senza un fine ambientale, senza una consapevolezza ambigua della loro fragilità e della loro incredibile capacità di adattamento. Di fatto, neanche la loro rappresentazione cinematografica lo fa. Allo stesso tempo, negli ultimi anni la nostra visione della natura si è allargata fino a comprendere un nuovo universo, quello del mondo vegetale e, più in particolare, quello degli alberi. Come una nuova frontiera, un nuovo paradigma del mondo non umano, siamo diventati consapevoli dell’immensa ricchezza dell’universo di questa grande pianta. Da questa consapevolezza sono nati film documentari sulle piante. Tuttavia, fino a ora, nessuno di essi aveva guardato l’albero attraverso gli occhi dei suoi abitanti. È proprio questo che rende il progetto di LA QUERCIA così singolare e così adatto a una narrazione cinematografica. Possiamo sentire dall’interno le tensioni, le gioie e le relazioni che la Quercia contribuisce a sviluppare.

Come produttore di molti film sulla natura, vedo in questo film un’opportunità senza precedenti per immergere gli spettatori nel mondo sensoriale e poetico della regina degli alberi, per far scoprire con la poesia la biodiversità che genera e ospita. Animali grandi e piccoli, insetti, uccelli e mammiferi sono i protagonisti attraverso cui si comprende quanto sia essenziale questo albero che li nutre. È come se guardassimo la quercia in veste di edificio e raccontassimo la vita e le vicissitudini dei suoi inquilini. Pochi film in live action hanno tentato questa sfida di immergersi completamente nel cuore di un albero, senza commenti in voice over.

LE SCELTE DI PRODUZIONE

Questa scelta artistica di esplorazione guidata dai soli sensi richiede un lavoro estremamente meticoloso. Dal 2017 è stato attuato un grande lavoro di sviluppo per combinare rigore scientifico e imperativi narrativi con gli scienziati del Museo nazionale di storia naturale. Consigliati per tutto il processo da specialisti di fauna, flora e biodiversità, Michel Fessler, Michel Seydoux e Laurent Charbonnier hanno lavorato per coniugare una regia e una produzione di finzione a una storia naturalistica. La complessità di questa produzione ha richiesto il taglio di ogni sequenza e la realizzazione di uno storyboard completo del film. Le riprese vicino all’albero e tutte le diverse fasi della ricerca sono durate un anno e mezzo, in modo da poter coprire tutti i cicli delle stagioni. L’associazione delle esperienze complementari di Camera One, Winds e Gaumont ha permesso di riunire le competenze della produzione cinematografica, del documentario naturalistico e della distribuzione internazionale. Infine, guidati dal desiderio di sensibilizzazione alla salvaguardia del nostro patrimonio naturale, abbiamo dato il nostro contributo a questa sfida secolare stabilendo uno statuto etico, al fine di produrre questo film con un approccio eco-sostenibile e di creare un kit educativo di un progetto d’impatto in modo che i nostri figli possano agire.

LE SFIDE ECONOMICHE E INDUSTRIALI DEL PROGETTO

Le sfide artistiche ed economiche di questo progetto sono molto importanti per i tre partner. L’ambizione di produrre un lungometraggio sugli esseri viventi che combini forti intenzioni estetiche e tecnologiche e che sia destinato a un pubblico di massa è la sfida che stiamo cercando di raccogliere con La Quercia.

NOTE DI REGIA

“PER MOLTI LA QUERCIA È SINONIMO DI SPERANZA NELLA VITA PER LE GENERAZIONI FUTURE”

UNA STORIA

“Considerata la regina degli alberi, la quercia simboleggia la potenza e la longevità: è l’albero più grande e maestoso delle nostre foreste dell’emisfero settentrionale. Per molti è sinonimo di speranza nella vita per le generazioni future. Una quercia centenaria e il suo ecosistema sono al centro dell’azione di questo film. Più che un essere vivente vegetale, è un habitat. Qui vivono e collaborano molte specie animali, vegetali, minerali e miceli. “La Quercia” è il luogo in cui la storia di vari personaggi si svolge attraverso le stagioni. In questa monade vegetale, hanno tutti il proprio ruolo. Ognuno ha il proprio spazio all’interno dell’albero: in alto, la ghiandaia, una vera custode, avverte tutti dei pericoli, ai piani bassi, lo scoiattolo è il capo indiscusso dell’albero e nel sottosuolo, i topini hanno rischiato di vedere la loro tana sommersa dalla grandinata di una violenta tempesta estiva. Devono ritrovare tutti i membri della loro famiglia prima di fare le provviste di ghiande per l’inverno. I balanini della quercia, minuscoli curculionidi, sono stati meno fortunati davanti a queste intemperie. Per la loro grandezza, hanno vissuto il più terribile tsunami che l’umanità abbia mai conosciuto. Altri pericoli minacciano gli abitanti della quercia, in una suspense vertiginosa degna delle storie di Hitchcock. Le risorse vitali dell’albero attirano ogni tipo di avidità. Lo spettatore diventa testimone delle straordinarie storie che si svolgono dentro e intorno alla quercia. Unitamente, la riproduzione deve avere luogo per perpetuare le specie e la biodiversità di questo ecosistema. Risuonerà la sinfonia delle nascite, ma non senza difficoltà. La quercia offre la vita ai suoi simili, ma dipende da loro perché la sua produzione di ghiande sia prospera. La nascita di un nuovo albero è il risultato di un equilibrio fragile. La vita di una “ghianda particolare” con una “macchia rossa” è proposta come una mise en abîme del ciclo della quercia. Questa ghianda macchiata, una volta caduta dall’albero, marcirà, sarà mangiata dai cinghiali o dispersa dalle ghiandaie? O forse sarà lo scoiattolo a occuparsene… Le storie della “Quercia” illustrano uno spettacolo di selvaggia bellezza, come una lettura tutta nuova dei segreti della nostra biodiversità, da far scoprire, conoscere e diffondere, vista la sua vicinanza e fragilità.

UNA STORIA DI INCONTRI

Cosa fanno un autore-regista naturalista appassionato e un produttore cinematografico esperto quando si incontrano? Beh, si raccontano storie! È proprio l’incontro di destini paralleli, con il desiderio di condividere la propria passione col maggior numero di persone possibile, che ha permesso la realizzazione di questo film oggi. Abbiamo entrambi una sensibilità particolare per la natura. Oltre al desiderio estetico che guida questo progetto, a unirci è essenzialmente il desiderio etico di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di salvaguardare il nostro patrimonio naturale. Il mondo sensoriale e poetico della regina degli alberi è un vettore ideale e molto vicino a noi per raccontare storie toccanti, vive e comprensibili, come tutte le grandi storie del cinema. Gli alberi, e in particolare la quercia, hanno la capacità di definire, comunicare e persino di esercitare un’influenza in quanto simbolo. E ci sono voluti circa dieci anni per sviluppare l’idea di realizzare un progetto di questa portata. Grazie anche alla partecipazione di Michel Fessler alla scrittura della

sceneggiatura e di Vincent Copéret all’elaborazione dello storyboard siamo riusciti a costruire un film ambizioso sulla Natura.

GLI ASPETTI NARRATIVI

L’idea è quella di prendere una storia documentaria e raccontarla con la competenza narrativa e tecnica dei lungometraggi di finzione. Si potrebbe definire “narrazione naturalista cinematografica”. Ma qualsiasi nome o genere si decida di usare per classificare questo film, l’intenzione primaria è quella di mostrare agli spettatori qualcosa che non hanno mai visto prima. L’immensa ricchezza dell’universo di questa grande pianta ci permette di raccontare storie che toccheranno i più piccoli e i più grandi. Qualunque sia l’origine o la consapevolezza ecologica, l’obiettivo è quello di lasciarsi sorprendere dall’azione, l’immagine e la storia di questa quercia. Le paure, le gioie e le relazioni inter- e intraspecifiche che si intrecciano nel mondo vegetale di questa quercia vengono trasmesse al pubblico con il desiderio di immergersi nello sguardo dei nostri protagonisti. Entriamo nei panni del topolino che rischia di essere schiacciato dalle zampe del cinghiale. Facciamo acrobazie come la ghiandaia. Quasi ci bagniamo con la pioggia della tempesta… Capire la quercia attraverso le traiettorie e le sfide dei suoi abitanti, come una “finestra sul cortile” naturalista, richiede di prendere in prestito i codici moderni della regia del cinema di finzione. Oltre ai reperti delle riprese naturaliste alla base della sceneggiatura, abbiamo utilizzato le più recenti tecnologie audiovisive (telecamere virtuali a 360 gradi, macchinari, effetti speciali, ecc.) Abbiamo anche innovato creando studi macro- videografici all’avanguardia e modificato attrezzature tecniche standard per andare alla scoperta del mondo microscopico e immergerci nel mondo degli esseri viventi.

UNA PROPENSIONE SENSORIALE

Come avrete capito, combinando le tecniche naturalistiche, le competenze del cinema di finzione e le nuove tecnologie, abbiamo scelto di propendere per l’innovazione e l’estetica contemporanea. Pertanto, il suono non ha nulla da invidiare alle innovazioni visive, perché vogliamo che lo spettatore sia coinvolto in una sinfonia musicale dall’inizio alla fine del film. In effetti, non ci sono commenti vocali. Facciamo sentire solo i rumori, le grida e i suoni distintivi dei nostri protagonisti, orchestrati in una composizione musicale originale di Cyrille Aufort. Questo gioca un ruolo fondamentale nell’immersione completa e sensoriale dello spettatore nel cuore della quercia e dei suoi abitanti.

 

ELENCO TECNICO

REGISTI Laurent CHARBONNIER

Michel SEYDOUX

SCENEGGIATORI Michel FESSLER

Michel SEYDOUX

Basato su un’idea di Laurent CHARBONNIER STORYBOARD Vincent COPERET FOTOGRAFIA Mathieu GIOMBINI

RIPRESE SELVAGGE Laurent CHARBONNIER

RIPRESE MACRO Samuel GUITON

SUONO Martine TODISCO Samy BARDET

Philippe PENOT Marc DOISNE

MONTAGGIO Sylvie LAGER SCENOGRAFIE David FAIVRE ASSISTENTE REGISTA Julien LE ROUX

CONSULENTE TECNICO Guillaume POYET

DIRETTORE DI PRODUZIONE Philippe BAISADOULI COMPOSITORE DELLE MUSICHE ORIGINALI Cyrille AUFORT CANZONE ORIGINALE “ET TU RESTES” Tim DUP

PRODUTTORI Barthélémy FOUGEA Michel SEYDOUX

CO-PRODUZIONE CAMERA ONE WINDS

GAUMONT

IN COLLABORAZIONE CON FONDATION DIDIER ET MARTINE PRIMAT JMC FAMILY OFFICE

FONDATION FAMILLE LEMARCHAND,

con il sostegno di MERCATOR

CON LA PARTECIPAZIONE del MUSEO NAZIONALE DI STORIA NATURALE dell’OFFICE NATIONAL DES FORÊTS

e di UNESCO

CON IL SOSTEGNO del DIPARTIMENTO DI LOIR ET CHER di CRÉDIT MUTUEL

del GROUPE CHRISTIAN MAHOUT

e della MAÏF

DISTRIBUZIONE FRANCIA E INTERNAZIONALE GAUMONT

 

Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Echo Group. Aggiornato il 28 dicembre 2023 e il 25 gennaio 2024.

AFTER WORK

un documentario per la regia di ERIK GANDINI

After Work Erik Gandini

liberamente ispirato dagli scritti sull’ideologia del lavoro di Roland Paulsen

Durata 77’

DAL 15 GIUGNO AL CINEMA CON FANDANGO DISTRIBUZIONE

After Work – Opzioni per lo streaming

SINOSSI LUNGA

Nel 2013, due ricercatori di Oxford hanno pubblicato “The Future of Employment” (Il futuro dell’occupazione), in cui hanno analizzato la possibilità che diverse professioni vengano sostituite da algoritmi informatici nei prossimi 20 anni. Questo studio, molto citato, è giunto alla conclusione che il 47% dei lavori statunitensi è ad alto rischio. Ad esempio, c’è una probabilità del 99% che gli addetti al telemarketing e i sottoscrittori di assicurazioni perdano il loro lavoro a favore degli algoritmi. Il 97% di probabilità che entro il 2033 i cassieri saranno sostituiti da macchine. Per gli autisti di autobus le probabilità sono l’89%.

La maggior parte dei lavori esistenti oggi potrebbe scomparire nel giro di qualche anno. Man mano che l’intelligenza artificiale supera l’uomo in un numero sempre maggiore di compiti, sostituirà l’uomo in un numero sempre maggiore di lavori. Si profila un’era di disoccupazione tecnologica, in cui gli scienziati informatici e gli ingegneri del software ci toglieranno essenzialmente il lavoro, e il numero totale di posti di lavoro diminuirà in modo costante e permanente.

La nostra società è una società basata sul lavoro. Fin dall’infanzia ci viene insegnato ad essere orientati al risultato e ad essere competitivi. Mentre impariamo a lavorare, tendiamo a mettere da parte tutti gli altri aspetti dell’essere umano. Possiamo pensare a un futuro diverso?

Uno sguardo al futuro prossimo ci dice che nel XXI secolo potremmo assistere alla creazione della classe dei non lavoratori, caratterizzata da persone che si sentono irrilevanti, senza valore economico perché non possono fare nulla di meglio dell’IA o di un robot e, diventando sostituibili, potrebbero finire per essere privi di una forza politica collettiva.

Il dibattito sulle conseguenze di questa situazione è dominato da esperti di tecnologia ed economisti e spesso dipinto come una distopia fantascientifica. Ciò che manca è la prospettiva umana, nel senso di uno sguardo a ciò che questo significherà per noi come esseri umani. L’approccio di questo documentario è quindi puramente esistenziale e mira a esplorare come saremo e cosa faremo quando non dovremo più lavorare.

Il paradosso del lavoro è che molte persone odiano il proprio lavoro, ma sono molto più infelici se non fanno nulla. Oppure, sono infelici perché non guadagnano abbastanza? O perché c’è una pressione culturale intorno a loro?

Attraverso storie contemporanee, in quattro diversi angoli del mondo, After Work porta allo spettatore utili elementi per disegnare scenari futuri, raccontando aspetti iperbolici e paradigmatici dell’ideologia, dell’etica del lavoro, del rapporto tra esistenza e lavoro, in – Kuwait, Corea del Sud, Stati Uniti e Italia – società con modelli di sviluppo molto distanti tra loro.

una produzione FASAD PRODUCTION AB

una coproduzione

PROPAGANDA ITALIA con RAI CINEMA

e INDIE FILM

CAST

Insegnante – YOO GA YEON

Fabbricante – YOO DEUG YOUNG

Proprietario del giardino di Valsanzibio – ARMANDO PIZZONI

Direttore generale del Centro sviluppo etica del lavoro – JOSH DAVIS

Filosofo – ELIZABETH S. ANDERSON

Socio dirigente di Gallup – PA SINYAN

Filosofo – NOAM CHOMSKY

Autista Amazon – ASTRID MOSS

Sceneggiatore – MEQDAD AL KOUT

Autore e professore universitario – MAI AL NAKIB

Impiegata pubblica – FATIMA

Allevatrice di cavalli – RORY MARZOTTO

Uomo d’affari – FERDINANDO BUSINARO

Sociologo – LUCA RICOLFI

Ex dipendente – JEONG BOSEONG

CREW

Regia di ERIK GANDINI

Direttore della fotografia FREDRIK WENZEL, FSF

Montaggio e Musiche JOHAN SÖDERBERG

Produttore musicale e arrangiamenti CHRISTOFFER BERG

Sound Design JØRGEN BERGSUND, RIKARD STRØMSODD

Sound recordist CHIARA ANDRICH

CREDITI

Prodotto da Fasad Production AB

In coproduzione con Propaganda Italia / Marina Marzotto a.g.i.c.i & Mattia Oddone con Rai Cinema
Indie film / Carsten Aanonsen

SVT / Axel Arnö & Asta Dalman
Film i Väst / Jenny Luukkonen
VPRO / Commissioning Editor Barbara Truyen
GEO Television / Arno Becker & Simone Theilmann

In associazione con YLE / Jenny Westergård

 

Con la partecipazione di RTS Radio Télévision Suisse Department of Documentaries Steven Artels & Bettina Hofmann

Con il contributo di MiC- Ministero Italiano della Cultura

Svenska Filminstitutet / Klara Grunning

Nordisk Film & Tv Fond / Karolina Lidin

Norsk Filminstitutt / Eirin Gjørv

Fritt Ord Foundation / Bente Roalsvig NRK / Fredrik Færden

Consulenti di produzione NFI Ravn Wikhaug & Benedikte Danielsen

Produttore associato Costanza Julia Bani

Produttore delegato

per Propaganda Italia Cristina Rajola

Durata 77’

Distributore Fandango

I DIVERSI STATI IN AFTER WORK

USA

‘No Vacation Nation’ – Secondo uno studio condotto dal Project Time Off della US Travel Association, nel 2018 i lavoratori americani hanno lasciato sul tavolo 768 milioni di giorni di vacanza non utilizzati. Ciò si traduce in una stima di 65,5 miliardi di dollari di mancati benefici, ovvero una media di 571 dollari per dipendente. Inoltre, lo studio ha rilevato che più della metà dei lavoratori americani (55%) non ha utilizzato tutti i giorni di ferie nel 2018 e il 24% ha dichiarato di non averne usufruito affatto. Ciò suggerisce che molti lavoratori americani non sono in grado o non sono disposti a prendere le ferie a cui hanno diritto, perpetuando la cultura del superlavoro e la reputazione di “No Vacation Nation”.

Gli americani hanno un rapporto unico con il lavoro. Il concetto di “sogno americano” è stato a lungo associato all’idea di lavorare sodo e raggiungere il successo. Questa mentalità ha creato una cultura in cui il lavoro è spesso visto come l’obiettivo finale, con poca enfasi sul tempo libero. Di conseguenza, gli Stati Uniti sono noti come la “nazione senza vacanze”. Mentre molti altri Paesi sviluppati garantiscono ai loro lavoratori ferie retribuite, negli Stati Uniti non esiste una legge federale che imponga ai datori di lavoro di fornire ferie retribuite.

KUWAIT

L’impiego pubblico in questo paese comporta privilegi unici: il rischio di essere licenziati è praticamente inesistente e le promozioni si basano sull’età anziché sul rendimento. La vita quotidiana nel settore pubblico è caratterizzata da un notevole esubero di personale e dalla mancanza di compiti. Questo modello si ripercuote sull’etica del lavoro e sulla produttività e, secondo l’OMS, il Kuwait è il Paese più fisicamente inattivo del mondo, anche se tutti hanno un impiego e sono ben retribuiti. Il sistema di distribuzione delle ricchezze petrolifere del Paese è stato paragonato a un reddito di base (UBI), ma con un impegno lavorativo ’’simulato’’ come contropartita. La scarsa intensità di lavoro in edifici all’avanguardia, il clima caldo disagevole e i vasti centri commerciali rendono il Kuwait un luogo congeniale per analizzare una probabile idea di lavoro del futuro.

COREA DEL SUD

Un’etica del lavoro unica, che affonda le sue radici nel confucianesimo, è alla base della miracolosa crescita della Corea del Sud, dalla povertà estrema al successo informatico. Tuttavia, la cultura del lavoro si è rivelata un rischio per la salute e un problema sociale che è considerato la causa del calo delle nascite, delle alte statistiche sui suicidi e del fenomeno della Gwarosa, la “morte per eccesso di lavoro”. Il ministro del Lavoro coreano Kim Joung Joo (forse l’unico ministro del Lavoro al mondo con la missione di far lavorare meno le persone) ha lanciato diverse campagne per cambiare le abitudini lavorative tossiche. A lei si deve l’iniziativa “Diritto al riposo”, che ha ridotto la settimana lavorativa da 68 ore a un massimo di 52. L’ultima direttiva del governo garantisce che i computer in tutti i principali luoghi di lavoro vengano spenti automaticamente alle 18.00. Parallelamente, vengono realizzate campagne pubblicitarie che invitano i lavoratori a non rimanere in ufficio fino a tardi. In una di queste appaiono lavoratori esausti che ricevono consigli su occupazioni alternative: cucinare, fare formazione, dipingere un quadro, passare del tempo con i bambini e la famiglia. L’immaginazione collettiva di una società sovraccarica di lavoro è esaurita al punto che sono necessarie immagini prodotte dall’esterno per ispirare idee su ciò che potrebbe essere la vita al di là del lavoro?

ITALIA

Con l’obiettivo di raggiungere un altro livello di riflessione sull’esistenza senza lavoro, l’attenzione iniziale si concentra sul piccolo gruppo di persone iper-ricche appartenenti a dinastie imprenditoriali industriali che hanno vissuto per diverse generazioni senza dover lavorare. Come si presenta la vita quotidiana di queste persone? Che cosa hanno imparato dovendo scegliere la propria vita, esplorando creativamente ciò che ha senso per loro? Quali sono le intuizioni e i consigli di cui possono beneficiare i futuri disoccupati? Un aspetto che rende l’Italia ancora più interessante è che offre un ulteriore livello di complessità. Qui non sono solo i super-ricchi a non lavorare. All’interno della classe media italiana si trova il più grande gruppo di “NEET” (Neither in Employment, Education or Training) in Europa. Questo gruppo rappresenta il 28,9% degli italiani tra i 20 e i 34 anni, rispetto a una media del 16,5% in Europa e dell’8% in Svezia.

NOTE DI REGIA

Ho un incubo personale ricorrente: arrivare alla fine della mia vita e con rimpianto, rendermi conto di aver lavorato troppo. Essere colpito, troppo tardi, dalla consapevolezza di aver sbagliato a stabilire le priorità per tutta la mia esistenza a causa di un’idea, radicata in me, che fa parte della cultura di cui sono il prodotto. Il lavoro è un’idea normale come l’aria che respiriamo, quindi difficile da mettere in discussione. La nostra società è una società basata sul lavoro. Fin dall’infanzia ci viene insegnato a seguire l’etica del lavoro, a istruirci per prepararci a trovare un lavoro.

Ho sempre visto il documentario come un modo per catturare, esporre e dare un senso al mio tempo (La teoria svedese dell’amore, The Rebel Surgeon, Videocracy, Surplus). Con After Work ho voluto fare un passo avanti, cercando di documentare una realtà che non è ancora completamente accaduta. Attraverso il metodo del What-if? Cosa faremo quando non dovremo più lavorare?

Questo film non è fatto con l’intenzione di ritrarre le cose come sono. Piuttosto come potrebbero essere.

È girato nel presente, con l’obiettivo di creare una proiezione nel futuro. Il futuro attraverso il presente.

Erik Gandini. Crediti per la foto: Jens Lasthein
Erik Gandini. Crediti per la foto: Jens Lasthein

CATTURARE CIÒ CHE POTREBBE ESSERE

Un importante punto di partenza per questo progetto è la distinzione del filosofo tedesco Herbert Marcuse tra pensiero unidimensionale – attenersi solo a “ciò che è” – e pensiero bidimensionale – abbracciare anche “ciò che potrebbe essere”. Marcuse vedeva nell’arte la chiave per dare vita alla seconda dimensione in un’epoca in cui le razionalizzazioni aprivano la strada al dominio del pensiero unidimensionale. O all’evasione come cura alla sorta di alienazione che la vita moderna, il consumo e il lavoro noioso portavano con sé. Per Marcuse l’arte ha il dovere di invitare a immaginare un mondo migliore. Non solo per criticare o per distrarre.

Quando ho iniziato a girare After Work c’era questa mia chiara intenzione: la maggior parte del dibattito sul futuro del lavoro è dominato da tecnici e teorici, esperti di IA e automazione. A me non interessa la tecnologia, il mio approccio con After Work è esistenziale. Ho cercato di evitare quasi completamente la prospettiva tecnologica, concentrandomi invece sui personaggi, sulla prospettiva umana. Sono incuriosito dalle possibilità di una vita post-lavorativa, di un’esistenza libera dal lavoro. Esplorare questo enigma: riusciremo a liberarci dal workismo, dalla convinzione quasi religiosa che il lavoro debba essere il fulcro della nostra esistenza? O continueremo a lavorare per il gusto di lavorare?

Una delle ispirazioni per After Work mi è venuta leggendo il sociologo svedese Roland Paulsen e i suoi scritti su quella che lui chiama ‘’L’ideologia del lavoro’’, ‘’un insieme di paure, valori e idee che giustificano il fatto che dovremmo continuare a lavorare tanto, o anche di più, indipendentemente da quanto la tecnologia diventi efficace.’’

Perché l’ideologia del lavoro sia così forte, perché queste paure e questi valori siano così presenti è una sorta di enigma, un mistero che mi ha ispirato in questo film. Con questa domanda ho esplorato diverse società che sono interessanti se ci si interroga sul ruolo del lavoro. Siamo in grado di immaginare un futuro diverso, con una nuova idea di lavoro più compatibile con il futuro?

E si può trovare un modello nel presente? Magari proprio tra quelli che non ci aspettiamo che possano insegnarci qualcosa? Come per esempio i super ricchi e i privilegiati.

Mi piace pensare a After Work come a un film guidato dalle idee, più che dai personaggi. Eppure ho trovato persone immensamente affascinanti con intuizioni nate da esperienze reali negli Stati Uniti, la “No Vacation Nation”, l’unico paese del mondo sviluppato senza leggi che garantiscano le ferie.

E in Corea del Sud, dove il governo sta cercando di affrontare il problema del sovraccarico di lavoro attraverso drastici interventi statali, e dove c’è l’unico ministro del Lavoro al mondo con la missione di far lavorare meno le persone.

In Kuwait, dove i cittadini privilegiati potrebbero lavorare meno, ma viene chiesto loro di far finta di lavorare in cambio di un reddito garantito.

E in Italia, il mio Paese d’origine, dove esiste una cultura dell’anti-lavoro e dell’edonismo all’interno della categoria dei giovani definiti NEET – giovani tra i 20 e i 34 anni che non hanno un lavoro, né un’istruzione, né una formazione che in Italia costituiscono 1/3 della gioventù. Considerata dalla leadership del Paese come preoccupante, ma che potrebbe contenere i semi di una potenziale etica anti-lavoro.

SULL’ESTETICA DI AFTER WORK

La collaborazione con Fredrik Wenzel, pluripremiato direttore della fotografia (due volte vincitore della Palma d’Oro come DOP di The Square e Triangle of Sadness di Ruben Östlund), ha aperto nuove frontiere. Abbiamo iniziato a utilizzare semplici telecamere fisse in ambienti reali come uffici o centri commerciali. Per le interviste, abbiamo utilizzato sfondi come i grandi uffici vuoti di Seoul, e lo strumento ‘Eye direct’, la stessa tecnica usata da Errol Morris Interrotron, che fa sì che gli occhi degli intervistati siano rivolti direttamente verso l’obiettivo. Il 4K e il formato cinemascope hanno rafforzato la qualità cinematografica del materiale filmico che è stato curato dal montatore e compositore delle musiche Johan Söderberg, mio collaboratore di lunga data.

Johan Söderberg ha composto le musiche che sono state arrangiate da Christoffer Berg e registrate dal vivo nello studio di Ennio Morricone a Roma con un’orchestra di musicisti italiani.

Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Studio Sottocorno.

IL CERCHIO, di Sophie Chiarello, documentario finalista ai David di Donatello che cattura il punto di vista dei bambini sul mondo

 

IN ESCLUSIVA SU SKY DOCUMENTARIES L’11 MAGGIO 2023 ALLE 21.15

IN STREAMING SOLO SU NOW E DISPONIBILE ANCHE ON DEMAND

Il Cerchio documentario Sophie Chiarello

Chi sono i bambini di oggi, cosa pensano, e come vedono il mondo adulto? Per trovare le risposte a queste domande, Sophie Chiarello è entrata con la telecamera in una classe appena formata di prima elementare. Con una cadenza regolare, per l’intero ciclo di cinque anni, ha partecipato in classe ai cerchi organizzati dalla maestra.

Questo è Il Cerchio, candidato come miglior documentario (Premio Cecilia Mangini) ai David di Donatello, in esclusiva su Sky Documentaries l’11 maggio alle 21.15, in streaming solo su NOW e disponibile on demand.

Il Cerchio è un vero e proprio esperimento sociale, dove per cinque anni la regista ha seguito con la sua cinepresa gli alunni di una classe elementare, catturando così il loro punto di vista speciale sul mondo. Che cos’è l’amore? Chi sono i migranti? Quali sono le differenze tra maschi e femmine? Che cosa vuol dire diventare adulti? Ma soprattutto, chi è Babbo Natale? Queste sono solo alcune delle domande universali su cui i bambini ridono, discutono e si confrontano dalla prima alla quinta elementare, formando di volta in volta un cerchio dove insieme si relazionano, si ascoltano e scoprono qualcosa di nuovo, anche su loro stessi. In poche parole: crescono.

Il Cerchio non è un documentario sui bambini, ma con i bambini, un documentario che parla di loro ma anche degli adulti. Un ritratto del mondo di oggi in cui si specchia quello di domani.

 

IL CERCHIO di Sophie Chiarello è una produzione Indigo Film con Rai Cinema, in collaborazione con Sky Documentaries. In esclusiva su Sky Documentaries l’11 maggio 2023 alle 21.15, in streaming solo su NOW e disponibile on demand.

Testo, video e immagini dall’Ufficio Stampa Sky.