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Nasce MedGermDB, la prima banca dati che raccoglie le informazioni sulle condizioni per far germinare oltre 300 piante native del Mediterraneo

L’Università di Pisa ha coordinato il lavoro, l’obiettivo è conservare la biodiversità di questo fragile hotspot

 

È nato MedGermDB, la prima banca dati che raccoglie le informazioni sulle condizioni sperimentali per far germinare i semi di oltre 300 piante native del Mediterraneo. Il lavoro coordinato dall’Università di Pisa ha come obiettivo la conservazione di questo fragile hotspot di biodiversità.

“Questo strumento ci consente di predire la germinazione di piante nel bacino Mediterraneo – racconta Angelino Carta, professore di Botanica sistematica nel dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa – la sua creazione è un passo fondamentale per comprendere il rischio di estinzione delle specie native e per prevenire gli inconvenienti che possono derivare dalla perdita di questo capitale naturale”.

Le informazioni raccolte nella banca dati riguardano oltre 4500 esperimenti di germinazione, in parte ricavati da un’analisi sistematica della letteratura esistente, in parte frutto di esperimenti ad hoc condotti dal gruppo di Pisa. A livello generale, la germinazione delle piante mediterranee è favorita da temperature fresche e da un periodo di post-maturazione in ambiente secco prima della germinazione. Il database è consultabile liberamente mediante una applicazione che consente di visualizzare le informazioni disponili per ogni specie.

“In questi mesi stiamo calibrando i modelli per predire la rigenerazione delle piante da seme in uno scenario di cambiamenti climatici e identificare quelle più adatte al restauro di ecosistemi mediterranei”,

aggiunge Diana Cruz, dottoranda presso il Dipartimento di Biologia che ha seguito tutte le fasi del lavoro.

Lo studio su MedGermDB è stato pubblicato sulla rivista Applied Vegetation Science. Al progetto hanno partecipato Alessio Mo collaboratore presso il Dipartimento di Biologia ed alcuni esperti internazionali: Eduardo Fernández-Pascual dell’Università di Oviedo (Spagna) ed Efisio Mattana dei Royal Botanical Gardens, Kew (UK). MedGermDB è parte integrante dell’archivio globale di dati della germinazione che è stato lanciato un paio di anni fa da un team internazionale che include anche Angelino Carta.

Lavandula stoechas. Foto di Sten, CC BY-SA 3.0

Testo dall’Unità Comunicazione Istituzionale dell’Università di Pisa.

RICERCATORI DI UNITO SCOPRONO UN NUOVO MECCANISMO DI CONTROLLO DELLA FIORITURA CHE RIGUARDA GLI STRIGOLATTONI, ORMONI VEGETALI

Una ricerca pubblicata su Proceedings of the National Academy of Sciences dimostra una nuova via di promozione della fioritura controllata dagli strigolattoni, ormoni vegetali da poco scoperti. La sperimentazione è stata condotta sulla pianta del pomodoro.

Un lavoro appena pubblicato sulla prestigiosa rivista Proceedings of the National Academy of Sciences USA, condotta da un gruppo di ricercatori e ricercatrici coordinati da Francesca Cardinale, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, ha indagato sull’effetto che l’ultima classe di ormoni vegetali in ordine di scoperta, gli strigolattoni, ha sulla fioritura. Il lavoro è stato condotto su una specie di grande interesse alimentare, il pomodoro, che è anche una pianta modello per studi molecolari.

La fioritura è una tappa fondamentale nello sviluppo della pianta, ed è un fattore cruciale sia negli ambienti naturali che nell’agricoltura. Per questi motivi è da sempre oggetto di studio, e c’è moltissimo interesse sui fattori interni alla pianta che le permettono di passare dallo stadio giovanile a quello adulto (una sorta di “pubertà”) aprendo la strada alla formazione dei fiori veri. Molti di tali fattori sono ormoni, piccole molecole mobili che influenzano l’attività di cellule e tessuti anche a distanza dal punto di produzione.

La ricerca ha dimostrato come gli strigolattoni siano in grado di promuovere la transizione della pianta dallo stadio giovanile a quello adulto, e lo sviluppo dei fiori.

“Ci occupiamo di queste molecole da diversi anni, da prima ancora che fossero identificate come ormoni”, spiega la Prof.ssa Francesca Cardinale, coordinatrice del gruppo di lavoro. “I primi effetti noti degli strigolattoni, che sono studiati ormai dagli anni ’60 del secolo scorso, sono in realtà associati a microrganismi e piante parassite presenti nella porzione di suolo intorno alla radice della pianta, la cosiddetta rizosfera. In questo spazio, in cui gli strigolattoni sono essudati dalle radici che li producono, essi vengono percepiti dai possibili partner, nei quali inducono cambiamenti che favoriscono l’interazione con la pianta – sia essa benefica o dannosa. Alla scoperta del loro ruolo ormonale, nel 2008, abbiamo cominciato ad investigare a fondo anche il loro ruolo in caso di stress ambientale, specialmente siccità. Durante questi studi, ci siamo accorti che piante di pomodoro geneticamente compromesse nella produzione di strigolattoni fiorivano poco e tardi, soprattutto in caso di stress. Abbiamo anche notato che il trattamento con strigolattoni di sintesi, o una iperattivazione della loro via biosintetica nelle foglie e fusto, portava a una fioritura precoce e più abbondante. Questa iperattivazione si può ottenere in maniera relativamente facile innestando un fusto in cui la produzione di strigolattoni è normale, su un portainnesto (radici) che invece sia difettoso. Il fusto percepisce la carenza radicale e attiva la produzione in loco; questa, a sua volta, stimola la fioritura”.

Partendo da queste osservazioni i ricercatori hanno cercato di capire più precisamente su quali tappe dello sviluppo riproduttivo si esercitasse l’azione degli strigolattoni, e dove si posizionassero nella rete molecolare di modulatori della fioritura. Si trattava di una via completamente nuova, o di una componente sconosciuta di vie già descritte? I difetti nella sintesi o percezione degli strigolattoni sono più evidenti in alcune specie come pomodoro, patata, petunia, alcune leguminose; come mai non succede la stessa cosa in altre specie?

“Abbiamo deciso di affrontare queste domande confrontando inizialmente l’espressione genica – specialmente per i geni correlati alla fioritura – in foglie di piante “normali” o con livelli ridotti di strigolattoni”, continua la Prof.ssa Francesca Cardinale. “Abbiamo così notato che alcune componenti specifiche erano alterate, e queste ci hanno fornito una prima pista di indagine; seguendola, siamo riusciti a gettare luce sulle principali connessioni tra questi ormoni e la rete di modulatori della fioritura noti, ormonali e non. Il quadro che ne deriva spiega anche probabilmente perché gli effetti sulla riproduzione sono più vistosi in certe specie: la carenza di strigolattoni, tra le altre cose, stimola la produzione delle gibberelline. E le gibberelline sono a loro volta ormoni con effetti diversi sulla fioritura a seconda della specie: in pomodoro la sfavoriscono, mentre in altre piante, come ad esempio il riso, la promuovono”.

La ricerca descrive un importante tassello nel controllo della fioritura in una pianta di interesse agronomico, e apre a sviluppi applicativi: ad esempio con pratiche di trattamento con strigolattoni contenuti in biostimolanti, o con l’adozione di specifiche combinazioni di innesto. Dato che gli strigolattoni sono anche importanti attori del processo di acclimatazione allo stress, sarà interessante valutare come questi tre fattori (stress, strigolattoni e fioritura) interagendo tra loro modellano la plasticità della pianta. In ultima analisi, infatti, è importante capire come le piante gestiscono il loro ciclo vitale sotto stress e come possiamo indirizzarne i processi, se vogliamo che continuino a fiorire e produrre per noi e l’ambiente pur confrontandosi con le temperature crescenti e l’incostante disponibilità di acqua a cui le stiamo obbligando.

strigolattoni fioritura fiori pomodoro
fiori di pomodoro

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Pubblicato il nuovo censimento delle piante in Italia: al 2024, si contano 46 specie autoctone in più e 185 aliene in più

Il professore Lorenzo Peruzzi dell’Università di Pisa fra i coordinatori del lavoro che ha aggiornato i dati del 2018

Secondo il nuovo censimento delle piante in Italia, che ha aggiornato i dati del 2018, sono 46 in più le specie autoctone e 185 in più quelle aliene registrate. Dai dati complessivi emerge che nel nostro Paese ci sono oggi 8.241 specie e sottospecie autoctone, di cui 1.702 endemiche (cioè esclusive del territorio italiano) mentre 28 sono probabilmente estinte. A queste si aggiungono 1.782 specie aliene. Tra di esse, 250 sono invasive su scala nazionale e ben 20 sono incluse nella ‘lista nera’ della Commissione Europea, che elenca una serie di piante e animali esotici, la cui diffusione in Europa va assolutamente tenuta sotto controllo.

“Rispetto all’analogo censimento pubblicato sei anni fa abbiamo un incremento dei numeri totali: ciò è dovuto a nuovi studi e all’esplorazione di nuovi territori, ma anche, per quanto riguarda le aliene, all’ingresso di numerose nuove specie, da monitorare attentamente e se possibile eradicare”,

racconta Lorenzo Peruzzi, fra i coordinatori della ricerca, professore di Botanica sistematica nel Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa e direttore dell’Orto e Museo Botanico.

Nuovo censimento delle piante in Italia al 2024, gallery con foto di piante autoctone

Gli elenchi aggiornati della flora vascolare (ossia felci e affini, conifere e piante a fiore) autoctona e aliena presente in Italia sono stati appena pubblicati sulla rivista internazionale “Plant Biosystems”, organo ufficiale della Società Botanica Italiana. Si è trattato di una ricerca collaborativa, realizzata grazie agli sforzi congiunti di 45 ricercatori italiani e stranieri. Insieme a Lorenzo Peruzzi hanno coordinato lo studio anche Gabriele Galasso del Museo Civico di Storia Naturale di Milano e Fabrizio Bartolucci e Fabio Conti dell’Università di Camerino. Tra gli autori della ricerca anche Francesco Roma-Marzio, Curatore dell’Erbario dell’Orto e Museo Botanico dell’Ateneo pisano.

Nuovo censimento delle piante in Italia al 2024, gallery con foto di piante aliene

“C’è ancora molto da fare – conclude Peruzzi – e il lavoro di continua ricerca e verifica svolto dai floristi e dai tassonomi per descrivere la biodiversità vegetale italiana è ben lungi dall’essere concluso. Certamente, però, il quadro delle conoscenze che abbiamo oggi è sempre più completo e potrà permettere azioni di tutela maggiormente mirate e consapevoli”.

Lorenzo Peruzzi Censimento piante 2024
Lorenzo Peruzzi
Censimento flora nativa:
Censimento flora aliena

Testo e foto dall’Unità Comunicazione Istituzionale dell’Università di Pisa. Aggiornato l’8 aprile 2024.

Un fiore mai visto prima è sbocciato in montagna: scoperta una nuova specie di Campanula nelle Prealpi bergamasche, la Campanula bergomensis

Un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano, dell’Università di Siena e del gruppo Flora Alpina Bergamasca (FAB) ha scoperto una nuova specie di pianta, che cresce in un territorio ristretto delle Prealpi lombarde. La specie appartiene al genere Campanula ed è stata denominata Campanula bergomensis, ovvero di Bergamo, dal nome della provincia di cui è esclusiva. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista Phytotaxa.

Campanula bergomensis

Milano, 28 febbraio 2024 – Una nuova campanula, mai scoperta prima, è stata identificata nelle Prealpi Bergamasche da un gruppo di ricerca coordinato dall’Università degli Studi di Milano, assieme all’Università di Siena e al gruppo Flora Alpina Bergamasca – FAB.

Lo studio è stato pubblicato sulla rivista internazionale Phytotaxa.

Si tratta di Campanula bergomensis, la cui caratteristica è che cresce in ambienti molto particolari: su conoidi detritici carbonatici di bassa quota e si trova solo in poche valli nei pressi della città di Clusone (BG).

Gli studiosi hanno trovato delle affinità con Campanula cespitosa, che fiorisce sulle Alpi orientali in Italia, Austria e Slovenia. Ma attraverso analisi genetiche, morfologiche e palinologiche, hanno visto che le due specie sono in realtà ben distinte e che Campanula bergomensis rappresenta un’entità autonoma rispetto alle campanule conosciute. Alcuni esemplari della nuova specie sono stati cresciuti da seme e ora sono in coltivazione all’Orto Botanico Città Studi della Statale di Milano.

Secondo i ricercatori, la distribuzione ristretta della nuova specie, che solo in minima parte ricade all’interno di aree protette, rende necessarie appropriate iniziative di tutela.

“La specie”, spiega Barbara Valle, ricercatrice dell’Università di Siena e prima firmataria dell’articolo “ha un areale limitato ed è gravemente minacciata dalle attività umane. È quindi urgente adottare delle misure di protezione e conservazione”.

Questa scoperta dimostra come la biodiversità italiana riservi ancora molte sorprese e che le conoscenze sulla nostra flora e fauna siano tutt’altro che complete, oltre a confermare la straordinaria ricchezza floristica delle zone prealpine. Per affrontare la perdita di biodiversità attualmente in corso è necessario innanzitutto conoscerla a fondo, indagando anche territori apparentemente ben conosciuti” conclude Marco Caccianiga, docente di Botanica del Dipartimento di Bioscienze dell’Università Statale di Milano e coordinatore della ricerca.

 

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano

Le piante delle Alpi in fuga dal caldo

Pubblicato su «PNAS» lo studio dell’Università di Padova e della Fondazione Museo Civico di Rovereto in cui si dimostra come la maggioranza delle piante delle Alpi nord orientali italiane si sposta verso quote più alte come risposta ai cambiamenti climatici. Il Bromus erectus, ad esempio, negli ultimi trent’anni si è spostato con una velocità di circa 3 metri l’anno. Il Sorghum halepense, una specie aliena, si è spostato con una velocità di 4 metri l’anno. Diverso è il caso della Pulsatilla montana, specie rara, che ha retratto la sua distribuzione storica di circa 50 metri nei trent’anni. Le piante aliene, soprattutto negli ambienti antropizzati, sono molto veloci a crescere e sottraggono le risorse alle altre specie autoctone.

È stata pubblicata sulla rivista internazionale «Proceedings of the National Academy of Sciences» (PNAS) la ricerca dal titolo “Red-listed plants are contracting their elevational range faster than common plants in the European Alps” firmato dal professor Lorenzo Marini e dalla dottoressa Costanza Geppert del Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali e Ambiente dell’Università di Padova insieme ad Alessio Bertolli e Filippo Prosser, botanici della Fondazione Museo Civico di Rovereto, sulle variazioni della distribuzione geografica delle piante alpine in base ai cambiamenti a lungo termine delle temperature.

Lo studio ha monitorato non solo la presenza, ma anche la tipologia (autoctona comune, autoctona rara e aliena) della flora situata sulle Alpi Nord-orientali italiane: in questi tre decenni vi è stato uno spostamento verso quote più alte delle popolazioni di piante. Eppure la distribuzione delle specie autoctone rare non si è espansa verso l’alto in concomitanza con i cambiamenti climatici, ma si è, anzi, contratta. Infine le piante aliene, invece, si sono diffuse rapidamente a quote più alte spostandosi con la stessa velocità del riscaldamento climatico pur mantenendo la loro presenza anche a valle.

ALPI LE PIANTE IN FUGA DAL CALDO
Papaveri. Credits: Paolo Paolucci

La pubblicazione, frutto della collaborazione di Lorenzo Marini e Costanza Geppert dell’Università di Padova con Filippo Prosser e Alessio Bertolli, esperti botanici della Fondazione Museo Civico di Rovereto, dimostra che la flora alpina vive un profondo mutamento. Alcune popolazioni di piante, per effetto del cambiamento climatico, sono sottoposte a temperature troppo alte per la loro sopravvivenza. Per questa ragione alcune specie “migrano” a quote più alte, dove si trovano condizioni termiche più fredde.

Tuttavia non è solo l’innalzamento della temperatura a sconvolgere la flora alpina, anche l’attività dell’uomo ha un importante impatto poiché a valle si concentrano le attività antropiche e vi è maggiore è una pressione sull’ambiente.

Il paesaggio alpino ha subito importanti trasformazioni negli ultimi anni: sono aumentate a valle le aree urbane o agricole e, parallelamente, sono stati abbandonati i prati semi-naturali – non sfruttabili da un’agricoltura sempre più intensiva – a quote intermedie.

Le piante delle Alpi in fuga dal caldo: Pulsatilla montana. Credits: Paolo Paolucci

Come è stata calcolata la velocità di risalita? Per prima cosa si è stimata, per ogni specie, la distribuzione di densità (probabilità) in cui si verificava il fenomeno. Il margine caldo è stato collocato nel 10% (quantile) della distribuzione, quello freddo nel restante 90%. Lo spostamento è stato misurato raffrontando (in sottrazione) i quantili storici del periodo 1990-2004 da quelli attuali 2005-2019.

Per specie aliena si intende una qualsiasi specie vivente (nel nostro caso vegetale) che, a causa dell’azione dell’uomo (accidentale o deliberata), si trova ad abitare e colonizzare un territorio diverso dal suo areale di origine, autosostenendosi riproduttivamente nel nuovo sito. In particolare, nel studio, sono state considerate aliene le specie consolidate introdotte dall’uomo in Europa da un altro continente dopo il XVI secolo. Come specie aliena, il Sorghum halepense, negli ultimi trent’anni, ha spostato il margine freddo della sua distribuzione verso quote più elevate con una velocità di circa 4 metri l’anno.

Le specie comuni, quelle autoctone non inserite nella lista rossa IUCN (organismo mondiale che monitora lo stato del mondo naturale e propone misure necessarie per la sua salvaguardia), si sono spostate verso quote più elevate. Questo movimento, però, non è stato omogeneo. Un esempio può essere il Bromus erectus che si è spostato di circa 3 metri l’anno al margine freddo e 5 metri l’anno al margine caldo, restringendo, quindi, la sua distribuzione totale. La Pulsatilla montanaspecie rara, non ha conquistato quote più elevate ma ha, anzi, retratto la sua distribuzione storica di circa 50 metri.

Costanza Geppert
Costanza Geppert

«In ecologia è raro poter esaminare dati con una buona risoluzione spaziale e temporale. In questo studio abbiamo potuto analizzare i cambiamenti di distribuzione di più di un milione di record di 1.479 specie alpine in un periodo di trent’anni – spiega Costanza Geppert, prima autrice dello studio –. I valori sono stati registrati con dei rilievi floristici in campo dal team di botanici della Fondazione Museo Civico di Rovereto che ha mappato per più di trent’anni le specie presenti nella provincia di Trento.Dalla nostra analisi sono emersi risultati allarmanti: le piante rare sono in diminuzione».

Lorenzo Marini
Lorenzo Marini

«La rapida perdita delle aree di distribuzione specifica delle piante rare si è verificata in zone in cui le attività umane e le pressioni ambientali sono elevate. Questo ci suggerisce che bisognerebbe proteggere anche alcune aree a valle e non solo le zone d’alta quota più remote – afferma Lorenzo Marini, coordinatore dello studio –. Quello che abbiamo fatto è stato misurare l’abilità a competere, anche con l’uomo, delle specie vegetali. Le piante aliene in condizioni di disturbo – per fertilizzazione, rimozione della vegetazione residente per la costruzione di una casa, una strada o un parcheggio – sono molto veloci a crescere e sfruttare le risorse presenti, sottraendole alle altre specie autoctone. Dal nostro studio è emerso che proprio nelle aree più antropizzate e disturbate le piante aliene sono particolarmente abili a competere con le altre specie».

«Sono numerose le specie floristiche minacciate legate agli ambienti agricoli tradizionali e a prati e pascoli – osservano Filippo Prosser e Alessio Bertolli, botanici esperti della Fondazione Museo civico di Rovereto che hanno coordinato i rilievi di campo in Trentino –. Le zone aperte rischiano di scomparire poiché nelle aree più acclivi e scomode sono in fase di abbandono, mentre in quelle pianeggianti vicino alle strade sono soggette a sempre più eccessive concimazioni e pascolamenti, che determinano una banalizzazione della componente floristica. Il pericolo è perdere specie davvero uniche e preziose per la biodiversità delle nostre Alpi».

Link alla ricerca: https://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2211531120

Titolo: “Red-listed plants are contracting their elevational range faster than common plants in the European Alps” – «PNAS» 2023

Autori: Costanza Geppert, Alessio Bertolli, Filippo Prosser, Lorenzo Marini.

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova.

IL SEME DELLA SCIENZA: Aperto il Museo dell’Orto Botanico dell’Università di Padova

Un viaggio alle origini della botanica e della medicina

È stato inaugurato oggi, lunedì 13 febbraio, alla presenza del Ministro dell’Università e della Ricerca, Anna Maria Bernini, e della Magnifica rettrice dell’Università di Padova, Daniela Mapelli, il Museo botanico dell’Università di Padova.

Il Museo farà conoscere al grande pubblico dell’Orto la storia della botanica e dei suoi rapporti con la medicina, grazie al ricco patrimonio di erbari, semi e collezioni didattiche custoditi in secoli di ricerca e attività didattica, mostrando al pubblico un patrimonio finora appannaggio solo di ricercatori e studiosi. Il complesso delle collezioni completa l’offerta culturale dell’Orto fondato nel 1545, sito Unesco unico al mondo, arricchendo il percorso di visita con la storia sia del luogo che della botanica padovana, a partire dal suo legame con la medicina e la farmacopea durante il Rinascimento. Il visitatore ha così uno strumento in più per esplorare in autonomia l’Orto rinascimentale e il Giardino della biodiversità, comprendendone le origini e l’evoluzione. In modo coinvolgente e interattivo potrà conoscere le collezioni e scoprire come lo studio delle piante si sia evoluto nei secoli. Con la Biblioteca, l’erbario di ricerca e il nuovo percorso espositivo aperto al pubblico, il Museo diventa un luogo d’eccezione in cui ricerca, didattica e divulgazione convivono.

«Il Museo botanico è una delle splendide eredità permanenti che la nostra Università offre, in occasione dei suoi ottocento anni, al territorio. La sua inaugurazione il 13 febbraio – afferma la magnifica rettrice Daniela Mapelli – chiuderà un anno ricco, emozionante e intenso di iniziative rivolte non solo alla comunità universitaria, ma a tutta la cittadinanza. Il Museo integra e rafforza l’offerta culturale e scientifica dell’Università, anche in vista dell’inaugurazione del Museo della Natura e dell’Uomo. L’Orto fondato nel 1545 continua così a essere un luogo di scambio e conoscenza, aperto al mondo».

«Si tratta di una inaugurazione importante, che prosegue sul solco di una piccola ‘rivoluzione copernicana’ per i musei universitari patavini: non più solo patrimonio ad uso esclusivo di studiosi e docenti, ma una ricchezza culturale a disposizione di tutti, accessibile, inclusiva e per di più in questo caso orientata ai temi della sostenibilità, in linea con la nuova definizione di Museo varata dall’ICOM lo scorso 24 agosto 2022 a Praga – sottolinea Mauro Varotto, delegato della Rettrice per i musei e le collezioni universitarie – Si tratta di un investimento economico non indifferente per l’Ateneo, destinato a potenziare l’offerta culturale cittadina e a far crescere il capitale scientifico a disposizione della cittadinanza: solo così Padova potrà a buon diritto definirsi Città della Scienza».

La storia

L’Orto rinascimentale e il Giardino della biodiversità si arricchiscono di un nuovo nucleo espositivo che presenta per la prima volta al grande pubblico una selezione significativa del patrimonio storico dell’Università di Padova, finora destinato principalmente a ricerca e didattica.

Si tratta di collezioni botaniche risalenti prevalentemente all’Ottocento e al primo Novecento, tra cui spicca l’erbario storico – uno straordinario archivio della biodiversità vegetale con circa 800.000 esemplari di piante, alghe, funghi e licheni essiccati – 16.000 provette con semi di specie alimentari, medicinali e ornamentali, le tavole didattiche ottocentesche, modelli di funghi e sezioni di legni. Il percorso, che si sviluppa su una superficie di 500 metri quadrati ed è stato curato dalla responsabile scientifica Elena Canadelli, parte letteralmente dalle radici dell’Orto ovvero da uno dei suoi più antichi esemplari arborei, il tronco di agnocasto (detto anche “Pepe dei monaci”) risalente alla metà del Cinquecento, per concludersi con il preziosissimo patrimonio di volumi che hanno fatto la storia della botanica e della medicina (come le prime edizioni delle opere di Vesalio, Mattioli, Berengario da Carpi e Alpini). Nell’insieme, gli spazi del Museo botanico, dell’erbario e della biblioteca rappresentano da ora non solo un importante polo di conservazione, ma anche di studio e valorizzazione pubblica delle collezioni museali, archivistiche e librarie dell’Università di Padova, che arricchiscono ulteriormente un sito Unesco unico al mondo.

Il Museo botanico ha sede in quella che fino a metà Novecento era la casa in cui abitava il Prefetto dell’Orto di Padova. Questo edificio d’impianto settecentesco ha ospitato nel tempo studenti, studentesse e docenti dell’Università di Padova in serre, aule e laboratori che oggi aprono per la prima volta le loro porte agli oltre 200.000 visitatori annui dell’Orto botanico. Chi visita il Museo potrà scoprire la storia dell’Orto, delle sue piante e di chi le ha raccolte, in un viaggio attraverso i secoli che inizia dalla sua fondazione – quando vi si coltivavano e studiavano le piante medicinali – e arriva fino al Novecento, quando lo studio delle piante si è esteso anche all’anatomia, alla fisiologia ed evoluzione nel loro ambiente, alla loro classificazione e distribuzione geografica.

Il Museo

«Il Museo valorizza la storia secolare dell’Orto. Nelle sue sale natura, scienza, arte e storia dialogano in maniera suggestiva e coinvolgente. Tra passato e presente, il percorso racconta le storie delle piante e delle persone che le hanno raccolte, studiate e insegnate nel corso dei secoli, facendo di Padova un crocevia di scienza e cultura. Oggi – sottolinea Elena Canadelli, responsabile scientifica del Museo botanico, storica della scienza e presidente della Società Italiana di Storia della Scienza –a l’Orto botanico ha un nuovo importante attore, che affianca e rafforza le attività del sito Unesco su più livelli, dalla ricerca storica e botanica alla didattica, alla possibilità per i visitatori di conoscere la storia dell’Orto e delle sue collezioni. Il risultato a cui siamo arrivati dimostra l’importanza e la forza di lavorare in sinergia, grazie a una valorizzazione integrata del patrimonio».

Visitare il Museo è come entrare nel sancta sanctorum dell’Orto, dove conoscere i suoi protagonisti e scoprire ancora meglio il dialogo tra horti sicci e horti vivi, tra le geometrie rinascimentali dell’Orto antico, fondato nel 1545, le serre del Giardino della biodiversità inaugurate nel 2014 e il ricco patrimonio archivistico e librario conservato al primo piano dell’edificio nella nuova Biblioteca storica di medicina e botanica “Vincenzo Pinali e Giovanni Marsili”, frutto del trasferimento dei testi di medicina e anatomia della Biblioteca Medica “Vincenzo Pinali” Antica, che vanno ad affiancarsi alle preesistenti raccolte di libri e archivi della Biblioteca dell’Orto, evidenziando lo stretto nesso originario tra botanica e medicina. Il percorso museale del pianterreno continua così idealmente al piano superiore, in cui la conservazione del patrimonio si unisce alla sua valorizzazione attraverso una galleria di interattivi dedicati alla storia di queste importanti biblioteche e dei loro fondi librari. Sempre al primo piano dell’edificio si trovano gli spazi di conservazione e studio dell’erbario riservati agli studiosi, insieme al resto delle collezioni del Museo non esposte al pianterreno e ad un’aula predisposta per le attività didattiche con le scuole.

La visita si snoda in un percorso ad anello di circa 100 metri di lunghezza a partire dall’ingresso che specchia l’Orto rinascimentale, in cui trova posto il tronco più antico conservato, quello dell’agnocasto, tra le piante coltivate nei primi anni di vita dell’Orto e noto fin dall’antichità come presunto rimedio per diminuire il desiderio sessuale. Ci si immerge così nelle tappe fondamentali della storia dell’Orto, a partire dalla sua fondazione nel 1545 fino al 1786, anno in cui Goethe lo visita e ne rimane affascinato durante il suo viaggio in Italia. A seguire si sviluppa la collezione di erbari, che occupa l’intero corridoio settentrionale dell’edificio e racconta la fitta rete di scambi di piante e semi dell’Orto, sin dalle origini importante centro di introduzione e coltivazione di piante medicinali, alimentari e ornamentali da varie parti del mondo: tale storia viene annunciata dall’installazione Erbario assoluto, realizzata dallo studio artistico multidisciplinare fuse* e ripercorsa attraverso alcuni esemplari originali delle collezioni di erbari. Nella parte finale della galleria si lasciano gli exsiccata per immergersi nelle illustrazioni botaniche e anatomiche che hanno fatto la storia della botanica e della medicina in alcuni dei più preziosi volumi della Biblioteca storica di medicina e botanica “Vincenzo Pinali e Giovanni Marsili”.

Il percorso continua in una spezieria di fine Settecento, dove la strumentazione originale, le preparazioni e i farmaci che attraversano almeno tre secoli di storia della farmaceutica e della medicina si combinano con esperienze sonore e interattive. A seguire ci si immerge in un’aula di fine Ottocento, imparando ad esercitare l’occhio, come gli studenti del passato, sulle collezioni botaniche didattiche di tavole parietali, semi, funghi e legni delle forme più diverse. Negli spazi del Teatro botanico recentemente restaurato si può assistere alla proiezione del film Goethe. La vita delle foglie, scritto e diretto da Denis Brotto, dove si racconta l’ideale ritorno di Goethe a Padova, oggi, nel 2023: un’occasione per ripensare al suo viaggio in Italia, avvenuto nel 1786, e soprattutto alla genesi del suo celebre saggio La metamorfosi delle piante, pubblicato nel 1790. Nelle sale successive è possibile immergersi in esperienze interattive come quella della Botanica senza frontiere, in cui una mappa evidenzia i legami dell’Orto con il resto del mondo, attraverso le storie dei personaggi che sono entrati in relazione con questo luogo, o quella di Una storia illustrata della botanica e della medicina, in cui si ripercorre in 12 tappe, che comprendono anche Padova, la storia della medicina e della botanica occidentale, oppure il gioco finale che conclude la visita e sprona a indovinare le piante introdotte per la prima volta in Italia e i botanici padovani a cui ancora oggi sono dedicati interi generi di piante.

Info per la visita

L’accesso al Museo è incluso nel percorso di visita e nel biglietto d’ingresso dell’Orto, che mantiene i costi invariati. Gli orari, i prezzi e le modalità di visita o prenotazione sono disponibili presso il sito dell’Orto botanico (www.ortobotanicopd.it).

I lavori di restauro, risanamento e riqualificazione energetica della casa del Prefetto per l’allestimento del Museo sono stati diretti dall’Ufficio Sviluppo edilizio dell’Area Edilizia e Sicurezza dell’Università di Padova, su progetto di Lucia Corti (LAe – Laboratorio di Architettura Ecologica).

L’allestimento museale e multimediale è stato coordinato dall’Ufficio Eventi permanenti – Area Comunicazione e Marketing dell’Università di Padova, con la collaborazione del Centro di Ateneo per i Musei, l’Ufficio Sviluppo edilizio, il Centro di Ateneo Orto botanico, il Centro di Ateneo per le Biblioteche e il Dipartimento di Scienze del Farmaco. La supervisione scientifica del progetto espositivo è di Elena Canadelli, storica della scienza e presidente della Società Italiana di Storia della Scienza.

Ideazione e progettazione grafica degli allestimenti e design della galleria della Biblioteca storica sono dell’Ufficio Comunicazione – Area comunicazione e Marketing dell’Università di Padova.

Il Museo botanico è realizzato grazie al sostegno del Ministero dell’Università e della Ricerca, della Camera di Commercio di Padova e degli Amici dell’Università di Padova, con Fondazione Cariparo come partner istituzionale. Hanno inoltre contribuito: Assindustria Venetocentro, Unox, Bios Line, Nar, Maschio Gaspardo, Sit Group.

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La Galleria degli erbari racconta le tante storie delle piante e di chi le ha raccolte, a partire dalle suggestioni offerte dall’Erbario assoluto dei fuse*, un’opera che coinvolge il visitatore all’ingresso della Galleria con immagini e musica, reinterpretando le illustrazioni botaniche e gli erbari storici dell’Orto di Padova, alla ricerca dell’essenza della pianta e delle sue metamorfosi. Le immagini sono elaborate attraverso algoritmi di machine learning, che rintracciano i caratteri ricorrenti e salienti di fiori e foglie, ne colgono le somiglianze e le differenze. Nasce un’installazione artistica che unisce sensibilità umana e intelligenza artificiale; un modo per portare alla luce colori, forme, dettagli e texture talvolta invisibili all’occhio e offrire così uno sguardo nuovo sul mondo vegetale.

L’erbario è un campionario del mondoscriveva il poeta e lichenologo Camillo Sbarbaro un archivio della biodiversità del passato che oggi si può ammirare nelle sale del Museo botanico in un viaggio tra arte, natura, storia e scienza. Tra i 136 esemplari dell’erbario di Padova esposti nel Museo, selezionati tra gli oltre 800.000 totali, si possono ammirare le piante raccolte dal giovane pittore ferrarese Filippo de Pisis oppure quelle del prefetto dell’Orto Giuseppe Antonio Bonato, che con la sua donazione ha dato vita nel 1835 all’Erbario dell’Università. È possibile incontrare da vicino piante che hanno fatto la storia, utilizzate nella medicina o nell’arte, come la mandragora, la canapa indiana, il caffè o il peperoncino.

L’Erbario di Padova nasce tre secoli dopo la fondazione dell’Orto. È il 1835 e a volerlo è il prefetto Giuseppe Antonio Bonato, che dona all’Università il suo erbario e la sua biblioteca. Grazie a lui arrivano anche le piante e i libri del suo predecessore Giovanni Marsili. Negli anni la collezione cresce, fino ad arrivare agli 800.000 campioni attuali, che fanno di Padova uno degli erbari più importanti d’Italia. Il percorso segue l’accrescimento dell’erbario, dai primi nuclei di Marsili e Bonato, attraverso i successivi contributi dei suoi prefetti e collaboratori, da Roberto De Visiani (metà Ottocento) a Pier Andrea Saccardo (a cavallo tra Otto e Novecento), da Achille Forti (a cavallo tra Otto e Novecento) a Silvia Zenari (metà Novecento). Negli espositori degli erbari, dotati di piani estraibili dal visitatore, ogni foglio d’erbario è affiancato da un focus scientifico sulla pianta e i suoi usi, sulla persona che l’ha raccolta, oppure sul viaggio e sul luogo in cui è stata ritrovata.

Un’attenzione particolare merita l’erbario raccolto dall’artista Luigi Tibertelli, noto col nome d’arte di Filippo de Pisis, che fin da giovane si appassiona alle scienze naturali raccogliendo in lunghe passeggiate tra Emilia Romagna, Veneto e Toscana conchiglie, farfalle, minerali e piante che vanno a formare un erbario di circa 1200 campioni con suoi disegni e pensieri.

A chiudere la galleria degli erbari, una selezione di antichi volumi di valore unico e inestimabile provenienti dalle collezioni storiche delle biblioteche dell’Ateneo, tra cui il De humani corporis fabrica (1543) di Andrea Vesalio, accompagnata dal tavolo interattivo Una storia illustrata della botanica e della medicina, che permette di esplorare la storia della botanica, della medicina e dell’anatomia occidentale in dodici tappe: dall’Antichità al Settecento, passando anche per Padova e la sua Università.

Dopo quasi 500 anni dalla fondazione (1545), arriva in Orto botanico la Spezieria che il medico dell’Università di Padova Francesco Bonafede, tra i promotori della creazione dell’Orto botanico, avrebbe voluto attiva fin dal 1545. Oggi, quell’antico auspicio prende le forme della farmacia di fine Settecento donata negli anni Novanta del secolo scorso dal farmacista Giuseppe Maggioni, con i suoi arredi, la sua strumentazione originale, le preparazioni e i farmaci che attraversano almeno tre secoli di storia della farmaceutica e della medicina, a sottolineare il profondo legame che ha unito e unisce il mondo delle piante con la cura delle malattie: un ambiente in cui è possibile immergersi e incontrare in video lo speziale all’opera. In questi spazi viene illustrata l’evoluzione della farmacopea, dai cosiddetti semplici al farmaco di sintesi dei nostri giorni, e come è cambiata la figura dello speziale e del farmacista nei secoli, giocando con un interattivo dedicato a veleni e antidoti. Vasi, flaconi, spatole, mortai, bilance e oggetti curiosi ci raccontano che cosa faceva lo speziale, quali erano i suoi strumenti e quali “ingredienti” usava per ottenere i suoi rimedi. Tra questi, il medicamento più celebre è la teriaca, ritenuta per più di un millennio un rimedio infallibile. Il suo ingrediente fondamentale era la carne di vipera, che si riteneva conservasse anche l’antidoto, oltre al veleno. La teriaca fu trasmessa in tutti i ricettari fino all’Ottocento.

La sala dedicata alla “lezione di botanica” permette a grandi e piccoli di imparare a riconoscere funghi e legni e di giocare a indovinare le forme delle piante e le strategie di diffusione dei loro semi, osservando dal vivo le tavole parietali didattiche di fine Ottocento. In questa sala ci sono moltissimi oggetti curiosi, da esplorare anche con una lente d’ingrandimento. Si tratta di collezioni didattiche usate da professori e studenti dell’Istituto botanico di Padova tra Otto e Novecento, per imparare a riconoscere il mondo vegetale. Tra le collezioni che si incontrano in questa sala vi è una selezione di un’ottantina di modelli di funghi in cera, prodotti da Carlo Avogadro degli Azzoni negli anni Trenta dell’Ottocento, e di funghi in creta di circa quarant’anni dopo, realizzati da Egisto Tortori, tra cui l’uovo del diavolo, il Phallus impudicus, un fungo commestibile solo da giovane, o il fungo lanterna, il Clathrus cancellatus, dall’odore fetido. Le scatole di semi, dette centurie in quanto contenenti ciascuna cento specie, furono realizzate all’inizio del Novecento dall’agronomo Raffaello Sernagiotto, con i semi di piante coltivate o infestanti del territorio italiano (come la gustosa zucca o la velenosa digitale gialla): esse rappresentano la biodiversità delle campagne italiane di oltre un secolo fa. Sotto una lente di ingrandimento, si possono esplorare i colori e le forme di una quarantina di sezioni ultrasottili di legni, di spessore inferiore al millimetro, scelte da una raccolta storica di oltre 200 sezioni dal nome curioso di Xylotomotheca Italica realizzata tra il 1905 e il 1927 da Adriano Fiori, un allievo del prefetto di Padova Pier Andrea Saccardo.

Tra Otto e Novecento, prima dell’arrivo di lucidi e slides di powerpoint, le lezioni erano accompagnate da tabelloni illustrati di grande formato, appesi in aule e laboratori di scuole e università. Alla realizzazione di queste litografie a colori collaborano naturalisti e artisti, segnando una fortunata stagione della didattica delle scienze naturali e del rapporto tra arte e scienza. Il Museo botanico possiede una ricca collezione di un centinaio di tavole botaniche. La serie più numerosa, da cui sono tratte le nove esposte nel percorso, riunisce 68 tavole di Otto W. Thome e Hermann Zippel, dal titolo Ausländische Kulturpflanzen in farbigen Wandtafeln (1899) e raffigura piante esotiche, originarie dei cinque continenti, principalmente utilizzate a scopo alimentare quali cacao, zenzero, banano e cotone.

Il Museo botanico conserva 16.000 provette con semi di piante ornamentali, come lillà e rose, e alimentari, come fagioli e mais. Questo prezioso archivio di biodiversità è il frutto di scambi con altri orti botanici iniziati a fine Ottocento e in corso ancora oggi: i semi sono utili nei casi in cui si manifesta la necessità di attribuire un nome a semi sconosciuti, ad esempio in caso di ritrovamenti archeologici. Nella collezione spicca l’inconfondibile “coco de mer”, il seme di una palma che cresce solo in alcune isole delle Seychelles: è il più grande seme del regno vegetale e può pesare fino a 25 kg. Dalla forte somiglianza con i fianchi femminili, si credeva avesse poteri afrodisiaci. I due interattivi della sala, Identikit delle piante e In viaggio con i semi, completano il percorso, aiutando a comprendere con un linguaggio semplice e immediato come funziona il processo di identificazione di una pianta e come le piante riescano a spostarsi grazie ai semi.

Il Teatro botanico, costruito nel 1842 per ospitare le lezioni di botanica, torna a risplendere grazie a un restauro che consente di apprezzarne le architetture in legno. In esso è proiettato Goethe. La vita delle foglie, un episodio inedito della Forma della Memoria, il film con la regia di Denis Brotto che ha raccontato la storia dell’Ateneo nell’anno dell’Ottavo centenario.

Goethe. La vita delle foglie rappresenta la continuazione del film La forma della memoria, un film di 23’ in cui si racconta l’ideale ritorno di Goethe a Padova, oggi, nel 2023: un’occasione per ripensare al suo viaggio in Italia, avvenuto nel 1786, e soprattutto alla genesi del suo celebre saggio La metamorfosi delle piante, pubblicato nel 1790. Per Goethe il viaggio in Italia rappresenta un punto di svolta, sia sul piano umano che come studioso. Il suo interesse per la forma e l’evoluzione delle piante troverà, soprattutto nell’Orto botanico di Padova, un luogo di interesse fondamentale. È qui che il filosofo comprende il valore della foglia nei suoi studi di botanica: dalla foglia tutto sembra avere origine secondo Goethe. Nel film, Goethe viene interpretato da Giulio Casale, grande attore e ancor più scrittore e cantante, un artista in grado di incarnare la grandezza di Goethe, la sua ricerca filosofica, il suo interesse per la botanica, il suo fascino radioso.

Al primo piano dell’edificio del Museo botanico nasce la nuova Biblioteca storica di medicina e botanica Vincenzo Pinali e Giovanni Marsili, frutto del trasferimento delle collezioni di medicina e anatomia della Biblioteca Medica “Vincenzo Pinali” Antica, che vanno ora ad affiancarsi alle preesistenti raccolte di libri e archivi della Biblioteca dell’Orto botanico, rimaste nella loro sede originaria, evidenziando il nesso stretto originario tra storia della botanica e della medicina.

La biblioteca dell’Orto botanico nasce nel 1835 per volere del direttore scientifico dell’Orto, il prefetto Giuseppe Antonio Bonato, grazie a cui arrivano i suoi libri personali e i libri acquistati per l’insegnamento. Grazie a Bonato arriva in Orto anche il nucleo primario e principale della nuova biblioteca: la collezione di Giovanni Marsili (prefetto dal 1760 al 1794), che abbraccia tutte le materie importanti per la cultura del tempo e che contiene volumi rari e preziosi, come l’incunabolo dello Pseudo Apuleio, Incipit herbarium Apulei Platonici ad Marcum Agrippam (1481-1484) o I discorsi di m. Pietro Andrea Matthioli nelli sei libri di Pedacio Dioscoride Anazarbeo della materia medicinale (1568). Nel corso dell’Ottocento e del Novecento la biblioteca si arricchisce di materiali per l’insegnamento della botanica e di numerose donazioni da parte dei prefetti. Oggi conserva un ricco patrimonio di volumi, manoscritti, erbari illustrati, fotografie (come l’eccezionale collezione della Iconoteca dei botanici, https://phaidra.cab.unipd.it/collections/iconoteca_botanici), l’erbario tardo settecentesco di Giovanni Marsili e l’archivio che racconta la storia plurisecolare dell’Orto padovano. Si tratta di un insieme di 200 faldoni di natura composita, da ricchi carteggi a documenti amministrativi, che abbracciano un arco temporale che va dal Settecento alla seconda metà del Novecento, recentemente digitalizzati e liberamente disponibili nel portale delle collezioni digitali dell’Università di Padova (https://phaidra.cab.unipd.it/collections/archivio_orto_botanico).

La biblioteca medica “Vincenzo Pinali” Antica trae origine nel 1875 dal lascito testamentario di Vincenzo Pinali, docente di clinica medica che destina i suoi libri e una cospicua somma per la fondazione della biblioteca. Pinali intende così dotare la Scuola medica di una moderna biblioteca specialistica destinata a evolvere nel tempo per soddisfare le esigenze di studio e ricerca della comunità scientifica. La biblioteca venne ospitata negli edifici di San Mattia dalla sua apertura nel 1878/79 fino ai primi anni del Novecento, per poi trasferirsi nel complesso degli Istituti anatomici, realizzato tra 1922 e 1930 su progetto di Guido Fondelli. Tra il 1875 e il 1953 la biblioteca si arricchisce, per citarne solo alcune, delle collezioni librarie di Francesco Luigi Fanzago, medico legale, patologo e Preside della Facoltà di medicina dal 1828 al 1835, di Tito Vanzetti, i cui libri sono donati alla Facoltà medica dagli eredi nel 1888, e di Virgilio Ducceschi, fisiologo e grande collezionista di libri antichi. Dal fondo Fanzago proviene per esempio il manoscritto di [Bartolomeo Squarcialupi], Notitia anathomiae. Libro de le experiençe che fa el cauterio del fuocho ne corpi humani, [Padova fine XIV-inizio XV secolo], il testo più antico della biblioteca, mentre dal fondo Ducceschi proviene una copia delle Isagogae breues (1523) di Jacopo Berengario da Carpi.

Anche in questi ambienti è disponibile un’esperienza interattiva, dal titolo Pagine di medicina e botanica, progettata dallo studio TODO: un prologo digitale che affianca percorsi tematici curati a una navigazione libera, in cui lasciarsi ispirare dalle immagini o seguire i suggerimenti di contenuti simili, ad esempio per contenuto o tecnica di rappresentazione.

Il percorso espositivo si chiude con due sale interattive che invitano il visitatore a ripercorrere e approfondire in maniera divertente la storia dell’Orto botanico di Padova attraverso le sue piante e i suoi protagonisti. Nella prima saletta Botanica senza frontiere, in un ambiente colorato interamente di verde, un interattivo mostra in una mappa i legami dell’Orto con il resto del mondo, attraverso le storie dei personaggi che sono entrati in relazione con questo luogo, dalla metà del Cinquecento fino all’Ottocento. L’ultima sala è dedicata alla Storia di piante, luoghi e personaggi, con un gioco di tesserine girevoli riccamente illustrate, incentrate sulle curiosità legate all’Orto di Padova, che sprona a indovinare le piante introdotte a Padova per la prima volta in Italia, l’evoluzione delle architetture dell’Orto e i botanici padovani a cui ancora oggi sono dedicati interi generi di piante. Il Museo, quindi, non ospita soltanto i pezzi originali delle proprie collezioni ma permette al visitatore di fare un’esperienza attiva in ambienti in cui immergersi: fin dalla seconda sala si incontrano le immagini e i suoni coinvolgenti di Erbario assoluto dei fuse*, per un primo tuffo negli erbari e nelle immagini vegetali. La Galleria degli erbari conclude il suo percorso in una zona dedicata ai libri: libri da ammirare dal vivo dopo aver navigato tra le immagini e le curiosità di Una storia illustrata della botanica e della medicina progettata da TODO, studio di interaction design, con particolare attenzione a bilanciare le componenti emozionali, narrative e informative e a trasformare quindi i concetti più complessi in esperienze coinvolgenti, immediate e semplici da capire. L’interfaccia permette agli utenti di accedere con un solo tocco a tutti i contenuti e di spostare i diversi elementi all’interno di un sistema dinamico ispirato ai principi della divisione cellulare. La storia della scienza appresa dalle foto dei libri prepara così all’emozione dei reperti originali: vedere dal vivo i libri antichi che hanno fatto la storia. Più avanti si può entrare davvero in una spezieria con mobili e strumenti originali e calarsi nella quotidianità e nel lavoro di uno speziale del Rinascimento mentre crea farmaci e preparati, grazie all’installazione realizzata dalla ditta milanese DotDotDot, che ha progettato anche i giochi interattivi della stanza successiva “A lezione di botanica”: qui si possono ingaggiare divertenti competizioni per imparare a riconoscere le piante e a classificarle, o scoprire i modi che i semi utilizzano per viaggiare e raggiungere nuovi terreni fertili in cui mettere radici. Senza dimenticare il gioco per apprendere i potenziali pericoli legati al consumo di specie velenose, alla ricerca della pianta colpevole di delitti anche famosi. Nella conclusione del percorso grandi e piccoli possono girare 45 tessere e scoprire immagini poco conosciute degli ambienti dell’Orto botanico da visitare – o visitati poco prima. C’è anche un vero viaggio nella storia dell’Orto sviluppato dai DotDotDot in Botanica senza frontiere, dove una postazione permette di ripercorrere attraverso una mappa interattiva i luoghi e i personaggi illustri che hanno avuto contatti, scambi e collegamenti di varia natura con l’Orto patavino.

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OFFERTA MUSEALE DELL’UNIVERSITÀ DI PADOVA E MUSEO DELL’ORTO BOTANICO

Il Museo botanico amplia e rafforza ulteriormente la già ampia offerta museale dell’Università di Padova, che in occasione del suo Ottocentenario ha voluto aprire al pubblico le sue collezioni più preziose. All’inaugurazione del Museo botanico seguirà a partire dall’estate l’inaugurazione del Museo della Natura e dell’Uomo, il più grande museo universitario in Italia. Con questi due musei il sistema museale dell’Ateneo raggiunge 11 musei (8 all’interno del tessuto cittadino e 3 in altre sedi: Chioggia, Asiago e Legnaro) e 15 collezioni universitarie.

L’Orto botanico dell’Università di Padova è il più antico orto botanico universitario al mondo ad aver mantenuto la sua collocazione e la sua architettura originarie.

Fu fondato nel 1545 nel cuore di Padova, con lo scopo di consentire agli studenti universitari di imparare a riconoscere le piante medicinali e ad usarle per scopi terapeutici. Oggi ospita più di 6.000 esemplari e 3.500 specie all’interno di una superficie di 3,5 ettari.

L’Orto antico è caratterizzato da un’affascinante struttura a forma di cerchio con inscritto un quadrato, suddivisa in quattro quadrati più piccoli (i “quarti”) da due viali perpendicolari, e racchiusa da mura perimetrali. Ogni quarto deve il suo nome alla sua pianta più rappresentativa: magnolia (sud-ovest), ginkgo (nord-ovest), tamerice (nord-est) e albizzia (sud-est). Gli esemplari delle piante sono disposti per categoria all’interno di aiuole di forma geometrica, specifica per ogni quarto, andando a rappresentare un catalogo ideale del regno vegetale.

L’Orto antico ospita collezioni tematiche (piante medicinali, velenose, piante rare del Triveneto, flora dei Colli Euganei), ricostruzioni di ambienti naturali (come la roccera alpina e la macchia mediterranea), piante insettivore, succulente, acquatiche e ornamentali, senza dimenticare le piante storiche come la “Palma di Goethe” (1585), la più antica dell’Orto.

Nel 1997 è stato inserito nella lista dei siti Patrimonio Mondiale dell’Umanità UNESCO con la seguente motivazione:

L’Orto botanico dell’Università di Padova è il primo orto botanico del mondo e rappresenta la nascita delle scienze, degli scambi scientifici e del rapporto tra natura e cultura. Esso ha largamente contribuito alla nascita di numerose discipline scientifiche moderne, quali la botanica, la medicina, la chimica, l’ecologia e la farmacologia.

Nel 2014 l’Orto botanico di Padova è stato ampliato con la costruzione del Giardino della biodiversità, costituito da cinque grandi serre a basso impatto ambientale nelle quali è possibile compiere un affascinante viaggio attraverso i biomi naturali del pianeta – dalle aree tropicali a quelle sub-umide, dalle zone temperate ai deserti – esplorando al contempo il millenario rapporto tra le piante e gli esseri umani.

A febbraio del 2023 apre anche il Museo botanico, 500 mq di superficie espositiva in cui scoprire la storia dell’Orto, delle sue piante e di chi le ha raccolte, in un viaggio attraverso i secoli che inizia dalla fondazione e arriva fino al Novecento, presentando per la prima volta al grande pubblico una significativa selezione del patrimonio storico dell’Università di Padova. Tra botanica e medicina, fino all’immersione in una vera farmacia di fine Settecento.

L’orto in cifre: 1545 Il Senato di Venezia approva la fondazione dell’Orto botanico dell’Università di Padova; 1997 L’Orto botanico di Padova diventa Patrimonio UNESCO; 3.500 specie; 6.000 esemplari; 200.000 visitatori l’anno; Oltre 100 eventi ogni anno.

Il Centro di Ateneo per i Musei dell’Università di Padova: https://www.musei.unipd.it/it

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GOETHE

LA VITA DELLE FOGLIE

Scritto e diretto da Denis Brotto

Produzione Orto Botanico di Padova, Università degli Studi di Padova

Produzione esecutiva AviLab srl

Durata: 23’

2023

Note di regia

“Goethe. La vita delle foglie” rappresenta una sorta di continuazione del film “La forma della memoria”. In questo nuovo lavoro, un film di 23’, si racconta l’ideale ritorno di Goethe a Padova, oggi, nel 2023: un’occasione per ripensare al suo viaggio in Italia, avvenuto nel 1786, e soprattutto alla genesi del suo celebre saggio ‘La metamorfosi delle piante’, pubblicato nel 1790.

Per Goethe il viaggio in Italia rappresenta un punto di svolta, sia sul piano umano che come studioso. Il suo interesse per la forma e l’evoluzione delle piante troverà, soprattutto nell’Orto Botanico di Padova, un luogo di interesse fondamentale. È qui che il filosofo comprende il valore della foglia nei suoi studi di botanica: da lei, dalla foglia, tutto sembra avere origine secondo Goethe.

Questo film osserva tre aspetti nella vita di Goethe: l’idea di formazione e di crescita secondo il poeta; la centralità della botanica nei suoi interessi; la fine della passione amorosa per Charlotte von Stein, che coincide con il momento in cui Goethe intraprende il suo viaggio in Italia.

Nel film, gli interlocutori di Goethe, sono allora l’amico Karl August, duca di Sassonia, e Charlotte von Stein. È a loro che Goethe indirizza le sue riflessioni.

Goethe è un personaggio attraversato dalla cultura europea. Ma ad emergere è anche la sensazione di isolamento avvertita da Goethe, dovuta al poco interesse per le sue idee, spesso respinte o ignorate nel corso di quegli anni.

Nel film, Goethe viene interpretato da Giulio Casale, un grande attore, e ancor più uno scrittore e un cantante. Un artista in grado di incarnare la grandezza di Goethe, la sua ricerca filosofica, il suo interesse per la botanica, il suo fascino radioso.

Un film di 23 minuti in cui ritrovare Goethe nei luoghi che così profondamente hanno colpito il suo immaginario. La chiesa degli Eremitani, i dipinti del Mantegna, Santa Giustina e, più di tutti, l’Orto Botanico, il luogo da cui prendono il via le riflessioni che troveranno compimento nel suo rivoluzionario saggio ‘La metamorfosi delle piante’.

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Erbario assoluto

L’opera coinvolge il visitatore all’ingresso della Galleria degli erbari con immagini e musica, reinterpretando le illustrazioni botaniche e gli erbari storici dell’Orto di Padova, alla ricerca dell’essenza della pianta e delle sue metamorfosi. Le immagini sono elaborate attraverso algoritmi di machine learning, che rintracciano i caratteri ricorrenti e salienti di fiori e foglie, ne colgono le somiglianze e le differenze. Nasce un’installazione artistica che unisce sensibilità umana e intelligenza artificiale; un modo per portare alla luce colori, forme, dettagli e texture talvolta invisibili all’occhio e offrire così uno sguardo nuovo sul mondo vegetale.

Installazione di fuse*, 2023

Artificial Botany

Un erbario è un tentativo di organizzare la realtà naturale. È un’impresa che conduce alla riproduzione del reale, ma al tempo stesso al tentativo di crearne un modello, di rintracciarne le regole, i caratteri ricorrenti. È una tecnica che, come ogni altra, non è neutra, ma porta alla costruzione di uno sguardo, di un proprio punto di vista sulle cose.

In questo, al di là delle apparenze, la creazione di un erbario si dimostra assai affine alla creazione di una rete neurale. Una GAN (Generative Adversarial Network), il modello di machine learning qui utilizzato, mentre apprende dai dati che le sono forniti, tenta di costruirne un modello, di comprimerne la complessità all’interno del suo spazio latente, estraendone i caratteri salienti. Il risultato non è una copia esatta dell’immagine originale, ma una sua reinterpretazione.

Questa reinterpretazione apre uno spazio di possibilità artistiche: la possibilità di lasciar esprimere una nuova estetica interamente sintetica, che mostri la sua natura anche attraverso l’errore e gli artefatti, segni tangibili del processo che li ha generati. La possibilità di controllare l’emergere o lo scomparire di alcuni pattern stilistici e compositivi attraverso la composizione del dataset, in questo caso basato sugli erbari del Museo botanico di Padova. La possibilità di lasciare lo sguardo sospeso per un breve momento, nel dubbio che ciò che vede sia il lavoro di una macchina o di un essere umano.

Questa commistione di sensibilità umana e intelligenza artificiale tenta di aprire ad altre interpretazioni possibili, ad altri punti di vista. Rende possibili nuove connessioni e associazioni fra i dati, portate alla luce dai modi in cui il sistema mette in relazione colori, forme, dettagli e texture altrimenti invisibili all’occhio umano. In questo processo emergono nuovi ibridi, specie, morfologie e classificazioni. Artificial Botany dialoga con la bellezza implicita nello stato di continua trasformazione delle specie viventi, cercando di catturare la ricchezza generativa dell’evoluzione e di immaginare nuove relazioni e assonanze fra le diverse specie e le loro rappresentazioni.

Fondato nel 2007, fuse* è uno studio artistico multidisciplinare che indaga le possibilità espressive delle tecnologie digitali, con l’obiettivo di interpretare la complessità dei fenomeni umani, sociali e naturali.

Fin dalle sue origini, la ricerca dello studio ha avuto come obiettivo primario la realizzazione di installazioni e performance multimediali, prodotte con l’obiettivo di esplorare i confini tra diverse discipline alla ricerca di nuove connessioni tra luce, spazio, suono e movimento.

Diretto dai fondatori Luca Camellini e Mattia Carretti, lo studio si è evoluto negli anni e ora si avvicina alla creazione di nuovi progetti con un approccio sempre più olistico, affidandosi a un modus operandi che valorizza la pura sperimentazione e la creatività collettiva. L’intento è quello di creare opere che possano ispirare, sospendere l’ordinario e stimolare il pensiero, la sensibilità e l’immaginazione. fuse* lega da sempre il proprio sviluppo a quello della comunità in cui opera sostenendo, promuovendo e ideando progetti che mirano a diffondere cultura e conoscenza. Con questo intento, dal 2016 coproduce il festival di musica elettronica e arti digitali NODE.

Nel corso degli anni, fuse* ha presentato le sue opere e produzioni a livello internazionale in istituzioni e festival d’arte tra cui Mutek, TodaysArt, Sónart, Artechouse, STRP Biennial, RomaEuropa, Kikk, Scopitone e il National Center for the Performing Arts of China.

Per approfondire e ricevere maggiori informazioni: https://www.fuseworks.it/

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CINQUE INSTALLAZIONI DIGITALI INTERATTIVE

PER SCOPRIRE L’ORTO BOTANICO DI PADOVA

Curiosità scientifiche, aneddoti e illustrazioni inedite offrono al pubblico la possibilità di approfondire la storia dell’Orto Botanico di Padova e di conoscere da vicino l’affascinante mondo delle piante attraverso modalità digitali e coinvolgenti

Lo studio Dotdotdot – nato a Milano nel 2004 e tra i primi in Italia a operare nell’ambito dell’Interaction Design – ha progettato per l’Orto Botanico di Padova cinque installazioni digitali e interattive, per approfondire la storia dell’istituzione padovana – la prima nel suo genere rimasta attiva nella sua sede originaria, istituita nel 1545 per la coltivazione delle piante medicinali, oggi Patrimonio Unesco – e avvicinare il pubblico alla botanica raccontando temi complessi con un approccio semplice e coinvolgente. L’Orto rinascimentale e il Giardino della biodiversità si arricchiscono infatti del Museo botanico, un nuovo nucleo espositivo che presenta per la prima volta al pubblico una significativa selezione del patrimonio storico dell’Università di Padova, finora destinato principalmente a ricerca e didattica e non visibile al grande pubblico.

Curiosità, argomenti scientifici, aneddoti, personaggi e vicende storiche legate all’Orto botanico e al mondo delle piante vengono indagati e raccontati attraverso ambienti immersivi e installazioni multimediali, dove il pubblico è invitato a interagire per mettere alla prova le sue conoscenze di botanica. Si tratta di collezioni botaniche risalenti prevalentemente all’Ottocento e al primo Novecento, tra cui spicca l’erbario storico – uno straordinario archivio della biodiversità vegetale con circa 800.000 esemplari tra piante, alghe, funghi e licheni essiccati – e che conta anche 16.000 provette con semi di specie alimentari, medicinali e ornamentali, le tavole didattiche ottocentesche, modelli di funghi e sezioni di legni.

La narrazione è arricchita da una serie di illustrazioni appositamente realizzate da Dotdotdot, insieme a momenti di gioco e sfide.

Attraverso le cinque installazioni dislocate in sale diverse del Museo botanico, il visitatore può calarsi ad esempio nella quotidianità e nel lavoro di uno speziale del Rinascimento mentre crea farmaci e preparati, all’interno di una vera farmacia di fine Settecento con la sua strumentazione, le preparazioni e i farmaci che attraversano almeno tre secoli di storia della farmaceutica e della medicina. Oppure può ingaggiare divertenti competizioni per imparare a riconoscere le piante e a classificarle, o per approfondirne le proprietà benefiche e curative, ma anche i potenziali pericoli legati ad esempio al consumo di specie velenose. Una postazione permette inoltre di scoprire i modi che i semi utilizzano per viaggiare e raggiungere nuovi terreni fertili in cui mettere radici. La storia dell’Orto Botanico, a cui è dedicata un’intera installazione, viene invece ripercorsa attraverso una mappa interattiva dei luoghi e con i personaggi illustri che hanno avuto contatti, scambi e collegamenti di varia natura con l’Istituzione padovana.

Scheda installazioni Dotdotdot | Orto Botanico Padova

1/ Botanica senza frontiere

Una mappa interattiva evidenzia i legami dell’Orto Botanico con il resto del mondo, attraverso le storie dei personaggi che sono entrati in relazione con questo luogo.

Fin dalla sua nascita nel ‘500, il prestigio dell’Orto Botanico di Padova – continuamente arricchito di piante provenienti da varie parti del mondo – ha richiamato studiosi da tutta Europa, molti dei quali hanno poi contribuito alla nascita di nuovi orti botanici. Attraverso questa installazione è possibile scoprire le loro storie e i legami che da qui si sono generati tra l’istituzione padovana e altre città italiane ed europee.

L’interfaccia digitale sorvola tutta la mappa dell’Europa mentre il visitatore, ruotando un disco posizionato sulla consolle di fronte a sé, si muove nel corso dei secoli visualizzando le vite dei personaggi e le città legate all’Orto Botanico. Un albero relazionale aiuta ad evidenziare le connessioni tra i personaggi, tra cui Goethe, Linneo, Brahe.

2/ Veleni e antidoti

Un gioco interattivo e didattico che si ispira a un laboratorio di ricerca

Il visitatore diventa un ricercatore botanico incaricato di risolvere enigmatici casi di avvelenamenti e scoprire le piante “colpevoli”. Attraverso il gioco si impara a conoscere le proprietà delle piante e a riconoscere i “falsi amici”, piante medicinali che talvolta possono rivelarsi fatali o fortemente velenose. Si procede per indizi, analizzando episodi storici o di invenzione. Dal famoso caso di Seneca, costretto al suicidio con la cicuta maggiore (Conium maculatum) alla misteriosa fine di Cangrande della Scala. Una classifica finale premia i partecipanti che hanno risolto i casi nel minor tempo.

3/ L’arte dello speziale

Una grande stanza dedicata alla farmacologia racconta la quotidianità di uno speziale nella sua bottega.

All’interno di un ambiente scenografico, allestito con arredi provenienti da un’antica spezieria, un video-racconto mostra uno speziale intento a lavorare per la preparazione dei farmaci. L’installazione richiama visivamente i teatrini delle ombre, contribuendo ad accrescere il fascino della figura dello speziale e a stimolare nel visitatore la curiosità riguardo alla sua professione e all’arte di combinare gli elementi naturali per creare i medicinali.

4/ Identikit delle piante

Un quiz didattico per imparare a riconoscere le piante in base alle loro caratteristiche.
Le piante sono classificate secondo criteri precisi e riconoscerle richiede un’attenta osservazione della loro morfologia. Questa installazione interattiva spiega, con un linguaggio semplice e immediato, come funziona il processo di identificazione di una pianta e quali caratteri morfologici vanno analizzati per individuarla: dalla forma delle foglie a quella dei suoi margini, dall’aspetto della chioma fino a quello delle infiorescenze e dei frutti.

5/ In viaggio con i semi

Un quiz didattico illustra le diverse modalità utilizzate dalle piante per disperdere i propri semi.

Allestita all’interno della sala che accoglie la collezione di semi dell’Orto Botanico, l’installazione aiuta a comprendere come le piante riescano a “spostarsi”, intraprendendo talvolta veri e propri viaggi, grazie alla dispersione dei semi. Nonostante siano in genere saldamente ancorate al terreno attraverso le radici, le piante hanno sviluppato diversi sistemi per diffondere i propri semi e potersi riprodurre altrove, anche a grande distanza.

Dotdotdot
We design innovative human experiences

Dotdotdot è uno studio di progettazione multidisciplinare nato a Milano nel 2004, tra i primi in Italia a operare nell’ambito dell’Interaction Design.

Dotdotdot è specializzato in Exhibition e Interaction Design, nella progettazione di percorsi museali, Corporate Experience, mostre multimediali temporanee e permanenti.

Nel corso degli anni ha consolidato competenza ed esperienza nello sviluppo di strategie digitali e nella progettazione di sistemi digitali integrati custom per aziende, musei, archivi storici, ambienti lavorativi, strutture sanitarie, e più in generale progetti dedicati allo Smart Living. Ricerca e innovazione tecnologica sono alla base di tutti i suoi progetti.

Dotdotdot progetta spazi narrativi e dà forma, con un approccio User Centered, al modo in cui le persone e le tecnologie interagiscono tra loro, in un continuum tra spazio fisico e digitale.

Fondato da quattro soci – Laura Dellamotta (architetto), Giovanna Gardi (architetto), Alessandro Masserdotti (filosofo e interaction designer) e Fabrizio Pignoloni (designer) -, Dotdotdot oggi conta un team di oltre 20 persone con profili eterogenei che spaziano da architetti, designer, interaction designer, sviluppatori, ingegneri, sound designer ed esperti di storytelling e design strategy, in grado di gestire la complessità a 360°.

Tra gli ultimi progetti firmati dallo studio milanese: strategia digitale e User Experience Design per il nuovo Museo d’arte della Fondazione Luigi Rovati a Milano; le opere co-progettate per la 23 Triennale Milano “Unknown Unknowns” rispettivamente con Emanuele Coccia “Portal of Mysteries” e Skidmore, Owings & Merrill (SOM) “Decalogue for space architecture”; le installazioni della mostra “Incertezza. Interpretare il presente, prevedere il futuro” per il Palazzo delle Esposizioni di Roma, il progetto di interaction design della mostra “Raffaello e la Domus Aurea. L’invenzione delle grottesche”, l’installazione data-driven “Earth Bits – Sensing the Planetary” per il maat – Museum of Art Architecture and Technology di Lisbona sulla crisi climatica; il progetto “Centrali Interattive” di Enel Green Power per la Centrale di Trezzo sull’Adda (MI), Acquoria (RM) e, di prossima apertura, Presenzano (CE); “Aboca Experience”, l’ala interattiva del museo aziendale della healthcare company toscana.

www.dotdotdot.it

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Testo e immagini dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova.