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I PESTICIDI UTILIZZATI IN DEROGA PER L’EMERGENZA AGRICOLA SONO ALTAMENTE TOSSICI PER API, AMBIENTE E SALUTE UMANA, CON GRAVI EFFETTI COLLATERALI

Una ricerca pubblicata su Science of the Total Environment e coordinata da Simone Tosi, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, dimostra che pesticidi non approvati a causa del loro impatto sulla salute umana e sull’ambiente vengono frequentemente autorizzati in via “emergenziale”, causando alti rischi.

Una studio appena pubblicato su Science of the Total Environment, condotto dal BeeLab, il Laboratorio sulla Salute e sul Comportamento degli Impollinatori coordinato dal Prof. Simone Tosi, docente del Dipartimento di Scienze Agrarie, Forestali e Alimentari dell’Università di Torino, ha investigato sull’utilizzo di autorizzazioni emergenziali “in deroga” dei pesticidi e sui conseguenti effetti collaterali per la salute umana, degli impollinatori e dell’ambiente intero.

I pesticidi autorizzati in deroga possono essere utilizzati indipendentemente dal risultato negativo del processo di Valutazione del Rischio, che include una serie di test sperimentali necessari a stimare la contaminazione ambientale e gli effetti collaterali di questi prodotti, valutandone infine l’impatto per l’uomo e l’ambiente. Tali autorizzazioni in deroga dei pesticidi permettono quindi di controllare emergenze agricole sorvolando sui danni collaterali causati. Vi sono perciò dei limiti: tali deroghe possono solo essere concesse per emergenze circoscritte nel tempo e nello spazio.

L’Unione Europea regola l’autorizzazione dei pesticidi attraverso il processo di Valutazione del Rischio con lo scopo inderogabile di salvaguardare la salute dell’uomo e dell’ambiente” racconta il Prof. Simone Tosi, coordinatore della ricerca. Luca Carisio dell’Istituto Zooprofilattico Sperimentale del Piemonte Liguria e Valle d’Aosta e primo autore dello studio, continua: “Tuttavia, gli Stati Membri possono agire in deroga a questo processo e concedere l’Autorizzazione d’Emergenza di pesticidi non autorizzati tramite la Valutazione del Rischio. Per gli elevati rischi connessi, queste Autorizzazioni d’Emergenza sono permesse solo in circostanze eccezionali di emergenza agricola. Il loro uso deve però essere limitato: le deroghe non possono essere più lunghe di 120 giorni, e devono essere svolte ricerche simultanee sulle strategie alternative e più sostenibili.”

Questa prima valutazione scientifica approfondita dei processi di Autorizzazione d’Emergenza dimostra come siano ampiamente utilizzati dai Paesi Membri dell’Unione Europea. Tuttavia, molte di queste autorizzazioni emergenziali risultano sorprendentemente non conformi alle normative UE, poiché concesse per periodi più lunghi di quanto prescritto dalla legge e rinnovate in modo ricorrente per gestire la stessa emergenza nel tempo. Inoltre, il 21% di queste autorizzazioni ha permesso l’uso di pesticidi altamente tossici, che non sono approvati dai processi regolari di Valutazione del Rischio.

Il nostro studio dimostra che l’ampio uso delle Autorizzazioni d’Emergenza nel tempo e nello spazio porta alla contaminazione ambientale da parte di numerose sostanze attive non approvate e altamente tossiche” dichiara il Prof. Simone Tosi. “Viviamo in uno stato di stabile emergenza agricola che agisce in deroga al Regolamento Europeo, con profonde implicazioni per gli esseri umani, gli altri animali e l’ambiente. Questa ricerca ha l’obiettivo di contribuire allo sviluppo di un ambiente e di un’agricoltura più sostenibili e sicuri per gli esseri umani e gli altri animali”.

L’uso prolungato delle Autorizzazioni d’Emergenza e il limitato sviluppo di alternative sollevano preoccupazioni sulla sostenibilità delle pratiche agricole ed i relativi impatti sulla salute a lungo termine. “La nostra ricerca intende facilitare l’implementazione di strategie di controllo sostenibili perché il nostro ambiente diventi più sano e sicuro; infatti, abbiamo descritto le emergenze agricole più frequenti e quindi le ricerche da prioritizzare” spiega Luca Carisio.

Link all’articolo https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2024.174217

 

ape girasole GLI EFFETTI NASCOSTI DEI PESTICIDI UTILIZZATI NEI CAMPI
Foto di Alexas_Fotos

 

Testo dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

PERCHÉ AMIAMO GLI INSETTI IMPOLLINATORI?

Pubblicato su People and Nature lo studio dell’Università di Padova che attraverso le risposte di oltre 4500 persone (italiani, olandesi e tedeschi) fa emergere un “obbligo morale” nel difendere tutte le specie impollinatrici e anche cosa si può fare per aiutarle a sopravvivere.

L’ape da miele non è l’unico insetto impollinatore: mosche, farfalle, coleotteri svolgono la medesima attività e, solo in Italia, esistono circa mille specie di api selvatiche.

Negli ultimi anni l’interesse per la conservazione degli impollinatori è cresciuto per via della preoccupazione destata dal loro declino che di fatto mina alla base il loro ruolo fondamentale negli ecosistemi: trasportano il polline dalla parte maschile a quella femminile dei fiori permettendo la riproduzione della stragrande maggioranza delle piante a fiore.

La ricerca dal titolo “Willingness of rural and urban citizens to undertake pollinator conservation actions across three contrasting European countries” pubblicata su People and Nature dal team scientifico guidato dall’Università di Padova – con i dipartimenti Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali, Ambiente unitamente a Territorio, Sistemi Agro-Forestali, in collaborazione con l’olandese Università di Wageningen (NL) e tedesca Università di Würzburg – ha avuto come scopo quello di capire cosa spinga una persona a desiderare la protezione degli insetti impollinatori.

Il campione dello studio

Attraverso un solido campione ampio e stratificato – che è molto raro in studi simili – di intervistati (4541) di nazionalità differenti (italiani, olandesi e tedeschi) con opposte tipologie di domicilio (ambiente agrario o territorio urbano) si è indagato da cosa dipendesse la “volontà di aiutare” gli insetti impollinatori. Nel panel di ricerca, le zone urbane avevano una densità di almeno 1500 abitanti per chilometro quadrato e popolazione superiore ai 50000 abitanti, quelle rurali erano tutte contraddistinte da una densità di popolazione minore di 300 abitanti per chilometro quadrato e un ambiente agrario intensivo. In Italia, ad esempio, è stata considerata l’area della Pianura Padana, molto antropizzata e in cui le azioni di conservazione degli impollinatori sono particolarmente importanti.

L’obbligo morale

«I nostri risultati mostrano che le persone intendono proteggere gli impollinatori quando emerge in loro un “obbligo morale” – spiega la ricercatrice Costanza Geppert del dipartimento di Agronomia, animali, alimenti, risorse naturali e ambiente dell’Università di Padova e prima firma della ricerca –. Questo obbligo morale si attiva quando si ha conoscenza del ruolo degli impollinatori negli ecosistemi e quando ci si sente parzialmente responsabili della loro diminuzione. Altri elementi importanti emersi dallo studio mostrano che la convinzione che il proprio comportamento possa avere un effetto concreto sulla conservazione degli insetti impollinatori e l’approvazione del proprio contesto sociale, della famiglia o dei propri contatti sui social media spingano il singolo a proteggere api, farfalle e mosche».

Costanza Geppert
Costanza Geppert

«Dalla ricerca emerge un altro importante risultato – dice Lorenzo Marini del dipartimento di Agronomia, animali, alimenti, risorse naturali e ambiente dell’Ateneo –, cioè che il potenziale impegno dei singoli nella conservazione degli insetti impollinatori non dipende da nazionalità, età, livello di istruzione, genere o dalla circostanza di vivere in aree urbane o rurali».

Lorenzo Marini
Lorenzo Marini

Nove modi per aiutare gli insetti impollinatori

Non solo, lo studio ha fatto emergere dal campione analizzato le nove azioni volte ad aiutare gli insetti impollinatori. Che si può fare per loro?

  1. Sostenere e/o accettare politiche nazionali, regionali o comunali che prevedono la protezione degli insetti impollinatori;
  2. Firmare petizioni che mirano a preservare la diversità degli insetti impollinatori;
  3. Partecipare con donazioni a organizzazioni che si occupano della salvaguardia degli insetti impollinatori;
  4. Acquistare prodotti da agricoltura con un uso limitato di fitofarmaci;
  5. Leggere un bollettino, una rivista o un’altra pubblicazione su come agire per contrastare il declino degli insetti impollinatori;
  6. Installare in giardino o in balcone un così detto “hotel per le api selvatiche”, ovvero una casetta in legno con fori di diversa dimensione che fornisca loro riparo;
  7. Coltivare piante a fiore ricche di nutrimento per gli insetti impollinatori nel proprio giardino/terrazzo/davanzale;
  8. Incoraggiare i conoscenti a interessarsi su motivi della diminuzione degli insetti impollinatori;
  9. Partecipare ad attività di monitoraggio di impollinatori con organizzazioni volontarie per capire quanto grave siano gli impatti sugli ecosistemi.

Altro esito dello studio è stato che in tutti e tre i paesi del campione (Italia, Germania e Olanda) l’azione di conservazione più apprezzata è stata quella di piantare fiori ricchi di nettare e polline, mentre una delle più difficili da adottare è risultata la partecipazione a monitoraggi di api, farfalle e mosche. Questo risultato potrebbe dipendere dal fatto che coltivare fiori è collegata alla pratica diffusa e amata del giardinaggio, mentre la partecipazione a monitoraggi degli impollinatori richiede l’acquisizione di una serie di nuove competenze e strumenti che ne rendono più difficile l’attuazione.

Ape selvatica amiamo gli insetti impollinatori?
Perché amiamo gli insetti impollinatori? Su People and Nature uno studio con le risposte di oltre 4500 persone

Istruzioni per l’uso

Questa ricerca ha individuato anche una serie di raccomandazioni pratiche che possono contribuire significativamente alla conservazione degli impollinatori. Una delle raccomandazioni chiave è quella di rendere prioritarie la sensibilizzazione sul ruolo cruciale degli impollinatori e le esperienze all’aria aperta che favoriscono un senso di connessione e apprezzamento per questi insetti.

«I nostri risultati – sottolineano Costanza Geppert e Lorenzo Marini – indicano che coloro che partecipano frequentemente ad attività all’aperto legate alla natura come l’escursionismo, l’osservazione della fauna selvatica o il giardinaggio sono particolarmente inclini a offrire il proprio sostegno agli impollinatori. Questo suggerisce che incoraggiare e facilitare tali esperienze può essere un modo efficace per coinvolgere attivamente il pubblico nella conservazione degli impollinatori, soprattutto durante l’infanzia. È importante sottolineare che queste strategie – concludono gli autori – non sono limitate a contesti specifici, ma possono essere adattate e implementate con successo in una varietà di contesti socio-culturali ed economici. Dalle comunità rurali alle metropoli urbane, l’adozione di queste pratiche può contribuire in modo significativo alla salvaguardia degli impollinatori».

Link alla ricerca: https://besjournals.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/pan3.10656

Titolo dell’articolo: “Willingness of rural and urban citizens to undertake pollinator conservation actions across three contrasting European countries” – People and Nature 2024

Autori: Costanza Geppert, Cristiano Franceschinis, Thijs P.M. Fijen, David Kleijn, Jeroen Scheper, Ingolf Steffan-Dewenter, Mara Thiene, Lorenzo Marini.

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

L’IMPOLLINAZIONE: ANIMALE, “NATURALE” È MEGLIO

Pubblicata su «Nature Communications» una ricerca dell’Università di Padova che dimostra che i frutti impollinati da animali hanno una qualità superiore del 23%.

Gli organismi impollinatori sono fondamentali per la riproduzione di molte specie di piante, incluse molte colture utilizzate nell’alimentazione umana, come frutta e verdura.

In ambienti temperati, gli impollinatori sono soprattutto insetti come api, farfalle, molti ditteri e alcuni coleotteri, mentre nelle regioni tropicali e subtropicali gli impollinatori includono anche uccelli, pipistrelli e alcuni mammiferi.

Negli ultimi decenni si sta assistendo a un declino globale della diversità e dell’abbondanza di molte specie di impollinatori e per questo motivo gli sforzi in ambito scientifico si sono concentrati sulla quantificazione dell’importanza di questi organismi in agricoltura, con la pubblicazione di numerosi studi sperimentali sul loro effetto su resa, stabilità della produzione e qualità delle colture.

Impollinazione animale naturale
L’impollinazione: animale, “naturale” è meglio: in foto, api. Foto di Elena Gazzea

La ricerca dal titolo Global meta-analysis shows reduced quality of food crops under inadequate animal pollination, appena pubblicato sulla rivista «Nature Communications» da Elena Gazzea e Lorenzo Marini del Dipartimento di Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse Naturali e Ambiente (DAFNAE) dell’Università di Padova si è posta l’obiettivo di quantificare, per la prima volta su scala globale, l’effetto degli impollinatori sulla qualità delle colture attraverso una meta-analisi, una tecnica statistica che permette la sintesi quantitativa della letteratura esistente su un tema.

I dati sono stati raccolti tramite una ricerca bibliografica sui principali database di pubblicazioni scientifiche: sono stati utilizzati i dati di 190 studi indipendenti condotti in 48 paesi del mondo e su 48 colture diverse. L’effetto dell’impollinazione animale è stato quantificato confrontando le differenze di qualità – forma, dimensione, aspetto, sapore e proprietà nutritive – dei frutti prodotti con e senza gli impollinatori.

Fragola. Difetti estetici di forma e dimensione derivanti da un’inadeguata impollinazione animale. Foto di Paolo Paolucci

I risultati indicano che l’impollinazione animale ha un ruolo fondamentale nel determinare la qualità delle produzioni agricole. I frutti impollinati da animali hanno in media una qualità migliore del 23%: ciò significa che quasi un quarto della qualità di un frutto dipende dalla presenza di animali impollinatori.

Questi ultimi influenzano positivamente soprattutto le caratteristiche organolettiche – come forma e dimensione – della frutta e della verdura e quelle legate alla loro durabilità dopo la raccolta, contribuendo invece in misura minore alle loro proprietà nutritive e al sapore. I benefici dell’impollinazione animale sulla qualità sono indipendenti dalle regioni geografiche e dalla specie di impollinatore. Le analisi dei dati hanno inoltre evidenziato segnali di impollinazione non ottimale, potenzialmente derivante dal declino degli impollinatori nei paesaggi agricoli, che potrebbe compromettere la qualità delle produzioni. Generalmente, però, l’utilizzo di impollinatori gestiti come l’ape mellifera, sia in campo che in colture protette, permette di mantenere la produzione di frutta e verdura della massima qualità.

Immagini esemplificative che mostrano come viene studiato l’effetto degli impollinatori sulla qualità delle colture negli esperimenti sintetizzati dalla ricerca. Da sinistra a destra: esclusione di impollinatori, impollinazione animale libera, impollinazione manuale. Foto di Elena Gazzea

«I risultati del nostro studio hanno delle implicazioni molto importanti per il settore agroalimentare – spiega Lorenzo Marini, autore dello studio –. La qualità dei prodotti alimentari non processati come frutta e verdura si basa su standard che sono legati soprattutto al loro aspetto estetico e alla loro durata di conservazione. La produzione di frutta e verdura che devia dalla normalità come conseguenza di un’impollinazione non ottimale ha delle ripercussioni su tutta la catena di produzione agricola, dal reddito degli agricoltori alla decisione del consumatore di acquistare o meno il prodotto».

Lorenzo Marini
Lorenzo Marini

La produzione di frutti imperfetti e poco durevoli, quindi, aumenta lo spreco di alimenti ricchi di sostanze nutritive e pesa sulla conversione di terre agricole che compensino la mancata produzione di qualità soddisfacente per il mercato agroalimentare.

«Il declino globale degli impollinatori minaccia non soltanto la resa e la sua stabilità spaziale e temporale, ma rischia anche di compromettere la qualità della produzione agricola. La relazione tra impollinazione animale e spreco alimentare è stata finora quasi ignorata dalle politiche agroalimentari, sebbene abbia delle importanti implicazioni economiche, sociali e ambientali, specialmente in un’epoca in cui c’è un consumo globale subottimale di alimenti ricchi di sostanze nutritive» spiega Elena Gazzea, prima autrice dello studio.

Elena Gazzea
Elena Gazzea

Lo studio ha infine rilevato delle lacune nella conoscenza scientifica attuale, evidenziando alcune opportunità di ricerca futura per comprendere meglio le relazioni tra impollinatori e produzione agroalimentare sostenibile.

Link alla ricerca: https://www.nature.com/articles/s41467-023-40231-y

Titolo: Global meta-analysis shows reduced quality of food crops under inadequate animal pollination – «Nature Communications» – 2023

Autori: Elena Gazzea, Péter Batáry & Lorenzo Marini

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

API E NUMERI

La figurazione spaziale dei numeri è una rappresentazione di natura biologica comune a sistemi nervosi con origini evolutive distanti

Gli insetti si rappresentano i numeri in ordine crescente, i più piccoli a sinistra e quelli più grandi a destra: lo dimostra lo studio pubblicato su PNAS che vede coinvolti ricercatori delle università di Padova, Tolosa e Losanna coordinati da Rosa Rugani del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Ateneo patavino

 

Esattamente come gli esseri umani, anche le api ordinano le numerosità crescenti da sinistra verso destra. Noi infatti rappresentiamo (Linea Numerica Mentale) i numeri nello spazio, i più piccoli a sinistra e i più grandi a destra, e l’orientamento di questa linea mentale dipende sicuramente da fattori sociali e culturali, come testimonia l’esistenza, in una minoranza di società, di una direzionalità opposta (da destra verso sinistra) rispetto a quella, prevalente, occidentale.

Recentemente un ordinamento spaziale dei numeri è stato dimostrato anche in varie specie animali come i macachi e i pulcini di pollo domestico. Una questione cruciale rimane tuttavia capire l’origine di un’associazione numerica spaziale, orientata da sinistra a destra, piuttosto che da destra a sinistra, nei vertebrati (umani e animali) e negli invertebrati, malgrado la considerevole riduzione nella dimensione del cervello e nel numero dei neuroni.

La ricerca dal titolo “An insect brain organizes numbers on a left-to-right mental number line” pubblicata sulla rivista «PNAS» dimostra che la figurazione spaziale dei numeri è una rappresentazione di natura biologica comune a sistemi nervosi con origini evolutive distanti. Il comportamento di scelta osservato nelle api, dotate di un “micro-cervello”, evidenzia la convergenza delle strategie di elaborazione numerica che esistono tra cervelli di diverse complessità nonostante le differenze evolutive.

La ricerca

L’ape mellifera è dotata di spiccate abilità di orientamento spaziale e di conteggio simili ad alcuni vertebrati. Rimaneva tuttavia un mistero se questi piccoli invertebrati orientassero i numeri nello spazio in ordine crescente come fanno gli esseri umani con la Linea Numerica Mentale.

Dopo avere addestrato le api a trovare del cibo (una soluzione zuccherina) in prossimità di un’immagine raffigurante 3 figure posta davanti a loro, i ricercatori hanno osservato la reazione delle api davanti a due immagini, del tutto identiche: una posta a sinistra e l’altra a destra. Entrambe le immagini raffiguravano lo stesso numero di figure in numero però diverso da 3 (che era l’entità numerica appresa durante l’addestramento). Nel primo esperimento le due immagini raffiguravano entrambe una figura, nel secondo ne raffiguravano cinque.

Di fronte a un numero più piccolo di figure, per intenderci quello con numerosità pari a uno, le api cercavano il cibo in prossimità dell’immagine di sinistra, mentre quando il numero di figure era maggiore di tre, nel nostro caso cinque, le api si dirigevano verso destra. Una serie di esperimenti di controllo hanno evidenziato come sia la numerosità a determinare l’associazione con lo spazio e non la quantità di area, perimetro o densità delle immagini.

In un esperimento cruciale, si sono selezionati due gruppi di api: uno è stato addestrato a trovare il cibo in prossimità di un’immagine centrale raffigurante una singola figura, l’altro gruppo è stato addestrato con cinque figure.

Quando le api sono state poste di fronte a due pannelli raffiguranti tre figure, quelle addestrate con una figura si sono dirette verso destra, mentre quelle addestrate con cinque figure si sono dirette a verso sinistra. È interessante notare come lo stesso numero (il 3) diriga il comportamento verso destra con api addestrate con una singola figura o verso sinistra per quelle addestrate con cinque figure.

In altre parole, se le api vedono una numerosità più piccola di quella iniziale vanno verso sinistra e quando ne vedono una più grande vanno a destra. Inoltre, la grandezza di un numero è relativa e dipende dal confronto con il numero osservato durante addestramento.

Api e numeri
Api e numeri

Le api hanno una MNL (pdf)

«La dimostrazione che le api dispongano i numeri piccoli a sinistra e numeri grandi a destra evoca la famosa Linea Numerica Mentale umana, dove i numeri sono rappresentati in ordine crescente da sinistra a destra – dice Rosa Rugani del Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università di Padova e team leader della sperimentazione –. I nostri risultati mostrano che l’associazione tra spazio e numerosità è coerente tra varie specie, compresi gli esseri umani, supportando l’ipotesi di una rappresentazione numerica radicata nell’organizzazione dei sistemi nervosi lateralizzati in cui i due emisferi elaborano informazioni in modo differente. La direzione di mappatura da sinistra a destra durante l’evoluzione potrebbe essere stata imposta dall’asimmetria cerebrale. Tale caratteristica comune e antica, che si verifica in una vasta gamma di vertebrati e invertebrati, può aver aiutato diverse specie a elaborare meglio diversi tipi di informazioni. La ricerca – conclude Rugani – suggerisce che la capacità di ordinare i numeri spazialmente sia probabilmente emersa in diverse specie, esibendo asimmetrie nell’elaborazione delle informazioni tra l’emisfero sinistro e destro del cervello. Questo studio indica che la predisposizione a mappare i numeri nello spazio in ordine crescente sia incorporata nell’architettura dei sistemi neurali degli organismi, indipendentemente dalla loro complessità».

La ricerca è stata supportata da un progetto Marie Curie Global (European’s Union Horizon 2020 Research and Innovation program under the Marie Sklodowska-Curie Grant/Award Number: SNANeB_795242)

Rosa Rugani
Rosa Rugani, team leader della sperimentazione su api e numeri

Rosa Rugani è ricercatrice al Dipartimento di Psicologia Generale dell’Università degli Studi di Padova e da oltre un decennio studia le basi biologiche dei processi cognitivi.  Dopo la laurea e il dottorato di ricerca conseguiti all’Università degli Studi di Padova, la sua attività di ricerca è proseguita principalmente al Dipartimento di Psicologia Generale dello stesso Ateneo, comprendendo vari periodi di formazione al Centro Interdipartimentale Mente/Cervello dell’Università di Trento e al Center for Avian Cognition dell’Università del Saskatchewan in Canada, Center for Cognitive Neuroscience della Duke University a Durham in North Carolina,  USA, Department of Psychology, University of Potsdam, Potsdam, Germany e Department of Psychology, University of Pennsylvania, Philadelphia, PA, United States. Ha pubblicato su numerose prestigiose riviste internazionali e il suo lavoro ha suscitato l’interesse in particolare per quanto concerne il suo innovativo contributo al progresso della conoscenza inerente la questione dell’origine e delle basi biologiche delle abilità matematiche nei modelli animali.

Link alla ricercahttps://www.pnas.org/doi/10.1073/pnas.2203584119

Titolo: “An insect brain organizes numbers on a left-to-right mental number line” – PNAS 2022

Autori: Martin Giurfa, Claire Marcout, Peter Hilpert, Catherine Thevenot and Rosa Rugani

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università degli Studi di Padova sullo studio su api e numeri

I pipistrelli imitano i calabroni per tenere alla larga i predatori e salvarsi la vita. La scoperta è dei ricercatori federiciani Danilo Russo e Leonardo Ancillotto insieme a colleghi dell’Università di Torino, di Firenze e di Costa Rica. Lo studio pubblicato sulla rivista Current Biology.

pipistrelli calabroni
Vespertilio maggiore. Photo credits: Marco Scalisi

I pipistrelli imitano i calabroni per tenere alla larga i predatori e salvarsi la vita. La scoperta è dei federiciani Danilo Russo e Leonardo Ancillotto, del Dipartimento di Agraria dell’Università degli Studi di Napoli Federico II, che hanno condotto lo studio insieme ai colleghi Donatella Pafundi e Marco Gamba dell’Università di TorinoFederico Cappa e Rita Cervo dell’Università di Firenze, e Gloriana Chaverri dell’Universidad de Costa Rica.
I risultati sono stati pubblicati sulla prestigiosa rivista Current Biology.

Vespa crabro. Credits: Andrea Aiello

Si tratta di “mimetismo Batesiano”, ossia di una specie indifesa che ne imita una pericolosa o tossica per scoraggiare un predatoreMimetismo acustico, in questo caso, perché basato sui suoni e non sui colori, quindi relativamente raro in natura.

La potenziale preda indifesa, in tale circostanza un pipistrello, il vespertilio maggiore Myotis myotis, imita un’altra specie che rappresenta un pericolo per il predatore, come, appunto, un calabrone. Quando il pipistrello viene catturato da un uccello rapace, emette un ronzio che sconcerta il predatore e lo disorienta così può approfittare di questa frazione di secondo per fuggire.
Si tratta del primo caso conosciuto di un mammifero che imita un insetto e costituisce un elegante esempio di come l’evoluzione esprima adattamenti che spesso sono il frutto dell’interazione tra specie anche molto diverse, come, appunto, pipistrelli, gufi e insetti imenotteri.

Danilo Russo ebbe i primi sospetti già oltre vent’anni fa, quando per il suo lavoro di dottorato si trovò tra le mani uno di questi pipistrelli, e, dopo lungo tempo, il team internazionale ha potuto verificare che il suono prodotto dal pipistrello è effettivamente simile a quello emesso da questi insetti “armati”, soprattutto se si escludono le frequenze che un tipico predatore di pipistrelli come un barbagianni o un allocco non è in grado di udire.
Il passo successivo è stato verificare, usando proprio questi uccelli in cattività, quale effetto sortisse l’ascolto dei ronzii di pipistrelli, api e calabroni. Il risultato è stato sorprendente: allocchi e barbagianni si allontanano dagli altoparlanti che emettono ronzii di insetti come di pipistrelli, mentre sono attratti da altri suoni di pipistrelli, probabilmente considerati un indizio della presenza della preda.

I pipistrelli in questione non sono gli unici a emettere ronzii di questo tipo: lo fanno certi roditori, uccelli, e anche insetti totalmente indifesi. È perciò probabile che la strategia di imitazione di un insetto pericoloso come un calabrone sia molto più diffusa in natura di quanto si possa credere. La ricerca apre quindi una nuova, importante finestra sul comportamento animale e sui fenomeni di imitazione tra specie.

“Gli adattamenti espressi dagli animali in risposta alle forze della selezione naturale non smettono mai di sorprenderci”, commenta il professore Russo.

La notizia ha fatto il giro del mondo, è stata ripresa dalle più prestigiose testate internazionali, tra cui Nature, Science, New Scientist, il New York Times, il Telegraph, the Independent, The Economist, BBC, Sky News e National Geographic.

Per approfondire: Ancillotto, L., Pafundi, D., Cappa, F., Chaverri, G., Gamba, M., Cervo, R., & Russo, D. (2022). Bats mimic hymenopteran insect sounds to deter predators. Current Biology 32, PR408-R409

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Rettorato Università degli Studi di Napoli Federico II

L’urbanizzazione e le api. Uno studio sull’area metropolitana di Milano

La ricerca del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca, pubblicata sul Journal of Applied Ecology, indica come la maggiore o minore cementificazione incida sugli impollinatori e sull’ecosistema di impollinazione
urbanizzazione api Milano
L’urbanizzazione e le api. Uno studio sull’area metropolitana di Milano

 

Milano, 5 maggio 2022 – L’urbanizzazione del paesaggio e del clima influisce sulla presenza di impollinatori e sull’entità di nettare e polline da essi trasportato. Così, le città e i dintorni diventano laboratori di transizioni ambientali in grado di restituire informazioni sul servizio ecosistemico di impollinazione di una data area utili per la pianificazione e gestione di paesaggi urbani più attenti all’ambiente.
Sono i temi al centro di uno studio di un gruppo di ricerca del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze dell’Università di Milano-Bicocca, dal titolo “City climate and landscape structure shape pollinators, nectar and transported pollen along a gradient of urbanization”, appena pubblicato sul ”Journal of Applied Ecology“ (DOI: 10.1111/1365-2664.14168). La ricerca, col supporto di Regione Lombardia nell’ambito del progetto “Pignoletto”, dimostra che «la variazione della cementificazione del paesaggio in una regione – come spiega Paolo Biella, ricercatore di Ecologia dell’ateneo milanese – crea un gradiente di trasformazione del paesaggio dovuto all’urbanizzazione».
Paolo Biella
Paolo Biella
Gli scienziati di Milano-Bicocca si sono focalizzati sull’effetto dell’urbanizzazione del paesaggio e del clima su due gruppi di impollinatori (api selvatiche e sirfidi), sulle risorse floreali a loro disposizione (il nettare utilizzato per l’alimentazione) e anche sul polline trasportato sui loro corpi che serve per impollinare le piante.
«Lo abbiamo fatto in un insieme di 40 siti collocati principalmente nella città metropolitana di Milano, da aree seminaturali a basso impatto ad aree con diversi livelli di edificato». Con campionamenti svolti da maggio a luglio del 2019.
Gli effetti dell’urbanizzazione sono risultati in generale negativi per la presenza di impollinatori. «Le aree suburbane erano le più ricche – spiega Biella –: le abbondanze di impollinatori hanno raggiunto il picco quando il paesaggio era occupato dal 22 per cento di superfici cementate, con la rilevazione di oltre 100 individui in 24 ore, e sono poi diminuite con la crescente urbanizzazione. Inoltre, la presenza era influenzata dalla distanza tra le aree verdi e dall’ampiezza del parco urbano: più erano distanti le aree o più era grande il parco, meno erano le api selvatiche e i sirfidi rilevati».
urbanizzazione api Milano
Bombus argillaceus (foto di Paolo Biella)
Siti particolarmente ricchi di impollinatori si sono rivelati, nella cintura periurbana di Milano, Cesano Boscone, Cuggiono, San Bovio e Vimodrone. Nella città di Milano, invece, siti particolarmente friendly per api e sirfidi sono risultati il parco Nord, il parco Segantini e la Collina dei Ciliegi, in zona Bicocca.
I tre ambienti principali che sono stati campionati: superfici di parchi urbani circondati da abitati
A influire negativamente sulla minore presenza di impollinatori non è stata solo la mancanza di verde e di risorse floreali, ma anche il clima locale.
«Gli impollinatori sono diminuiti nelle aree più urbane – prosegue il ricercatore – che hanno infatti minime variazioni di temperatura tra la primavera e l’estate, che si mantiene alta più a lungo rispetto a aree semiurbane o agricole».
I tre ambienti principali che sono stati campionati: margini di campi agricoli con varie superfici impervie nelle vicinanze
Altro aspetto rilevato: il nettare disponibile – la massa zuccherina di cui si nutrono gli impollinatori quando si posano sui fiori – aumentava proporzionalmente alla copertura cementata e anche alle precipitazioni.

«I nettari delle città erano meno consumati dagli impollinatori, meno presenti, e le piante erano più produttive, forse avvantaggiate dalle più copiose precipitazioni».

Infine, l’urbanizzazione incide anche sul servizio ecosistemico di impollinazione. «Nel polline trasportato dagli impollinatori abbiamo trovato progressivamente meno specie di piante al crescere delle aree cementificate e il polline di città conteneva un’elevata incidenza di piante esotiche e ornamentali, suggerendo comunità vegetali molto antropizzate», aggiunge Biella. Arbusti come la deutzia, la rosa ornamentale, il filadelfo e fiori come le campanule, l’arnica, il nasturzio e il garofano.
I tre ambienti principali che sono stati campionati: prati seminaturali in prossimità di boschi (1 km) con poca urbanizzazione nelle vicinanze
Ora l’equipe di ricercatori del dipartimento di Biotecnologie e Bioscienze sta portando avanti altri campionamenti.
«Le città e i dintorni offrono una grande opportunità per capire come piante e impollinatori reagiscono alle transizioni ambientali. Questi due gruppi di esseri viventi sono la chiave di molti processi direttamente e indirettamente connessi con le società umane e con il funzionamento della natura», conclude Biella.
File per approfondire (pdf): Rilevamenti – I sitiRilevamenti – La mappa
Testo e foto dall’Ufficio Stampa Università di Milano-Bicocca

Al via progetto LIFE PollinAction con 10 partner da Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Spagna

CAMPI FIORITI PER SALVARE API E FARFALLE

DA CA’ FOSCARI SOLUZIONI PER LA ‘CRISI DEGLI IMPOLLINATORI’

Il 40% degli impollinatori è a rischio estinzione. Soluzioni testate nel territorio: campi diventeranno praterie

 Anche il Passante di Mestre coinvolto nel progetto

Foto di Myriam Zilles

VENEZIA – Una nuova crisi ambientale minaccia tanto gli ecosistemi naturali quanto la sicurezza alimentare dell’uomo. Si tratta della ‘crisi degli impollinatori’, cioè degli insetti che, trasportando il polline, consentono la riproduzione dell’80% delle piante. La piattaforma intergovernativa su biodiversità e servizi ecosistemici (IPBES) calcola che oltre il 40% degli insetti impollinatori, principalmente api e farfalle, sia a rischio estinzione a causa del degrado ambientale e della scomparsa del loro habitat più importante: il prato fiorito.

Ricercatori ed esperti coordinati dalla botanica Gabriella Buffa, professoressa all’Università Ca’ Foscari Venezia, si sono quindi chiesti come intervenire per arginare questo declino, con ricerca ed azioni concrete, anche dimostrative. Così è nato il progetto europeo LIFE ‘Biodiversità’ PollinAction, che con un budget di 3,2 milioni di euro e 10 partner da Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Aragona (Spagna) metterà in campo, appunto, azioni finalizzate a invertire la tendenza.

“Il declino degli impollinatori è influenzato da diversi fattori come aumento dei prodotti chimici, parassiti e malattie – spiega Gabriella Buffa – tuttavia, la ricerca è abbastanza concorde nell’indicare il degrado ambientale e la perdita di habitat naturali e semi-naturali come la principale minaccia. Gli insetti in questi habitat trovano polline, nettare, siti di nidificazione e svernamento. Quindi è l’azione umana al momento il problema principale: consumo di suolo, urbanizzazione e intensificazione dell’agricoltura”.

La perdita degli insetti produrrà a cascata la scomparsa delle piante selvatiche (estinzione a cascata, o estinzione secondaria) con ripercussioni sul funzionamento degli ecosistemi naturali. Anche la produzione agricola ne risentirà, minacciando così la sicurezza alimentare per gli esseri umani e la fauna selvatica, nonché la stabilità economica.

Le soluzioni proposte seguono un approccio innovativo. Il progetto realizzerà infrastrutture ‘verdi’ ispirate e sostenute dalla natura. Si tratta quindi di opere sostenibili e a vantaggio della resilienza dei territori coinvolti, tra cui 6 comuni che hanno messo a disposizione aree, 11 aziende agricole, due apicoltori in Spagna, sei aree ad agricoltura estensiva in Friuli-Venezia Giulia ed il Passante di Mestre.

“Le ‘green infrastructure’ – aggiunge Gabriella Buffa – sono un approccio nuovo, soprattutto nel sud Europa dove sono state prevalentemente messe in atto in territori dove la pressione antropica è bassa e quindi pochi sono i potenziali beneficiari. PollinAction prevede l’implementazione di queste opere in un territorio molto complesso dal punto di vista socio-economico, cioè aree rurali e urbane”.

Per aumentare le fioriture campestri saranno convertiti 200mila metri quadrati di seminativi in prati fioriti, migliorati 2,6 milioni di metri quadri di praterie esistenti, realizzati corridoi ecologici su 30 chilometri di strade, oltre a 3,5 km di siepi campestri. Il Centro di Montecchio di Veneto Agricoltura e il Vivaio regionale in Friuli-Venezia Giulia produrranno 385mila piantine in totale, tra erbe ed arbusti, e 150 chilogrammi di sementi di fiori selvatici.

La partnership, vasta ed articolata, oltre a Ca’ Foscari e Veneto Agricoltura, comprende Direzione Agroambiente della Regione del Veneto, Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia, Concessioni Autostradali Venete – Cav spa, gruppo EcorNaturaSì spa, Albatros S.r.l., Comune di Caldogno (VI), cooperativa SELC. Inoltre, il progetto, che ha respiro sovranazionale, comprende un partner spagnolo che condurrà azioni analoghe, il Centro de Investigación y Tecnología Agroalimentaria dell’Aragona.

Porranno terreni a disposizione del progetto inoltre numerosi sostenitori esterni: i Comuni di Carceri (PD), San Bellino (RO), Cartigliano (VI), Mirano (VE), Chiopris-Viscone (UD), Palmanova (UD), Montereale Valcellina (PN), Villesse (GO); l’Associazione tegliese Prati delle Pars Teglio v.to (VE); l’associazione Apicola Provincial de Jovenes Agricoltores de Teruel (E) e, in Friuli, la Riserva di caccia di Spilimbergo (PN).

Testo dall’Università Ca’ Foscari Venezia sul progetto europeo LIFE ‘Biodiversità’ PollinAction