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PERCHÉ AMIAMO GLI INSETTI IMPOLLINATORI?

Pubblicato su People and Nature lo studio dell’Università di Padova che attraverso le risposte di oltre 4500 persone (italiani, olandesi e tedeschi) fa emergere un “obbligo morale” nel difendere tutte le specie impollinatrici e anche cosa si può fare per aiutarle a sopravvivere.

L’ape da miele non è l’unico insetto impollinatore: mosche, farfalle, coleotteri svolgono la medesima attività e, solo in Italia, esistono circa mille specie di api selvatiche.

Negli ultimi anni l’interesse per la conservazione degli impollinatori è cresciuto per via della preoccupazione destata dal loro declino che di fatto mina alla base il loro ruolo fondamentale negli ecosistemi: trasportano il polline dalla parte maschile a quella femminile dei fiori permettendo la riproduzione della stragrande maggioranza delle piante a fiore.

La ricerca dal titolo “Willingness of rural and urban citizens to undertake pollinator conservation actions across three contrasting European countries” pubblicata su People and Nature dal team scientifico guidato dall’Università di Padova – con i dipartimenti Agronomia, Animali, Alimenti, Risorse naturali, Ambiente unitamente a Territorio, Sistemi Agro-Forestali, in collaborazione con l’olandese Università di Wageningen (NL) e tedesca Università di Würzburg – ha avuto come scopo quello di capire cosa spinga una persona a desiderare la protezione degli insetti impollinatori.

Il campione dello studio

Attraverso un solido campione ampio e stratificato – che è molto raro in studi simili – di intervistati (4541) di nazionalità differenti (italiani, olandesi e tedeschi) con opposte tipologie di domicilio (ambiente agrario o territorio urbano) si è indagato da cosa dipendesse la “volontà di aiutare” gli insetti impollinatori. Nel panel di ricerca, le zone urbane avevano una densità di almeno 1500 abitanti per chilometro quadrato e popolazione superiore ai 50000 abitanti, quelle rurali erano tutte contraddistinte da una densità di popolazione minore di 300 abitanti per chilometro quadrato e un ambiente agrario intensivo. In Italia, ad esempio, è stata considerata l’area della Pianura Padana, molto antropizzata e in cui le azioni di conservazione degli impollinatori sono particolarmente importanti.

L’obbligo morale

«I nostri risultati mostrano che le persone intendono proteggere gli impollinatori quando emerge in loro un “obbligo morale” – spiega la ricercatrice Costanza Geppert del dipartimento di Agronomia, animali, alimenti, risorse naturali e ambiente dell’Università di Padova e prima firma della ricerca –. Questo obbligo morale si attiva quando si ha conoscenza del ruolo degli impollinatori negli ecosistemi e quando ci si sente parzialmente responsabili della loro diminuzione. Altri elementi importanti emersi dallo studio mostrano che la convinzione che il proprio comportamento possa avere un effetto concreto sulla conservazione degli insetti impollinatori e l’approvazione del proprio contesto sociale, della famiglia o dei propri contatti sui social media spingano il singolo a proteggere api, farfalle e mosche».

Costanza Geppert
Costanza Geppert

«Dalla ricerca emerge un altro importante risultato – dice Lorenzo Marini del dipartimento di Agronomia, animali, alimenti, risorse naturali e ambiente dell’Ateneo –, cioè che il potenziale impegno dei singoli nella conservazione degli insetti impollinatori non dipende da nazionalità, età, livello di istruzione, genere o dalla circostanza di vivere in aree urbane o rurali».

Lorenzo Marini
Lorenzo Marini

Nove modi per aiutare gli insetti impollinatori

Non solo, lo studio ha fatto emergere dal campione analizzato le nove azioni volte ad aiutare gli insetti impollinatori. Che si può fare per loro?

  1. Sostenere e/o accettare politiche nazionali, regionali o comunali che prevedono la protezione degli insetti impollinatori;
  2. Firmare petizioni che mirano a preservare la diversità degli insetti impollinatori;
  3. Partecipare con donazioni a organizzazioni che si occupano della salvaguardia degli insetti impollinatori;
  4. Acquistare prodotti da agricoltura con un uso limitato di fitofarmaci;
  5. Leggere un bollettino, una rivista o un’altra pubblicazione su come agire per contrastare il declino degli insetti impollinatori;
  6. Installare in giardino o in balcone un così detto “hotel per le api selvatiche”, ovvero una casetta in legno con fori di diversa dimensione che fornisca loro riparo;
  7. Coltivare piante a fiore ricche di nutrimento per gli insetti impollinatori nel proprio giardino/terrazzo/davanzale;
  8. Incoraggiare i conoscenti a interessarsi su motivi della diminuzione degli insetti impollinatori;
  9. Partecipare ad attività di monitoraggio di impollinatori con organizzazioni volontarie per capire quanto grave siano gli impatti sugli ecosistemi.

Altro esito dello studio è stato che in tutti e tre i paesi del campione (Italia, Germania e Olanda) l’azione di conservazione più apprezzata è stata quella di piantare fiori ricchi di nettare e polline, mentre una delle più difficili da adottare è risultata la partecipazione a monitoraggi di api, farfalle e mosche. Questo risultato potrebbe dipendere dal fatto che coltivare fiori è collegata alla pratica diffusa e amata del giardinaggio, mentre la partecipazione a monitoraggi degli impollinatori richiede l’acquisizione di una serie di nuove competenze e strumenti che ne rendono più difficile l’attuazione.

Ape selvatica amiamo gli insetti impollinatori?
Perché amiamo gli insetti impollinatori? Su People and Nature uno studio con le risposte di oltre 4500 persone

Istruzioni per l’uso

Questa ricerca ha individuato anche una serie di raccomandazioni pratiche che possono contribuire significativamente alla conservazione degli impollinatori. Una delle raccomandazioni chiave è quella di rendere prioritarie la sensibilizzazione sul ruolo cruciale degli impollinatori e le esperienze all’aria aperta che favoriscono un senso di connessione e apprezzamento per questi insetti.

«I nostri risultati – sottolineano Costanza Geppert e Lorenzo Marini – indicano che coloro che partecipano frequentemente ad attività all’aperto legate alla natura come l’escursionismo, l’osservazione della fauna selvatica o il giardinaggio sono particolarmente inclini a offrire il proprio sostegno agli impollinatori. Questo suggerisce che incoraggiare e facilitare tali esperienze può essere un modo efficace per coinvolgere attivamente il pubblico nella conservazione degli impollinatori, soprattutto durante l’infanzia. È importante sottolineare che queste strategie – concludono gli autori – non sono limitate a contesti specifici, ma possono essere adattate e implementate con successo in una varietà di contesti socio-culturali ed economici. Dalle comunità rurali alle metropoli urbane, l’adozione di queste pratiche può contribuire in modo significativo alla salvaguardia degli impollinatori».

Link alla ricerca: https://besjournals.onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/pan3.10656

Titolo dell’articolo: “Willingness of rural and urban citizens to undertake pollinator conservation actions across three contrasting European countries” – People and Nature 2024

Autori: Costanza Geppert, Cristiano Franceschinis, Thijs P.M. Fijen, David Kleijn, Jeroen Scheper, Ingolf Steffan-Dewenter, Mara Thiene, Lorenzo Marini.

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa dell’Università di Padova

Perché e come giocano i puledri? Studio su cavalli semi-bradi del Parco Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli in Toscana

La ricerca del Dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa fa luce sul comportamento dei cavalli allo stato naturale, condizione di cui si sa molto poco

Un branco di cavalli allo stato semi-brado del Parco Migliarino-San Rossore-Massaciuccoli in Toscana è stato al centro di una ricerca dell’Università di Pisa. L’obiettivo era di capire la funzione e le strategie di gioco nei puledri allo stato naturale, una condizione molto poco studiata in questi animali. La ricerca pubblicata sulla rivista Applied Animal Behaviour Science è stata coordinata dalla professoressa Elisabetta Palagi del Dipartimento di Biologia.

“Le prime prove di domesticazione dei cavalli risalgono a circa 6.000 anni fa. Da allora, i cavalli sono stati principalmente utilizzati come animali da lavoro e, in tempi più recenti, sono diventati anche uno dei nostri animali domestici preferiti con i quali molte persone riescono a stabilire legami speciali – ha detto Elisabetta Palagi – Nonostante l’impatto economico e sociale che questo animale ha per tutti noi, si sa poco circa il suo comportamento allo stato naturale. La maggior parte degli studi riguarda cavalli in stalla e spesso sono rivolti a risolvere i problemi del cavaliere più che del cavallo”.

Le ricercatrici Veronica Maglieri e Giuliana Modica dell’Università di Pisa e Chiara Scopa dell’Università di Parma, guidate da Elisabetta Palagi, hanno registrato e analizzato i comportamenti di 13 puledri dalla nascita fino a sei mesi di età. Dai risultati è emerso che i diversi tipi di gioco dipendono non solo dalle diverse fasi di sviluppo del puledro, ma anche dall’ambiente sociale in cui questo cresce.

Così come accade anche nei nostri bambini, il gioco si fa sempre più complesso con il passare del tempo – spiega Palagi – I giochi solitari, come mordere e lanciare oggetti o saltare, scalciare e girare su sé stessi, e quelli rivolti alla madre (che spesso fa molta fatica a rispondere!) compaiono e si affermano molto precocemente, suggerendo come esplorazione ed esercizio fisico già nei primi giorni di vita siano cruciali per raggiungere un certo livello di maturazione psicomotoria”.

Attraverso il gioco, i puledri mettono alla prova le proprie capacità e saggiano quelle dei loro coetanei, utilizzando tecniche di autocontrollo e riduzione della tensione quando necessario. I puledri di madri di alto rango, cioè con una posizione dominante all’interno del branco, erano inoltre più coinvolti nel gioco sociale ed erano capaci di migliore autocontrollo quando giocavano con puledri di madri di basso rango. Questa capacità migliorava la reciproca partecipazione al gioco, creando le premesse per sessioni più appaganti ed efficaci. Inoltre, i giochi erano spesso intervallati da reciproche toelettature del pelo (grooming) che contribuivano a prolungare le interazioni ludiche. Sembra quindi che il gioco nei puledri non sia legato alla necessità di migliorare la propria posizione gerarchica nel gruppo, peraltro già ereditata dalle madri.

“Negli esseri umani e nelle grandi scimmie non esiteremmo ad attribuire tali tattiche a competenze cognitive complesse – conclude Palagi – Sebbene siamo lontani dall’essere in grado di comprendere appieno il ruolo della cognizione nel gioco sociale, è giunto il momento di considerare altre specie modello, come il cavallo appunto, se vogliamo ipotizzare nuovi scenari sull’evoluzione del comportamento ludico nei mammiferi. Questa tipologia di studio aiuta a capire meglio le tappe naturali di sviluppo e di complessità di questi meravigliosi animali e le informazioni che ne derivano possono essere utilizzate per migliorarne la gestione anche nelle scuderie”.

cavalli a San Rossore
Perché e come giocano i puledri? In foto, cavalli a San Rossore

Elisabetta Palagi è professoressa associata al dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa. I suoi interessi di studio riguardano il comportamento sociale in varie specie animali, uomo incluso, in particolare la comprensione dell’evoluzione di alcuni comportamenti come il gioco, i meccanismi di risoluzione dei conflitti e le capacità empatiche alla base della vita sociale. Nel 2020, ha ricevuto il premio dall’Animal Behavior Society per i risultati conseguiti grazie ai suoi studi sul comportamento animale. Veronica Maglieri è assegnista di ricerca del dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa. Studia il comportamento sociale in numerose specie di mammiferi, uomo incluso. Nel 2021 si aggiudica il Pineapple Science Awards per la PsicologiaChiara Scopa è dottoranda dell’Università di Parma, esperta di meccanismi di mimica facciale nei primati (uomo incluso) e cultrice della materia presso il dipartimento di Biologia dell’Università di Pisa. Collabora da numerosi anni con il gruppo di ricerca di Elisabetta Palagi. Giuliana Modica, studentessa presso l’Università di Pisa, ha conseguito la laurea in Conservazione ed Evoluzione al Dipartimento di Biologia con una tesi sul comportamento di gioco nel cavallo.

gruppo di ricerca
il gruppo di ricerca: da sinistra a destra Veronica Maglieri, Giuliana Modica, Elisabetta Palagi, Chiara Scopa nel giorno della laurea di Giuliana

Testo e foto dall’Unità Comunicazione Istituzionale dell’Università di Pisa.

CityPets: gestire gli animali in città è un gioco di carte da bambini e bambine (e non solo)

L’iniziativa nelle scuole fa parte del progetto di ricerca europeo InHabit del dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa. In Italia ci sono circa 65 milioni di pet censiti,  Inhabit lavora per realizzare a Lucca la prima città europea con una politica integrata humanimal. L’idea è di esportare il modello anche in altre città, a cominciare da Pisa.

Trovare una casa adatta a più cani possibili, il primo che ne sistema quattro ha vinto. È questa la sfida di CityPets, un gioco di carte realizzato in collaborazione con LuccaCrea nell’ambito del progetto europeo InHabit del dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa. L’obiettivo è, insieme al Comune, quello di rendere Lucca una città ideale per umani e animali, la prima in Europa a valorizzare gli animali per promuovere qualità della vita e benessere per tutti e dove gli animali assicurano beni pubblici per cittadine e cittadini. A giocare con CityPets saranno intanto 19 classi di alcune scuole primarie di Lucca. Bambini e bambine dovranno trovare gli abbinamenti più adatti fra famiglie e “amici a quattro zampe” tenendo conto delle esigenze di persone e animali e dei servizi offerti dalla città.

“Il nostro progetto si costruisce attraverso il coinvolgimento attivo di tutti – spiega Francesco Di Iacovo, direttore del dipartimento di Scienze veterinarie dell’Ateneo pisano – con le scuole, in accordo con il Comune di Lucca, abbiamo già iniziato attività di co-disegno (con il contributo del partner Design For Change) nelle quali coinvolgiamo bambine e bambini nell’esprimere idee sugli animali presenti in città e su cosa ritengono utile per creare condizioni di proficua convivenza tra animali e umani anche per aiutarci a vivere meglio. Il gioco, quindi, rappresenterà un ulteriore utile momento di apprendimento”.

CityPets presentato alle scuole a Lucca durante la manifestazione Verde Mura. Gallery

In Italia ci sono circa 65 milioni di pet censiti, l’idea generale di Inhabit è di realizzare a Lucca la prima città europea con una politica integrata humanimal. Si tratta cioè di ripensare la relazione esseri umani-animali per migliorare la qualità della vita nei centri urbani, luoghi dove si concentra oramai l’85% della popolazione e una grandissima quota, peraltro in crescita, di animali.

Per fare il punto sul progetto a metà percorso è appena uscito un articolo sulla rivista scientifica Animals in cui, per la prima volta, si introduce l’idea degli animali come soluzioni per migliorare la qualità della vita in città.

Dal suo avvio nel 2020, InHabit si è sviluppato guardando all’economia, alla società e al benessere. Il progetto, grazie al supporto del partner Bridge for Billions, ha incubato circa 15 imprenditori che stanno approntando soluzioni innovative per valorizzare l’interazione degli animali non umani nella società (nel turismo, nella gestione dei pet, nei servizi innovativi di interventi assistiti con animali, nella predisposizione di app mirate, nella facilitazione della costruzione dei rapporti con i propri pet). La pet economy è considerata tra le grandi opportunità di sviluppo economico del futuro, si va dal cibo, ai servizi agli animali e ai loro portatori, a tutto il settore del turismo. Per quanto riguarda l’ambito sociale e sanitario il Comune di Lucca, nel progetto inhabit, ha selezionato e coinvolto più associazioni in un lavoro di co-progettazione che ha portato, alla fine del 2023, a iniziare degli interventi assistiti con animali, ancora in corso in due RSA. L’interazione degli animali gestiti da equipe competenti con più gruppi di anziani aventi diversi livelli di capacità e deficit ha dato esiti incoraggianti in termini di riattivazione delle persone, dal punto di vista fisico, mentale e relazionale, portando a un miglioramento della loro routine quotidiana di vita. Sempre in ambito sociale, InHabit ha poi lanciato un nuovo servizio di pet-care volto ad assicurare sostegno a persone con fragilità temporanea che si trovano in difficoltà nella gestione quotidiana dei loro animali.

Fra gli altri traguardi tagliati dal progetto c’è stata anche la realizzazione da parte del Comune di Lucca, delle “animabili”, cioè percorsi urbani smart in alcune zone di Lucca (parco fluviale del Serchio ed ex ospedale). Il futuro è un cammino di 15 km che comprende il Parco del Serchio, le mura e l’acquedotto Nottolini. L’idea è di disegnare tragitti a diversa intensità di impegno in funzione della taglia dei cani e della capacità fisica dei conducenti.

“La nostra ambizione è di replicare anche altrove il modello che stiamo sviluppando a Lucca basato sul concetto di One health o Salute unica – conclude Di Iacovo – in questa prospettiva abbiamo già inviato una proposta al Comune di Pisa, dopo un primo contatto positivo con il Sindaco Conti, mentre intendiamo coinvolgere l’Associazione Nazionale Comuni Italiani per trasferire l’idea su scala regionale. Gli animali sono con noi, la costituzione assicura loro nuovi diritti e la valorizzazione delle loro capacità apre percorsi di innovazione sociale capaci di dare nuove risposte ai bisogni emergenti nelle città valorizzando le risorse già disponibili, quelle dei nostri animali”.

Testo e foto dall’Unità Comunicazione Istituzionale dell’Università di Pisa.

ERC Advanced Grant – Storia dell’etica e genoma: due progetti della Statale di Milano, 18Ethics e Topomech, si aggiudicano un finanziamento complessivo di quasi 4 milioni di euro

Il riconoscimento dell’European Research Council è stato assegnato a due progetti guidati da docenti dell’Università Statale di Milano: Stefano Bacin con “18Ethics”, una ricerca sull’etica filosofica nel diciottesimo secolo e Marco Foiani con “Topomech”, uno studio sulla topologia genomica e lo stress meccanico.

Milano, 11 aprile 2024 – Stefano Bacin, professore di Storia della filosofia del Dipartimento di Filosofia, e Marco Foiani, professore di Biologia molecolare presso il Dipartimento di Oncologia ed Emato-Oncologia, dell’Università Statale di Milano, si sono aggiudicati entrambi un ERC Advanced Grant, il prestigioso finanziamento dell’European Research Council (ERC) per i rispettivi progetti: 18Ethics e Topomech.

Il progetto 18Ethics, finanziato con quasi 1,5 milioni di euro nell’area delle Social Sciences and Humanitiesstudierà l’etica del XVIII secolo mostrando come sviluppasse un’idea oggi molto discussa, ovvero che i filosofi possano assumere il ruolo di esperti morali, dando indicazioni di condotta su questioni pratiche. Il progetto esaminerà i confronti tra le diverse teorie settecentesche sui doveri che ciascuno ha verso se stesso e verso gli altri; inoltre una linea di ricerca specifica sarà dedicata ai dibattiti sulla moralità nel modo di trattare gli animali.

18ETHICS intende far emergere con quali metodi e strumenti le teorie morali del XVIII secolo, nel corso di un dibattito intenso, abbiano mostrato in che modo e fino a che punto i filosofi possano assumersi il ruolo di esperti di questioni morali. Le discussioni di etica nel XVIII secolo verranno analizzate, perciò, come una serie di tentativi di rispondere a problemi morali difficili e di superare il disaccordo su tali questioni”, spiega Stefano Bacin.

Stefano Bacin ERC Advanced Grant
Stefano Bacin

Il progetto Topomech appartiene invece all’area delle Life sciences e si focalizzerà sullo studio delle proprietà meccaniche del genoma e, in particolare, su come le cellule tumorali modulano meccanicamente i cromosomi durante la migrazione metastatica, generando instabilità genomica ed espressione di alcuni oncogeni.

“Le cellule ed i tessuti sono infatti continuamente esposti a stress meccanico, e le forze meccaniche possono generare compressione e stretching cellulare, ad esempio durante lo sviluppo e quando le cellule migrano, ma anche in condizioni patologiche nei tumori solidi e in certe patologie neurodegenerative. Tuttavia il nucleo delle cellule riesce ad adattarsi allo stress meccanico grazie a sofisticati processi cellulari che ne controllano le proprietà visco-elastiche”,

spiega Marco Foiani. Topomech è stato finanziato con quasi 2,5 milioni di euro. La ricerca sarà condotta in Statale, a cui va il finanziamento principale di oltre 2,1 milioni di euro, e in IFOM.

Marco Foiani
Marco Foiani

Il bando ERC Advanced premia ogni anno circa 250 progetti di ricerca in ogni disciplina con un finanziamento fino a 2,5 milioni euro ciascuno. I progetti sono guidati da un ricercatore con almeno 10 anni di carriera scientifica ai massimi livelli internazionali e il solo criterio di valutazione è l’eccellenza.

Testo e immagini dall’Ufficio Stampa Direzione Comunicazione ed Eventi istituzionali Università Statale di Milano

Il lupo è ritornato sulle colline pisane

 La conclusione da uno studio del Dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa

 

È tornato il lupo sulle colline pisane e la sua presenza è la più alta mai attestata da oltre tre secoli. La notizia arriva da uno studio condotto dal dipartimento di Scienze veterinarie dell’Università di Pisa recentemente pubblicato su Human Dimensions of WildlifeLa ricerca traccia l’evoluzione della presenza del lupo nelle colline pisane tra XVII e XXI secolo in relazione ai cambiamenti socio-economici, ambientali e culturali del territorio. Il quadro che emerge segna un progressivo declino di questo animale con una fase di estinzione locale nell’immediato secondo dopoguerra, sino alla ripresa nel XXI secolo. Due le cause fondamentali del fenomeno: la riduzione del bosco (e delle prede) causato dall’aumento delle aree agricole e la persecuzione esercitata dall’uomo.

Più in dettaglio la ricerca ha evidenziato che l’andamento della popolazione di lupi nelle colline pisane è stato segnato da tre momenti storici cruciali: l’inizio della dominazione dei Lorena del Granducato di Toscana (1737), l’Unità d’Italia (1861) e la Riforma agraria del 1950. Nel XVII secolo il lupo era  ampiamente diffuso nelle colline pisane e la caccia era intensamente praticata per proteggere il bestiame transumante. L’ espansione dell’attività agricola con deforestazione e bonifica iniziata dai Lorena fino all’Unità d’Italia ha determinato quindi un profondo cambiamento nel paesaggio rurale con il conseguente declino dei lupi, fino ad arrivare ad una estinzione locale durante la Seconda Guerra Mondiale. A partire dalla seconda metà del XX secolo, la Riforma agraria ha però sancito l’inizio di un graduale ripristino dell’ambiente naturale che ha portato ad una ricolonizzazione da parte del lupo di quasi tutto il territorio delle colline pisane.

“L’idea di questa ricerca è nata dalla curiosità di conoscere e capire la storia di questo predatore sulle colline pisane dopo che nell’ottobre 2018 è stata accertata inaspettatamente la presenza di un branco nell’area di Crespina-Lorenzana e Casciana Terme-Lari” ha raccontato il professore dell’Università di Pisa Antonio Felicioli.

La presenza storica e attuale del lupo sulle colline pisane è stata delineata dal gruppo di ricerca coordinato dal professore Felicioli mettendo insieme metodi di rilevazione attuali, come fototrappole e analisi genetiche, accanto ad un vaglio minuzioso delle fonti storiche e archivistiche. L’analisi storica ha portato inoltre all’identificazione di 14 toponimi nelle colline pisane che richiamano la presenza di questo carnivoro, alcuni dei quali, come “Salto del Lupo”, ancora oggi usati. Sempre per ricostruire il quadro storico, sono stati fondamentali anche i resoconti di caccia nei vari giornali d’epoca, dalla settecentesca “Gazzetta Toscana”, sino a “Diana”, la principale rivista di caccia del Novecento.

“La presenza attuale del lupo nelle colline pisane è frutto di una naturale ricolonizzazione da parte di questo predatore avvenuta a seguito di un processo di rinaturalizzazione del territorio che ha permesso un ritorno della fauna selvatica ai livelli pre Ottocenteschi – sottolinea la dottoressa Francesca Coppola, prima autrice dell’articolo e attualmente assegnista di ricerca presso l’Ateneo pisano – l’auspicio è di favorire una presa di coscienza sull’importanza dei processi di “restoring” e “rewilding” ambientale e al tempo stesso di frenare “l’irrazionale onda emotiva” che spinge verso l’uccisione del lupo”.

Insieme ad Antonio Felicioli e Francesca Coppola hanno partecipato allo studio Alessia Di Rosso, Laureata in Produzioni animali con dottorato di ricerca in Scienze Veterinarie, Chiara Benedetta Boni, laureata in Conservazione ed Evoluzione e dottoranda in Scienze veterinarie, Samuele Baldanti, dottore agronomo e forestale e libero professionista in ambito faunistico, Michele Malasoma impegnato con lo sportello di Agroecologia per lo studio e conservazione della fauna selvatica nel monte pisano, e Cosimo Gabbani, appassionato di natura ed esperto ornitologo.

Link articolo scientifico:

https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/10871209.2024.2325159?src=

Canis lupus. Foto di Jim Peaco, ritagliata da ZeWrestler, in pubblico dominio

Testo dall’Unità Comunicazione Istituzionale dell’Università di Pisa.

TIGER, DI DISNEYNATURE

in occasione della Giornata della Terra, il nuovo lungometraggio debutterà il 22 aprile 2024 su Disney+ 15 anni dopo l’uscita di Earth, il primo film targato Disneynature

Tiger, di Disneynature e Tiger - Behind the Scenes
la Key Art

19 marzo 2024 – Tiger di Disneynature farà il suo debutto su Disney+ il 22 aprile 2024, in occasione della Giornata della Terra, esattamente 15 anni dopo l’uscita di Earth, il primo film del brand. È stato inoltre annunciato che Priyanka Chopra Jonas sarà la voce narrante di questa avvincente storia che racconterà l’animale più venerato e carismatico del nostro pianeta, invitando gli spettatori a immergersi nel viaggio di Ambar, una giovane tigre che cresce i suoi cuccioli nelle incantevoli foreste dell’India.

È meraviglioso poter far parte di qualcosa di così speciale e raccontare la storia di questo magnifico animale che proviene dal mio Paese: sono stata molto onorata“, ha dichiarato Priyanka Chopra Jonas. “Ho sempre amato le tigri e sento un forte legame con le femmine di questa specie: mi sento molto protettiva nei confronti della mia famiglia. Il viaggio di Ambar è qualcosa in cui credo che ogni mamma possa immedesimarsi“.

Priyanka Chopra Jonas
Priyanka Chopra Jonas

Nel film, i cuccioli – curiosi, sconclusionati e a volte un po’ maldestri – hanno molto da imparare dalla loro esperta madre, che farà tutto il possibile per tenerli al sicuro da pitoni, orsi e altre tigri. Diretto da Mark Linfield, co-diretto da Vanessa Berlowitz e Rob Sullivan e prodotto da Linfield, Berlowitz e Roy Conli, Tiger è il risultato di 1.500 giorni di riprese. Combinando azione e momenti straordinariamente intimi, il nuovissimo lungometraggio originale di Disneynature debutterà su Disney+ a partire dal 22 aprile, in occasione della Giornata della Terra.

TIGER – BEHIND THE SCENES
Per la Giornata della Terra, Disney+ proporrà anche un film che accompagna Tiger, ossia Tiger – Behind the Scenes. Narrato da Blair Underwood, il film celebra il ritorno di uno degli animali più iconici del mondo. La popolazione di tigri  ha registrato una tale ripresa che molti dei grandi felini si stanno spingendo dalle riserve forestali indiane alle fattorie e ai villaggi: una sfida monumentale sia per gli esseri umani che per gli animali. Gli eroi di questa storia sono i veterinari, gli scienziati e le pattuglie della comunità che si dedicano a garantire la coesistenza tra tigri e persone. Tiger – Behind the Scenes di Disneynature è diretto da Rob Sullivan, co-diretto da Alistair Tones e prodotto da Sullivan, Vanessa Berlowitz, Mark Linfield e Roy Conli.

11 aprile 2024 – Sono disponibili il trailer e la key art del nuovo lungometraggio originale di Disneynature Tiger.

Tiger DisneyNature

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Testo e immagini dagli Uffici Stampa The Walt Disney Company Italia, Opinion Leader, Cristiana Caimmi. Aggiornato l’11 aprile 2024.

PER REGISTRARE I SEGNALI DEI PIPISTRELLI È SUFFICIENTE UNO SMARTPHONE

La scoperta dei ricercatori dell’Università di Torino apre nuove prospettive di citizen science, facilitando il monitoraggio di uno dei gruppi di mammiferi più elusivi del nostro ecosistema

Sulla rivista Biodiversity and Conservation è stata pubblicata la ricerca intitolata “Using mobile device built-in microphones to monitor bats: a new opportunity for large-scale participatory science initiatives”Il lavoro, guidato da Fabrizio Gili del Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino, hanno testato l’efficacia dei dispositivi mobili di uso comune (smartphone e tablet) per rilevare i segnali dei chirotteri a bassa frequenza, confrontandola con quella ottenuta utilizzando strumenti professionali. È stato inoltre avviato un progetto pilota di citizen science, al fine di verificare l’applicabilità del metodo sul campo, ottenendo risultati sorprendenti.

chirotteri, comunemente noti come pipistrelli, rappresentano il secondo gruppo più numeroso tra i mammiferi con oltre 1470 specie note. Distribuiti in tutto il mondo ad eccezione dell’Antartide, svolgono servizi ecosistemici cruciali come regolatori dei parassiti, impollinatori e vettori di dispersione dei semi. In Italia e in Europa, tutte le specie di chirotteri sono protette per legge, e il monitoraggio dello stato di salute delle loro popolazioni è obbligatorio e strettamente regolamentato dall’Unione Europea.

Per orientarsi e comunicare, i pipistrelli emettono segnali ultrasonici rilevabili attraverso dispositivi chiamati bat detector. Costituiti da un microfono a ultrasuoni collegato a un registratore, i bat detector consentono di identificare le specie che vivono in una determinata area. La tecnologia moderna ha reso questi strumenti più compatti e accessibili, consentendo anche a volontari e appassionati di partecipare ai monitoraggi. Nonostante ciò, il costo elevato delle apparecchiature ne limita ancora l’applicazione in progetti di citizen science su larga scala.

Molosso di Cestoni (Tadarida teniotis)
Molosso di Cestoni (Tadarida teniotis)

Tuttavia, i segnali emessi da alcune specie di chirotteri possono essere percepite dall’orecchio umano. Ad esempio, il molosso di cestoni (Tadarida teniotis) emette segnali di ecolocalizzazione a frequenze di 11-12 kHz. I dispositivi mobili, progettati principalmente per le comunicazioni e la registrazione di suoni udibili, incorporano microfoni capaci di registrare fino a 22-24 kHz. Sulla base di questo assunto, ci si è chiesti se fosse possibile utilizzarli per monitorare almeno una parte delle specie di chirotteri esistenti.

La prima fase della ricerca è stata condotta a Torino e in altre aree del nord Italia, con una fase di campionamento in Spagna, dove è stata registrata la nottola gigante (Nyctalus lasiopterus), il più grande e tra i più misteriosi chirotteri europei. Sono state effettuate delle serate di registrazione utilizzando vari smartphone e tablet tra i più venduti globalmente, affiancati da un bat detector. Sono quindi state confrontate la quantità e la qualità delle registrazioni ottenute.

Nottola comune (Nyctalus noctula) ritratta durante le misurazioni
Nottola comune (Nyctalus noctula) ritratta durante le misurazioni

I risultati hanno evidenziato che almeno nove specie di chirotteri europei possono essere monitorate utilizzando i dispositivi mobili, con una quantità e qualità delle registrazioni comparabile a quella ottenuta tramite i bat detector. È emerso che i dispositivi iOS offrono una sensibilità superiore, rilevando segnali a distanze maggiori rispetto ai bat detector, mentre i dispositivi Android hanno mostrato nel complesso una minor sensibilità, con variazioni significative nelle performance a seconda del modello.

In una fase successiva, è stato coinvolto un gruppo di volontari, chiedendo loro di utilizzare i propri smartphone o tablet per registrare i segnali a basse frequenze emessi dai chirotteri nelle vicinanze delle loro abitazioni. Seguendo un protocollo standardizzato, i volontari hanno lasciato i dispositivi a registrare su davanzali, balconi o in giardini, inviando successivamente le registrazioni per le analisi. Sono stati testati 35 modelli di smartphone e tablet, ognuno dei quali ha dimostrato di poter registrare chirotteri.

Pipistrello nano (Pipistrellus pipistrellus) rifugiato in una cavità rocciosa
Pipistrello nano (Pipistrellus pipistrellus) rifugiato in una cavità rocciosa

Una delle considerazioni più interessanti che è emersa dallo studio è che le specie registrabili dai dispositivi mobili sono anche quelle più comunemente presenti nelle aree urbane, come i generi PipistrellusHypsugo e Tadarida, oltre a specie più legate agli ambienti forestali, come le nottole (genere Nyctalus), che molto spesso vengono comunque registrate di passaggio sopra le città. Ciò offre l’opportunità di monitorare la chirotterofauna urbana, soprattutto considerando la natura partecipativa del metodo. Con un’organizzazione adeguata, sarebbe dunque possibile monitorare i chirotteri urbani interamente su base volontaria e senza costi di strumentazione, offrendo ampie possibilità applicative in Europa e nel mondo.

Nonostante i risultati siano promettenti, il metodo presenta ancora alcune sfide. Ad esempio, la disponibilità di app specifiche per la registrazione varia tra i dispositivi Android e iOS. Su Android, l’app Bat Recorder (inizialmente sviluppata per funzionare in associazione a un microfono ultrasonico USB) permette di impostare la modalità di registrazione automatica, attivata cioè dalla rilevazione di segnali potenzialmente emessi da chirotteri, risparmiando spazio di archiviazione e semplificando l’analisi acustica. Questa app non è però disponibile per iOS, che al momento richiede registrazioni continue, più onerose da analizzare.

Un’altra sfida è la variabilità nell’efficacia dei dispositivi, con differenze significative sia tra brand diversi sia tra modelli dello stesso brand. In un progetto di citizen science basato sull’applicazione di questo metodo, i volontari dovrebbero quindi testare la sensibilità del proprio dispositivo per garantire la comparabilità dei dati raccolti. Tuttavia, incorporando i dispositivi mobili nei programmi di monitoraggio già esistenti o creando nuovi programmi dedicati, si potrebbe non solo facilitare la raccolta di dati a costi ridotti, ma anche aumentare la consapevolezza e la conoscenza dei chirotteri presso il pubblico.

Registrazione dei segnali a bassa frequenza dei chirotteri utilizzando uno smartphone
Per registrare i segnali dei pipistrelli è sufficiente uno smartphone. Registrazione dei segnali a bassa frequenza dei chirotteri utilizzando uno smartphone

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino

Cambiamento climatico: le aree marine protette difendono la fauna ittica dalle ondate di calore, nel Mediterraneo tasso di riscaldamento triplo rispetto agli oceani

Il lavoro coordinato dall’Università di Pisa pubblicato su Nature Communications

Un drammatico innalzamento della temperatura dell’acqua di 4 o 5 gradi per almeno cinque giorni. Sono queste le ondate di calore che interessano sempre più i mari del nostro pianeta mettendo a rischio la fauna ittica e la sopravvivenza di alcune specie. Le aree marine protette sono però una risposta in grado di mitigare questo fenomeno dovuto al cambiamento climatico. La notizia arriva da uno studio internazionale pubblicato sulla rivista Nature Communications coordinato dall’Università di Pisa.

“È noto che le aree marine protette, se ben gestite e con opportuna sorveglianza, hanno effetti positivi sulla fauna marina eliminando o riducendo gli effetti diretti della pesca – spiega il professore Lisandro Benedetti-Cecchi del dipartimento di Biologia dell’Ateneo pisano primo autore dell’articolo – per la prima volta grazie a questo studio abbiamo dimostrato che sono anche in grado di mitigare l’impatto delle ondate di calore”.

La ricerca ha riguardato 2269 specie di pesci costieri che vivono in 357 siti interni alle aree marine protette e 747 siti esterni. I dati provengono da oltre 70mila osservazioni ottenute su intervalli temporali che vanno da un minimo di 5 a un massimo di 28 anni. Le aree marine protette studiate sono sparse in tutto il globo, nel Mediterraneo soprattutto in prossimità delle coste spagnole, poi in Australia, California e Indopacifico. Tutta questa mole di informazioni è stata messa insieme anche grazie alla cosiddetta “citizen science”, la scienza che si realizza con il contributo dei cittadine e cittadini.

“Le proiezioni suggeriscono che i cambiamenti nel clima oceanico, di cui le ondate di calore sono espressione, si acutizzeranno nei prossimi decenni e che gli attuali tassi di riscaldamento supereranno presto il margine di sicurezza termica di molte specie – sottolinea Benedetti-Cecchi – L’allarme è ancora maggiore per il Mar Mediterraneo, che si sta riscaldando a un ritmo allarmante di tre volte quello dell’oceano globale”.

A subire le conseguenze delle ondate di calore è la stabilità dell’intero ecosistema e delle popolazioni, con i pesci erbivori che tendono ad aumentare e i carnivori, come squali, barracuda, cernie o dentici, che invece sono più minacciatiIl risultato può essere il collasso dell’intero sistema sino all’estinzione locale di alcune specie. Questi effetti sono però molto mitigati dalle aree marine protette. Qui le popolazioni di pesci sono più abbondanti e funzionalmente strutturate rispetto alle aree non protette, conferendo stabilità alle comunità anche in presenza di eventi climatici estremi.

“Il nostro lavoro – conclude Benedetti Cecchi – vuole enfatizzare l’importanza delle aree marine protette per salvaguardare la fauna marina fornendo supporto alle politiche di conservazione, articolate nelle varie direttive internazionali, come ad esempio la Convention for Biological Diversity, secondo le quali entro il 2030 almeno il 10% della superficie degli oceani dovrebbe essere sottoposta a protezione”.

fauna ittica aree marine protette ondate di calore
Cambiamento climatico: le aree marine protette difendono la fauna ittica dalle ondate di calore, nel Mar Mediterraneo tasso di riscaldamento triplo rispetto agli oceani

 

Riferimenti Bibliografici:

Benedetti-Cecchi, L., Bates, A.E., Strona, G. et al. Marine protected areas promote stability of reef fish communities under climate warming, Nat Commun 15, 1822 (2024), DOI: https://doi.org/10.1038/s41467-024-44976-y

 

Testo e foto dall’Unità Comunicazione Istituzionale dell’Università di Pisa.

QUEENS: LE REGINE DELLA NATURA, L’INNOVATIVA SERIE DI STORIA NATURALE TARGATA NATIONAL GEOGRAPHIC E NARRATA DA ANGELA BASSETT

La serie in 7 episodi debutterà il 5 marzo su Disney+ in Italia

Queens: le regine della natura, la docu-serie

21 febbraio 2024 – È disponibile il trailer della docu-serie QUEENS: LE REGINE DELLA NATURA che debutterà il 5 marzo 2024 su Disney+ in Italia. Sulle note del brano elettropop di Billie Eilish “you should see me in a crown”, il trailer introduce gli spettatori in sei mondi iconici governati dalle fiere matriarche del regno animale, ponendo le basi per una serie innovativa.

Con un team di produzione composto da donne provenienti da tutto il mondo – una novità assoluta nel settore della storia naturale – e narrata, nella versione originale, dalla potente voce della pluripremiata attrice Angela Bassett (Black Panther: Wakanda ForeverThe FloodGood Night Oppy), QUEENS: LE REGINE DELLA NATURA mette a fuoco per la prima volta il mondo naturale attraverso la lente femminile, raccontando storie di sacrificio e resilienza, ma anche di amicizia e amore. Dalle bonobo amanti della pace del bacino del Congo alle spietate jewel bees della Costa Rica, fino alle potenti elefantesse della Savana: osservando le loro lotte, i successi e i dolori, è possibile capire l’importanza dell’amore e la determinazione con cui una madre lotta per i propri figli, come la sete di potere possa distruggere le famiglie e come, anche di fronte alla tragedia, una madre debba andare avanti.

Realizzata in quattro anni, QUEENS: LE REGINE DELLA NATURA si avvale di tecnologie all’avanguardia per rivelare come le popolazioni femminili del mondo naturale salgano al potere, spesso affidandosi alla cooperazione e alla saggezza piuttosto che alla forza. Le telecamere hanno catturato per la prima volta molti momenti sbalorditivi, tra cui un infanticidio di iena, la prima ripresa ai bonobo tra le canopie realizzata da una piattaforma tra gli alberi, la documentazione a colori del cratere di Ngorongoro durante la notte e un time-lapse di sviluppo di una covata di api delle orchidee. L’episodio finale della serie celebra le donne che si sono spinte fino ai confini della Terra e hanno dedicato la loro vita a documentare e proteggere le regine animali.

QUEENS: LE REGINE DELLA NATURA è prodotta da Wildstar Films per National Geographic. Per Wildstar Films, Vanessa Berlowitz è produttrice esecutiva e Chloe Sarosh è showrunner e sceneggiatrice. Sophie Darlington e Justine Evans sono i direttori della fotografia della serie. Per National Geographic, Pamela Caragol è produttrice esecutiva e Janet Han Vissering è senior vice president of Development and Production.

Hashtag
#NatGeoQueens
#DisneyPlus

 

Testo, video e immagini dagli Uffici Stampa The Walt Disney Company Italia, Opinion Leader, Cristiana Caimmi.

ALLA SCOPERTA DELLA BALENOTTERA AZZURRA, E IN PARTICOLARE SULLE OSSA UDITIVE, PER COMPRENDERE LO SVILUPPO DELLE POPOLAZIONI MARINE

Una ricerca in collaborazione con l’Università di Torino indaga sull’origine del più grande animale vivente, il cui ruolo è fondamentale per la salvaguardia degli ecosistemi oceanici

L’origine della balenottera azzurra, il più grande animale vivente sul nostro pianeta, rappresenta un problema ancora irrisolto. Questa particolare specie, che può superare i 30 m di lunghezza e le 70 tonnellate di peso, ha la capacità di organizzare e strutturare le catene alimentari oceaniche. Grazie ai fanoni, una sorta di filtro con cui questi animali estraggono grandi quantità di invertebrati dall’enorme mole d’acqua che entra nella loro bocca, migliaia di prede vengono catturate e ingurgitate. I prodotti della digestione vengono poi immessi nell’acqua sotto forma di feci ricche di minerali in grado di stimolare la crescita del plancton marino. In questo modo riescono a coordinare, sia pure involontariamente, lo sviluppo delle popolazioni marine, da cui dipende gran parte della vita negli oceani.

Per comprendere l’origine della balenottera azzurra il Dott. Michelangelo Bisconti e il Prof. Giorgio Carnevale del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università degli Studi di Torino, insieme a un team internazionale di ricercatori, hanno concentrato i propri sforzi sullo studio di un particolare distretto scheletrico di questo animale: le ossa uditive. Nei cetacei infatti le ossa uditive comprendono due grandi elementi chiamati periotico e bulla timpanica, nei quali si trovano gli organi dell’udito e un certo numero di nervi che possono fornire informazioni circa i rapporti evolutivi che intercorrono tra specie diverse.

scheletro della balenottera azzurra di Bruxelles. Crediti per la foto: Olivier Lambert
scheletro della balenottera azzurra di Bruxelles. Crediti per la foto: Olivier Lambert

L’anatomia e le caratteristiche dello scheletro pongono questa specie tra le più primitive balenottere viventi. Le ossa uditive di uno scheletro di balenottera azzurra conservata a Bruxelles dalla seconda metà del XIX secolo sono state sottoposte a scansione 3D e a TAC rivelando dettagli mai osservati prima, permettendo la ricostruzione della morfologia degli organi dell’udito che si trovano all’interno del periotico. La modellizzazione 3D ha consentito la determinazione delle frequenze che questo animale può udire. I risultati sono stati confrontati con dati simili provenienti da altri studi e basati su specie differenti contribuendo così ad una analisi dei rapporti evolutivi della balenottera azzurra.

Con questo studio, pubblicato sulla prestigiosa rivista internazionale The Anatomical Record, si conferma lo status di primitività della balenottera azzurra e si suggerisce una particolare affinità con la balenottera comune che abita anche il Mediterraneo. Inoltre, lo studio dettagliato del periotico ha rivelato che in questa specie esistono caratteristiche peculiari mai osservate prima, che permettono l’identificazione di specie strettamente imparentate con essa nella documentazione fossile.

“Capire l’origine della balenottera azzurra – dichiara il Dott. Bisconti – significa comprendere in che modo il meccanismo di gestione della colonna alimentare oceanica si sia posto in essere nel corso degli ultimi milioni di anni. A partire da questi risultati è forte la speranza di poter ricostruire il percorso evolutivo che ha condotto all’origine del più gigante degli animali e alla strutturazione delle catene alimentari oceaniche, rimaste in auge fino a quando la caccia ai grandi cetacei non le ha radicalmente alterate”.

 

Testo e foto dall’Ufficio Stampa Area Relazioni Esterne e con i Media Università degli Studi di Torino