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STUDIO DI UNITO IN COLLABORAZIONE CON TOKAI UNIVERSITY APRE NUOVE FRONTIERE PER IL TRATTAMENTO DELLE MALATTIE RARE 

La ricerca utilizza modelli computerizzati di proteine generati con AlphaFold, la più recente e rivoluzionaria tecnologia di intelligenza artificiale, per verificare la fattibilità e pianificare rapidamente una strategia terapeutica personalizzata per pazienti pediatrici affetti da una malattia genetica rara (IAHSP), caratterizzata da grave spasticità agli arti. Pubblicato dal Drug Discovery Today, il lavoro supporta HelpOlly, onlus torinese nata per trovare una cura a una bambina di 4 anni affetta da IAHSP.

Studio dell’Università di Torino in collaborazione con Tokai University apre nuove frontiere per il trattamento delle malattie rare. Immagine di Joseluissc3CC BY-SA 4.0

Una ricerca realizzata dal gruppo di ricerca CASSMedChem del Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute dell’Università degli Studi di Torino — specializzato nella chimica farmaceutica —, in collaborazione con il Department of Molecular Life Sciences della Tokai University in Giappone, ha individuato un metodo innovativo per chiarire a livello molecolare l’effetto delle mutazioni alla base delle malattie genetiche rare. Lo studio, che si focalizza su una forma ultra-rara di paralisi spastica di origine genetica chiamata IAHSPè stato pubblicato dalla rivista scientifica Drug Discovery Today di Elsevier.

Attraverso l’utilizzo di AlphaFoldDB, un database di strutture proteiche 3D costruite con sistemi basati su reti neurali, i ricercatori sono riusciti a ottenere alcuni modelli di varianti mutate della proteina (alsina) responsabile della patologia, tipiche di ogni paziente affetto da IAHSP. La validità dei modelli proposti è stata verificata tramite una serie di dati sperimentali forniti dal prof. Shinji Hadano in Giappone, noto esperto di alsina e delle patologie correlate. In pratica, lo studio permette di visualizzare e ispezionare le strutture dell’alsina, delle sue varianti patogene e di analizzarle con strumenti di modellizzazione molecolare, spesso online e liberamente accessibili. La strategia proposta dai ricercatori di UniTo si è dimostrata relativamente semplice, in grado di fornire un guadagno di conoscenza in tempi brevi e con impiego limitato di risorse.

Lo studio, intitolato AI-based protein structure databases have the potential to accelerate rare diseases research: AlphaFoldDB and the case of IAHSP/Alsin, è firmato da Matteo Rossi SebastianoGiuseppe ErmondiShinji Hadano e Giulia Caron e supporta una Onlus torinese, HelpOllynata per trovare una cura per Olivia, una bambina di 4 anni affetta da IAHSP e in lotta contro il tempo per combattere la grave forma di spasticità degenerativa che l’ha colpita. I risultati ottenuti, pertanto, si inseriscono in uno specifico programma di drug discovery.

Nel corso dello studio sono stati analizzati 7 casi clinici di IAHSP. I modelli tridimensionali delle corrispondenti proteine mutate e una serie di strumenti computazionali hanno permesso di comprendere i meccanismi patogenetici di ogni singola mutazione. Approcciare questi casi clinici solo con metodi sperimentali tradizionali avrebbe richiesto anni e ingenti fondi, mentre con questo procedimento si può analizzare la situazione di ogni singolo paziente in poco tempo, delegando alla dimostrazione sperimentale, ovviamente necessaria, solo la conferma finale.

Questo tipo di strategia verificata per la IAHSP è trasferibile ad altre malattie genetiche. Secondo gli autori, integrare quest’approccio nel processo diagnostico, a valle dell’analisi genetica, permetterebbe di comprendere immediatamente i meccanismi patogenetici, valutare la fattibilità di un intervento farmacologico e accelerare la ricerca di una cura personalizzata per ogni paziente.

trattamento malattie genetiche rare
Studio dell’Università di Torino in collaborazione con Tokai University apre nuove frontiere per il trattamento delle malattie rare. Foto di PixxlTeufel (Micha)

Spesso siamo portati a pensare all’intelligenza artificiale come a qualcosa di futuristico e lontano— sottolinea Matteo Rossi Sebastiano, ricercatore del gruppo CassMedChem, Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze per la Salute di UniTo — ma è fondamentale comprendere come l’applicazione di tali strumenti nel campo della Salute, rappresenti in realtà una rivoluzione in atto, un alleato prezioso e dagli effetti sempre più concreti. Fino a qualche mese fa era inimmaginabile poter dare una “faccia” alla maggior parte delle proteine, men che meno studiarne le varianti patologiche rare. Oggi possiamo, nell’arco di qualche settimana, gettare le basi per strategie terapeutiche personalizzate. Non a caso, la prestigiosa rivista Nature ha definito AlphaFold come metodo dell’anno. È un orgoglio che UniTo sia tra le prime università a fare ricerca con AlphaFold”.

“Le proteine sono macromolecole che garantiscono il corretto funzionamento delle cellule. In molti casi basta la sostituzione di un singolo aminoacido dovuto a una mutazione nel DNA per compromettere il funzionamento di una proteina e della intera cellula. Pertanto — aggiunge Giuseppe Ermondi, docente di Chimica Farmaceutica, Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze pe la Salute di UniTo — è di fondamentale importanza la conoscenza della struttura proteica a livello atomico. Non a caso gli sviluppatori di tutte le principali tecniche di determinazione sperimentale della struttura delle proteine sono stati insigniti del premio Nobel (la crio-microscopia elettronica nel 2018, la risonanza magnetica nucleare nel 2002 e la cristallografia nel lontano 1962). Quando non è possibile ottenere delle strutture sperimentali ci vengono in aiuto alcune tecniche computazionali di predizione della struttura delle proteine. Nel 2013, ancora una volta il premio Nobel ha premiato gli sviluppatori di tecniche di calcolo basate sulla dinamica molecolare che permettono di studiare il comportamento delle proteine e dei loro mutanti a partire dalla struttura a livello atomico.”

Il primo passo per trovare un trattamento farmacologico verso una malattia genetica consiste nell’ottenere un modello computazionale ragionevole della struttura chimica della proteina responsabile della patologia — spiega Giulia Caron, docente di Chimica Farmaceutica, Dipartimento di Biotecnologie Molecolari e Scienze pe la Salute di UniTo e coordinatrice dello studio — Questo passaggio può essere complesso e scoraggiare ulteriori studi soprattutto per quelle malattie in cui i casi clinici sono pochi e uno diverso dall’altro. D’altro canto, come ricercatori di UniTo, abbiamo il dovere di utilizzare tutti gli strumenti e le competenze a nostra disposizione per dare speranza ai pazienti e ai loro familiari. Ci siamo quindi concentrati sulla tecnologia AlphaFold (disponibile solamente da fine luglio 2021) e l’abbiamo applicata alla coppia alsina/IAHSP per provare a dare qualche prima risposta concreta alla HelpOlly. Con questo studio abbiamo dimostrato che la IAHSP nella forma di Olivia è quantomeno potenzialmente trattabile da un punto di vista farmacologico e pertanto abbiamo applicato una procedura computazionale di drug discovery e individuato una molecola molto promettente per il trattamento della patologia di Olivia. A questo punto però i computer non bastano più e quindi sono in corso una serie di validazioni sperimentali sia dal prof. Hadano in Giappone, sia in altri Dipartimenti dell’Università degli Studi di Torino”.

 

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Torino sul nuovo studio relativo al trattamento delle malattie rare.

UN PROTOCOLLO INNOVATIVO PER LA SCOPERTA DI NUOVI POTENZIALI FARMACI 

Istituto Telethon Dulbecco, Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Università di Trento e Università degli Studi di Perugia insieme per la ricerca mirata di farmaci in grado di contrastare gravi malattie neurodegenerative ad oggi incurabili 

protocollo farmaci Università Trento Perugia
Da sinistra: Lidia Pieri (Sibylla), Graziano Lolli (Dip. CIBIO, UniTrento), Maria Letizia Barreca (Dip. Scienze Farmaceutiche, UniPG), Andrea Astolfi (Dip. Scienze Farmaceutiche, UniPG/Sibylla), Giovanni Spagnolli (Dip. CIBIO, UniTrento/Sibylla), Alberto Boldrini (Sibylla), Luca Teruzzi (Sibylla), Emiliano Biasini (Dip. CIBIO, UniTrento), Pietro Faccioli (Dip. Fisica, UniTrento/INFN-TIFPA), Tania Massignan (Dip. CIBIO, UniTrento, ora a Sibylla)

TrentoPerugia, 12 gennaio 2021 – Un protocollo innovativo per la scoperta di nuovi potenziali farmaci è stato messo a punto da un ampio team internazionale guidato da ricercatori e ricercatrici dell’Università degli Studi di Trento (Dipartimento di Biologia Cellulare, Computazionale e Integrativa e dal Dipartimento di Fisica), dell’Università degli Studi di Perugia (Dipartimento di Scienze Farmaceutiche), dell’Istituto Telethon Dulbecco, Fondazione Telethon e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare (INFN).

“Pharmacological Protein Inactivation by Folding Intermediate Targeting” (PPI-FIT), questo il nome del nuovo metodo, è frutto di un lavoro dal forte carattere multidisciplinare, grazie a contributi che vanno dalla fisica teorica all’informatica, alla chimica farmaceutica, dalla biochimica alla biologia cellulare. Il lavoro di ricerca è stato pubblicato oggi sulla rivista Communications Biology – Nature Publishing Group.

«Il nuovo approccio multidisciplinare consiste nell’identificare piccole molecole in grado di bloccare il processo di ripiegamento (folding) di una proteina coinvolta in un processo patologico, promuovendone quindi la degradazione attraverso i meccanismi di controllo presenti nelle cellule» – spiegano i ricercatori. «PPI-FIT è stato applicato per la prima volta nel campo delle malattie da prioni, patologie neurodegenerative rare che colpiscono l’uomo e altri mammiferi e che sono balzate all’attenzione dell’opinione pubblica negli anni Novanta in occasione dell’emergenza “mucca pazza”. Queste patologie sono causate dalla conversione conformazionale di una normale proteina, chiamata proteina prionica cellulare, in una forma patogena aggregata, in grado di propagarsi come un agente infettivo (prione). Grazie al metodo PPI-FIT, gli autori hanno identificato una classe di molecole in grado di ridurre i livelli cellulari della proteina prionica e bloccare la replicazione della forma infettiva nelle colture cellulari».

Il calcolo impiegato nel PPI-FIT si fonda su alcuni metodi matematici originariamente sviluppati in fisica teorica per studiare fenomeni tipici del mondo subatomico, come l’effetto tunnel quantistico. Questi metodi sono poi stati adattati per la simulazione di processi biomolecolari complessi, come il ripiegamento e l’aggregazione di proteine.

I risultati ottenuti indicano che bersagliare i processi di ripiegamento delle proteine potrebbe rappresentare un nuovo paradigma farmacologico per modulare i livelli di diversi fattori coinvolti in processi patologici. Da una prospettiva ancora più ampia, questo studio suggerisce l’esistenza di un generico meccanismo di regolazione dell’espressione proteica, ad oggi non considerato, che agisce al livello dei percorsi di ripiegamento.

Lo studio si è avvalso anche della collaborazione di gruppi di ricerca dell’Università di Santiago de Compostela, dell’Istituto di Biofisica del Consiglio Nazionale delle Ricerche, dell’Institute of Neuropathology dell’University Medical Center di Hamburg-Eppendorf, del Dipartimento di Scienze Biomediche dell’Università di Padova e dell’Istituto Veneto di Medicina Molecolare di Padova.

I risultati descritti nello studio hanno inoltre generato anche due richieste di brevetto da parte delle istituzioni coinvolte, una già approvata e la seconda attualmente in attesa di approvazione.

La start-up Sibylla Biotech (https://www.sibyllabiotech.it), nata dalla collaborazione scientifica tra alcuni degli autori dello studio – Maria Letizia Barreca, Giovanni Spagnolli, Graziano Lolli, Pietro Faccioli ed Emiliano Biasini – e spin off dell’Università degli Studi di Perugia, dell’ Università di Trento e dell’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, sta ora impiegando le potenzialità di PPI-FIT per sviluppare farmaci contro un’ampia varietà di patologie umane, quali ad esempio il cancro e più recentemente COVID-19, come ad oggi documentato dal deposito di tre domande di brevetto.

La tecnologia PPI-FIT 

PPI-FIT (Pharmacological Protein Inactivation by Folding Intermediate Targeting) è un protocollo farmacologico in grado di identificare molecole la cui funzione è quella di ridurre l’espressione di una proteina nella cellula, disattivandone la funzione patologica. Questo è possibile perché le molecole sono scelte per legarsi ad una “tasca” proteica identificata su uno stato intermedio del processo di ripiegamento (folding) della proteina. Bloccato a metà strada, il ripiegamento non avviene e la proteina viene degradata dalla cellula stessa.

La possibilità di identificare stati intermedi di folding si basa su una piattaforma di calcolo rivoluzionaria, che permette di simulare al calcolatore i percorsi di ripiegamento di proteine di rilevanza biologica, con livello di precisione atomico. Il metodo di calcolo che ha portato a questo risultato si fonda su metodi matematici di fisica teorica che sono stati adattati per consentire la simulazione di processi biomolecolari complessi, come il ripiegamento e l’aggregazione di proteine, grazie al lavoro di Pietro Faccioli, professore associato nel Dipartimento di Fisica dell’Università di Trento e affiliato all’Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, e del suo team.

Una proteina esce dal ribosoma come una catena di amminoacidi, e assume la sua forma biologicamente attiva solo in un secondo momento, dopo aver completato il percorso di ripiegamento (folding). A causa dell’intrinseca complessità, lo studio del ripiegamento di proteine biologicamente interessanti richiede tempi di calcolo inaccessibili con i metodi finora disponibili, anche utilizzando il più grande supercomputer al mondo appositamente disegnato per la dinamica molecolare. L’imponente avanzamento tecnologico che permette le simulazioni alla base di PPI-FIT è il frutto di una visione interdisciplinare nata all’interno del panorama scientifico dell’INFN, che collega la fisica teorica con la chimica e la biologia. Avendo la possibilità di osservare per la prima volta questi percorsi di ripiegamento, la tecnologia PPI-FIT consente di identificare e caratterizzare degli stati intermedi conformazionali che sono visitati dalla proteina durante il percorso verso lo stato biologicamente attivo (o nativo), e la cui emivita ha rilevanza biologica. Tali stati intermedi possono contenere una tasca di legame, diventando quindi nuovi bersagli per lo sviluppo di farmaci in grado di legarli e bloccarli, portando alla loro inattivazione.

La tecnologia è stata inventata dai soci fondatori di Sibylla Biotech nell’ambito di una ricerca accademica sulla replicazione del prione supportata da INFN, Fondazione Telethon, Università degli Studi di Trento e Università degli Studi di Perugia ed è stata utilizzata con successo in studi scientifici e brevettati, per ricostruire il meccanismo di replicazione dei prioni, e per sviluppare una nuova strategia farmacologica contro questi agenti infettivi.

*Giovanni Spagnolli, Tania Massignan, Andrea Astolfi, Silvia Biggi, Marta Rigoli, Paolo Brunelli, Michela Libergoli, Alan Ianeselli, Simone Orioli, Alberto Boldrini, Luca Terruzzi, Valerio Bonaldo, Giulia Maietta, Nuria L. Lorenzo, Leticia C. Fernandez, Yaiza B. Codeseira, Laura Tosatto, Luise Linsenmeier, Beatrice Vignoli, Gianluca Petris, Dino Gasparotto, Maria Pennuto, Graziano Guella, Marco Canossa, Hermann C. Altmeppen, Graziano Lolli, Stefano Biressi, Manuel M. Pastor, Jesús R. Requena, Ines Mancini, Maria L. Barreca, Pietro Faccioli, Emiliano Biasini. “Pharmacological Inactivation of the Prion Protein by Targeting a Folding Intermediate”. Communications Biology, 2012

 

Testo e immagine dall’Ufficio Stampa Università di Trento e Università degli Studi di Perugia