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Carlo Gambacorti Passerini

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Ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca scoprono una nuova emoglobina grazie alla tecnologia più avanzata: è l’Emoglobina Monza

Si chiama Emoglobina Monza ed è una nuova variante di emoglobina instabile associata ad anemia emolitica acuta in età pediatrica: è stata identificata alla Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza e studiata grazie all’intelligenza artificiale e ad altre tecniche avanzate.

Milano, 19 dicembre 2024 – Una nuova variante emoglobinica, denominata “Emoglobina Monza”, è stata individuata da un gruppo di ricercatori dell’Università di Milano-Bicocca. Questa variante, causata da una duplicazione di 23 aminoacidi nel gene dell’emoglobina (HBB), comporta instabilità della proteina, provocando episodi di anemia emolitica acuta, soprattutto in occasione di episodi febbrili. La scoperta, pubblicata sulla rivista Med di Cell Press, apre il campo a nuove prospettive per lo studio di queste rare patologie grazie all’utilizzo di tecniche di Intelligenza artificiale.

Il caso clinico che ha portato alla scoperta è stato quello di una bambina di origine cinese che, a seguito di un episodio febbrile, ha sviluppato una grave anemia emolitica, condizione patologica caratterizzata da una distruzione accelerata dei globuli rossi, a un ritmo superiore alla capacità del midollo osseo di produrli. Le conseguenze della patologia possono essere gravi, specialmente in età pediatrica quando gli episodi acuti possono compromettere seriamente lo stato di salute dei piccoli pazienti.

«Esistono varianti emoglobiniche, note come “emoglobine instabili”, che tendono a essere degradate (ovvero distrutte) sotto stress fisici, come gli episodi febbrili, scatenando così crisi emolitiche. A causarle generalmente sono alterazioni puntiformi nella sequenza amminoacidica dell’emoglobina, che modifica la stabilità e la funzionalità della proteina stessa», spiega Carlo Gambacorti-Passerini, direttore del reparto di Ematologia della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza e professore presso l’Università di Milano-Bicocca, che ha coordinato il progetto di ricerca.

La piccola paziente è stata seguita presso la Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza dalla pediatra Paola Corti e dal tecnico Amedeo Messina, che hanno realizzato che l’anemia era dovuta a una variante anomala di emoglobina con un comportamento instabile in situazioni di stress. Indagini successive hanno rivelato che anche la madre e i due fratelli della bambina possedevano la stessa variante e manifestavano episodi simili nel corso di episodi febbrili. Un’analisi genetica specifica ha mostrato che la variante non solo era inedita, ma era anche caratterizzata da una duplicazione molto lunga (23 aminoacidi) del gene che codifica la catena beta dell’Emoglobina (HBB), una caratteristica mai osservata prima in altre emoglobine instabili.

Le duplicazioni lunghe nel gene HBB sono molto rare e sono state sempre associate a un’altra malattia, la beta-talassemia. Infatti, si è sempre ritenuto che le lunghe duplicazioni comportino un’alterata interazione tra le due catene che compongono l’emoglobina, Beta e Alfa. Il dottor Ivan Civettini, ematologo, ora dottorando presso l’IRCCS Ospedale San Raffaele, e la dottoressa Arianna Zappaterra, medico presso la divisione di Ematologia della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza, si sono quindi chiesti come una mutazione di tale portata potesse comunque consentire all’emoglobina di mantenere una funzionalità normale, almeno in condizioni fisiologiche. 

«La struttura della variante emoglobinica è stata ricreata utilizzando tecniche di modeling tridimensionale e intelligenza artificiale (reti neurali), recentemente premiate con il Nobel per la chimica», precisa Ivan Civettini. «In condizioni normali, il legame tra le due catene dell’emoglobina è preservato e la duplicazione si presenta come una lunga protrusione che sbatte un po’ come una banderuola nel vento, al di fuori della struttura proteica dell’emoglobina. Inoltre abbiamo osservato che questa mutazione non compromette il centro attivo dell’emoglobina, dove avviene il legame con ossigeno e ferro. In sintesi, in condizioni normali, l’emoglobina Monza resta stabile e il legame preservato tra le catene dell’emoglobina non causa beta-talassemia».

Che cosa avviene dunque nel sangue durante l’episodio febbrile? Per ricreare questa condizione sono state utilizzate ulteriori tecniche computazionali avanzate, note come “dinamica molecolare”. È stato ricreato un fluido con la stessa “salinità” del sangue umano, dove è stata inserita l’emoglobina normale e l’emoglobina Monza e che è stato portato alla temperatura di 38°C, come durante un episodio febbrile. Risultato? L’Emoglobina Monza si degrada più velocemente di quella normale, perdendo il contatto con l’atomo di ferro. Questi esperimenti sono stati eseguiti in collaborazione col professor Alfonso Zambon dell’Università di Modena e Reggio Emilia.

«La scoperta offre nuovi spunti per comprendere meglio varianti rare di emoglobina, ma che diverranno sempre più frequenti in Italia con l’aumento di etnie diverse da quella caucasica», aggiunge Carlo Gambacorti-Passerini. «L’uso di tecniche computazionali moderne e l’ausilio dell’intelligenza artificiale hanno reso questo tipo di studi più rapido ed economico rispetto a metodi tradizionali come, per esempio, la cristallografia a raggi X. Un’ulteriore prova dell’importanza della collaborazione tra diverse istituzioni nella medicina moderna».

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca

Malattie ematologiche, il ruolo fondamentale del dialogo medico-paziente-figli

La comunicazione condivisa tra medico, paziente e figli, utilizzando anche immagini e metafore, riveste un ruolo cruciale per una maggiore serenità in caso di diagnosi di malattie ematologiche. Lo rivela uno studio guidato dal reparto di ematologia della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza.

 

Milano, 15 luglio 2024 – L’importanza del dialogo tra genitori e figli, in caso di diagnosi di malattia ematologica, e il ruolo chiave del medico. Questi gli aspetti principali che emergono dallo studio “Communicating the diagnosis of a hematological neoplastic disease to patients’ minor children: a multicenter prospective study “, guidato dal reparto di Ematologia adulti della Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori, diretto dal professor Carlo Gambacorti Passerini, ematologo di Milano-Bicocca.

La ricerca si è svolta anche attraverso il confronto con reparti ematologi di altre strutture (Ospedale Niguarda di Milano, Policlinico di Milano, Policlinico San Matteo di Pavia) e ha evidenziato come la comunicazione condivisa, ma con ruoli ben precisi, possa essere la chiave per una maggiore serenità di tutta la famiglia.

Una nuova diagnosi di malattia oncoematologica rappresenta infatti un evento in grado di modificare radicalmente la vita quotidiana di una persona e gli equilibri familiari. In questo contesto, i figli in età minore spesso rappresentano la “voce dimenticata” all’interno della famiglia: nel tentativo di proteggerli dalle situazioni dolorose, i genitori tendono ad evitare la comunicazione con i figli in merito alla malattia, nella convinzione che bambini e ragazzi non possano comprendere quanto succede.

Questo studio ora invece sottolinea, grazie ai «dati emersi dall’analisi dei questionari sottoposti (dal 2017 al 2021) a coppie di genitori – dice la dottoressa Beatrice Manghisi del gruppo di ricerca di Monza, prima autrice dello studio – che la comunicazione di diagnosi di malattia ematologica ai figli minori, seppur con modalità diverse nei quattro centri coinvolti, abbia un impatto positivo, senza cambiamenti allarmanti nei comportamenti di bambini e ragazzi. Una comunicazione sincera ed aperta, in merito a questa tematica difficile, promuove il dialogo all’interno della famiglia, senza necessità di tenere nascosti ai figli ricoveri ed effetti collaterali delle terapie.»

In particolare, presso la Clinica Ematologica dell’IRCCS San Gerardo dei Tintori, è attivo dal 2009 il “Progetto Emanuela” che offre aiuto ai genitori per parlare della loro malattia ai figli. Alla base di questo progetto, il colloquio di medico ematologo e psicologo insieme con i minori per spiegare loro cosa sta succedendo al genitore, offrendo così sia la competenza scientifica del medico sia la mediazione psicologica.

«Attraverso l’uso di immagini che illustrano con metafore e figure la malattia e la terapia – precisa la dottoressa Lorenza Borin, co-autrice dello studio – si preparano i bambini ai cambiamenti fisici che interverranno e si spiega il motivo per cui il genitore dovrà stare isolato. Durante il colloquio è presente una psicologa che sostiene il medico e guida la risposta alle domande, proponendo a seconda dell’età attività di dialogo, gioco o disegno.»

«Presso il nostro centro di Monza – prosegue Manghisi – è stata riscontrata una maggior apertura al dialogo tra figli e genitori, mentre nelle altre realtà, dove non esiste un progetto consolidato come il Progetto Emanuela, la comunicazione con i figli dei pazienti è affidata al supporto psicologico o ai genitori stessi.»

«La nostra esperienza con il progetto Emanuela ci convince fortemente del ruolo chiave che il medico ematologo può svolgere nella comunicazione con i figli dei pazienti. – conclude il prof. Carlo Gambacorti Passerini, direttore della Struttura Complessa Ematologia adulti del San Gerardo – I pazienti percepiscono le competenze mediche come complementari a quelle genitoriali, e identificano nell’ematologo un supporto indispensabile nella comunicazione, una figura in grado di prendersi cura anche degli aspetti familiari e relazionali. Questo nuovo ruolo del medico sembra avere un impatto positivo sui pazienti stessi, migliorando la comprensione della malattia, la fiducia nel personale sanitario e l’alleanza terapeutica medico-paziente.»

Malattie ematologiche: il ruolo fondamentale del dialogo medico-paziente-figli evidenziato da una ricerca su The Oncologist. Esempi di immagini usate per la comunicazione della diagnosi ai figli dei pazienti.

Riferimenti bibliografici:

Beatrice Manghisi, Lorenza Borin, Maria Rosaria Monaco, Gaia Giulia Angela Sacco, Laura Antolini, Raffaele Mantegazza, Monica Barichello, Umberto Mazza, Patrizia Zappasodi, Francesco Onida, Luca Arcaini, Roberto Cairoli, Carlo Gambacorti Passerini, Communicating the diagnosis of a hematological neoplastic disease to patients’ minor children: a multicenter prospective study, The Oncologist, 2024, DOI: oyae104, https://doi.org/10.1093/oncolo/oyae104

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca.

 Importanti novità sulla sospensione della terapia della leucemia mieloide cronica (LMC)

Alla vigilia della Giornata Mondiale della leucemia mieloide cronica, arrivano importanti novità dal team di ricerca coordinato dal professor Gambacorti Passerini di Milano-Bicocca e Fondazione IRCCS San Gerardo dei Tintori di Monza.

Milano, 21 settembre 2023 – La Leucemia Mieloide Cronica (LMC) è una forma di leucemia che grazie all’avvento di farmaci specifici (inibitori di tirosino chinasi) è passata da una aspettativa di vita di 2-3 anni ad una identica a quella della popolazione generale. Questo fatto ha determinato un continuo aumento del numero dei pazienti affetti da questa malattia, che è stimato a circa 2 milioni nei paesi sviluppati.

In presenza di una risposta ottimale, definita come almeno 4 anni di terapia e presenza di un residuo minimo di cellule leucemiche (meno di 1/10.000) è usuale proporre al paziente di sospendere la terapia. È noto che circa la metà dei pazienti devono riprendere la terapia a causa della recidiva della LMC, ma la pratica della sospensione è comunque sicura in quanto la ripresa della terapia porta ad una nuova remissione in praticamente tutti i pazienti. Sono stati tuttavia descritti alcuni casi in letteratura nei quali la sospensione della terapia si è associata ad una progressione della LMC, alla sua evoluzione in una leucemia acuta, ed in alcuni casi anche alla morte del paziente. Queste descrizioni di singoli casi non permettono però di quantificare il rischio di questo drammatico evento.

Sono stati recentemente pubblicati sulla rivista American Journal of Hematology i risultati dello studio “Risk of progression in chronic phase-chronic myeloid leukemia patients eligible for tyrosine kinase inhibitor discontinuation: Final analysis of the TFR-PRO study”.

Questo studio, iniziato nel 2017 e coordinato dal professor Carlo Gambacorti Passerini, Professore di Ematologia presso l’Università Milano-Bicocca e direttore della UOC di Ematologia presso la Fondazione IRCSS San Gerardo dei Tintori di Monza, ha arruolato 906 pazienti affetti da LMC seguiti in centri italiani, francesi, tedeschi, spagnoli e canadesi.

I pazienti dovevano essere candidabili alla sospensione della terapia e sono stati seguiti indipendentemente dalla loro decisione se sospendere o no la terapia stessa. Circa il 40 per cento di essi non ha in effetti sospeso la terapia mentre il 60 per cento lo ha fatto. Dopo un tempo di monitoraggio mediano dei pazienti superiore a 5 anni e oltre 5000 anni-persona di follow up disponibili, è stato registrato 1 unico caso di progressione di malattia in un paziente tedesco di 45 anni: una frequenza di circa 1 caso su 1000, e che per di più si è verificato nel gruppo di pazienti che non aveva sospeso la terapia.

Questi dati permettono di concludere che nei pazienti con risposta ottimale, la progressione della LMC rappresenta un evento molto raro ma possibile, nell’ordine tra 1/10.000 e 1/1.000, ma che non è legato alla sospensione della terapia.

Questi risultati inoltre indicano la grande importanza della assunzione regolare della terapia prima della sua sospensione, e di un monitoraggio ottimale da parte del medico dopo la sospensione.

Un piccolo megacariocita con nucleo ipolobato in un aspirato di midollo osseo di un paziente affetto da leucemia mieloide cronica
Un piccolo megacariocita con nucleo ipolobato in un aspirato di midollo osseo di un paziente affetto da leucemia mieloide cronica. Foto di Difu Wu, CC BY-SA 3.0

Testo dall’Ufficio Stampa dell’Università di Milano-Bicocca sulla ricerca relativa alla sospensione della terapia nella leucemia mieloide cronica (LMC).