Scoperti i più antichi antenati del bue domestico: i resti di uro nella valle dell’Indo e in Mesopotamia risalgono a 10mila anni fa
La ricerca, pubblicata sulla rivista Nature, ha coinvolto il paleontologo dell’Università di Pisa, Luca Pandolfi
I più antichi antenati del bue domestico sono stati scoperti nella valle dell’Indo e nella mezzaluna fertile in Mesopotamia: si tratta di resti di uro (Bos primigenius) risalenti a circa 10mila anni fa. La ricerca pubblicata sulla rivista Naturee condotta dal Trinity College di Dublino e dall’Università di Copenaghen, ha coinvolto Luca Pandolfi, paleontologo del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, che da tempo si occupa dell’evoluzione e dell’estinzione dei grandi mammiferi continentali anche in relazione ai cambiamenti climatici.
Cranio di uro conservato al Museo di Storia Naturale dell’Università di Breslavia, Polonia (foto Luca Pandolfi)
Gli uri addomesticati erano animali abbastanza simili a quelli selvatici, ma un po’ più piccoli, soprattutto con corna meno sviluppate ad indicare una maggiore mansuetudine. Giulio Cesare nel De Bello Gallico (De Bello Gallico, 6-28) descrive infatti l’uro selvatico come un animale di dimensioni di poco inferiori all’elefante, veloce e di natura particolarmente aggressiva. Dai resti fossili emerge che gli uri selvatici potevano raggiungere un’altezza di poco meno di due metri, i 1000 kg di peso ed avere corna lunghe più di un metro. La loro presenza ha dominato le faune dell’Eurasia e del Nord Africa a partire da circa 650 mila anni fa, per poi subire un forte declino dalla fine del Pleistocene, circa 11mila anni fa, fino alla sua estinzione in età moderna. L’ultimo esemplare di cui si ha notizia fu abbattuto il Polonia nel 1627.
“Lo studio su Nature ha analizzato per la prima volta questa specie per comprenderne la storia evolutiva e genetica attraverso resti fossili rinvenuti in diversi di siti in Eurasia, Italia inclusa, e Nord Africa”, dice Luca Pandolfi.
Dai reperti, che includono scheletri completi e crani ben conservati, sono stati estratti campioni di DNA antico. La loro analisi ha quindi permesso di individuare quattro popolazioni ancestrali distinte che hanno risposto in modo diverso ai cambiamenti climatici e all’interazione con l’uomo. Gli uri europei, in particolare, subirono una diminuzione drastica sia in termini di popolazione che di diversità genetica durante l’ultima era glaciale, circa 20 mila anni fa. La diminuzione delle temperature ridusse infatti il loro habitat spingendoli verso la Penisola Italiana e quella Iberica da cui successivamente ricolonizzarono l’intera Europa.
“Nel corso del Quaternario, epoca che va da 2 milioni e mezzo di anni fa sino ad oggi, l’uro è stato protagonista degli ecosistemi del passato, contraendo ed espandendo il proprio habitat in relazione alle vicissitudine climatiche che hanno caratterizzato questo periodo di tempo – conclude Pandolfi – le ossa di questi maestosi animali raccontano ai paleontologi la storia del successo, adattamento e declino, di una specie di cui noi stessi abbiamo concorso all’estinzione e rivelano la complessità e fragilità delle relazioni che legano gli organismi viventi al clima del nostro Pianeta”.
Pitture rupestri di Lascaux (Francia) con raffigurazioni di uro. Crediti per l’immagine: Prof. Saxx, CC BY-SA 3.0
Journal reference: The genomic natural history of the aurochs, Nature, 2024; DOI: 10.1038/s41586-024-08112-6
Testo e immagine dall’Ufficio Stampa dell’Università di Pisa
Dopo essere stato presentato in selezione officiale al Locarno Film Festival, l’affascinante documentario LE LINCI SELVAGGE diretto da Laurent Geslin arriverà nelle sale italiane come evento in sala l’11, 12 e 13 novembre 2024 distribuito da Wanted Cinema.
Fotografo naturalista di fama internazionale, Laurent Geslin esordisce alla regia con questo ispirato documentario – frutto di un lungo lavoro di 9 anni di osservazioni ravvicinate immerso nella natura più selvaggia – girato tra le montagne della Giura, in Svizzera, dove vive un animale superbo, la lince euroasiatica. Predatore importantissimo per l’ecosistema in cui vive, la presenza della lince risulta infatti indispensabile per mantenere stabile il delicato equilibrio della foresta, minacciata dal cambiamento (anche climatico) e dalla presenza dell’uomo.
La lince è una specie protetta a livello nazionale ed europeo, tanto che nella Lista Rossa dell’Unione Internazionale per la Conservazione della Natura (IUCN) in Francia è classificata come “in pericolo”, altamente vulnerabile a causa delle sue piccole dimensioni e della frammentazione delle colonie sul territorio europeo. Il documentario LE LINCI SELVAGGE segue una famiglia di linci, la cui vita scorre al ritmo delle stagioni. Tanti gli eventi che si susseguono nel corso della loro esistenza: la nascita dei piccoli, l’apprendimento delle tecniche di caccia, la conquista del territorio e tutte le difficoltà e i pericoli che comporta. Il loro è un universo tanto vicino a noi quanto sconosciuto.
“Con la pellicola posso raccontare storie che era difficile raccontare con la macchina fotografica. Filmare significa dover affrontare più complicazioni, ma mantenendo il mio occhio fotografico, sento di potermi esprimere meglio. Il mondo delle immagini sta cambiando velocemente, con i social network che ci mostrano migliaia di foto ogni giorno. Fare un film significa prendersi il proprio tempo, e questo è ciò che mi attrae”, afferma Laurent Geslin. “Non esistono documentari su questo felino, proprio come non c’erano che poche foto amatoriali prima del mio progetto. Ci sono molti film su leoni, ghepardi, giaguari e altri grandi felini, ma nemmeno uno sulla lince. Tutti i documentari che girano e che magari avete visto sono girati con animali addomesticati o in cattività. E così ho deciso di filmare la lince nel suo habitat. Ma se fotografarla è stato veramente difficile, filmarla lo è ancora di più! È un animale notturno e incredibilmente discreto, infatti, durante la lavorazione è capitato che io l’abbia persa di vista per quasi otto mesi, anche se la cercavo ogni giorno.”
Dopo il grande successo di “La pantera delle nevi” e l’ottimo riscontro di critica e pubblico raccolto dal recente “Pericolosamente vicini“, Wanted torna a proporre un grande film che mostra la natura più selvaggia, autentica e incontaminata e che tratta il tema della convivenza tra popolazione umana e animali selvaggi con LE LINCI SELVAGGE di Laurent Geslin, nei cinema italiani come evento in sala l’11, 12 e 13 novembre 2024.
SINOSSI: Nel cuore delle montagne del Giura, uno strano richiamo risuona alla fine dell’inverno. La superba sagoma di una lince boreale si insinua tra i faggi e gli abeti. Sta chiamando la sua compagna. Seguendo la vita di questa coppia e dei suoi gattini, scopriamo un mondo vicino a noi ma poco conosciuto. Una storia autentica in cui camosci, aquile, volpi ed ermellini sono testimoni della vita segreta del più grande felino d’Europa, tuttora minacciato. Il film rivela il ruolo essenziale di questo schivo ma feroce predatore delle foreste, l’equilibrio che ha ristabilito in nell’ambiente e le difficoltà che incontra in un paesaggio in gran parte occupato dall’uomo.
Testi, video e immagini dagli Uffici Stampa Wanted Cinema, Echo Group. Aggiornato il 9 novembre 2024.
Perché umani e animali preferiscono suoni consonanti: scoperta la radice biologica
Uno studio coordinato dall’Università degli Studi di Trieste, in collaborazione con la Sapienza Università di Roma, dimostra la radice biologica della preferenza di umani e animali per i suoni consonanti, questi ultimi alla base dei segnali sociali. Lo studio è su Biology Letters.
I ricercatori del dipartimento di scienze della vita dell’Università degli Studi di Trieste, in collaborazione con la Sapienza Università di Roma, hanno scoperto che la preferenza delle specie animali, umane e non umane, per i suoni consonanti sarebbe in parte determinata fisiologicamente. L’ipotesi all’origine dello studio, condotto su centotrenta pulcini implumi, è che gli elementi costitutivi delle capacità musicali – di umani e animali – abbiano una radice biologica, condivisa tra specie anche filogeneticamente distanti, e non dipendono già solo dalla cultura e dall’esperienza musicale.
“Ricerche precedenti dell’Università degli Studi di Trieste già avevano condotto alla scoperta della preferenza dei pulcini, come di altre specie, per i cosiddetti intervalli musicali consonanti. Questi ultimi, infatti, sono quelli che più assomigliano al suono prodotto dagli esseri viventi, mentre quelli dissonanti richiamano la minor armonia dei suoni ambientali” spiega Andrea Ravignani, professore ordinario di psicologia generale presso il Dipartimento di Neuroscienze umane della Sapienza Università di Roma. “Allora non se ne conoscevano le ragioni; oggi, invece, sappiamo – grazie a studi condotti insieme, Università degli Studi di Trieste e Sapienza Università di Roma – che gli intervalli consonanti vengono prodotti in segnali sociali di tipo acustico”.
La ricerca è stata condotta su centotrenta pulcini implumi; una volta schiusi, i pulcini – che non necessitano di alcuna cura parentale, né per sviluppare il repertorio vocale né per deambulare – sono stati allevati per quattro giorni, a coppie, in gabbie rettangolari a temperatura ambiente controllata.
Per ogni pulcino sono stati registrati in arene insonorizzate i seguenti richiami: di contatto emesso dal pulcino quando prova disagio perché, ad esempio, separato dalla chioccia, di covata emesso in situazioni piacevoli e di cibo emesso quando il pulcino identifica una fonte di cibo redditizia. Questi richiami fanno parte di un complesso codice vocale che i pulcini sviluppano dalla schiusa all’età adulta per comunicare i loro bisogni agli altri conspecifici e per esprimere la natura positiva o negativa di una situazione che stanno vivendo.
I ricercatori hanno stimolato la produzione di ciascun tipo di richiamo da parte dei pulcini ricreando gradualmente la situazione naturale associata a ciascuno di essi. In particolare, hanno registrato: i richiami di contatto, lasciando soli i pulcini nell’arena vuota dopo averli separati dal compagno di allevamento e dall’oggetto per l’imprinting; i richiami di covata, inserendo un oggetto per l’imprinting al centro dell’arena dopo l’isolamento iniziale; i richiami di cibo, posizionando un piatto di cibo al centro dell’arena dopo aver rimosso l’oggetto per l’imprinting.
Analizzati i picchi minimi e massimi delle frequenze fondamentali e calcolatone il rapporto, lo studio ha rivelato una prevalenza di consonanza perfetta in tutti i tipi di richiamo, a conferma dell’idea che i suoni consonanti siano intrinsecamente presenti nella comunicazione animale. Le sole dissonanze registrate sono state rinvenute in situazioni di particolare distress, quali ad esempio contesti d’isolamento.
“Questa ricerca potrebbe aprire ad applicazioni promettenti: un pulcino che emette un suono con una certa frequenza verosimilmente sta indicando un certo tipo di situazione e oggi sappiamo che i richiami più armonici sono quelli emessi nelle situazioni più piacevoli” spiega Cinzia Chiandetti, professore associato di psicobiologia presso il dipartimento di scienze della vita dell’Università degli Studi di Trieste. “A seconda della dominanza di consonanze o dissonanze, potremo arrivare a comprendere lo status emotivo dell’animale associato al contesto in cui si trova: non siamo poi così lontani dal poter immaginare dispositivi in grado di registrare i richiami e restituire il livello di comfort o stress dell’animale che ci troviamo di fronte, anche dei polli che, come direbbe lo scrittore Andrew Lawler, sono gli uccelli che hanno alimentato la civiltà” conclude l’esperta.
Riferimenti bibliografici:
Maldarelli Gianmarco, Dissegna Andrea, Ravignani Andrea e Chiandetti Cinzia, Chicks produce consonant, sometimes jazzy, sounds,Biol. Lett. (2024) 2020240374, DOI: http://doi.org/10.1098/rsbl.2024.0374
I DELFINI SI “SORRIDONO” A VICENDA DURANTE IL GIOCO
La scoperta dei ricercatori delle Università di Pisa e Torino che hanno studiato le interazioni tra tursiopi (una specie diffusa nel Mediterraneo) durante le sessioni di gioco
I delfini sono estremamente “giocosi”, ma poco si sa su come comunicano durante il gioco. Una nuova ricerca pubblicata il 2 ottobre sulla rivista iScience (Cell Press), realizzata dall’Università di Pisa in collaborazione con l’Università di Torino e l’Università di Rennes, dimostra che i tursiopi, delfini diffusi anche nel Mar Mediterraneo, utilizzano un’espressione facciale “a bocca aperta”, analoga al sorriso, per interagire durante il gioco sociale. I delfini usano quasi sempre questa espressione facciale quando si trovano nel campo visivo dei loro compagni di gioco e, quando questi ultimi percepiscono un “sorriso”, rispondono a loro volta aprendo la bocca il 33% delle volte.
“Abbiamo scoperto la presenza di un’espressione facciale distinta, la bocca aperta, nei tursiopi e abbiamo dimostrato che questi sono anche in grado di rispondere rapidamente alle espressioni facciali degli altri”, spiega l’autrice senior ed etologa Elisabetta Palagi dell’Università di Pisa. “I segnali a bocca aperta e la mimica rapida appaiono ripetutamente in tutto l’albero genealogico dei mammiferi, il che suggerisce che la comunicazione visiva abbia svolto un ruolo cruciale nel dare forma a interazioni sociali complesse, non solo nei delfini ma in molti altri mammiferi nel corso del tempo”.
Il gioco tra delfini può includere salti acrobatici, interazioni con oggetti, inseguimenti e contatti fisici, che però è importante non vengano interpretati come vere aggressioni. Molti mammiferi usano le espressioni facciali per mediare le interazioni di gioco, ma se questo comportamento fosse presente anche nei mammiferi marini non era mai stato indagato in precedenza.
“Il gesto della bocca aperta si è probabilmente evoluto dall’azione del mordere, interrompendo la sequenza del morso per lasciare solo la sua intenzione, senza contatto”, prosegue Palagi. “La bocca aperta rilassata, che si vede nei carnivori sociali, nelle facce da gioco delle scimmie e persino nelle risate umane, è un segno universale di giocosità, che aiuta gli animali a segnalare il divertimento e a evitare i conflitti”.
Per verificare se i delfini utilizzassero l’apertura della bocca come espressione facciale, i ricercatori hanno studiato diversi gruppi sociali di tursiopi in ambiente controllato, mentre interagivano in coppia e mentre giocavano liberamente con i loro addestratori umani. È stato dimostrato che questi animali usano l’espressione della bocca aperta quando giocano con altri delfini, ma non sembrano usarla quando giocano con gli umani o quando giocano da soli con degli oggetti.
I ricercatori hanno registrato un totale di 1288 eventi di bocca aperta durante le sessioni di gioco sociale e il 92% di questi eventi si è verificato durante le sessioni di gioco tra delfini. I delfini erano anche più propensi ad assumere l’espressione della bocca aperta quando il loro volto era nel campo visivo del compagno di gioco – l’89% delle espressioni a bocca aperta registrate sono state emesse in questo contesto – e quando questo “sorriso” è stato percepito, il compagno di gioco ha ricambiato il sorriso il 33% delle volte.
“Qualcuno potrebbe obiettare che i delfini imitano le espressioni a bocca aperta degli altri per puro caso, dato che sono spesso coinvolti nella stessa attività o nello stesso contesto, ma questo non spiega perché la probabilità di imitare la bocca aperta di un altro delfino entro un secondo sia 13 volte più alta quando il ricevente vede effettivamente l’espressione originale”, continua Palagi. “Le percentuali di risposta osservate nei delfini sono coerenti con quanto osservato in alcuni carnivori, come i suricati e gli orsi”.
I ricercatori non hanno registrato i segnali acustici dei delfini durante il gioco, ma affermano che gli studi futuri dovrebbero indagare sul possibile ruolo delle vocalizzazioni e dei segnali tattili durante le interazioni ludiche.
“I delfini possiedono uno dei repertori vocali più vasti e complessi del regno animale e la funzione di molte vocalizzazioni emesse da questi animali è ancora sconosciuta” dichiara lo zoologo Livio Favaro, docente di Biologia Marina presso il Dipartimento di Scienze della Vita e Biologia dei Sistemi dell’Università di Torino. “Le nostre future ricerche si concentreranno sull’utilizzo dei segnali acustici da parte dei tursiopi durante le sessioni di gioco e su come questi complementino i segnali visivi, in quello che ci aspettiamo essere un complesso sistema di comunicazione multimodale.”
Resistenza ai pesticidi dei roditori delle isole italiane: un fenomeno diffuso e dannoso per l’ambiente e la biodiversità
Un nuovo studio coordinato dalla Sapienza, in collaborazione con l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del CNR, ha indagato la resistenza genetica ai rodenticidi nei topi domestici in 11 piccole isole italiane. I risultati del lavoro, che sensibilizzano su un uso più consapevole di tali sostanze, sono stati pubblicati sulla rivista Science of the Total Environment.
La presenza di roditori invasivi come ratti o topi sulle isole del Mediterraneo, ricche di biodiversità e con una cospicua presenza umana, rappresenta una grave minaccia per questi delicati ecosistemi, oltre a causare gravi danni alle attività umane.
In questi ambienti il controllo dei roditori avviene frequentemente attraverso l’impiego di sostanze rodenticide basate su principi attivi anticoagulanti e che , se usate senza seguire le opportune linee guida, possono avere gravi impatti ambientali per il possibile avvelenamento diretto o secondario di altre specie. Inoltre, esiste anche la possibilità che si sviluppi una resistenza genetica a tali sostanze. Questo rende difficile il controllo delle popolazioni di roditori e aumenta conseguentemente la quantità di rodenticidi rilasciati nell’ambiente.
In un nuovo studio pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, frutto della collaborazione fra il Dipartimento di Biologia e biotecnologie Charles Darwin della Sapienza e l’Istituto di ricerca sugli ecosistemi terrestri del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), è stata indagato il fenomeno della resistenza genetica ai rodenticidi nelle isole italiane confermando una presenza piuttosto diffusa di topi resistenti su 7 delle 11 isole studiate.
“In questo lavoro, che rappresenta la prima indagine sulla resistenza ai rodenticidi anticoagulanti effettuata su più isole del Mediterraneo – spiega Francesco Gallozzi della Sapienza – abbiamo analizzato particolari mutazioni del gene VKORC1, coinvolto nei fenomeni di resistenza, nei topi domestici (Mus domesticus) e identificato 6 nuove mutazioni mai trovate nel topo domestico e 4 nuove mutazioni mai identificate nei roditori”.
Per il reperimento dei campioni dalle diverse isole è stata fondamentale la collaborazione tra più enti, tra i quali NEMO srl, che si occupa direttamente della gestione dei roditori sulle isole italiane ed è stata protagonista delle attività di eradicazione di roditori invasivi in molte di esse.
Lo studio, effettuato nell’ambito delle attività del National Biodiversity Future Center e in particolare dello Spoke 5 sulla biodiversità urbana a cui partecipa la Sapienza, ha portato alla luce la necessità di un utilizzo più consapevole dei rodenticidi per permettere una gestione efficace dei roditori invasivi e per minimizzare gli impatti di tali sostanze sulle specie non-target.
“In presenza di resistenza ai rodenticidi vanno considerati metodi alternativi per il loro controllo – commenta Riccardo Castiglia, coordinatore dello studio. “Altrimenti, il rischio è quello di arrecare un danno irreparabile ad ambiente e biodiversità”.
Resistenza ai pesticidi dei roditori delle isole italiane: un fenomeno diffuso e dannoso per l’ambiente e la biodiversità. Topo dall’isola di Ventotene. Crediti per la foto: Davide Giuliani
Riferimenti bibliografici:
A survey of VKORC1 missense mutations in eleven Italian islands reveals widespread rodenticide resistance in house mice – Francesco Gallozzi, Lorenzo Attili, Paolo Colangelo, Davide Giuliani, Dario Capizzi, Paolo Sposimo, Filippo Dell’Agnello, Rita Lorenzini, Emanuela Solano, Riccardo Castiglia – Science of The Total Environment 2024, DOI: https://doi.org/10.1016/j.scitotenv.2024.176090
Testo e foto dal Settore Ufficio stampa e comunicazione Sapienza Università di Roma
Fossili di grandi squali e mammiferi marini raccontano come è cambiato il Mediterraneo dopo la Crisi di Salinità del Messiniano
L’Università di Pisa ha partecipato a uno studio sulle conseguenze del “gigante salino” formatosi oltre cinque milioni di anni fa
Tra 7,2 e 5,3 milioni di anni fa, nell’intervallo di tempo che i geologi chiamano Messiniano, le specie marine del Mediterraneo furono decimate da un aumento vertiginoso di sale nelle acque del mare, con una perdita di biodiversità che riuscì a ricostituirsi solo nel corso di oltre un milione e mezzo di anni. In uno studio appena pubblicato sulla rivista scientifica Science, un gruppo internazionale di geologi e paleontologi composto da 29 scienziati di 25 università e istituti di ricerca europei è stato in grado di quantificare tale perdita di biodiversità nel Mar Mediterraneo in corrispondenza della Crisi di Salinità del Messiniano e il successivo recupero biotico.
Guidato da Konstantina Agiadi dell’Università di Vienna, tale team di ricerca ha visto la partecipazione dell’Università di Pisa nelle persone del professor Giovanni Bianucci e del ricercatore Alberto Collareta, paleontologi del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa.
Sulla base di un estensivo censimento del registro fossile risalente al Miocene Superiore e al Pliocene Inferiore (da 12 a 3,6 milioni di anni fa), il team ha scoperto che i due terzi delle specie marine del Mar Mediterraneo del Pliocene Inferiore era differente da quelle presenti nel bacino precedentemente alla Crisi di Salinità del Messiniano. Solo 86 delle 779 specie endemiche del Mediterraneo (presenti, cioè, esclusivamente in tale bacino) sopravvissero agli sconvolgimenti ambientali conseguenti alla separazione dall’Oceano Atlantico.
In particolare, i due ricercatori dell’Università di Pisa hanno analizzato le evidenze paleontologiche dei popolamenti a squali e mammiferi marini del Mar Mediterraneo a cavallo di questo grande evento geologico.
“Mentre il registro fossile, nel suo complesso, suggerisce un drastico impatto della Crisi di Salinità del Messiniano sulle forme di vita presenti nel Mediterraneo – spiega Alberto Collareta – i fossili di squali offrono delle informazioni diverse e complementari. In particolare, il rinnovamento faunistico che si osserva nel Pliocene Inferiore – con la comparsa nel Mar Mediterraneo di forme moderne come lo squalo bianco (Carcharodon carcharias) e il declino di altri predatori apicali più tipici del Miocene (ad esempio il famoso ‘Megalodon’) – riflette fenomeni evolutivi e turnover faunistici osservabili alla scala globale più che eventi relativi dalla portata regionale. In questo senso, il biota mediterraneo che rinacque dalle ceneri della crisi messiniana fu dunque necessariamente altro rispetto a quello che aveva caratterizzato il bacino nel corso del Miocene”.
“Una dinamica simile si osserva anche nell’evoluzione della fauna a cetacei del Mediterraneo – osserva Giovanni Bianucci – con l’emergere e la rapida diversificazione dei delfini oceanici (famiglia Delphinidae) nel Pliocene Inferiore, come testimoniato da un eccezionale record fossile rinvenuto in Toscana, Piemonte ed Emilia-Romagna. Analogamente a quanto osservato per gli squali, la comparsa di forme moderne coincide con il declino di specie tipicamente mioceniche, come i grandi capodogli macropredatori. Il fatto che anche questo turnover tra i cetacei abbia avuto una portata globale suggerisce che la coincidenza temporale degli eventi non sia casuale: un fenomeno regionale, ma comunque catastrofico, come la Crisi di Salinità Messiniana, potrebbe infatti aver avuto ripercussioni su scala mondiale sugli ecosistemi marini”.
Nella foto: i due ricercatori, a sinistra Giovanni Bianucci, a destra Alberto Collareta
Questo nuovo studio apre a nuove prospettive sulla Crisi di Salinità Messiniana e provvede, per la prima volta, a una quantificazione sinottica delle conseguenze di tale crisi su molti gruppi di organismi marini. Allo stesso tempo, esso fornisce uno stimolo per ulteriori questioni di ricerca: dove si rifugiarono le poche specie endemiche del Mediterraneo miocenico che furono in grado di sopravvivere alla Crisi di Salinità Messiniana? Quale fu l’impatto dei molti altri “giganti salini” che punteggiano la crosta terrestre? Quale sono le lezioni che questo evento può insegnarci nell’attuale contesto di crisi biologica?
La Crisi di Salinità del Messiniano
Da oltre cinquant’anni la comunità scientifica si interroga sulle cause e le conseguenze della Crisi di Salinità del Messiniano, e soprattutto sull’impatto di un evento tanto eccezionale sugli ecosistemi mediterranei. Ipotesi contrastanti si sono confrontate – e talvolta scontrate – nel corso dei decenni: alcuni ricercatori hanno ipotizzato la quasi completa sterilizzazione di un Mar Mediterraneo divenuto eccessivamente salino, mentre altri hanno argomentato a favore della persistenza locale di corpi d’acqua a salinità normale e di ecosistemi francamente marini per tutta la durata della Crisi di Salinità del Messiniano.
Riconosciuto nelle sue proporzioni titaniche nei primi anni ’70 del secolo scorso, questo “gigante salino” si formò in un bacino in via di disseccamento a seguito dell’emersione dei corridoi marini che fino ad allora avevano connesso il Mediterraneo all’Oceano Atlantico nell’area ispano-marocchina garantendo l’afflusso costante di acque marine di origine atlantiche nell’arida regione mediterranea. Tali condizioni estreme si protrassero alcune centinaia di migliaia di anni: il ritorno a condizioni marine normali avvenne soltanto 5,3 milioni di anni fa, all’inizio dell’epoca pliocenica, in conseguenza dell’apertura dello Stretto di Gibilterra e a seguito di una breve fase in cui le acque mediterranee divennero salmastre.
Fossili di grandi squali e mammiferi marini raccontano come è cambiato il Mediterraneo dopo la Crisi di Salinità del Messiniano
Testo e immagini dal Polo Comunicazione CIDIC – Centro per l’innovazione e la diffusione della cultura dell’Università di Pisa.
I Musei nazionali di Matera inaugurano l’allestimento dedicato ai resti del fossile della Balena Giuliana – Al Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola” si segna una ulteriore tappa nel percorso di valorizzazione del fossile della Balena Giuliana, la balenottera ritrovata sulle sponde della diga di San Giuliano
I Musei nazionali di Matera annunciano l’apertura dell’allestimento dedicato ai resti del fossile della balena Giuliana, una delle sfide più importanti che il museo abbia mai affrontato in termini di valorizzazione.
La storia di questo particolare reperto è stata piuttosto complessa, fin dal momento della sua scoperta: il luogo del ritrovamento, lo stato di conservazione, le difficili operazioni di scavo e le eccezionali dimensioni dei resti hanno contribuito a renderne il recupero una vera e propria impresa.
Da allora, Giuliana ha attraversato molte vicissitudini e solo dopo molto tempo è stato possibile avviare un iter conservativo completo, con un intervento di restauro integrale mirato a restituire questa importante scoperta alla comunità e ai visitatori del Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola”.
Per rispondere ai numerosi quesiti posti da questo straordinario ritrovamento, è stato necessario un lungo periodo di intenso lavoro da parte di un team multidisciplinare composto da paleontologi, restauratori, archeologi e geologi. Ogni membro del team ha contribuito con le proprie competenze specifiche, lavorando instancabilmente con l’unico obiettivo di valorizzare il reperto. Questo progetto ha richiesto anni di dedizione e collaborazione, riflettendo l’impegno e la passione di tutti i professionisti coinvolti.
Considerata la particolarità e la fragilità del fossile, è stato necessario, infatti, definire un processo virtuoso che, partendo dalla tutela del bene, arrivasse alla sua valorizzazione.
Quello che si inaugura al Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola”, tuttavia, non rappresenta un allestimento permanente, ma un’ulteriore tappa fondamentale di un percorso ancora in evoluzione. Anche tramite l’esperienza di visita, questo percorso migliorerà nel tempo affinché la balena Giuliana possa essere compresa e conosciuta da un pubblico sempre più vasto.
Vi invitiamo a visitare il Museo Archeologico Nazionale “Domenico Ridola” per scoprire questa affascinante esposizione e partecipare a un viaggio unico nel tempo alla scoperta di Giuliana, la regina degli abissi.
Presentato in anteprima Fuori Concorso all’81. Mostra d’Arte Cinematografica della Biennale di VeneziaBestiari, Erbari, Lapidari di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti arriva nei cinema a partire dal 5 ottobre distribuito da Luce Cinecittà.
L’uscita in sala sarà accompagnata da un tour nei cinema alla presenza della coppia di documentaristi che prende il via sabato 5 ottobre a Milano (ore 16.30 – Fondazione Prada) dove torneranno anche giovedì 10 ottobre (ore 19.00 Anteo Palazzo del Cinema) e mercoledì 16 ottobre (ore 20.00 Cinema Beltrade). Dopo la prima tappa nella città meneghina si prosegue a Roma lunedì 7 ottobre (ore 20.15 – Nuovo Sacher), martedì 8 ottobre a Firenze (ore 19.00 – Cinema La Compagnia), mercoledì 9 ottobre a Pisa (ore 20.00 – Cinema Arsenale), sabato 12 ottobre a Spoleto (ore 17.00 – Sala Pegasus) e Perugia (ore 20.00 – Postmodernissimo), domenica 13 ottobre a Bologna (ore 20.00 – Cinema Modernissimo), lunedì 14 ottobre a Bergamo (ore 20.00 – Cinema Borgo), martedì 15 ottobre a Brescia (ore 20.45 – Nuovo Eden), giovedì 17 ottobre Torino (Cinema Fratelli Marx), sabato 19 ottobre a Padova (ore 20.00 – Cinema Lux), lunedì 21 ottobre a Venezia (ore 19.00 – Cinema Giorgione), martedì 22 ottobre a Reggio Emilia (ore 20.15 – Rosebud), mercoledì 23 ottobre a Parma (Cinema Astra, ore 19.00) e Modena (Cinema Truffaut, ore 20.30), sabato 26 ottobre a Aosta dove aprirà FrontDoc, Festival Internazionale del Cinema di Frontiera.
Bestiari, Erbari, Lapidari di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti è stato selezionato Fuori Concorsoall’81. Mostra d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia.
La prima volta che abbiamo visto queste immagini siamo rimasti ipnotizzati. Il bianco della neve e del cielo avvolgono tutta la scena: le due sagome nere si fronteggiano con un movimento inverso: l’uomo avanza e il pinguino indietreggia. Il fotogramma li contiene entrambi fino a quando il pinguino camminando all’indietro si allontana fino a sparire. Così abbiamo scoperto che queste immagini erano state filmate durante la spedizione al Polo Sud di Roald Amundsen nel 1910-1912 che aveva raggiunto il Polo Sud con quella che probabilmente è l’imbarcazione di legno più resistente della storia, il Fram. Questa è la prima volta che un uomo e un pinguino vengono filmati all’interno dello stesso fotogramma. Questa immagine che ha tutta la potenza del cinema delle origini è diventata l’immagine del manifesto cinematografico del nostro ultimo film, “Bestiari, Erbari, Lapidari”.
Massimo D’Anolfi, Martina Parenti
La coppia di documentaristi torna con il nuovo progetto alla Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica della Biennale di Venezia, dove aveva presentato nel 2016 “Spira Mirabilis” in Concorso Ufficiale, nel 2018 il cortometraggio “Blu” e, nel 2020, “Guerra e pace” in Concorso Orizzonti.
“Il compito dei documentari-saggio è quello di rappresentare un concetto. Anche ciò che è invisibile deve essere reso visibile. […]
Per riuscire a dare corpo al mondo invisibile dell’immaginazione, dei pensieri e delle idee,
il film-saggio può servirsi di una riserva di mezzi espressivi incomparabilmente maggiore di quella del semplice film documentario” Hans Richter, 1939
SINOSSI
Bestiari, Erbari, Lapidari è un documentario “enciclopedia”, diviso in tre atti ognuno dei quali tratta un singolo soggetto: gli animali, le piante, le pietre. Un omaggio a quegli “sconosciuti” e per certi versi alieni mondi, fatti di animali, vegetali e minerali, che troppo spesso diamo per scontato, ma con cui dovremmo essere in costante dialogo dal momento che costituiscono la parte essenziale della nostra esistenza sul pianeta Terra. Strettamente connessi tra loro, gli atti del film disegnano uno sviluppo drammaturgico unico, attraverso tre diversi dispositivi di messa in scena. Ogni atto è infatti un omaggio a uno specifico genere del cinema documentario.
Bestiari è un found-footage su come e perché il cinema ha ossessivamente rappresentato gli animali; Erbari un documentario poetico d’osservazione all’interno dell’Orto Botanico di Padova; Lapidari, infine, un film industriale sulla trasformazione della pietra in memoria collettiva.
Un coro unico di protagonisti, attraverso multiformi voci e suoni, racconta di noi e preserva il nostro sapere.
NOTEDIREGIA
A scuola nel Medioevo tra una lezione di grammatica e una di retorica si studiavano bestiari, erbari e lapidari. Dai primi si imparava, per esempio, che le tigri s’incantano davanti alla loro immagine riflessa in uno specchio (e non mancava lo studio di animali particolari, sulla cui esistenza nessuno nutriva dubbi, come draghi e ippogrifi), dai secondi si cercavano cure, rimedi e afrodisiaci, mentre dai terzi si estraeva quanto c’era da sapere sugli influssi che le stelle hanno su ogni singola pietra preziosa e sulle loro virtù magiche.
Così, alla stregua della tradizione europea condivisa, Bestiari,Erbari,Lapidariè il luogo in cui animali, piante e pietre, convivono con le persone che di essi quotidianamente si occupano, ma è anche l’occasione per raccogliere i racconti, le storie, le riflessioni su noi umani.
A ogni spettatore il compito di arricchire il film con il proprio bagaglio di esperienze, interessi, letture o visioni cinematografiche.
Bestiari, Erbari, Lapidari, nella sua totalità, procede dunque come un film-saggio: la videocamera puntata su ciò che accade davanti ai nostri occhi e alle nostre orecchie.
Il racconto ha una struttura narrativa che combina pensiero razionale ed emotivo.
Crediamo che il nostro compito sia quello di “re-inventare” una visione e una rappresentazione del reale e cercare di instaurare relazioni vitali fra gli elementi che compongono le inquadrature dell’opera.
Così facendo, non cerchiamo il “reale”, ma la rappresentatività del reale.
Scriveva T. S. Eliot che l’unico modo per esprimere un’emozione in forma d’arte consiste nel trovare “un correlativo oggettivo”; in altre parole, una serie di oggetti, una situazione, una catena di eventi che costituiscano la formula di quella particolare emozione.
Massimo D’Anolfi e Martina Parenti
L’IMMAGINEDELLALOCANDINA
La prima volta che abbiamo visto queste immagini siamo rimasti ipnotizzati. Il bianco della neve e del cielo avvolgono tutta la scena: le due sagome nere si fronteggiano con un movimento inverso: l’uomo avanza e il pinguino indietreggia. Il fotogramma li contiene entrambi fino a quando il pinguino camminando all’indietro si allontana fino a sparire.
Così abbiamo scoperto che queste immagini erano state filmate durante la spedizione al Polo Sud di Roald Amundsen nel 1910-1912 che aveva raggiunto il Polo Sud con quella che probabilmente è l’imbarcazione di legno più resistente della storia, il Fram.
Questa è la prima volta che un uomo e un pinguino vengono filmati all’interno dello stesso fotogramma. Questa immagine che ha tutta la potenza del cinema delle origini è diventata l’immagine del manifesto cinematografico del nostro ultimo film, “Bestiari, Erbari, Lapidari”.
Bestiari, Erbari, Lapidari vuole essere un viaggio sentimentale tra cultura, scienza e arte del nostro vecchio continente.
Crediamo che il nostro compito sia quello di “re-inventare” una visione e una rappresentazione del reale e cercare di instaurare relazioni vitali fra gli elementi che compongono le inquadrature dell’opera. Così facendo, non cerchiamo il “reale”, ma la rappresentatività del reale e l’occasione per raccogliere i racconti, le storie, le riflessioni su noi umani.
A ogni spettatore il compito di arricchire il film con il proprio bagaglio di esperienze, interessi, letture o visioni cinematografiche. (Massimo D’Anolfi e Martina Parenti)
Massimo D’Anolfi e Martina Parenti
Bestiari, Erbari, Lapidari è una produzione Montmorency Film con Rai Cinema e Lomotion con SRF Schweizer Radio Und Fernsehen / SRG SSR con il supporto di MIC, Euimages con il contributo di PR FESR Lombardia 2021-2027 – Bando “Lombardia per il cinema” Fondo Sviluppo Italia Francia con il supporto di Berner Filmförderung, Burgergemeinde Bern in associazione con Luce Cinecittà con partecipazione con Eye Filmmuseum, Cinémathèque Suisse. Vendite internazionali Fandango Sales.
Il film sarà distribuito da Luce Cinecittà a partire da ottobre 2024.
Bestiari, Erbari, Lapidari – opera in tre atti (I atto 73’ + II atto 73’ + III atto 62’ per un totale di 208 min.) è prodotto da Massimo D’Anolfi e Martina Parenti, David Fonjallaz e Louis Mataré.
Massimo D’Anolfi e Martina Parenti oltre che della produzione e della regia si occupano della fotografia, delle riprese, del suono, del montaggio dei loro progetti. Le musiche originali sono di Massimo Mariani.
Il film distribuito da Luce Cinecittà a partire dal 5ottobre 2024
CREDITI
ScrittoedirettodaMassimoD’AnolfieMartinaParenti
FotografiaecameraMassimoD’Anolfi
SuonoinpresadirettaMassimoD’Anolfi,AgitUtlu
MontaggioMassimoD’AnolfieMartinaParenti
MusicheoriginaliMassimoMariani
Prodottoda Massimo D’Anolfi e Martina Parenti DavidFonjallazeLouisMataré
ProdottodaMontmorencyFilmconRaiCinema
eLomotionconSRFSchweizerRadioUndFernsehen/SRGSSR
Con il supporto di MIC Eurimages
Berner Filmförderung BurgergemeindeBern
Con il contributo di PR FESR Lombardia 2021-2027 – Bando “Lombardia per il cinema” FondoSviluppoItaliaFrancia
InassociazioneconLuceCinecittà
Con partecipazione con EyeFilmmuseum CinémathèqueSuisse
GrazieaOrtoBotanicodell’UniversitàdiPadova
Durata208’(Iatto73+IIatto73+IIIatto62)
Anno2024
VenditeinternazionaliFandangoSales
DistribuzioneLuceCinecittà
Bestiariè stato filmato presso Lichtspiel | Kinemathek Bern, Clinica Veterinaria Rovati Villa
Zibellini, Archivio Tembrock | Humboldt Universität Berlin,
Archivio dello Zoo di Zurigo
con Sophia Gräfe e Francesco Pitassio
Erbariè stato filmato presso OrtoBotanicodell’UniversitàdiPadova, CBC Bioplanet,
TecnogardenService
con Roberto Tacchetto, Luca Cacciavillani, Marco Canella, Antonio Giraldo, Nicola Lain, Giacomo Mario, Stefano Miotto, Leopoldo Negrin, Pierluigi Palini, Pierluigi Pavelli, Abdoulaye Sangare, SimonePeraro,RiccardoPieran,PaoloRigon,FabioRossanese, Mariacristina Villani, Greta D’Apice, Silvia Moschin, Rossella Marcucci,PaolaMario
Lapidariè stato filmato presso Cementificio Buzzi, Cava Manfrinato, Archivio Centrale dello Stato,
Laboratorio delle Pietre di Inciampo di Berlino, Museo della Natura e dell’Uomo
con Marco Steiner e Michael Friedrichs-Friedlaender
Testi, video e immagini dagli Uffici Stampa Luce Cinecittà e del film. Aggiornato il 20 agosto e il 27 settembre 2024.
LE SALE: https://www.wantedcinema.eu/it/article/pericolosamente-vicini
Wanted Cinema è lieta di presentare Pericolosamente vicini, in arrivo nelle sale italiane come uscita evento il 26, 27 e 28 agosto 2024. Diretto da Andreas Pichler (The Milk System, Teorema Venezia), Pericolosamente vicini è un documentario che tratta il rapporto tra l’uomo e la popolazione di orsi che vive in Trentino e nelle Alpi.
La notizia della morte di Andrea Papi, il runner ucciso dall’orsa JJ4 nei boschi del Trentino nella primavera del 2023, è immediatamente circolata non solo in Italia, ma in tutti i paesi dell’arco alpino e oltre. L’episodio ha scatenato un certo clamore mediatico, tornando a mettere tragicamente in luce il complesso rapporto degli abitanti delle zone alpine con gli orsi. Reintrodotti in Trentino nel 1999 grazie al progetto Life Ursus, gli esemplari ora presenti sul territorio sono un centinaio; alcuni di essi, definiti “problematici”, sono inclini anche a contatti ravvicinati con i centri abitati e le persone, arrivando a danneggiare greggi e mandrie e, in alcuni casi, ad attaccare gli uomini.
Pericolosamente vicini parte proprio dalla tragica scomparsa di Andrea Papi per ricostruire ciò che i trentini pensano della presenza degli orsi nei boschi: la rabbia per una tragedia che poteva essere evitata si mescola alla paura e alla diffidenza. Non tutti, però, la pensano allo stesso modo: le associazioni animaliste si battono da anni per una convivenza pacifica tra l’animale e l’uomo, mentre si sta facendo sempre più strada la convinzione che sia necessaria una maggiore informazione sul comportamento da tenere in caso di incontro con gli orsi.
Il problema della convivenza dell’essere umano con gli orsi assume così anche rilevanza politica, diventando di interesse nazionale ed europeo, e si amplia toccando il tema universale del rapporto tra la natura e l’uomo.
Pericolosamente vicini arriva nelle sale italiane il 26, 27 e 28 agosto 2024 come uscita evento con Wanted Cinema.
SINOSSI: In nessun altro luogo al mondo orsi e uomini vivono così vicini come in Trentino. Ma con l’aumento degli orsi, aumentano anche gli incontri pericolosi tra umani e animali. Un team di 20 persone, tra forestali e veterinari, è incaricato di proteggere sia gli esseri umani che gli orsi, un compito cruciale e delicato.
Durante la Pasqua del 2023 il corpo senza vita del ventiseienne Andrea Papi viene ritrovato nella foresta. Subito si fa strada un tristesospetto: Papi è stato ucciso dall’orso JJ4. È la prima morte causata da un animale selvatico in Europa Centrale nella storia recente. Mentre i forestali cercano di catturare l’orso “problematico” JJ4, il conflitto tra attivisti per i diritti degli animali e oppositori degli orsi esplode. Questo evento drammatico solleva domande cruciali: JJ4 dovrebbe essere abbattuto? Come gestire il ritorno dei grandi predatori nelle nostre foreste? Quando un orso diventa un animale “problematico”? E, infine, a chi appartengono realmente la foresta e la natura?
NOTE DI REGIA
Vivo vicino al Trentino e passo spesso del tempo in montagna. Mi sono occupato degli orsi e della loro situazione prima della morte di Andrea Papi, ed ero già in contatto con molti dei protagonisti quando è avvenuta.
Data la natura emotiva e conflittuale di questo tema, è stato fondamentale per me ascoltare le diverse prospettive delle varie persone e gruppi coinvolti, navigando tra i punti di vista contrastanti con una mente aperta. Il film presenta persone che sono al centro della storia, il che è stato molto importante per me. L’obiettivo del film è trasmettere le intense emozioni di coloro che sono coinvolti e creare uno spazio cinematografico che provochi una riflessione. L’obiettivo è far capire che le risposte non sono semplici e che trovare una soluzione al rapporto tra uomini e orsi in Europa centrale è complesso.
Per me, il fulcro del film era e continua a essere i ranger, profondamente coinvolti nella re-introduzione degli orsi sul territorio e con nobili obiettivi. Lavorano con grande professionalità e ora si trovano tragicamente in mezzo a tutte le fazioni. Sono gli eroi non celebrati di questa storia, una storia che alla fine non ha eroi.
Testo, video e immagini dagli Uffici Stampa del Film, Echo Group, e Wanted Cinema. Aggiornato il 19 luglio e il 23 agosto 2024.
COMPRENDERE LO SVILUPPO RITMICO DEGLI UMANI GRAZIE AI LEMURI DEL MADAGASCAR
Un nuovo studio dell’Università di Torino evidenzia come gli elementi fondamentali della musica umana possano essere ricondotti ai primi sistemi di comunicazione dei primati
Un lemure che comunica con i suoi vicini grazie ad un canto ritmico dimostra come gli esseri umani si siano evoluti per creare musica. È quanto emerge dall’articolo Isochrony as ancestral condition to call and song in a primate, pubblicato sulla rivista Annals of the New York Academy of Sciences da un team di ricercatori dell’Università di Torino, in collaborazione con i colleghi delle università di Warwick e Roma La Sapienza.
Gli studiosi hanno analizzato i comportamenti degli Indri, una specie di lemure che vive in piccoli gruppi familiari nella foresta pluviale del Madagascar e comunica utilizzando canti, come fanno gli uccelli e gli esseri umani. Le loro vocalizzazioni ritmiche, registrate in diverse aree forestali dal 2005 al 2020, vengono utilizzate anche come richiami di allarme per avvisare i membri della famiglia riguardo la presenza di predatori.
I ricercatori hanno studiato gli indri grazie al centro di ricerca che l’Università di Torino ha creato nella foresta di Maromizaha, scoprendo che la comunicazione di questa specie è caratterizzata da isocronia, cioè da tempi uguali tra un suono e l’altro o tra una nota e l’altra. Questi suoni creano una successione costante di eventi a intervalli regolari, dando vita a un ritmo costante, proprio come accade nella musica.
La dott.ssa Chiara De Gregorio, già Dottoranda dell’Università di Torino e ora ricercatrice all’Università di Warwick, ha dichiarato:
“Isolando le note e gli intervalli tra le note in 820 canti e richiami di allarme di 51 lemuri, abbiamo calcolato i rapporti ritmici per ogni coppia di intervalli consecutivi. Un rapporto di 0,5 significa isocronia”.
L’analisi ha rivelato che l’isocronia è presente in tutti i canti e i richiami di allarme, stabilendo che è un aspetto fondamentale della comunicazione degli indri. Inoltre, un tipo di canto presentava tre ritmi vocali distinti. La dott.ssa Daria Valente, corresponding author dello studio, ha proseguito:
“Questa scoperta posiziona gli indri come animali con il maggior numero di ritmi vocali condivisi con il repertorio musicale umano, superando gli uccelli canori e altri mammiferi”.
Questi risultati suggeriscono che gli elementi degli attributi musicali umani si sono evoluti precocemente nella stirpe dei primati. Dato che i richiami di allarme probabilmente esistevano prima di vocalizzazioni più complesse come i canti, l’isocronia potrebbe essere un ritmo ancestrale da cui si sono evoluti altri modelli ritmici. La dott.ssa De Gregorio ha aggiunto:
“Il nostro studio amplia il lavoro precedente che ha identificato due ritmi condivisi con la musica umana. In questa nuova ricerca abbiamo identificato un terzo ritmo e abbiamo esteso la nostra analisi al di là dei canti, includendo altri richiami”.
La Professoressa Cristina Giacoma, fondatrice del progetto in Madagascar, ha concluso:
“I risultati evidenziano le radici evolutive del ritmo musicale, dimostrando che gli elementi fondamentali della musica umana possono essere ricondotti ai primi sistemi di comunicazione dei primati”.
Comprendere lo sviluppo ritmico degli umani grazie ai lemuri del Madagascar; lo studio sulla rivista Annals of the New York Academy of Sciences
Link a video: https://www.youtube.com/watch?v=NI5bIYbRgTU