News
Ad
Ad
Ad
Tag

Alessandro Lupi

Browsing

JWST CATTURA IL QUASAR DEL SISTEMA PJ308–21 E GALASSIE IN RAPIDA CRESCITA NELL’UNIVERSO LONTANO

Un gruppo internazionale di ricerca guidato dall’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) ha utilizzato lo spettrografo nel vicino infrarosso NIRSpec a bordo del James Webb Space Telescope (JWST di NASA, ESA e CSA) per osservare la drammatica interazione tra un quasar all’interno del sistema PJ308–21 e due galassie satelliti massicce nell’universo lontano. Le osservazioni, realizzate a settembre 2022, hanno rivelato dettagli senza precedenti fornendo nuove informazioni sulla crescita delle galassie nell’universo primordiale. I risultati sono stati riportati in un recente articolo in pubblicazione sulla rivista Astronomy & Astrophysics e presentati oggi durante il meeting della Società Astronomica Europea (European Astronomical Society – EAS) a Padova.

Il quasar in questione (già descritto dagli stessi autori in un altro studio pubblicato lo scorso maggio), uno dei primi osservati con il Near Infrared Spectrograph (NIRSpec) quando l’universo aveva meno di un miliardo di anni (redshift z = 6,2342), ha rivelato dati di una qualità sensazionale: lo strumento ha “catturato” il suo spettro con un’incertezza inferiore all’1% per pixel. La galassia ospite del quasar PJ308–21 mostra un’alta metallicità e condizioni di fotoionizzazione tipiche di un nucleo galattico attivo (AGN), mentre una delle galassie satelliti presenta una bassa metallicità e fotoionizzazione indotta dalla formazione stellare; la seconda galassia satellite è caratterizzata invece da una metallicità più elevata ed è parzialmente fotoionizzata dal quasar. Per metallicità si intende l’abbondanza di elementi chimici più pesanti di idrogeno ed elio. La scoperta ha permesso di determinare la massa del buco nero supermassiccio al centro del sistema (circa 2 miliardi di masse solari) e di confermare che sia il quasar che le galassie circostanti sono altamente evolute, in termini di massa e di arricchimento metallico, e in costante crescita.

 Mappa delle emissioni di riga dell'idrogeno (in rosso e blu) e ossigeno (in verde), nel sistema PJ308-21, mostrato dopo aver mascherato la luce del quasar centrale ("QSO"). I diversi colori della galassia ospite del quasar e delle galassie compagne in questa mappa rivelano condizioni e proprietà fisiche del gas al loro interno. Crediti: Decarli et. al / INAF / A&A 2024
Mappa delle emissioni di riga dell’idrogeno (in rosso e blu) e ossigeno (in verde), nel sistema PJ308-21, mostrato dopo aver mascherato la luce del quasar centrale (“QSO”). I diversi colori della galassia ospite del quasar e delle galassie compagne in questa mappa rivelano condizioni e proprietà fisiche del gas al loro interno. Crediti: Decarli et. al / INAF / A&A 2024

Roberto Decarli, ricercatore presso l’INAF di Bologna e primo autore dell’articolo, spiega:

“Il nostro studio rivela che sia i buchi neri al centro di quasar ad alto redshift, sia le galassie che li ospitano, attraversano una crescita estremamente efficiente e tumultuosa già nel primo miliardo di anni di storia cosmica, coadiuvata dal ricco ambiente galattico in cui queste sorgenti si formano”.

I dati sono stati ottenuti a settembre 2022 nell’ambito del Programma 1554, uno dei nove progetti a guida italiana del primo ciclo osservativo di JWST. Decarli è alla guida di questo programma che ha come obiettivo osservare proprio la fusione fra la galassia che ospita il quasar (PJ308-21) e due sue galassie satelliti.

Le osservazioni sono state realizzate in modalità di spettroscopia a campo integrale: per ogni pixel dell’immagine si ottiene l’intero spettro della banda ottica nel sistema di riferimento delle sorgenti osservate, che a causa dell’espansione dell’universo viene osservato nell’infrarosso. Ciò consente di studiare vari traccianti del gas (righe di emissione) con un approccio 3D. Grazie a questa tecnica il team (formato da 34 istituti di ricerca e università di tutto il mondo) ha rilevato emissioni spazialmente estese di diverse righe di emissione, che sono state utilizzate per studiare le proprietà del mezzo interstellare ionizzato, comprese la fonte e la durezza del campo di radiazione fotoionizzante, la metallicità, l’oscuramento della polvere, la densità elettronica e la temperatura, e il tasso di formazione stellare. Inoltre, è stata rilevata marginalmente l’emissione di luce stellare continua associata alle sorgenti compagne.

Federica Loiacono, astrofisica, assegnista di ricerca in forze all’INAF di Bologna, commenta entusiasta i risultati:

“Grazie a NIRSpec, possiamo per la prima volta studiare, nel sistema PJ308-21, la banda ottica ricca di preziosi dati diagnostici sulle proprietà del gas vicino al buco nero nella galassia che ospita il quasar e nelle galassie circostanti. Possiamo vedere, per esempio, l’emissione degli atomi di idrogeno e confrontarla con quella degli elementi chimici prodotti dalle stelle, per stabilire quanto sia ricco di metalli il gas nelle galassie. L’esperienza ottenuta nella riduzione e calibrazione di questi dati, alcuni dei primi collezionati con NIRSpec in modalità di spettroscopia a campo integrale, ha assicurato un vantaggio strategico per la comunità italiana rispetto alla gestione di dati simili”.

Loiacono è la referente italiana per la riduzione dei dati NIRSpec al JWST Support Centre dell’INAF, che assiste la comunità astronomica italiana nell’uso dei dati provenienti dal potente osservatorio spaziale.

Loiacono aggiunge: “Grazie alla sensibilità del James Webb Space Telescope nel vicino e medio infrarosso, è stato possibile studiare lo spettro del quasar e delle galassie compagne con una precisione senza precedenti nell’universo lontano. Solo l’eccellente ‘vista’ offerta da JWST è in grado di assicurare queste osservazioni”. Il lavoro ha rappresentato un vero e proprio “rollercoaster emotivo”, continua Decarli, “con la necessità di sviluppare soluzioni innovative per superare le difficoltà iniziali nella riduzione dei dati”.

Decarli conclude sottolineando la straordinaria importanza degli strumenti a bordo del telescopio Webb:

“Fino a un paio di anni fa, dati sull’arricchimento dei metalli (indispensabile per capire l’evoluzione chimica delle galassie) erano quasi al di là della nostra portata, soprattutto a queste distanze. Ora possiamo mappare in dettaglio con poche ore di osservazione anche in galassie osservate quando l’universo era agli albori”.


 

Riferimenti bibliografici:

L’articolo “A quasar-galaxy merger at z ∼ 6.2: rapid host growth via accretion of two massive satellite galaxies“, di Roberto Decarli, Federica Loiacono, Emanuele Paolo Farina, Massimo Dotti, Alessandro Lupi, Romain A. Meyer, Marco Mignoli, Antonio Pensabene, Michael A. Strauss, Bram Venemans, Jinyi Yang, Fabian Walter, Julien Wolf, Eduardo Bañados, Laura Blecha, Sarah Bosman, Chris L. Carilli, Andrea Comastri, Thomas Connor, Tiago Costa, Anna-Christina Eilers, Xiaohui Fan, Roberto Gilli, Hyunsung D. Jun, Weizhe Liu, Madeline A. Marshall, Chiara Mazzucchelli, Marcel Neeleman, Masafusa Onoue, Roderik Overzier, Maria Anne Pudoka, Dominik A. Riechers, Hans-Walter Rix, Jan-Torge Schindler, Benny Trakhtenbrot, Maxime Trebitsch, Marianne Vestergaard, Marta Volonteri, Feige Wang, Huanian Zhang, Siwei Zou, in pubblicazione sulla rivista Astronomy & Astrophysics.

 

 

Testo, video e immagini dall’Ufficio stampa dell’Istituto Nazionale di Astrofisica – INAF.

AMMASSI STELLARI: UN MILIARDO D’ANNI DI STORIA COSMICA RICOSTRUITO AL COMPUTER

Un team guidato da ricercatori dell’Istituto Nazionale di Astrofisica ha realizzato una simulazione dell’evoluzione di una remota regione di formazione stellare che riesce a descrivere con un livello di dettaglio mai raggiunto prima la sua storia, per un intervallo di tempo di quasi un miliardo di anni.

Ammassi stellari: un miliardo d’anni di storia cosmica ricostruito al computer. Pannello (a): mappa di densità della materia oscura centrata nel punto della simulazione in cui si formano le prime stelle (a redshift 15.95, corr. a 250 Myr di età dell’Universo). Il primo aggregato stellare è indicato dal quadrato blu. Pannello (b): mappa di densità del gas centrata nel punto In cui si formano le prime stelle. Le prime stelle sono indicate dal quadrato bianco, mentre le frecce rappresentano il campo di velocità del gas. Pannello (c): ingrandimento della regione corrispondente al quadrato bianco nel pannello (b), in cui le prime stelle sono indicate dai simboli neri. È visibile la ‘bubble’, ovvero la cavita’ generata dall’energia rilasciata dalle prime stelle massicce, circondata da un ‘guscio’ denso di gas. Pannello (d): mappa di temperatura della stessa regione riportata nel pannello (c),
in cui si nota la alta temperatura interna della ’bubble’ generata dalle prime stelle massicce. Crediti: F. Calura / MNRAS 2022

Studiare una lontanissima porzione di universo, simulandone l’evoluzione per i primi 900 milioni di anni dal Big Bang segnata dal ciclo completo di stelle di grande massa e ricavando le sue proprietà fisiche con un livello di dettaglio dell’ordine di un anno luce, un’accuratezza mai raggiunta prima per questo tipo di studi. A riuscire in questo compito è stato un gruppo internazionale di ricercatori guidato da Francesco Calura, dell’Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF) a Bologna e a cui hanno partecipato anche colleghi delle Università degli Studi di Milano Bicocca e Ferrara.

“Le nostre simulazioni sono le prime ad includere un modello dell’emissione di energia e massa nel mezzo interstellare di stelle singole in contesto cosmologico e con codice a griglia” dice Calura. “Questo significa che il nostro codice è stato in grado di modellare l’esplosione di ogni singola supernova mai nata, mentre in simulazioni più tradizionali il feedback stellare, ovvero l’immissione di energia e materia nel mezzo circostante, veniva modellato considerando le stelle come particelle macroscopiche, che rappresentano intere popolazioni stellari e quindi insiemi molto più grandi di stelle e di supernovae, perdendo così informazioni preziose su processi e interazioni che avvengono su scale dell’ordine di qualche anno luce”.

Le simulazioni permettono di studiare i processi di formazione stellare di una determinata porzione di universo per una lunga frazione della storia cosmica e con una risoluzione mai così alta in contesto cosmologico. I ricercatori sono stati in grado di ricostruire in modo molto accurato la distribuzione della materia in condizioni di alta densità e pressione, proprietà tipiche del mezzo turbolento presente nelle nubi molecolari da cui si formano le stelle. Ma c’è di più. Le simulazioni sono in grado di riuscire a riprodurre i dettagli fisici delle ‘bolle’ (bubbles, in inglese) generate anche da poche singole stelle massicce, le maggiori responsabili del ‘feedback’ stellare.

La realizzazione di queste nuove e dettagliate simulazioni, i cui risultati sono stati appena pubblicati in un articolo della rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society, è stata possibile combinando un nuovo metodo per l’implementazione del feedback stellare, molto sofisticato, con l’utilizzo di un Supercomputer di ultimissima generazione, il BigRed200 dell’Università dell’Indiana (USA).

 “Il nostro lavoro rappresenta una diramazione teorica di un progetto ad elevata leadership INAF che coinvolge esperti di ammassi globulari, galassie ad alto redshift e lensing gravitazionale, che ha permesso la scoperta di sistemi ultra-densi nell’Universo remoto, evento che ha dato il via al programma” ricorda Calura.

“Le nostre simulazioni hanno una valenza importante perché ci forniscono informazioni per rispondere ad uno dei più’ grandi e datati quesiti dell’Astrofisica, ovvero la comprensione teorica della formazione degli ammassi globulari in contesto cosmologico – prosegue Calura. La nostra ignoranza riguardo ai processi fisici che avvengono in questi sistemi è molto grande, ed il nostro limite è rappresentato dalla scala più piccola che siamo in grado di sondare. Grazie alle nostre simulazioni siamo in grado di fornire una descrizione fisica di tutto ciò che accade su scale dell’ordine di un anno luce o addirittura meno. La ricaduta di questi risultati è notevole, poiché il telescopio spaziale James Webb sta aumentando in modo impressionante la statistica dei sistemi compatti come quelli che abbiamo studiato nelle nostre simulazioni”.

“Le simulazioni da noi sviluppate rappresentano un punto di partenza su cui costruire modelli ancora più dettagliati e sofisticati, impensabili fino a qualche anno fa e destinati a sostituire gli attuali “zoom” focalizzati su galassie singole, che hanno tipicamente risoluzione di qualche decina di anni luce e, quindi, inadatte a modellare strutture di dimensione di qualche centinaio di anni luce, in realtà già osservabili con il James Webb anche senza l’aiuto del fenomeno delle lenti gravitazionali” conclude Alessandro Lupi, ricercatore presso l’Università degli Studi di Milano Bicocca e associato INAF.

Per maggiori informazioni:

I risultati della simulazione sono stati pubblicati nell’articolo “Sub-parsec resolution cosmological simulations of star-forming clumps at high redshift with feedback of individual stars” di F. Calura, A. Lupi, J. Rosdahl, E. Vanzella, M. Meneghetti, P. Rosati, E. Vesperini, E. Lacchin, R. Pascale e R. Gilli sulla rivista Monthly Notices of the Royal Astronomical Society.

Testo e foto dall’Ufficio stampa – Struttura per la Comunicazione di Presidenza Istituto Nazionale di Astrofisica (INAF)